Le Grotte di Postumia/Postojna, un capolavoro di arte naturale

Un bel fine settimana fra Slovenia e Friuli, fra spettacolari fenomeni naturali e storia

La Slovenia è certamente una meta ideale per chi medita di passare un week end tra arte, natura e buona tavola.
Spesso trascurata a beneficio della ben più nota “cugina” Croazia, merita tuttavia attenzione per molte destinazioni decisamente caratteristiche e particolari.
In particolar modo la regione carsica, divisa tra questo Stato e il nostro Friuli Venezia Giulia, presenta curiose e uniche morfologie di suolo e soprattutto sottosuolo conosciute in tutto il mondo proprio con il termine di Carsismo.
Il carsismo plasma gran parte del paesaggio sloveno, soprattutto per la parte a ridosso dell’Italia, dando luogo a fenomeni che solo nelle zone con simile morfologia geologica, sono osservabili. Questo tipo di paesaggio riveste una importanza fondamentale in Slovenia, basti pensare che circa il 41% del territorio nazionale è interessato al fenomeno del carsismo.
Il Carso (dal croato Kar e dallo sloveno Krs, che significa roccia, pietra) è composto fondamentalmente da rocce calcaree e gessi, facilmente erodibili dall’acqua. La loro composizione fa sì che l’acqua meteorica riesca più rapidamente a scioglierle che non ad asportarne meccanicamente le particelle. Questo fenomeno è di rilevante importanza nella formazione delle cavità sotterranee. Il territorio carsico si presenta spesso senza grossi fiumi di superficie, di aspetto roccioso e con vegetazione scarsa e discontinua. La vegetazione è solitamente costituita da cespugli e piccoli alberi resistenti alla siccità, dato che manca appunto l’acqua di superficie. Passeggiando per i sentieri di un’area carsica dopo molte ore di pioggia, sarà difficile imbattersi in un ruscello o notare un ristagno d’acqua.
In realtà il Carso è anche ricco di foreste, soprattutto dal lato Sloveno, ma questo è dovuto al fatto che la roccia calcarea è stata nei millenni ricoperta da strati di fertile terreno alluvionale. Al di sotto dei pochi metri di terra sufficienti alla sviluppo degli alberi ad alto fusto, la roccia carsica è sempre presente!
Anche la morfologia del territorio assume aspetti del tutto caratteristici: sono frequenti due fenomeni tipici, che sono le valli cieche e le doline. La valli cieche possono essere paragonate a dei giganteschi catini, scavati dallo scorrimento delle acque che dilavano la roccia solubile finché entrano in contatto con strati di roccia non calcaree. A quel punto l’erosione si ferma e l’acqua prosegue il suo corso negli inghiottitoi dove scompare nelle viscere della terra formando dei veri e propri bacini idrici sotterranei.
Questi bacini idrici si fanno largo nelle viscere della terra, in tempi geologicamente neppure troppo lunghi, grazie alla facile erosione dei carbonati di calcio, dando luogo ad ampie cavità sotterranee.
Alle valli cieche si aggiungono le doline (dallo sloveno dol = valle). Sono delle vere e proprie depressioni, di forma e grandezza variabile, che si sono di solito originate in punti di frattura della fragile roccia calcarea: queste fratture richiamano generalmente le acque circostanti, andando ad aumentare il grado di erosione e generando anche dei veri e propri crolli.
Questo è ciò che si vede in superficie, ma il vero spettacolo del carsismo sta in ciò che non si vede, ovvero nell’erosione del sottosuolo. Il nostro breve viaggio in Slovenia andrà a scoprire le meraviglie di questo mondo sotterraneo.Viaggio effettuato il 9/10 ottobre 2010
Come accennato inizialmente la Slovenia è facilmente raggiungibile praticamente da tutto il nord Italia, e proprio per questo si presta ad organizzare un bel week-end o il classico week-end lungo.
Da Milano a Postojna, la nostra più importante meta, per esempio, ci sono solo circa 4 ore di automobile. Io vivo molto più vicino e in circa due ore e mezza riesco ad essere a destinazione.
