La Cambogia: c'è altro oltre Angkor

Il vero “viaggio fai da te” in un Paese tormentato che però non ha perso il sorriso

8/8/2005
Partiamo alle ore 20:05 da Fiumicino e arriviamo a Vienna alle ore 22:00 dove aspettiamo il volo per Bangkok alle ore 23:20.
Dopo circa una decina di ore di volo senza chiudere occhio (almeno Mary, io ho dormito tutto il tempo come al solito) arriviamo finalmente a Bangkok alle ore 14:20 del 9.
Dopo una lunga fila per il controllo del passaporto (alla dogana ti fanno anche la fotografia), ritiriamo i bagagli e ci dirigiamo verso una zona che già conosciamo: il quartiere a luci rosse sito intorno a Thanon Sukumvit, dove già sappiamo che tutto è un po’ più caro, ma almeno per la prima notte si può fare.
Troviamo un hotel che per 800 Bath a notte ci offre tutti i confort, tra cui anche la pulizia! L’unico problema è che non c’è acqua (nonostante ci abbiano garantito che invece c’è anche calda) e per riuscire a far valere i nostri diritti ci vogliono un paio d’ore di attesa e almeno cinque reclami alla reception!
Quindi ci facciamo una doccia e subito usciamo alla ricerca di un locale per mangiare prima un semplicissimo pollo, poi, in una bancarella nascosta in un vicoletto troviamo delle prelibatezze del luogo: scarafaggi, cavallette, grilli, vermi e formiche; io mangio di tutto tranne i vermi (che ho già mangiato in un precedente viaggio nel triangolo d’oro) e le formiche (perché sono accompagnate da verdure crude quindi è meglio non fidarsi).
Giriamo in lungo e in largo in tutta la zona e dopo un massaggio tailandese con olio torniamo all’hotel intenzionati finalmente a riposarci ma… sono quasi le 2, e alle 4:30 dobbiamo partire!
Dopo vari ripensamenti sull’enigmatico quesito dormire o non dormire, alla fine decidiamo per la seconda opzione e così ci facciamo un’altra doccia, chiudiamo gli zaini e verso le 2:30 usciamo di nuovo alla volta del quartiere a “luci rosse” ma stavolta per fare colazione.
Rivedo Bangkok dopo 5 anni e la trovo semplicemente rivoluzionata!
Decine, forse centinaia di grattacieli che prima non c’erano, traffico sicuramente decuplicato, prezzi lievitati e anche di parecchio, e anche la gente trovo molto cambiata: hanno acquistato una grande abilità nell’aggirare il turista più sprovveduto.

10/8/2005
Ci dirigiamo, senza aver dormito, alla stazione nord degli autobus e quindi 4 ore di viaggio fino ad Aranya Prathet; da qui tuk-tuk (50 bath) fino alla frontiera (Poypet) dove paghiamo 25$ a un signore che ci svolge le varie pratiche burocratiche mentre noi mangiamo comodamente seduti in un ristorantino.
Possiamo risparmiare 5$ per questa operazione, ma un po’ per la stanchezza (sono 2 giorni che non chiudiamo occhio), un po’ perché preferiamo non avere a che fare con la polizia e la burocrazia cambogiana, decidiamo di permetterci questo lusso.
Da Poipet prendiamo un pick-up fino a Sisophon (2 ore, 5$), viaggiando all’interno della cabina in 8 persone (4 dietro e 4 davanti), più circa venti persone distribuite tra tetto e cassone.
Abbiamo molta paura per gli zaini, in quanto viaggiando dietro, in mezzo a 20 cambogiani, possono essere vittime di furto (poco più tardi, conoscendo meglio i cambogiani, capiamo subito che le nostre paure sono infondate).
Questa paura ci porta ad optare per il viaggio sul cassone esterno nella tratta Sisophon-Siem Riep; almeno possiamo tenere gli zaini sott’occhio!
Arrivati a Sisophon, circa una quindicina di conducenti che vogliono accaparrarsi i clienti ci assalgono, urlandoci nelle orecchie e quasi strappandoci zaini e vestiti di dosso.
Alla fine ci accordiamo con il miglior offerente per circa 6$ e quindi saliamo sul cassone esterno di questo pick-up che è dotato persino di ombrellone per riparare i viaggiatori dal sole mentre attendiamo che il pick-up si riempie per poter finalmente partire.
Questo è il primo vero contatto con i cambogiani e subito capiamo che tipo di persone sono: estremamente cordiali, ospitali, sempre sorridenti, disponibili, sicuramente discreti, e sguardi fuggitivi (ma indubbiamente più comprensibili del complicato khmer) lasciano intravedere un pizzico di timidezza.
Da quando abbiamo attraversato la frontiera abbiamo visto pochissimi occidentali, e questo già ci piace. Qui a Sisophon intravediamo soltanto un paio di turisti che si mimetizzano e confondono tra la folla di cambogiani che assalgono i vari pick-up al punto di nascondere l’intero veicolo e farlo sembrare letteralmente un'unica e grande montagna di gente.
Mentre aspettiamo che il pick-up parta, prendiamo confidenza con i cambogiani e le donne sono le prime a farsi avanti: prima con sfuggenti sorrisi, poi con i gesti più semplici ma sempre sorridendo, e poi toccando i pochi peli che Mary ha sulle braccia con evidente espressione di meraviglia e stupore. Anche noi, come loro, siamo meravigliati e stupiti nel constatare che loro non hanno peli, l’unica differenza è che loro dopo aver notato questo particolare ridono a più non posso!
Anche gli uomini sembra che non abbiano la barba, e a Sihanoukville capiremo che molti usano farsi la barba “strappandosi” un pelo alla volta con delle pinzette, e vedremo anche uno strano metodo per fare la ceretta.
Siamo in Cambogia solo da poche ore e già ci stiamo innamorando dei cambogiani.
Nel frattempo siamo fermi da circa un’ora, ma questo benedetto pick-up non si decide a partire: la gente sale, poi ci ripensa e scende; e fino a che il pick-up non è pieno fino all’orlo… beh è chiaro che non si parte! Ma l’autista accende il motore, forse ci siamo, stiamo partendo; adesso finisce di chiacchierare e partiamo. Eccolo sta salendo ormai non c’è più dubbio, si parte! si parte?
No, non si parte! è salito soltanto per spengere il motore!
E per una decina di volte ci fa questo scherzetto ma, dopo più di un’ora, finalmente arriva il segnale definitivo quando tolgono l’ombrellone e partiamo.“Finalmente si parte che bello”, dico a Mary, e lei: "meno male… non ce la facevo proprio più con questo caldo e così ammassati poi…”
Ma neanche facciamo in tempo a finire di parlare che ci rendiamo conto che l’autista svolta a sinistra, e poi ancora a sinistra, e ancora a sinistra: siamo tornati al punto di partenza! Non abbiamo fatto altro che fare il giro dell’isolato, probabilmente l’autista non è contento di quanti siamo; “forse vorrà caricare altra gente?!” ci chiediamo attoniti io e Mary.
“Non saranno mica così matti i cambogiani! Non ci credo! Non c’entra un’altra persona,dove pensano di metterla?” continuiamo a domandarci io e Mary. Ma bastano pochi minuti per avere una risposta: l’autista ci fa scendere tutti, svuota il pick-up, abbassa la sponda posteriore del cassone, ci mette sopra un motorino e ci fa cenno di risalire.
