Nuova Zelanda, 2000 chilometri contromano

La meta è remota, ma le emozioni sono intense

3 dicembre 2006
Atterriamo in Nuova Zelanda dopo 24 ore di volo, e la prima sorpresa una volta usciti dall’aeroporto di Auckland è quella di trovare un sole rovente, ma con l’aria frizzantina, tanto da rimanere con il pile ben abbottonato.
Stupiti ci guardiamo intorno, tutti girano in ciabatte e t-shirt e ci viene da fare una considerazione alquanto banale: è normale che sia così, è estate!
Beati loro, è come se da noi in Italia, nelle fredde giornate soleggiate di febbraio andassimo al mare.
Va beh, sarà colpa del vento gelido, quando calmerà potremo alleggerirci anche noi.
Un minivan ci sta portando nel centro della città, dove pernotteremo due notti, che saranno utili per ambientarci un po’ e naturalmente per scoprire quanto più possibile di Auckland.
Attraversiamo l’Harbour Bridge ascoltando l’ultima hit dei Take That quando ci appare Auckland adagiata sul golfo di Auraki in tutto il suo splendore, sinuosa come una ragazza distesa su un fianco, i verdi promontori e le fiorite vallate, i grattacieli sembrano uscire dal mare e su tutti domina la possente Sky Tower, la torre a forma di antenna, simbolo di Auckland.
Di colpo passa la stanchezza, lasciamo gli zaini in albergo e, visto che sono le 16.00 partiamo in avanscoperta, non c’è tempo da perdere.
La città si gira molto bene a piedi, a parte le salite e discese, dal porto si raggiunge il centro in dieci minuti, e ci si rende conto che la grandezza di Auckland è tutta periferia.
Passeggiando tra la folla cosmopolita osserviamo le decorazioni natalizie nelle strade e nei negozi, e fin qui niente di strano, dato che è dicembre, ma quando si vede Babbo Natale in costume da bagno sul surf o il presepe allestito in vetrina tra pinne e maschere…
La città è ordinata e pulita, segno di una buona educazione civica, non si vede niente fuori posto, persino i cestini per le cartacce sono carini da fotografare. In seguito, girando la Nuova Zelanda, vedremo che in ogni città i cestini, come i lampioni e le panchine, avranno i colori e i simboli maori diversi, in maniera da rendere riconoscibile e caratteristico un posto piuttosto che un altro.
Il sapore dell’oceano ci accompagna ovunque ed è tangibile la passione che i neozelandesi nutrono per le attività sportive legate ad esso, fin da bambini crescono a pane e vela, o surf o sci d’acqua, lo si potrebbe fare anche in Italia, visto che è quasi totalmente bagnata dal mare, ma è molto più semplice dare ad un bimbo un pallone da calciare.
Solo in occasione delle prodezze di Luna Rossa, nell’America’s Cup siamo diventati tutti skipper.
Visitando il golfo di Auraki con un battello il ricordo delle regate viste in tv ad ore improbabili diventa vivo, ancor di più quando vediamo la barca di Oracle trainata fuori dal porto per andare a fare allenamento.
Ammirare Auckland dal battello ha un fascino particolare e ammirarla al tramonto dalla dirimpettaia Devonport è uno spettacolo assolutamente imperdibile.
Tornati sulla terraferma decidiamo di assaggiare il piatto forte della Nuova Zelanda, l’agnello accompagnato da un buon vino rosso, ne vale proprio la pena!
Abbiamo ancora una giornata da trascorrere a Auckland, e non vogliamo rinunciare a salire sulla Sky Tower per avere una visione totale della città, dal secondo e ultimo livello, 328 metri da terra, si ammira l’intero golfo, con tutte le sue isolette collegate tra loro da battelli che fanno la spoletta innumerevoli volte al giorno.
Da questa altezza sembra che ogni imbarcazione dia delle pennellate di bianco su una tavolozza color smeraldo, ne vengono fuori delle figure degne di un bravo pittore, e le tinte accese delle vele gonfiate dal vento colorano l’oceano come arlecchino.
Essendo la Nuova Zelanda un paese giovane non si vedono tracce di un passato storico, solo pochi simboli della civiltà maori, soppiantata purtroppo da quella britannica, lo si avverte nella costruzione delle case nel tipico stile inglese, nella guida a sinistra, nella chiusura delle attività alle 17.00.
Anche le caratteristiche somatiche della popolazione ricordano molto quelle dei nordeuropei, carnagione chiara e capelli rossi o biondi, niente a che vedere con la civiltà maori, scuri di pelle, con occhi e capelli nerissimi, e corporatura massiccia.