Per arrivare a Postojna, provenendo dalla A4 si prende l’uscita di Fernetti e si prosegue sull’autostrada Slovena. Si può acquistare una vignetta autostradale settimanale al prezzo di 15 Euro al primo distributore o all’ex stazione di confine. Non dimenticate di acquistarla, perché le multe sono salate!
Le grotte di Postojna, presso l’omonima cittadina, pur se di ragguardevoli dimensioni, sono celebri in realtà per altri motivi: sono state le prime grotte ufficialmente visitabili al mondo ma soprattutto sono l’esempio più classico di cavità carsica e possono a ragione essere considerate tra le più spettacolari al mondo.
Conosciute fin dall’antichità, già nel XIII secolo erano meta di visitatori, tanto è vero che l’iscrizione più antica di qualche “imbrattatore” risale al 1213!
Tuttavia l’apertura ufficiale al turismo avviene nell’anno 1819: in quell’anno si raggiungerà la cifra record di ben 106 visitatori… oggi ne arrivano annualmente 500.000, concentrati soprattutto nel periodo estivo. Una piccolissima differenza!
Quei 106 visitatori, pur avendo avuto il grosso onore di essere stati i primi visitatori ufficiali, non hanno certamente gustato ciò che abbiamo visto noi: solo 1/3 del percorso attuale era aperto e le condizioni delle visite erano ben più precarie, molto lontane dall’efficienza e dall’organizzazione odierna. Basti pensare che l’impianto elettrico venne installato solo nel 1884, e dunque per 65 anni le meravigliose concrezioni interne furono illuminate solo dalla fioca luce di qualche lanterna, senza che si potesse godere appieno delle meravigliose policromie di pareti, stalattiti e stalagmiti.
Pochi anni dopo verrà installata una ferrovia interna (sul percorso dell’attuale trenino) con carrelli spinti manualmente!
Dopo un percorso che dagli enormi parcheggi avvicina il visitatore facendolo furbescamente passare di fronte a bancarelle di souvenir e piccoli ristoranti, si arriva di fronte all’ingresso delle grotte, preceduto da una scalinata e una bella costruzione di inizio secolo.
Il vecchio ingresso, ben visibile, è ora abbandonato e si accede da una apertura a fianco, dove una serie di cartelli elenca tutte le cose che non si possono fare all’interno delle grotte. Alcune sono scontate, come fumare e fare la pipì (davvero serve specificarlo?), altre un po’ meno.
Ufficialmente è vietato fotografare, ma in realtà tale divieto nasce dal fatto che i lampi di luce intensa dei flash danneggiano le concrezioni. Dato l’enorme afflusso di visitatori, risulta molto più semplice esporre il cartello di divieto di fotografare: guide e addetti sanno infatti molto bene che la maggior parte dei turisti, armati di macchine compatte, non sanno o fingono di non sapere come si esclude il flash della macchina fotografica. Se tutti fotografassero con il flash ne verrebbe fuori una specie di spettacolo pirotecnico, visto che i gruppi sono a volte composti anche di 300 persone.
Appena entrato ho chiesto alla guida se potevo fotografare rigorosamente senza flash e lei mi ha solo raccomandato di cercare di stare in fondo al gruppo, per farmi vedere il meno possibile dagli altri, i quali, nel vedermi, avrebbero potuto sentirsi autorizzati a farlo a loro volta… ovviamente con il flash!
Dunque se agite con discrezione ed eliminate il flash, le guide non vi impediranno di fotografare, perché non arrecherete nessun danno all’ambiente circostante.
C’è però da dire che la luce è davvero poca: occorre scattare sempre a oltre 1000 Iso, e cercare di avere la mano molta ferma perché i tempi di scatto sono molto alti. Alcune delle foto allegate sono scattate a 1600 Iso e dunque non sono di grandissima qualità o hanno tempi di scatto di 1/30, dando luogo ad un leggero micromosso.