A questo punto Mary è al limite, non ce la fa più, sta per esplodere: vuole cambiare pick up ed è anche abbastanza inc…
Cerco tuttavia di dissuaderla spiegandole che siamo in Asia e che qui le cose funzionano così. Infatti nessun cambogiano ha nulla da ridire sull’evento (si vede che per loro è normale routine), al massimo qualcuno si limita a cambiare pick-up, ma sempre senza mostrare la minima irritazione, senza alzare mai la voce, con estrema discrezione ma anche con un certo umorismo.
Fortunatamente riesco a convincere Mary e, stipati come sardine sottosale, finalmente partiamo.
E’ un viaggio assolutamente allucinante, spacca-ossa, spacca-muscoli, spacca-nervi, spacca-cervello, e chi più ne ha più ne metta.
Ci hanno garantito 4 ore di viaggio, ma sono diventate 8, seduti su una stecca di ferro di 5 centimetri. Siamo in 29 su un pick-up concepito per non più di 5 persone: 4 sul tetto della cabina, 8 all’interno, e 16 sul cassone esterno. Ma manca una persona all’appello: il proprietario del motorino! È seduto sul motorino in posizione di partenza e con tanto di casco integrale! E non se lo leva mai! Neanche in quei pochi istanti di pausa che l’autista concede ai più sofferenti! sembra che sta per partire da un momento all’altro!
Aggiungete a tutto questo sacchi, merci, scatole, un paio di ruote di scorta, le pedaline del motorino che ci si conficcano dietro la schiena e tante ma tante buche: siamo su una strada dalle sembianze marziane, con enormi crateri.
Ogni millimetro del furgone è totalmente saturo! Non possiamo muoverci in nessuna maniera, neanche di un centimetro e dolori e acciacchi aumentano ora dopo ora, minuto dopo minuto.
Sfido chiunque ad aggiungere anche un solo spillo in questo pick-up.
Siamo partiti da circa un paio d’ore, quando Mary scoppia a piangere.
Premetto che i cambogiani non hanno fatto altro che prenderci in giro con simpatica ironia e sempre con il sorriso a 64 denti: da quel poco che riesco a capire scommettono sul fatto che non arriviamo neanche alla prima tappa.
Appena però si accorgono che Mary sta piangendo, smettono tutti di ridere e donne, bambini e anziani cercano di fare il possibile per aiutarla facendole un po’ più di spazio, e le donne di mezza età, quando si accorgono che è particolarmente impolverata l’aiutano a pulirsi.
Invece ad essere Mary che agevola il durissimo viaggio alle persone anziane (che in questo paese sono rispettatissime e vengono portate su di un palmo di mano), avviene l’esatto contrario!
Nelle poche pause cerco di far tornare il sorriso a Mary fortunatamente con esito positivo.
Quando tutti se ne accorgono, tornano a sorridere anche loro, contenti perché a Mary era tornato il sorriso.
Credo che il sorriso, la disponibilità, la buona accoglienza, il calore e la cordialità siano i primi fattori per l’ottima riuscita di qualsiasi viaggio, anche se avventuroso e pieno di imprevisti.
E dopo poche ore già ci rendiamo conto che qui abbiamo trovato tutto ciò!
A circa un’oretta dalla destinazione si mette a piovere, ma non c’è problema: tirano fuori un telone e in un batter d’occhio si riparte. I più sfortunati (io e Mary compresi), sono quelli che stanno sui bordi del pick-up in quanto il telone fa effetto grondaia, convogliando l’acqua su di noi.
O forse il più sfortunato è il padrone del motorino che sta dall’inizio del viaggio in balia delle intemperie visto che il telone non arriva a coprire anche lui. Infatti il telone sembra tagliato su misura da un sarto professionista: non un millimetro in più della grandezza del cassone! Tra noi c’è anche una ragazza con una ferita sanguinante, così ci offriamo di disinfettarla con del mercurio cromo ma rifiuta, dicendo che preferisce le cure tradizionali: si disinfetta con del semplice rum! (di riso immagino)
Mary in segno di amicizia regala un cappello ad una bambina e il suo golf preferito a una signora; infatti anche se abbiamo fatto assieme soltanto un intenso viaggio di 8 ore, siamo già enfatizzati da questa stupenda gente che, pur non avendo nulla e pur avendo avuto un passato da far rabbrividire, sembra essere sempre contenta, rilassata, senza molti pensieri e preoccupazioni.
Basta però soltanto nominare Pol Pot per vedere nei loro occhi terrore e angoscia.
Tutte le persone che incontreremo hanno avuto a che fare, direttamente o indirettamente, con i khmer rossi.
Appena arriviamo a Siem Riep, doloranti come non mai, scendiamo dal pick-up e, mentre apro lo zaino per prendere quaderni e penne da regalare a dei bambini, il proprietario del pick-up parte a tutta birra senza neanche riscuotere i soldi del viaggio.
Consigliati da Giorgia dormiamo a Beng Mealea e, soddisfatti del suo consiglio, cerchiamo finalmente di farci una ricca e sana dormita, non vedendo un letto da circa 3 giorni.

11/8/2005
Sveglia ore 6, quindi pagamento dei pass per 3 giorni (40$) e inizio del grand tour dei templi di Angkor.

12/8/2005
Ci svegliamo alle 4 per vedere l’alba ad Angkor Wat ma ohimè… il cielo è nuvoloso e il sole si fa vedere soltanto a sprazzi… che jella!
Tuttavia quei pochi istanti che il sole esce, i colori si mostrano spettacolari.
Più tardi scopriamo che i bambini di Angkor sono poliglotti: sanno contare in tutte le lingue possibili, dallo scontato inglese e francese all’italiano, spagnolo, tedesco, giapponese e anche coreano e in più conoscono anche le capitali di tutto il mondo.
Il pomeriggio andiamo dal parrucchiere: 5$ per un taglio curato nei minimi particolari, con tanto di massaggio sulla testa, collo e spalle; posso cavarmela con 50 centesimi di dollaro affidandomi ai parrucchieri per strada seduto su di una sedia posta sul marciapiede con uno specchio, ma fa caldo e voglio l’aria condizionata!
Acquistiamo i biglietti per Battambang a 15$ e rientriamo in guest-house.
Ps: la Lonely cita il ristorante Happy Happy Pizza soltanto per quanto riguarda Phnom Penh, ma noi lo troviamo anche a Siem Riep e in molte altre città visitate ma… ci sono soltanto foglie e niente fiori!
Dopo 3 giorni dal massacrante viaggio in pick-up siamo ancora entrambi doloranti: facciamo fatica a sederci (poveri nostri sederi) e a fare le scale.

13/8/2005
Oggi visita ai templi più lontani, che a nostro parere sono anche i più belli!
Due ore di tuk-tuk per fare 55 chilometri! Durante il tragitto possiamo osservare scene di vita rurale molto toccanti. In queste campagne la gente non si ferma mai: anche bambini e donne in avanzato stato di gravidanza (e sono tante, la Cambogia ha un tasso di crescita dell’ 1,80%, contro il nostro 0,09%), svolgono i lavori più pericolosi o faticosi; dal raccogliere il riso nelle innumerevoli risaie, al pascolo del bestiame, ai lavori stradali (se così li vogliamo chiamare, visto che per loro fare una strada consiste nel pressare la terra con uno schiacciasassi), al taglio di enormi tronchi con seghe a mano. C’è pure chi gioca a pallavolo (con tanto di rete, da pesca ovviamente), chi si lava tranquillamente nell’acqua marrone dei fiumi, chi organizza combattimenti di polli e chi gioca a biliardo (ebbene si, più di una volta vediamo capanne su palafitte con sotto il tavolo da biliardo!).