Salutiamo Auckland perché da adesso inizia il nostro viaggio alla scoperta della Nuova Zelanda, a bordo di una Mitsubishi Colt, con la guida al posto del passeggero, il cambio automatico e il freno si stazionamento da azionare con il piede sinistro.
Massimo familiarizza con questa atipica situazione e si butta nel traffico, pochi km percorsi e siamo già fuori città, le strade sono ben asfaltate e con doppie corsie, i sorpassi si effettuano da destra, ma non è poi così difficile, il bello viene agli incroci, quando bisogna girare le rotonde al contrario!
Il nostro viaggio itinerante tocca diversi punti dell’isola del nord, a cominciare da Thames, il centro abitato più grande della Coromandel peninsula.
Sono caratteristiche le vecchie case ottocentesche che si allineano lungo la via principale, alternate a pub di legno, costruiti all’epoca in cui la corsa all’oro e il commercio del legno di Kauri ne avevano fatto una delle città più grandi della Nuova Zelanda.
Proseguendo per Coromandel Town ammiriamo la costa con le suggestive calette, popolate da uccelli marini, e grazie alla fioritura dei Pohutukawa, detti anche alberi di natale neozelandesi, il paesaggio si tinge di un rosso acceso.
A Coromandel Town pranziamo a base di cozze giganti dal guscio verde, per cui è rinomata, in effetti non c’è da meravigliarsi, sono assolutamente le cozze più buone mai mangiate.
E’ difficile non fermarsi ad ammirare il panorama, si comincia ad entrare nel vivo della natura, dal mare si passa ad un tripudio di vallate e altipiani di un verde accecante, con fiori colorati e migliaia di mucche e pecore che pascolano felici in questo paradiso terrestre.
Qui regna una quiete impalpabile, anche i centri abitati non sono mai rumorosi, e le persone svolgono le loro attività senza alcuna frenesia, in pieno relax.
Con un trenino saliamo su per la montagna attraversando la foresta fitta di felci e alberi autoctoni, e una volta raggiunta la cima, lo scenario che si presenta ai nostri occhi è mozzafiato, sotto di noi la baia, il cielo azzurro fa da cornice a quello che sembra un quadro naif.
Pienamente soddisfatti torniamo a bordo della Colt, nostra compagna di viaggio, pronti a raggiungere la prossima tappa, Rotorua.
Calcoliamo gli spostamenti tenendo sempre conto delle soste obbligate per foto e video, quindi la distanza è come se raddoppiasse, infatti, dopo qualche ora ci rendiamo conto che arrivare a Rotorua per la notte è impossibile, quindi decidiamo di pernottare a Tauranga, importante zona per la coltivazione di Kiwi (frutto che, peraltro, non abbiamo mai assaggiato).
Viaggiare in piena autonomia, senza vincoli di prenotazione, dà piena libertà negli spostamenti e nelle tappe dove fermarsi, se lungo la strada si vede un’indicazione di una cascata o di un parco, che non erano stati inclusi nel tour studiato a casa, decidiamo di fermarci, arricchendo molto il nostro diario di viaggio.
Infatti l’indomani partiamo alla volta di Rotorua, non prima però di aver visitato le MacLaren Falls, situate in un parco rigoglioso, sono delle cascate dove viene praticato il rafting.

