Marrakech... on the road!

A cavallo fra tradizione e modernismo, la seducente città marocchina offre il suo meglio se si ha la pazienza (e l’amore) di “esplorarla” a piedi

Il Maghreb è una meta ormai costante dei viaggi che ho effettuato nel continente africano.
Ho avuto occasione di recarmi a Marrakech innumerevoli volte. Ogni volta scopro una città nuova. Anche qui, come quasi nel resto del mondo, tutto è in continua evoluzione: usi, costumi, cultura. Se solo dieci anni fa tutti i ragazzi indossavano il tipico pastrano berbero e le ragazze il velo islamico, adesso non è difficile trovare le giovani con i jeans attillati o addirittura in minigonna. E i ragazzi, quelli si che hanno fatto passi da gigante: li vedi sfrecciare con loro motorette sui viali attorno ai giardini pubblici. Gasati, ma sempre attenti ai vigili urbani inflessibili nell’uso dell’autovelox.
Marrakech è stata fondata all’inizio della dinastia almoravide, fra il 1062 e il 1070, dal sultano Abu Bekr che dopo aver conquistato il nord del Marocco, raggiunse anche quest’area. Si susseguirono molte altre dinastie fino all’arrivo dei francesi. Oggi Marrakech conta circa un milione e mezzo di abitanti ed è sicuramente una delle località turistiche più famose del Marocco.
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Alloggio in un curioso hotel nel cuore della città vecchia. Nella reception un baffuto signore di mezza età con un marcato timbro di voce, chiama il cameriere: Zaccaria, Zaccaria... i clienti si stanno svegliando, bisogna preparare l’acqua per il thè, la marmellata nei piattini, il pane, vuotare l’unico posacenere della sala ristorante.
Zaccaria è il trillo della sveglia, è l’alzabandiera dell’albergo. Dopo quella del muazzin, è la seconda voce che sento ogni mattina.
Quando scendo le scale, tenendo tra le mani il pesante portachiavi della mia stanza, il baffuto signore dell’hotel, in tenuta da nostromo, è già sull’uscio della sala dove servono le colazioni. Sorride sempre, anche quando ordino le uova fritte e lo costringo per l’ennesima volta a chiamare Zaccaria. A volte ne portano due striminzite, a volte invece, largheggiando, ne portano quattro grosse come un medaglione.

Uscendo dall’hotel raggiungo velocemente, a piedi, la famosa piazza Djemaa el-Fna. E’ la piazza attorno alla quale si sviluppa la città vecchia. Da qui partono tutti i vicoli del souk, tutte le storie delle migliaia di turisti, o semplici viaggiatori che vengono a Marrakech per perdersi nei meandri e nei labirinti di uno dei più affascinanti mercati del Maghreb.
La piazza ha di per sè un aspetto insignificante: una grande spianata, in parte in battuto di cemento ed in parte pavimentata. Tutt’intorno sono nati ristoranti e negozi ad uso e consumo del turista. Ciò che invece la rende affascinante è che, ad ogni ora del giorno, ma soprattutto alla sera, cambia aspetto. La mattina è piuttosto sonnecchiosa, ci sono solo poche bancarelle di ragazzi che spremono le arance, oppure qualche venditore di fichi secchi. Già nelle prime ore del pomeriggio la gente si fa sempre più numerosa e arrivano le donne che disegnano tatuaggi con l’hennè; per pochi dirham ti fanno meravigliosi disegni sulle mani o sui piedi. Hanno sempre un albumino tra le mani, all’interno del quale sono raccolte le fotografie dei loro “ricami corporei”; tu scegli, al resto ci pensano loro.
La piazza è molto vissuta dai marocchini; non è raro trovare cantastorie, cartomanti, strani personaggi che recitano litanie davanti a scodelle contenenti chissà cosa. La gente si raduna a cerchio tutt’intorno e sta ad ascoltare. I volti sono spesso seri e attenti, le storie da queste parti incantano ancora, e quando il “sapiente” finisce la recita ci si sente più forti e sicuri o semplicemente più istruiti.
Nel tardo pomeriggio vengono montate le bancarelle che subito dopo il tramonto si trasformano in ristorantini all’aperto dove si possono degustare ottimi piatti tradizionali. Basta camminare lentamente e guardare sul lastricato della piazza per scorgere le cose più strane e curiose. Ci sono pseudo-dentisti che vendono denti usati e dentiere, strani soggetti vestiti da tuareg che dicono di arrivare da Tan Tan, nel sud del Marocco, berberi che sono stati catapultati qui da chissà dove.
I tuareg vendono strani feticci animali per uso medicinale, uova di struzzo, alcune integre, altre con un piccolo foro dal quale è stato succhiato l’albume e il tuorlo. Hanno anche delle strane radici che chiamano “mandragola” e che spacciano per potente afrodisiaco il cui effetto può durare una notte intera.