Il tempio che si presuppone sia stato costruito dalle donne (Bantey Srey) è a nostro parere il più bello che abbiamo visto: molto curato nei minimi particolari nelle varie incisioni e sculture e soprattutto è quello che si è conservato meglio di tutti. Al Bantey Srey seguono l’affascinante Ta Prohm con i suoi enormi alberi di Kapok e il maestoso Angkor Wat; purtroppo in questi ultimi due templi i turisti sono troppi, sembra di stare all’entrata dello stadio, per non parlare dei gruppi di giapponesi che girano in blocchi da 50 persone e bloccano i passaggi principali per farsi 50 foto di gruppo con 50 macchinette diverse!).
Al ritorno facciamo un giro in città (New market, Old market e Pub street) e quando usciamo dal New market, Chanritw (il nostro conducente che per semplicità si fa chiamare Red) ci compra una squisitezza alle bancarelle nei paraggi: crepes con uovo e latte condensato (tipo quello del tubetto Nestlè), veramente ottime!
Ci gustiamo queste squisitezze e andiamo a fare i biglietti per il battello di domani, andiamo a Battambang. In biglietteria nasce una sorta di discussione in quanto sui biglietti c’è fotografata una lussuosissima barca che sembrerebbe quasi una mini-crociera sul fiume: una di quelle cose fatte e create solo ed esclusivamente per i turisti occidentali. Ma il bigliettaio ci assicura che non è così e che anche i cambogiani viaggiano con questa barca. Beh… domani ci toglieremo questa curiosità!
Da qui ci facciamo portare in guest-house dove con una certa commozione ci salutiamo, facciamo una foto ricordo, e ci scambiamo i numeri di telefono; purtroppo non ha una mail né tanto meno un indirizzo di casa.
Durante le pause pranzo abbiamo sempre mangiato insieme scambiandoci informazioni su usi e costumi dei nostri Paesi. In più ha avuto ogni premura per noi: è stato estremamente ospitale, accogliente; sono persone indescrivibili!
Quando ci salutiamo ci ringrazia infinitamente di tutto dicendoci che rimarremmo nel suo cuore per tutta la vita, perché siamo gli unici che lo abbiamo trattato sempre come un amico (almeno così ci ha detto).
In ogni modo anche lui rimarrà nei nostri ricordi per sempre: veramente nice person, good driver!
Oggi abbiamo comprato del latte in polvere per una bambina e siamo rimasti sorpresi nel sapere il prezzo (mezzo chilo 4$).

14/8/2005
Ci svegliamo alle 5 per dirigerci a Battambang con un battello. Alle 6 dovrebbe venire a prenderci l’autobus per accompagnarci al porto ma alla fine arriva con mezz’ora di ritardo.
Alle 7 arriviamo al porto e subito capiamo che tipo di imbarcazione stiamo per prendere: una barca completamente artigianale, “fatta in casa”, adattando pezzi di camion (come l’enorme motore diesel lasciato rigorosamente aperto e con la ventola di raffreddamento pericolosamente scoperta e alla portata di tutti), macchine (come i sedili, parte del cruscotto con tanto di fili penzolanti, volante, acceleratore e frizione), e chissà che altro!
La ventola di raffreddamento così come anche l’albero di trasmissione e i fili della batteria (posta esattamente al centro di un piccolo corridoio dove tutti sono costretti a passare scavalcandola ogni volta) sono estremamente pericolosi in quanto privi di protezione.
Decisamente in netto contrasto con la foto stampata sui biglietti che faceva pensare a un battello di lusso e superveloce.
Alla partenza vediamo molti villaggi galleggianti e molte persone durante il tragitto salgono a bordo quasi al volo facendosi accompagnare da persone che posseggono piccole barche a remi, portando con sè di tutto: televisori, motorini elettrici, galline, merci varie, sacchi e scatole di ogni dimensione.
Altri invece aspettano nei villaggi più grandi dove c’è una sorta di attracco e dove il capitano è costretto a suonare continuamente il clacson per avvisare del nostro arrivo chi deve imbarcarsi e quindi di affrettarsi.
Lungo il fiume osserviamo scene di vita quotidiana: dai bambini che fanno il bagno, a quelli che invece lavorano, barche stracolme di ogni cosa, (le quali oltre a essere un mezzo di trasporto, fungono anche da abitazione) soprattutto di legname, allevamenti di granchi, gamberi e chissà quali pesci.
Più andiamo avanti e più il fiume si restringe, diventando un piccolo e microscopico canale, stretto al punto che dobbiamo stare continuamente all’erta e chinarci per evitare i numerosi rami e alberi che possono tranquillamente provocare spiacevolissimi inconvenienti, come succede a Mary, che ne prende uno sul collo che le provoca un ematoma per un paio di giorni.
In tutto ciò siamo anche condannati a tre ore di clacson ininterrotto: il capitano è costretto a suonare continuamente il clacson per avvisare gli sventurati che procedono nel senso contrario, permettendo loro così di accostarsi in qualche ansa appositamente creata.
Per non parlare poi degli insetti, grilli, cavallette, ragni di ogni tipo e dimensione, libellule, le immancabili zanzare e formiche giganti che si attaccano con le loro robuste tenaglie alla pelle e provocano un intenso dolore pungente (probabilmente a causa dell’acido formico).
Andando avanti la situazione peggiora ulteriormente: il canale continua a restringersi e diventa meno profondo: la barca spesso tocca il fondo e più di una volta ci areniamo e nella migliore delle ipotesi, “l’equipaggio” deve spingere il battello e direzionarlo con i remi, oppure fare un po’ di retromarcia per prendere quindi la rincorsa; nei casi peggiori invece i “marinai”devono scendere a spingere il battello stando a piedi nudi nell’acqua e nelle fratte (con questo constatiamo quanto è bassa l’acqua: arriva sotto le ginocchia).
Ma il canale continua a restringersi ancora e ora tocchiamo non solo sul fondo ma anche sulle sponde laterali e l’elica gira sul fondo melmoso macinando ogni cosa le capita: sia rami che radici e il battello va avanti di prepotenza, annaspando e creando una nube di fumo permanente.
Il motore è al massimo dei giri, il rumore è assordante, l’acqua sembra essere risucchiata dall’elica e il canale sembra svuotarsi a prua e riempirsi a poppa e noi facciamo da tappo; ma nonostante tutto procediamo a passo d’uomo!
Praticamente stiamo navigando in una pozzanghera di denso fango!
Il canale è largo un paio di metri e il battello almeno 3: ci chiediamo come sia possibile passare, sembra un’avventura di Indiana Jones!
Alla fine di questo lungo canale ci dobbiamo fermare perché l’elica è piena di radici e piante varie.
Per pulirla bisogna camminare su una stecca di ferro di un paio di metri, dove all’estremità è posizionata l’elica (di cui 2 pale su 3 sono spezzate sui bordi a furia di macinare tronchi): all’andata tutto ok, ma al ritorno il ragazzo scivola e cade di peso con il braccio su due spuntoni che tengono la stecca. Batte fortemente ma lui, come se niente fosse accaduto, risale tranquillamente a bordo e ripartiamo.