E’ dunque consigliabile usare macchine fotografiche di qualità, che permettano di ottenere immagini decenti anche sopra ai 1000 Asa ed è totalmente inutile e frustrante scattare con piccole compatte di scarsa qualità.
Superato l’ingresso, si sale su un trenino elettrico aperto che ci porterà, comodamente seduti, attraverso una serie di gallerie naturali, collegate a volte tra loro da tunnel allargati artificialmente, per ben 3 chilometri e duecento metri, nel cuore delle grotte.
Da qui comincia la visita vera e propria, anche se i primi 3 chilometri percorsi con il trenino non sono esenti dal fornire un notevole spettacolo naturale.
In realtà, dopo questo primo percorso senza fatica, non è corretto dire che si arriva nel cuore delle grotte, visto che la lunghezza totale del complesso di cavità è di ben 21 chilometri. Noi ne abbiamo percorso solo poco più di tre, quindi siamo ancora vicini all’ingresso!
Per quanto la grandezza di queste grotte sia ragguardevole, esistono al mondo grotte ben più lunghe.
Perfino in Italia vi è un complesso carsico più lungo di Postojna: è l’antro del Corchio, nel Monte Corchia, alpi Apuane, lungo ben 60 chilometri! Ma le più grandi in assoluto sono negli Stati Uniti (ti pareva!): le Mammouth caves sono un complesso di grotte che si estende per ben 563 chilometri!
Il trenino ci lascia in corrispondenza di una delle cavità più ampie, dove, sistemati in quattro punti diversi, ci sono dei cartelli luminosi che indicano il punto di aggregazione dei gruppi a seconda delle lingue parlate: la visita infatti viene guidata in 4 lingue diverse: sloveno, italiano, tedesco e inglese.
Il gruppo degli Italiani è il meno numeroso, benché siamo comunque almeno una sessantina.
Subito comincia la salita verso il punto più alto (o forse dovrei dire meno basso?) della parte che visiteremo: si sale infatti verso il calvario. Il nome vorrebbe essere evocativo, anche se in realtà la salita è tutt’altro che dura. Il sentiero è segnato da una corsia di cemento antisdrucciolo, visto che l’umidità è altissima, intorno al 95%, ma la temperatura piuttosto bassa di 10 gradi rende l’ascesa una piacevole sgambata. La temperatura, come accade un po’ in tutte le cavità ipogee, è fissa tutto l’anno. E’ ovviamente indispensabile una felpa e possibilmente anche un k-way o un leggero impermeabile per difendersi dall’elevato tasso di umidità e dal continuo sgocciolio proveniente dal soffitto.
Una volta raggiunta la cima del nostro piacevole calvario, la vista si apre spettacolare sui due lati e sulle stalattiti che pendono dalla volta arcuata della grotta. Sembrano lunghe pochi centimetri ma è solo un’illusione ottica dovuta all’altezza dell’ambiente: in realtà sono lunghe anche un paio di metri.
Il manganese colora le colonne di grigio, gli ossidi di ferro di rosso e varie tonalità di arancione e marrone, ma il vero protagonista è il bianco dei carbonati di calcio, a volte tendente all’avorio, ma molto più spesso candido come la neve.
Si notano qua e là anche macchie di verde, ma quelle macchie non dovrebbero esistere in natura in queste grotte: si tratta infatti di muffa, che si sviluppa grazie alla luce delle lampade!
La sapiente illuminazione delle sale comunque risalta le diverse sfumature di colore. Dunque siamo nel punto più alto delle grotta visitata, ovvero a 70 metri sotto terra: da questo momento in poi ci sarà solo una leggera discesa, fino ad arrivare a 120 metri di profondità.
Per quanto possa sembrare ragguardevole, anche in questo caso siamo ben lontani dal record di grotte più profonde. La più profonda del Carso scende nelle viscere della terra per ben 1650 metri. Nulla a confronto con la grotta Voronya, in Georgia, che con i suoi 2160 metri è la più profonda d’Europa e non si è ancora certi di aver raggiunto il fondo!