Finalmente arriviamo a Rotorua, detta Sulphur city (città dello zolfo), perché presenta la più alta concentrazione di pozze di fango ribollenti, di sorgenti termali e di geyser in piena attività.
Ci rechiamo subito all’ufficio turistico, situato in una grande costruzione che sembra fatta di marzapane, per informarci su eventuali visite guidate presso i villaggi maori, visto che a Rotorua c’è il più grande insediamento della Nuova Zelanda.
Ohinemutu è il nome del villaggio maori situato sulle rive del lago, dove ci apprestiamo ad entrare.
La cultura maori è tangibile, la storica chiesa e le innumerevoli statue di colore rosso, il tutto avvolto nei fumi dei geyser, si respira un’atmosfera mistica.
Entriamo in un piccolo negozio di artigianato e tra i diversi monili di legno si materializza una donna maori tatuata in volto, Massimo le chiede se può fotografarla, e lei annuisce contenta, tanto da lasciarci un biglietto con scritto il suo nome, Lavinia Kingi.
Il lungolago di Rotorua, circondato da alti promontori è talmente romantico che farci una sosta è obbligatorio.
Seduti su una panchina guardiamo i cigni neri che lentamente fluttuano nelle immobili acque color argento, e pensiamo ancora una volta di essere felici per aver scelto di visitare la Nuova Zelanda.
Ci svegliamo di buon’ora e, come ogni mattina, facciamo colazione a base di muffin accompagnati dall’immancabile bicchierone di latte, talmente gustoso quanto ipercalorico, visto che ci sono almeno tre dita di panna.
A cinque km dal centro si entra nella più grande e famosa riserva termale di Rotorua, dal nome lunghissimo, Whakarewarewa, dove ammiriamo il geyser più spettacolare dal nome Pohutu, che in lingua maori significa “grande spruzzo”.
E’ in piena attività, spruzzando acqua bollente fino a trenta metri di altezza, almeno dieci volte al giorno, è uno dei tanti spettacoli della natura.
Whakarewarewa è anche un importante centro culturale maori, dove si può assistere alla danza tipica, chiamata Poi, durante la quale donne in costume folcloristico fanno roteare palle di lino intessute con gesti ritmati.
Gli uomini invece si cimentano della Haka, una forma di danza che spesso viene associata al canto di guerra che precedeva la battaglia, per questo è diventata il simbolo della squadra di rugby neozelandese, i noti All Blacks, che prima di ogni incontro, con concitati movimenti delle braccia ed espressioni inquietanti del volto, cercano di spaventare la squadra avversaria.
Vedere questi uomini possenti sgranare gli occhi e fare le linguacce, udire i colpi che si danno sul petto e sulle braccia, fa veramente impressione.

Il tour prosegue verso Taupo, il nostro obiettivo è l’elicottero per un giro panoramico, della serie “non facciamoci mancare niente”. Decolliamo dal lungolago e per un’ora e mezzo voliamo su quello che è il più grande lago della Nuova Zelanda, Lake Taupo, appunto.
E’ nato dopo una delle più importanti esplosioni vulcaniche di tutti i tempi, dall’alto si gode di uno spettacolo fiabesco, dalle vallate punteggiate da pecore e mucche fino ad arrivare ai picchi vulcanici del Tongariro National Park.
Ngauruhoe, che nella saga de “Il signore degli anelli” è chiamato Mount Doom, sembra un pandoro con tanto di zucchero a velo, a queste altitudini le nevi sono perenni.
D’improvviso l’elicottero cambia direzione, e dopo qualche istante si infila in un canyon piuttosto stretto, ci guardiamo spaventati e nello stesso tempo divertiti, il pilota è avvezzo a questo genere di evoluzioni, noi un po’ meno!
Una volta rientrati alla base lo ringraziamo per averci fatto provare emozioni uniche.
Nei dintorni di Taupo visitiamo le Huka Falls, cascate del Waikato river, un fiume importante che grazie alla potenza delle sue acque fornisce energia elettrica attraverso una diga più a valle.
L’acqua di queste cascate è limpida e turchese e i suoi spruzzi danno vita a spettacolari arcobaleni.
A nord di Taupo c’è una zona denominata Craters of the Moon, che si può visitare camminando su un sentiero attrezzato con passerelle.
Anche qui l’odore dello zolfo è forte, ci sono migliaia di pozze in ebollizione, raggiungendo poi la sommità del punto più alto si può vedere tutta la vallata, il lago e sullo sfondo gli imponenti vulcani.