Dopo tre ore a questo ritmo il canale finalmente diventa di nuovo fiume dandoci l’opportunità di osservare vari tipi di coltivazioni: dal riso, alla ganja, frutta di ogni tipo, betel (che spesso cresce spontaneo) ecc.
Anche qui ci garantiscono che impiegheremo 5 ore (ad altre persone 3), ma alla fine ci mettiamo ben 8 ore!
Arrivati a Battambang andiamo diretti al Royal hotel (6$ con ventilatore e tv). Ci facciamo una doccia e subito dopo un giro per i negozi francesi lungo il fiume, belli da vedere.
A fianco al Royal c’è un mercatino molto carino diviso in settori che vende di tutto: pesce, vongole, granchi giganti, carni, verdure, tessile, artigianato, oreficeria (chiuso) e bancarelle per mangiare.
La sera andiamo a mangiare al White Rose (consigliato dalla Lonely), e soddisfatti ci torniamo anche la mattina dopo per fare colazione.

15/8/2005
Dopo colazione andiamo all’ospedale di Emergency. E’ molto suggestivo e toccante sia vedere le persone in queste condizioni, sia parlare con i dottori italiani che ci spiegano molte cose: ci mettono a conoscenza del fatto che i bambini vengono in quest’ospedale perché colpiti da qualche mina; poi escono senza un braccio o una gamba e, senza battere ciglio né mostrare evidenti problemi psicologici e con estrema disinvoltura ritornano alla vita quotidiana. Sconvolgente vedere come un evento così tragico e catastrofico, almeno per noi occidentali, venga qui vissuto con estrema naturalezza, quasi fosse un evento appartenente alla quotidianità stessa.
Dotato anche di una scuola, quest’ospedale è totalmente gratuito e qui a Battambang (ma anche in tutta la Cambogia), ne sono tutti fieri ed orgogliosi.
Dopo l’ospedale ci dirigiamo verso le campagne di Battambang, dove vedremo scene da preistoria, cominciando a visitare un allevamento di coccodrilli che poi verranno venduti in Tailandia e Vietnam.
Poi visitiamo una fabbrica per la molitura del riso, dove viene separato il riso dalla pula.
Qui il rumore è infernale, ci sono tantissimi macchinari in movimento, strani macchinari, del tutto rudimentali, con pulegge e cinte di trasmissione pericolosamente scoperte.
Dopo i vari processi di lavorazione si ottengono due tipi di riso: uno nostrano, da mangiare tradizionalmente, e uno macinato un po’ più finemente, che verrà poi ulteriormente lavorato presso i vari villaggi, e che servirà per fare farina di riso, quindi spaghetti di riso e frittelle per fare involtini primavera.
Poi visita a una fabbrica di ghiaccio, che viene tagliato con delle seghe a mano, per terra, e viene trasportato con dei motorini (qui comprendiamo perché è sconsigliato mettere nelle bevande del ghiaccio).
Quindi visitiamo la fabbrica di sardine sottosale, che vengono tagliate per terra e messe sottosale dentro a delle grandi giare. Se decidete di venire qui portatevi una bombola d’ossigeno: la puzza è asfissiante.
Poi visitiamo vari villaggi dove si cucina tutto rigorosamente a base di riso: dalle frittelle di riso (per fare gli involtini primavera), che vengono essiccate sopra a delle reti di legno messe al sole; alla pasta di riso (che dopo vari processi di lavorazione viene prima impastata, esclusivamente da donne, come sempre accovacciate per terra, nel fango; poi viene di nuovo tritata con un enorme e rudimentale incudine costruito con due travi di legno messe a martello; e quindi viene passata al setaccio mettendo la pasta all’interno di un telo, chiuso a formare una grande palla.
A questo punto entra in azione l’uomo, facendo il grande sforzo di legare le estremità del telo a un bastone e tenendo semplicemente fermo il tutto, la donna continua a girare e strizzare questo telo con dentro la farina di riso. In questo modo la farina di riso, finissima, passa attraverso il telo, permettendo quindi l’accumulo di ogni eventuale impurità all’interno del telo.
In una fattoria vediamo invece come si distilla il riso, da cui si ottiene un potentissimo alcool, con conseguenti e ottimi vini e whisky di riso.
Altre persone mettono il riso dentro a dei pezzi di canna di bambù, aggiungono acqua e zucchero e, sempre dentro alle canne, viene cotto sopra la brace: il risultato è un riso dolcissimo e appiccicosissimo (da qui il nome di riso appiccicoso), ma non male.
Altri posseggono dei generatori di corrente a benzina e li utilizzano per caricare lunghissime batterie di macchine e camion collegate tutte insieme l’una con l’altra.
Ma non illudetevi: le batterie non servono certo per le macchine, né tantomeno per i camion; ma bensì per alimentare i televisori!
La benzina qui in Cambogia ha avuto un forte aumento in 4 o 5 anni: da 20 centesimi a 1 dollaro e di conseguenza tutto è aumentato vertiginosamente, a cominciare dalla corrente elettrica.
In ultimo visitiamo una fattoria dove si coltivano molte cose, dalla frutta alla verdura, dalla ganja al riso.
Qui una signora ci ha offerto del betel (che schifo! È piccantissimo!), una pianta che mangiano le donne anziane (probabilmente perché per tradizione in pubblico non possono fumare), e che provoca una certa euforia alla testa, e fa diventare tutti i denti rossi, anche se a lungo andare, più che rossi, diventano neri!
Più tardi ci offre della ganja, tutta la frutta che coltivano, e del vino di riso, che distillano loro stessi.
Il tutto per 50 centesimi di dollaro!
Dopo aver visitato le campagne di Battambang decidiamo di tornare in città usufruendo del bamboo train: arriviamo davanti alla ferrovia (con tanto di motorini) e dopo un minuto spuntano fuori un ragazzo con tre ragazzini, da dietro un albero tirano fuori due paia di ruote e subito le posizionano sui binari.
Poi ci appoggiano sopra la pedana di bamboo, sopra la pedana appoggiano il motore (tutto rigorosamente appoggiato, senza imbullonare né fissare nulla), e quindi infilano le due cinte di trasmissione tra ruote e motore e in meno di un minuto partiamo, con tanto di motorini, alla volta di Battambang città (8 km. 6$).
I binari sono molto malmessi: le giunture tra un binario e l’altro sono disconnesse in alcuni punti anche di parecchi centimetri e hanno ormai perso il loro vecchio parallelismo: ogni istante sembra di deragliare e ad ogni giuntura arrivano certi scossoni da rompere le ossa. Dopo pochi minuti sono costretto a rivolgermi al “macchinista” dicendogli di rallentare.
Inoltre in certi punti passiamo su paurosissimi ponti che consistono in due travi di legno con sopra posizionati i binari. Null’altro! Sotto di noi, a parte la pedana di bamboo, solo acqua. Per tornare al punto di partenza il bamboo train necessita soltanto di un piccolo accorgimento: per invertire il senso di marcia bisogna semplicemente invertire ruote e motore!
Su questa ferrovia ci passano anche i treni veri, e quindi non osiamo pensare cosa possa succedere se, mentre viaggiamo su questo “treno di bambù”, arriva un treno di quelli veri! Forse bisogna scendere al volo e smontare piattaforma e ruote!?
Meglio non pensarci.
Arrivati a Battambang scendiamo con tutti i motorini dal bamboo train e andiamo in albergo, doccia, e quindi pullman diretti a Phnom Penh (4$, 5 ore).
Qui dormiamo all’OK guesthouse, molto confortevole, ma non prima di essere andati a mangiare una happy happy pizza, un breve giro del lungofiume e un massaggio dei piedi khmer.