Ma anche noi Italiani possiamo vantare un record: la cavità singola più grande del mondo è nel nostro territorio: è la grotta del Gigante, presso Trieste (dunque anch’essa in territorio Carsico). Al suo interno ci potrebbe stare comodamente la basilica di San Pietro.
Scenderemo durante la visita di 50 metri molto lentamente, percorrendo quasi due chilometri: lo sviluppo delle grotte è quasi orizzontale, e non poteva essere altrimenti visto che sono state scavate da un fiume sotterraneo, il torrente Piuka che, nel giro di tre milioni di anni, ha provveduto a preparare lo studio all’invisibile artista che ne ha decorato le pareti. L’artista,o meglio, gli artisti, sono le gocce d’acqua provenienti dal suolo calcareo sovrastante: il loro incessante stillicidio trascina con sé milionesimi di grammo di roccia che lasciano abbarbicata alle stalattiti o depositano nella sottostante stalagmite, facendole crescere in media solo di 1 mm. in 30 anni.
Sono loro le mani invisibili che in milioni di anni hanno dato vita alle gigantesche sculture di roccia che vediamo.
La nostra inesorabile discesa verso il basso, ci porta verso il ponte dei russi, così chiamato perché l’originale, ora sostituito da uno meno ballerino, fu costruito dai prigionieri russi della prima guerra mondiale. Collega due parti della grotta altrimenti separate da un profondo canalone. Fino al 1926, la visita alle grotte finiva qui. Una vera disdetta, perché i visitatori antecedenti a questa data non hanno potuto godere della parte più spettacolare di questa visita, che comincia proprio da questo punto.
Oltrepassato il ponte si ha accesso alla grotta degli spaghetti, così chiamata perché la volta superiore è tempestata di piccolissime stalattiti bianche simili appunto a spaghetti di pietra bianca. Alzando lo sguardo verso l’alto non si può che restare stupiti da tanta bellezza. Gli spaghetti sono migliaia, protesi minacciosi verso il basso, apparentemente così fragili da sembrare sul punto di cadere in testa agli incauti visitatori, trafiggendoli. In realtà sono ovviamente ben attaccati alla roccia da migliaia di anni!
Segue la grotta del Paradiso e questa volta bisogna davvero ammettere che il nome è fin troppo scontato: sono le grotte più belle, ricche di concrezioni variamente e riccamente colorate. Spicca fra tutte la più bella stalagmite della grotta, chiamata Brillante, in pura candida calcite, diventata il simbolo inconfondibile delle grotte. Ancora più incredibile il Grande Sipario, una cortina di calcare spessa appena pochi millimetri, dietro la quale è stato sapientemente posizionato un faro che ne accentua la delicata trasparenza.
Anche qui, come nelle grotte precedenti, abbondano lungo le pareti le cosiddette Fette di Bacon, ovvero delle stalattiti dalla forma curiosa: lo sgocciolamento trasversale lungo la parete ha dato vita non ad una formazione piramidale, ma ad una sorta di sottilissimo velo in pietra. Se le formazioni con solo carbonato di calcio sembrano delle tendine, quelle con strati di ossido di ferro danno origine alle molto più spettacolari cortine che assumono l’aspetto di vere e proprie gustose fette di pancetta affumicata!
Alla fine della sala una orrenda costruzione verde di vetro e cemento permette di ammirare alcuni esemplari di proteo (proteus anguinus), immersi nel tipico ambiente delle profondità carsiche. E’ un vero e proprio fossile vivente, vagamente somigliante ad una salamandra, di colore bianco candido e privo di occhi. Essendo un anfibio delle buie profondità carsiche non ha bisogno di occhi per vedere nel buio più assoluto così come non è dotato di pigmenti colorati. L’unico filo di colore che si vede è una sottile linea rossa in corrispondenza delle branchie. Il proteo è infatti un anfibio, presente in natura solo nelle grotte di Postumia anche se alcuni esemplari sono stati portati in altre grotte per evitarne la eventuale estinzione accidentale. Non si sa mai che l’uomo non ne possa, anche involontariamente, determinare la rapida fine grazie al suo maldestro intervento!