Lasciata Taupo risaliamo per Hamilton facendo tappa ad Orakei Korako, un sentiero pedonale permette di visitare le terrazze di silice grandi e colorate per cui il parco è famoso, si va dal giallo più intenso al rosso aranciato, dal bianco accecante al marrone più cupo.
Particolarmente bella è Ruatapu cave, una grotta naturale con una piscina di acqua color giada. Pare che i maori la usassero per specchiarvisi durante le cerimonie di acconciatura dei capelli.
E’ trascorsa una settimana dall’inizio del tour e di km ne abbiamo già fatti circa un migliaio, adesso torniamo sulla costa a nord-est di Auckland, direzione Waitangi, nella Bay of Islands, dove nel 1840 fu firmato lo storico trattato tra i capi maori della zona e i rappresentanti del governo della regina Vittoria.
Il paesaggio cambia man mano che si sale verso il nord dell’isola, la temperatura più mite trasforma i colori, dal verde brillante si passa al verde cupo, e le colline non sembrano più ricoperte di velluto, bensì di ruvida stoffa.
Sono comunque immancabili i capi di bestiame che ci hanno tenuto compagnia lungo gli spostamenti.
Una sosta la merita Whangarei, un centro abitato molto carino con i negozi gremiti di gente, anche qui si avverte la frenesia del natale, la corsa al regalo non è solo affar nostro.
Io, in crisi di astinenza per non aver addobbato la casa per la prima volta nella storia, entro in ogni bottega per guardare le decorazioni natalizie e la nostalgia un pò si fa sentire, ma un buon gelato mi riporta al presente e la malinconia lascia immediatamente il posto alla felicità di essere qui.

La Bay of Islands è famosa per le sue spiagge, ci fermiamo per passeggiare su quella grandissima di Pakiri, ma il forte vento ci fa cambiare subito idea.
La vita balneare come la intendiamo noi qui in Nuova Zelanda non esiste, il mare è vissuto praticando attività sportive e le immense spiagge sono un luogo come un altro dove fare jogging con i cani.
L’ultima tappa prima di riconsegnare la Colt, quando il contachilometri segna 2000 km, è Orewa, che vanta una spiaggia riparata lunga tre chilometri, popolata da migliaia di gabbiani.
Cerchiamo un locale dove gustare l’ultima cena neozelandese, a base di bistecca di manzo e cosciotto di agnello, per imprimere bene i sapori di questa terra che ci ha accolti con la gentilezza e con la buona educazione nel preservare tutte le sue bellezze naturali.
I neozelandesi riescono a conciliare i flussi turistici ad un ambiente quasi selvaggio, senza rovinarlo, poiché la Nuova Zelanda è prima di tutto uno sconfinato e incantevole parco naturale.
Dopo aver percorso 2000 km contromano ripartiamo da Auckland pieni di entusiasmo, questa terra così lontana ha soddisfatto pienamente le nostre aspettative, tranne una, all’inizio della recensione scrivevo, quando il vento gelido si calmerà ci alleggeriremo, niente di più sbagliato, il freddo ci ha accompagnati durante tutto il viaggio, anche se il sole è stato un nostro valido alleato.
Quindi a chi volesse intraprendere un viaggio in Nuova Zelanda nei mesi estivi consigliamo di non sottovalutare il freddo, e di mettere nello zaino un bel maglione caldo e un bel cappellino… e tanta voglia di avventura!
Silvia

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