16/8/2005
Oggi visitiamo Killing Fields, Tuol Sleng, Royal Palace, Silver Pagoda, National Museum, Wat Phnom, Shooting range, Russian Market.
Allo Shooting range ci siamo andiamo solo per curiosità e perché siamo di passaggio, ma sparare è in contrasto sia con le nostre tasche (1$ a colpo), sia con i nostri principi; quindi gli lascio un bel ricordino al bagno e ce ne andiamo.
Ai campi di sterminio di Choeung Ek ci sono numerose fosse comuni. Vestiti (o meglio frammenti di vestiti) e ossa, ancora affiorano dalla terra (circa 43 delle 129 fosse esistenti, non sono ancora state aperte). Sotto i nostri piedi ci sono ancora delle vittime sepolte. È stato costruito in memoria di queste atrocità un monumento, dove sono ammucchiati circa 8000 teschi delle vittime.
Molti venivano uccisi a bastonate in testa, così risparmiavano le munizioni. La vita di una persona non valeva neanche il costo di una pallottola.
Il museo Tuol Sleng è ancora più agghiacciante: la scuola che Pol Pot nel 1975 occupò e trasformò in un carcere di sicurezza, dove sottoponeva i ribelli del regime (ma non serviva essere ribelli, bastava solo portare gli occhiali per essere considerato un intellettuale e quindi un potenziale ribelle) a torture inaudite senza fare alcuna differenza tra uomini donne e bambini.
L’unica differenza forse veniva riservata per i neonati, che venivano tirati in aria e poi gli sparavano al volo, come avviene con il tiro al piattello! sconvolgente. Qualcuno potrà chiedersi per quale motivo uccidevano i neonati: perché se uccidevano soltanto i genitori, i figli rimasti vivi, avrebbero potuto vendicarli.
La testimonianza di uno dei sette sopravvissuti (su circa 20.000 incarcerati, torturati e uccisi qui), riporta: ”di notte lasciavano le luci accese all’interno delle celle, ed entravano degli insetti, e appena uno si poggiava su di noi, lo prendevamo, e ce lo mettevamo in bocca, facendo attenzione che la guardia non ci vedesse; perché, se ci vedeva entrava e… ci prendeva a calci”.
Ci sono anche gli strumenti di tortura e le foto di tutte le vittime (rigorosamente fotografate prima e dopo le torture). Si rimane scioccati da questi sguardi supplichevoli. Ci viene la pelle d’oca e non riusciamo a credere che un uomo solo possa avere commesso simili scempi.
P.S.: al contrario di come dice la Lonely qui non ci chiedono il supplemento per la macchina fotografica e per la telecamera.
Al pomeriggio piove intensamente per circa 20 minuti: ciò basta per rendere le strade veri e propri corsi d’acqua, ma non per impedire alla gente di andare in giro.
Qui non cambia nulla, indipendentemente dal fatto se piove o c’è il sole, se le strade sono asciutte o completamente allagate, i cambogiani continuano imperterriti ad andare in giro come se nulla fosse.
Notiamo che invece i bambini non vedono l’ora che piova, perché così possono andare a farsi il bagno (vestiti e non) sguazzando nell’acqua marrone delle grandi pozzanghere.
Qui le vittime delle mine sembrano essere più numerose di ogni altro luogo finora visitato: si appostano alle entrate dei luoghi di interesse turistico per elemosinare e cercano così di tirare avanti.
Ma i mutilati sono tanti, troppi, scene veramente agghiaccianti.
È così che i “migliori soldati di Pol Pot” (così lui considerava le mine) lasciano ancora evidenti i segni della loro presenza.
La maggior parte delle mine sono di fabbricazione italiana (ohimè che vergogna pensare che siamo potenziali responsabili della martirizzazione di questo popolo ancora oggi!).
Vedere bambini con tutti e quattro gli arti tagliati e sapere che le mine sono nostre provoca in noi un profondo amaro in gola.
Le nostre mine sono anche le più tecnologiche: ce ne sono di plastica (per evitare di essere intercettate dai metal detector), e altre invece che inizialmente provocano un esplosione di bassa intensità soltanto per far innalzare la vera mina a un'altezza di circa 50-70 centimetri, per poi esplodere a mezz’aria,uccidendo (ma soprattutto ferendo) chiunque si trovi nei paraggi.
S^, le mine non puntano ad uccidere ma bensì a ferire, a mutilare. Questo perché un soldato che urla butta giù il morale di tutti gli altri soldati rimasti incolumi!
Il numero di feriti si concentra in due periodi dell’anno: quando raccolgono la legna e quando esplorano nuovi campi per ampliare le coltivazioni di riso. Spesso esplodono mine su terreni già considerati bonificati perché a causa delle piogge torrenziali, e delle conseguenti piene stagionali, alcune mine vengono trascinate e spostate, rendendo vani mesi di bonifiche.
Poi ci sono le numerosissime bombe a grappolo(costituite da un'unica grande bomba che esplode a migliaia di metri di altezza sprigionando centinaia di piccole bombe dalle dimensioni di una pallina da tennis), cosparse anch’esse ovunque ma questa non dai Khmer rossi ma dagli americani.
Il risultato è che la Cambogia è uno dei paesi più minati del mondo.
Mentre torniamo in guesthouese un ragazzino si attacca al nostro tuk-tuk e si fa trascinare per decine di metri, sgommando sulle ciabatte: svelato l’ennesimo mistero (ci chiedevamo come mai i bambini avessero tutti le ciabatte bucate e con la suola consumata al punto da sembrare un'ostia!

17/8/2005
Oggi andiamo a Mekong Island. Qui ci sono molti villaggi di contadini ma soprattutto di tessitori (i pescatori al contrario di come si potrebbe pensare sono ben pochi). Mary prova anche a tessere con uno di quei rudimentali marchingegni che ogni famiglia ha sotto la propria palafitta.
Sono abili tessitrici ed elaborano sete molto belle. Alcune di queste sete vengono invece abbinate al cotone creando quindi tessuti differenziati. Le bobine di seta vengono avvolte con un meccanismo costituito da mezza bicicletta e poco altro. Con una mano si gira il pedale, che trasmette il movimento alla ruota posteriore, che a sua volta trasmette il movimento al rocchetto dove viene avvolta la seta; e con l’altra mano basta direzionare il filo sulla parte della bobina che si vuole avvolgere e il gioco è fatto. Chiaramente essendo un lavoro di poca fatica, viene svolto dagli uomini.
Qui l’acqua per tutti gli usi è sempre la stessa: per lavare i piatti o per l’igiene personale viene presa direttamente dal fiume e quindi usata; invece per bere, viene fatta depositare dentro grandi contenitori (identici in tutta la Cambogia), poi viene bollita, e quindi bevuta.
Riusciamo anche a vedere come si fa la farina di riso: praticamente come facevamo noi con il grano fino a qualche centinaio di anni fa! Ci sono due pietre a forma di disco messe una sopra all’altra; la pietra superiore ha al centro un foro, dove viene introdotto riso e acqua, e quindi si gira la pietra pazientemente ed energicamente.
Tornando verso la capitale decidiamo di fermarci in uno dei tanti localini sulla riva del Mekong dove per la prima volta riusciamo ad assaporare una delle più grandi passioni Khmer: semplicemente rilassarsi su un’amaca con un Angkor beer e sgranocchiando delle cose piccantissime (ma di un piccante mai sentito prima) e durissime che si sfilacciano, tipo la canna da zucchero.