I turisti, quelli dei viaggi organizzati, si addentrano poco nella città vecchia. Ma più ci si allontana dalla piazza più la realtà locale appare con forza. Ovunque è possibile notare frammenti di vita quotidiana vera, non ad uso e consumo del turista: semplicemente la Marrakech di tutti i giorni che brulica di commerci e intrighi. Se ti muovi senza una guida non è raro sentirsi offrire l’hascish. Un tempo si veniva da queste parti anche per farsi una canna nostrana, magari migliore di quella che si poteva trovare a Milano. Anche oggi, tra un hammam e un sorso di aranciata, volendo, ci si può ancora rilassare alla maniera dei figli dei fiori.
Negli angoli più bui del souk si nascondono lugubri macellerie dove uomini dalle barbe lunghe e tinte di rosso si fermano a contrattare, come in un rito ancestrale, l’acquisto di pezzi di carne di montone.

Questa perla marocchina è una città che va vissuta passo dopo passo, camminando. A costo di farsi venire il mal di piedi. Spesso i tutristi affittano un calesse o un taxi. A piedi invece si ha il piacere di vedere ogni cosa e di sentire i profumi delle spezie, delle erbe aromatiche, dell’essenza di una civiltà che sta scomparendo, del nuovo Marocco che sta prendendo il sopravvento sulla storia passata. Se ti muovi "su ruote", velocemente, perdi tutto.
Sul viale che porta all’hotel campeggia un gigantesco cartellone, che annuncia l’imminente Festival Internazionale del Cinema di Marrakech. Cerco informazioni su internet e noto che, quest’anno, il Festival sarà dedicato al cinema italiano. Proietteranno opere di registi quali Benigni, Moretti, Muccino, Amelio e Sorrentino. La rassegna si aprirà con il documentario “Il mio viaggio in Italia”, del geniale Martin Scorsese. Le proiezioni si terranno nella piazza Djemaa el-Fna.
Cerco di immaginare la Djemaa el-Fna.durante il festival: da una parte il vento dell’occidente che arriva dal nord est, dall’altra la tradizione maghrebina che continuerà imperterrita a camminare sui selciati dei vicoli della medina.
Oggi ho camminato tutto il giorno osservando la città dal basso, ma vorrei poter ammirare una veduta più ampia di questa città, quasi per tirare le somme e fare un breve riassunto di quello che hanno visto i miei occhi. Salgo sulla terrazza del Cafè Glacier e mi faccio servire un thè alla menta. Osservo la piazza lontano da sguardi indiscreti, dall’alto. Il fumo bianco dei bracieri dei ristorantini si libra nel cielo e contrasta con le luci del minareto all’orizzonte, la gente del posto si intrattiene a far chiacchiere seduta sui muretti dell’ufficio postale. I pochi motociclisti attraversano la folla tenendo lo scooter per mano e a motore spento. Le voci si confondono creando una melodia dai toni arabeggianti. Apparentemente è tutto come un tempo. Cerco di immaginarmi il venditore ambulante di dentiere, il ragazzo che fa le spremute, le cartomanti, le donne che fanno i disegni con l’hennè, il tuareg che vende gli afrodisiaci, le ragazze marocchine in jeans e quelle che hanno avuto il coraggio di mettersi la minigonna e le collant. La “nuova vita” avanza senza pietà, mi basta voltare lo sguardo verso sinistra, oltre le palme dei giardinetti inizia la new city. La Marrakech del terzo millennio, quella dei Mc Donald, quella dei grandi alberghi dove servono la birra, quella delle prime discoteche è a poche centinaia di metri.

Il profumo che sale dalla Djemaa el-Fna contrasta con la visione di modernità che sta oltre le palme. Lo sguardo ricade sulla piazza sottostante, sulla “Marrakech” che ho sognato. Mi sazio in silenzio osservando questo mondo che lentamente va a dormire, ci resto fino a quando l’ultimo venditore ambulante carica sulle spalle la sua borsa.
La mezzanotte è passata da un po’, il cameriere del Cafè mi fa cenno che deve chiudere, saluto e mi avvio verso l’hotel, lentamente... on the road.

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