I protei sono dunque abituati a vivere nel buio più assoluto, sono gli esseri più grandi mai ritrovati in una cavità ipogea (sono lunghi al massimo una ventina di centimetri) ed hanno un metabolismo estremamente rallentato:per questo il loro cuore ha solo 4 battiti al minuto e possono vivere fino a 120 anni. Una vita lunga, ma a mio parere poco invidiabile!
L’oscena costruzione che permette di ammirarli mi ha un po’ deluso: anni addietro questo obbrobrio non c’era. I protei stavano dentro una semplice vasca, posizionata nello stesso punto, senza nessuna parete di vetro, completamente aperta. Non ho potuto fare a meno di chiedermi se la costruzione di questa gabbia di vetro si sia resa necessaria grazie alla solita invadenza di alcuni imbecilli che hanno magari provato a toccarli o prenderli in mano, benché fosse espressamente severamente proibito, data la delicatezza di questi animali. La solita maleducazione di qualcuno che ha portato alla penalizzazione di tutti.
D’altra parte, percorrendo i corridoi con le stalagmiti a portata di mano, non ho potuto fare a meno di notare come molti, dimostrando davvero poca sensibilità, abbiano ripetutamente toccato le concrezioni ben sapendo che era proibito farlo. Il tocco delle mani, ricoperte di grasso, danneggia irreparabilmente le formazioni. Il grasso lasciato sulla superficie, forma un sottilissimo strato impermeabile che rende grigio/nera la superficie della roccia e fa scivolare via le gocce, interrompendo la stratificazione del materiale. In altre parole, uccidiamo le stalagmiti, oltretutto senza ricavarne nessun appagamento personale. Toccare le stalagmiti non da nessuna soddisfazione, è semplicemente una pietra bagnata, non è particolarmente piacevole, ma serve solo a procurare un danno alla natura. Insomma, è solo un puro atto di stupidità.
La nostra visita termina alla successiva sala dei concerti, così chiamata perché si sono tenuti al suo interno parecchi concerti nel corso degli anni. Il delicato ed incessante rumore delle gocce che cadono a terra fa da sfondo ai miei pensieri: la sala dei concerti è il simbolo dell’intreccio tra la storia del pianeta fatta di ritmi lenti ma inarrestabili, con la effimera ed invadente storia dell’umanità che lascia segni ben visibili, ma che verranno un giorno inesorabilmente coperti e cancellati dallo scorrere del tempo, il vero alleato del pianeta e peggior nemico dell’uomo.
La sala dei concerti, per millenni niente altro che una ampia cavità decorata da splendide stalattiti e stalagmiti, coperte dal buio più assoluto, ora è illuminata a giorno dall’uomo che ne valorizza le bellezze naturali. Ma un giorno tutto questo sparirà e la sala ripiomberà nel suo annoso, eterno buio e silenzio!
Abbiamo fatto un percorso ad anello e poco lontano troviamo il trenino ad aspettarci, in un punto poco distante dalla stazione di arrivo, sul quale saliamo per tornare in superficie. Ripercorriamo le sale attraversate precedentemente, per arrivare ad un punto vicino all’ingresso. Sulla sinistra sono visibili, molto più in basso, le scure acque del fiume Piuka, che continua incessante la sua azione erosiva, ora ad un livello ancora più basso, scavando nuove gallerie che noi non vedremo mai.
Il sinistro fragore delle acque che precipitano in un invisibile abisso è tutt’altro che rassicurante!
Quasi a premiare l’opera di questo fiume minore, l’uomo gli ha attribuito addirittura 3 nomi: nasce a 26 chilometri da qui, scompare nelle grotte, riaffiora dopo 16 chilometri con il nome di Unec, scompare di nuovo e riaffiora con il nome di Ljubljanica presso Ljubljana, prima di affluire nel Sava. Un percorso davvero avventuroso!

All’uscita, una splendida giornata inondata dal sole di ottobre ci invita a lasciare alla svelta il piazzale gremito di gente e botteghe che vendono inutili cianfrusaglie, per fiondarci verso la nostra prossima meta: il castello di Lueghi, qui chiamato Predjamski grad.