Dopo un paio d’ore di relax solo relax torniamo a Phnom Penh, dove ci dirigiamo al Seeing Hands Massage (centro massaggio dei ciechi), e dobbiamo confermare che queste persone sono veramente ottimi massaggiatori. Infatti essendo ciechi hanno una sensibilità al tatto sviluppatissima e di conseguenza riescono ad individuare con estrema maestria e precisione i punti più critici da massaggiare. Lo dimostra anche il fatto che questo massaggiatore riscontra in me degli acciacchi di cui invece i massaggiatori tradizionali thay e khmer non si sono neanche lontanamente accorti!
La sera siamo invitati da Martin (il nostro driver) a casa sua, che ci fa conoscere le sue figlie e sua moglie. Siamo stati molto contenti di questo invito e per contraccambiare andiamo a comprare dei quaderni con dei colori da regalare alle figlie (i prezzi? Più alti dei nostri!). Mi compro anche una canna da pesca (amo pescare) e la sera andiamo a pescare sul Mekong: a parte gli enormi topi, niente pesce! Ma più che altro è per far vedere a Martin come si usa la canna da pesca, visto che non sa neanche cosa sia!

18/8/2005
Partiamo alle 9:30 da Phnom Penh diretti a Kratie. Sull’autobus come da ogni altra parte karaoke khmer e film di kung fu.
Ma in compenso questo è l’unico mezzo puntuale in tutta la Cambogia.
Arriviamo a Kratie alle 2:30 dove prendiamo una stanza all’Heng Heng hotel con ventilatore, acqua calda, zanzariere, letti scolpiti di non so quale legno pregiato (probabilmente teak) e un'ottima vista sul Mekong a 5$ a notte!
Appena un'ora di riposo e subito partiamo alla volta dei delfini. Con 15$ affittiamo una moto con conducente e una barca per circa 2 ore.
I delfini sono numerosi, ma come dice la Lonely e confermiamo, non sono molto attivi come quelli di mare anzi, tutt’altro! Si possono ammirare soltanto quell’attimo che vengono a galla per respirare. In compenso il paesaggio è stupendo: immense ed infinite terre allagate, gli alberi sono quasi completamente sommersi, talvolta se ne può vedere la chioma, talvolta soltanto la punta; navighiamo con la nostra piccola ma rumorosa barca tra le cime degli alberi, praticamente siamo là dove nella stagione secca non c’è altro che jungla; e appena i delfini vengono avvistati si spenge di corsa il motore per non disturbarli.
Al ritorno visitiamo un wat costruito sulla cima di una collina, dove si può godere di un'ottima vista sul Mekong e delle risaie dei dintorni.
Dopo di che torniamo in albergo, doccia, e cena alle bancarelle lungo la strada davanti al nostro albergo (dove mangio una seppia schiacciata ed essiccata ma che condita con una salsetta a base di sale pepe e limone è una vera squisitezza!)

19/8/2005
Facciamo colazione comprando pane burro e marmellata e così scopriamo che qui il pane viene timbrato o marchiato con un inchiostro rosso (spero non tossico).
Partiamo da Kratie alle 10:30 con una barca espresso con karaoke cambogiano a tutto volume e aria condizionata da vento polare (siamo almeno a 10 metri di distanza dall’unico grande bocchettone ma il vento che arriva ti gela la pelle).
Meglio trasferirci di fuori, il paesaggio è lo stesso descritto nell’escursione dei delfini e quindi molto interessante da osservare e inoltre lo stare a prua di questa velocissima barca, seduti per terra quasi a pelo d’acqua, senza niente e nessuno davanti a noi, ci fa sentire i re del Mekong!
Arriviamo a Stung Treng alle 15:30 e ci mettiamo subito d’accordo con uno dei tanti tassisti-assalitori per andare a Ban Lung per 7$. Diciamo al tassista che vogliamo mangiare qualcosa prima di partire, lui acconsente e così ci dirigiamo verso il vicino ristorante del porto. Mangiamo, riusciamo dal ristorante e… il nostro tassista? Che fine ha fatto?! Probabilmente ha trovato altri clienti!
Così dobbiamo subire di nuovo l’assalto da parte degli altri tassisti, che chiedono tutti e con irremovibile fermezza 15$. La cifra ci sembra esosa e così ci mettiamo un po’ in disparte cercando di trovare una soluzione alternativa (il pick-up lo escludiamo a priori in quanto la prossima corsa non ci sarà prima di domani).
Dopo un po’ si avvicina un uomo di mezza età e con fare molto losco mi dice:”Ban Lung; Ban Lung”
E io: ”si, quanto vuoi?”
E lui: ”shhhhh, Ban Lung, shhhhhh!” facendomi cenno di seguirlo.
Comprendiamo subito che il tassitsta non parla neanche mezza parola d’inglese.
Così seguiamo quest’uomo che ci porta verso la sua macchina (o almeno quella che pensiamo sia la sua macchina), ci apre gli sportelli e ci fa cenno di salire con un fare molto frettoloso.
Ma noi siamo stanchi, e di conseguenza anche lenti. Così diamo il tempo agli altri tassisti di accorgersi dello strano sotterfugio, e in un batter d’occhio sono già all’assalto del nostro tassista. C’è stata una lunga e accesa discussione tra i tanti tassisti ma anche se non capiamo la benché minima parola di khmer, con un po’ di immaginazione riusciamo ad intuire che discutono sul fatto che il nostro tassista non può e non deve portarci a Ban Lung a meno di 15$.
Il nostro tassista è solo contro tutti ma se la cava benissimo, i colleghi gli sbraitano nelle orecchie ma lui non si scompone più di tanto, e li asseconda (o almeno fa finta di assecondarli).
Altri tassisti che se ne stanno un po’ più in disparte e non partecipano alla discussione vengono da noi e ci domandano con insistenza quanto ci ha chiesto il tizio per portarci a Ban Lung e noi non facciamo altro che dirgli la verità: non lo sappiamo.
Sappiamo una cosa però: che i tassisti si sono messi tutti d’accordo su un prezzo standard per portare a Ban Lung i turisti stranieri: 15$
Alla fine riusciamo a salire in macchina e finalmente soli chiedo al tassista, per l’ennesima volta, quanto vuole per portarci a Ban Lung. E lui ancora una volta mi fa cenno di dopo. Cerco di dirgli che ora i suoi colleghi non possono sentirci e ne vederci e dopo varie insistenze, alla fine mi fa segno 7 con le dita.
Io gli faccio vedere i soldi per evitare equivoci e lui fa cenno di si.
Non è bastato il tempo di mettermi in tasca i soldi che ci accostiamo dopo aver attraversato tre o quattro strade. L’autista scende dall’auto, compra uno spago, lega i nostri zaini sopra al cofano posteriore (l’interno è già stracolmo di taniche di benzina che ci asfissieranno per tutto il viaggio), e ritorna da me facendo strani e talvolta incomprensibili cenni: tira fuori i suoi pochi Riel dalla tasca dei pantaloni, me li fa vedere, mi fa segno di 7, e se li infila nel taschino della camicia. Io faccio il vago, faccio finta di non capire, così lui ripete il ritornello per 4 o 5 volte: soldi nella tasca dei pantaloni, poi in mano, segno 7, e quindi soldi nel taschino!!
Tutto questo per farmi capire che vuole i soldi subito! In Italia basta sfregare minimamente i polpastrelli delle dita e in una frazione di secondo ci si capisce al volo!
Cerco di fare il vago ma alla fine non posso più negare l’evidenza, così faccio finta d’aver capito improvvisamente e cerco di spiegargli che lo pagherò soltanto quando arriveremo a Ban Lung: gli faccio vedere i soldi e gli dico:”Ban Lung, Ban Lung”
Chiaramente ora tocca a lui far finta di non capire e così ripete di nuovo la solita filastrocca (tasca, mano, taschino) non so per quante volte. Dopo circa mezz’ora di linguaggio semi-muto accompagnato da mugolii di scontento, sia da parte mia che sua, ho perso la pazienza e non so come, gli ho messo questi 14$ in mano (7 per me e 7 per Mary). Probabilmente perché mi sta portando all’esaurimento e non ho la benché minima intenzione di allungare la discussione semi-muta per un'altra mezz’ora.
Così mi fa cenno di aspettare e mi fa capire che torna tra pochissimo.
Quindi ci lascia in custodia la macchina e si allontana. Dopo cinque minuti vedo quattro poliziotti che si dirigono verso di noi, accompagnati da altri tre o quattro tassisti di quelli che volevano 15$ cadauno.
A questo punto cominciamo a farci le peggio paranoie e capiamo, con piena certezza, di essere stati derubati dei nostri soldi!
Ma questo è il minimo, se ci va bene dobbiamo soltanto pagare un altro tassista (magari 15$ per uno) e dirigerci quindi a Ban Lung, se invece ci va male ci spetteranno brutte esperienze con questi quattro poliziotti che si dirigono verso di noi, sembrerebbe, con aria molto minacciosa. Ancora peggio potremmo essere portati in qualche commissariato, accusati del furto dell’auto, o chissà che altro!
Il tempo di pensare e i poliziotti con i tassisti, in evidente stato di alterazione, ci stanno già addosso. I tassisti ci chiedono con insistenza quanto abbiamo pagato e i poliziotti invece… salgono tranquillamente in macchina, si sistemano, il conducente accende il motore e partiamo.
Altro che truffa! Tutto è andato nel migliore dei modi, non poteva andare meglio!
E visto l’assalto che i tassisti ci riservano dobbiamo anche dire (per la prima volta in vita nostra), che siamo contenti di stare in compagnia di poliziotti, che poi si mostrano essere ottimi compagni di viaggio offrendoci frutta locale a volontà durante il tragitto.
Visto che neanche i nostri nuovi tassisti-poliziotti parlano inglese, ci spieghiamo tutti questi strani sotterfugi con una nostra teoria abbastanza plausibile: la macchina è di qualche poliziotto (non capiamo di quale, visto che si danno il cambio ogni mezz’ora circa), che deve andare a Ban Lung, ma stando con tanto di divisa, non possono andare in giro ad accaparrarsi i clienti, quindi hanno dato questo incarico a una terza persona.
Anche qui, tanto per cambiare, ci garantiscono 5 ore, ma alla fine diventano ben 8!
8 lunghissime e interminabili ore in compagnia di questi poliziotti che urlano, dentro la macchina, come se fossero a centinaia di metri di distanza.
Dopo 10 minuti dalla partenza, io e Mary avevamo già due teste come due capanne!
Notiamo subito che sulla tappezzeria interna del tetto della macchina ci sono molte chiazze di fango e immediatamente ci sorge spontanea una domanda: ”come c’è arrivato lissù?”. Lo capiremo presto.
Dopo circa mezz’ora di viaggio fermano improvvisamente la macchina e fanno inversione a “U” e noi preoccupati cominciamo a chiederci cosa stia succedendo, ma essendoci totale incomunicabilità tra noi e le guardie, ci rassegniamo e ci togliamo questa curiosità soltanto quando arriviamo, non molto lontani dal punto di partenza, a casa di uno dei poliziotti che si era dimenticato una valigetta.
Quindi per l’ennesima volta ripartiamo. Sulla strada il nulla, soltanto chilometri di interminabile foresta, fango a non finire, buche immense, alcune sono talmente grandi che ci mettono paura, ci tolgono il respiro, ci mettono il vuoto nello stomaco; e la macchina struscia e si appunta dappertutto: dal paraurti anteriore a quello posteriore, dalla marmitta alla coppa dell’olio. A volte mi sento le rocce che mi sbattono sotto i piedi e a un certo punto entriamo in una buca talmente grande che sento la lamiera sotto i miei piedi deformarsi. Ogni buca che vediamo in lontananza ci chiediamo: “ma non entrerà mica li dentro a questa velocità!? Si fermerà?! rallenterà almeno un po'?! ma niente da fare! Anzi, quando la macchina è nel bel mezzo dei crateri, affonda con l’acceleratore (probabilmente per diminuire i rischi di impantanamento). Ci sembra di stare al luna park ma con la coscienza che siamo sperduti nel cuore della foresta e che abbiamo il portabagagli strapieno di benzina, e che la parola “sicurezza” qui è praticamente inesistente.
Alle 23 circa vediamo una lunghissima fila di camion fermi ai bordi della strada (se così vogliamo chiamarla, ma possiamo assicurare che questa è la peggiore di tutta la Cambogia), e sotto ogni camion c’è attaccata un'amaca con l’autista che dorme.
Ci chiediamo cosa sia successo e così scendiamo dall’auto e camminiamo per un pezzo a piedi per controllare la situazione: un enorme pantano di circa 2 o 300 metri, con fango variabile tra i 20 e 50 cm circa, buio pesto e stranissimi suoni, rumori, e versi di animali provenienti dalla foltissima e inaccessibile foresta.
A questo punto io e Mary ci rassegniamo pensando di dover passare la notte all’interno del taxi in attesa che la situazione possa migliorare, come d’altronde stanno facendo tutti i camionisti.
Quindi torniamo indietro e ci dirigiamo verso il taxi, convinti di dover trovare una posizione più o meno comoda, per cercare di dormire. Invece una delle guardie sale al posto di guida, accende il motore, e si fionda a grande velocità nel pantano totale.
Non riesce a fare neanche 20 metri e la macchina si blocca nel fango melmoso, continua ad accelerare ma l’unico risultato che ottiene è quello di far schizzare il fango da ogni parte e direzione.
Quindi ci tocca scendere, e spingere il taxi!
I poliziotti, evidentemente già esperti, si tolgono le scarpe prima di scendere, ma noi non volendo rischiare spiacevoli ferite (che sotto la pianta del piede potrebbero rovinare la vacanza) decidiamo di non togliercele. Non l’avessimo mai fatto: il fango è scivolosissimo per le ruote della macchina, ma appiccicosissimo per le suole delle scarpe che si incollano saldamente per terra sotto a 20-30 cm. di fango, spesso sfilandosi e lasciandomi a piedi nudi con il fango fino alle ginocchia.
Mary, che sta dietro di me, cerca di riappropriarsi delle mie scarpe imprigionate nel fango ma spesso non ce la fa e quindi devo correre in suoi aiuto. Più andiamo avanti e più la situazione peggiora, fino al punto che in 5 non riusciamo più a spingere la macchina. Siamo costretti così ad andare a chiedere aiuto alla casa più vicina, che fortunatamente si trova a poche centinaia di metri, i cui abitanti ci aiutano a spingere la macchina, nel cuore della notte e nel bel mezzo del pantano per poche migliaia di Riel. Alle ore 1 circa arriviamo finalmente a Ban Lung, dove sfiniti ci accontentiamo del primo albergo che capita senza chiedere quanto vogliono e senza guardare la stanza. Scopriremo presto che la stanza è sovraffollata di scarafaggi; e se amate la Cambogia per il calore, l’accoglienza e il sorriso di questo popolo allora il Ratanak hotel non fa certo per voi! È l’unico posto in tutta la Cambogia dove la gente è scontrosa.