Il castello dista solo 9 chilometri dalle grotte ed è ampliamente pubblicizzato, tanto è vero che si può acquistare un biglietto cumulativo per grotte e castello, risparmiando un paio di Euro.
La strada per arrivarci è semplicemente deliziosa: un nastro d’asfalto che corre lungo i dolci pendii della collina, tra minuscoli e sonnacchiosi villaggi, bucoliche scene di prati e valli, boschi di faggi e conifere che ornano le cime dei colli. Circa a metà percorso incrociamo una strada di grande valore storico, la via che dall’interno della Slovenia porta verso il mare ed era già conosciuta ed utilizzata al tempo dei Romani. In seguito, a partire dal medioevo, fu denominata strada degli alberi perché era proprio di qui che passavano i numerosi alberi tagliati nei ricchissimi boschi sloveni per andare a rifornire i cantieri navali del regno di Ungheria prima, e della potente Serenissima poi.
La tentazione di pigiare sull’acceleratore non ci viene davvero!
Arriviamo al villaggio di Predjama all’ora di pranzo. Evitiamo la trattoria che si trova proprio vicino alla biglietteria, certamente piena di turisti, e scegliamo invece un ben più defilato locale che si definisce “trattoria medioevale”. Ricavato da una vecchia casa colonica, si trova vicino non al parcheggio principale, ma ad uno secondario, in posizione più elevata.
Il nome è Grajska taverna ed è certamente consigliabile sia per la qualità del cibo che per il prezzo, intorno ai 15 Euro a testa per un pasto completo. Una volta ristorato il corpo, siamo pronti per rinfrancar lo spirito.
Il colpo d’occhio che offre il castello è davvero straordinario: costruito in maniera temeraria su uno spuntone di una parete verticale di roccia, sembra un vero e proprio nido inaccessibile.
L’ingresso è ora raggiungibile da un facile sentiero che ovviamente ai tempi della realizzazione del castello non esisteva. E’certamente un capolavoro dell’ingegnosità medioevale, tempi nei quali un castello non doveva fornire agi e comodità, ma solo un rifugio sicuro.
Sicuro il castello lo doveva essere di certo, visto che si affaccia su uno strapiombo perfettamente verticale alto 127 metri.
Che la costruzione non fornisse agli occupanti il massimo dei comfort, lo si percepisce già esplorando la prima parte del suo interno. Mi piace chiamare questa costruzione il castello dalle tre pareti, perché la quarta parete, quella che dovrebbe essere addossata alla roccia, è assente in molti punti! E’la roccia stessa che la sostituisce. Una ripida scalinata, inoltre, porta verso quello che dovrebbe essere l’ultimo locale in cima al castello: una caverna naturale carsica, molto ampia, dove un tempo trovavano rifugio gli umani assieme ad animali e scorte di provviste. Dunque dei locali tutt’altro che confortevoli, dove d’inverno umidità e freddo erano gli indiscussi protagonisti!
Ma andiamo con ordine. Il castello si sviluppa in 6 livelli, che non è corretto definire 6 piani, dato che un sistema di scalette porta a dei piani mezzani.
La disposizione attuale degli interni rispecchia quella che deve essere stato l’indirizzo rinascimentale, con la prigione al livello più basso e la stalla dei cavalli al livello terra. Seguono delle sale di rappresentanza ai piani superiori, con annesse cucine, per finire con le camere e gli osservatori posti nella zona più alta. Proprio da questo ultimo livello parte la scalinata che porta alla ampia grotta carsica, che sicuramente in epoca rinascimentale aveva perso d’importanza, ma era certamente molto più utilizzata ai tempi del leggendario proprietario del castello, il cavaliere Erasmo. Qui la storia si intreccia con la leggenda, ed è davvero impossibile determinare dove inizia l’una e termina l’altra. Si narra che il mitico Erasmo, fedele al re d’Ungheria durante le lotte intestine con l’imperatore d’Austria Federico III, uccise un parente dell’imperatore in seguito alla decapitazione di un suo caro amico. Per sfuggire alla vendetta dell’imperatore si rifugiò in questo luogo inaccessibile, e vani furono i tentativi dei soldati di Federico III di conquistare il castello.
Per oltre un anno Erasmo si prese gioco degli assedianti, forte anche del fatto che, grazie ad un passaggio segreto attraverso le rocce carsiche, per gli abitanti del castello era semplice uscire per procurarsi fresche provviste. Celebre l’episodio in cui gli assediati, tutt’altro che affamati e stremati, gettarono un intero bue arrosto per rifocillare e allo stesso tempo demoralizzare il nemico.
Secondo la leggenda l’assedio finì quando, grazie al tradimento di un servo, fu segnalata ai nemici la presenza di Erasmo nella stanza adibita ai bisogni corporali: una pioggia di pietre catapultate contro la stanza, lanciate ad un segnale del servo, segnò la fine ingloriosa del prode cavaliere.
Siamo nel 1484 e la morte di Erasmo, che, secondo la tradizione, è sepolto sotto la locale chiesetta all’ombra di un tiglio piantato dalla sua amata, segna anche il passaggio di mano del castello.
L’edificio assunse le forme attuali un secolo dopo, nel 1570, sotto la proprietà dei conti di Coblenza. Due secoli dopo viene murato il passaggio segreto, dopo che i ladri se ne erano serviti per entrare nel castello e rubare parecchi oggetti preziosi.
Ora l’interno del castello non è particolarmente ricco e la visita delle sale non prende molto tempo.
E’ di gran lunga preferibile godersi la vista esterna e il verde paesaggio circostante.
Esattamente sotto al castello, ai piedi del pauroso dirupo sul quale sembra essere costruito in equilibrio precario, si aprono le gallerie del castello, un sistema di cavità carsiche seconde in lunghezza solo alle grotte di Postumia che abbiamo appena visitato. In questo momento sono chiuse, perché l’apertura è solo estiva. A partire da ottobre diventano rifugio di numerosi pipistrelli, i quali vengono lasciati in pace a godersi il loro letargo.

Usciti dal castello, la breve passeggiata nei prati antistanti determinerà un inaspettato cambiamento dei nostri programmi per il giorno seguente. Questa gita era stata organizzata come regalo di compleanno per i miei due nipoti di 14 e 17 anni: anziché regalare i soliti insulsi videogiochi, telefonini o accessori vari, ho pensato di cercare di educarli alla cultura del viaggio proponendo questo week end Sloveno, accettato con entusiasmo dai ragazzi. Il primo giorno prevedeva appunto le grotte ed il castello, il secondo la visita a Ljubljana ma… qualcosa è improvvisamente cambiato!
Durante la sgambata nei prati, di ritorno verso l’automobile, abbiamo scoperto un ceppo letteralmente coperto di funghi chiodini, chiamati anche pioppini o piopparelli. La cosa ha risvegliato in noi il nostro istinto primordiale di cacciatori, o forse dovrei dire raccoglitori!
Il mio nipote più piccolo, che ha ereditato dal nonno la passione per le passeggiate nei boschi alla ricerca di funghi, ha accompagnato la richiesta di cambiare il programma con uno sguardo simile a quello famoso del gatto con gli stivali nel film Shrek: come potevamo resistere a due occhioni imploranti?
Così nessuno di noi ha saputo resistere alla tentazione di assecondarlo anche perché la natura è tradizionalmente un forte richiamo per tutta la famiglia. Forse più per salvare la forma che per una reale convinzione, abbiamo fatto un patto: se il giorno seguente il tempo fosse stato nuvoloso o comunque non bello, avremmo mantenuto invariato il programma, se invece ci fosse stato il sole, saremmo rimasti in zona, a goderci delle corroboranti passeggiate nei pittoreschi boschetti della Notranjska.
Il giorno dopo la giornata era bellissima… A buon intenditor, poche parole!
Per usare le parole di mio nipote, Ljubljana aspetterà il prossimo compleanno!

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