Appena arriviamo lasciamo i vestiti (completamente ricoperti di fango) alla lavanderia, ci facciamo una doccia (ci troviamo il fango anche nelle mutande) e ci mettiamo finalmente a letto.

20/8/2005
Scopriamo subito che anche qui le guest-house e gli alberghi si sono messi tutti d’accordo: 15$ al giorno per una moto con conducente, 15$ per 3 ore di elefante, 15 dollari per prendere una barca per andare al cimitero Chunchiet (dove scappiamo di corsa a causa degli sciami di zanzare che pizzicano anche attraverso i jeans e con tanto di Autan forte). Non abbiamo mai visto tante zanzare in vita nostra come ne stiamo vedendo qui: sembrano sciami di uccelli che talvolta oscurano il cielo, sono veramente tante!
Qui la malaria regna e uccide tuttora moltissime persone.
In questo cimitero vengono sepolti tutt’oggi i componenti della vicina tribù Chunchiet e quando muore qualcuno vengono svolti strani rituali con sacrifici animali e più di un centinaio di persone dormono qui per qualche giorno.
Le tombe hanno l’aspetto di primitive e rudimentali capanne in miniatura fatte per la maggior parte in legno, mentre alcune (probabilmente quelle dei defunti appartenenti a famiglie più abbienti) sono fatte in lamiera. Tutte le tombe però hanno una cosa in comune: sono dipinte con colori accesi e sgargianti. L’entrata al cimitero costa 1$ che, a quanto pare viene devoluto in favore della costruzione di una scuola per il villaggio stesso.
Il vicino villaggio, come anche il cimitero, è completamente deserto, sembra essere disabitato, abbandonato (delusione e demoralizzazione totale), sono tutti al lavoro nelle fattorie, quindi c’è poco da vedere, se non le piccole casupole costruite appositamente per le ragazze che vogliono cominciare a separarsi dalla famiglia e quindi cercare un compagno. Più che case sono semplici capanne dove ci si entra a malapena per sdraiarsi, costruite spesso a un'altezza di 2 o 3 metri dal suolo.
Qui i soldi hanno lo stesso valore di un semplice pezzo di carta.
Infatti queste tribù usano scambiare tra di loro le varie merci, senza attribuire loro un valore economico.
Usano i soldi soltanto per poche occasioni, quando attraversano il fiume andando nella vicina cittadella di Voen Sai, comprandosi cose che diversamente non potrebbero avere.
Visto questo non c’è molto altro da vedere; sicuramente avranno molte più cose da vedere gli uomini e i bambini che stanno al porto, che ci guardano, ci scrutano, e ci osservano come se fossimo marziani!
Spesso ci mettono in soggezione, soprattutto Mary che la maggior parte delle volte viene guardata cominciando da mezz’altezza!
Poi l’escursione con l’elefante e anche qui zanzare a frotte e l’indigeno che portava l’elefante (non parlava neanche khmer) andava in giro con uno zampirone acceso legato sopra il cappello! Notiamo che qui gli elefanti non sono affatto sacri, infatti quando un elefante decide di fermarsi per mangiare, l’indigeno trafigge la testa dell’elefante con uno spuntone di ferro; ci spieghiamo così il perché delle numerose ferite ancora sanguinanti che gli elefanti hanno su tutta la testa.
Scopriamo un gioco molto gradito ai bambini di 1 o 2 anni: uno scarabeo molto grande e dallo stupendo colore verde brillante, legato a uno spago come se fosse al guinzaglio!
Questi e pochi altri sono i “giocattoli” che qui hanno i bambini.
Affitto un motorino senza conducente per 5 dollari e seguo il motorino di Mary, che al contrario di me ha il conducente.
Le strade sono terribili e sconsiglio a chiunque di fare la mia stessa assurda pazzia: non affittate mai un motorino qui nella stagione delle piogge! Bastano anche solo due gocce d’acqua per far diventare le strade pericolosamente viscide: anche andando sempre in prima, le ruote (sia anteriore che posteriore) sguisciano da ogni parte! il problema è che poi comincia a piovere più intensamente e quindi le “strade” (mi chiedo come si possa avere il coraggio di definirle tali) diventano veri e propri corsi d’acqua!
Mary, (che avendo il conducente ha anche un motorino di recente fabbricazione ben plastificato e con il motore ben riparato dall’acqua) va avanti tranquillamente, ma io che ho un motorino stravecchio, ho qualche problemino.
Il conducente di Mary ha (come tutti i cambogiani) una guida a nostro parere molto strana e cioè tendono a passare nel bel mezzo delle pozzanghere quando piove; e ci chiediamo il perché!
“Perché deve passare nel centro delle pozzanghere quando si può passare benissimo un metro più in là dove non c’è la pozzanghera!?” questa domanda non ha mai avuto risposta fino a quando decido di fare da cavia: più di una volta provo a cambiare traiettoria per passare quindi dove mi sembrava non ci fosse acqua ma… molto peggio! Fango fino alle caviglie, con conseguente impantanamento e immane sforzo per tirar fuori il motorino da quel pantano appiccicosissimo per le mie povere ciabatte che si sono rotte da ogni parte.
Rimango a piedi nudi nel fango, ma questo non è un problema, qui è del tutto normale, il problema è che le piante dei miei piedi non sono incallite come le loro e quindi mi trovo abbastanza in difficoltà! Dover aggiungere al mio peso anche il peso del motorino per “estrarlo” letteralmente dal fango, comincia a diventare cosa del tutto impossibile, soprattutto se si aggiunge lo zaino sulle spalle, lo scomodo impermeabile, e una incessante e stancante pioggia.
Quindi devo ricorrere all’aiuto della nostra guida (che sarebbe il conducente di Mary).
Questa esperienza (che poi si è ripetuta), ha dato finalmente una risposta al mio quesito e mi fa capire che non devo assolutamente cambiare traiettoria neanche di un cm e seguire rigorosamente il tragitto dell’esperto cambogiano!
Non mi resta quindi che passare nelle grandi e numerose pozzanghere, e inoltre dover cambiare le marce e frenare con le ciabatte rotte non è certo un impresa semplice.
Passo in una delle tante pozzanghere con 50 cm di acqua fangosa che copre sia la marmitta che il motore (si sente il tubo di scappamento che ribolle nell’acqua), e il motorino si spenge e non vuole più saperne di ripartire!
Di nuovo fermi, sotto un'incessante pioggia in mezzo a tanto fango e immersi nell’acqua. Proviamo ad asciugare i contatti esterni ma nulla da fare, ma fortunatamente dopo qualche minuto di inutili tentativi, vediamo arrivare un ragazzo che, camminando tranquillamente e con estrema calma sotto la pioggia, scalzo, in questa strada dalle sembianze torrentizie, coperto dal bacino in giù soltanto da un semplice pareo e con una chiave per smontare la candela in mano, dalla casa più vicina si dirige verso di noi. Sono fantastici questi cambogiani: se ti serve aiuto non devi neanche chiederlo! Dio mio che gente! Sarà difficile dimenticare questi piccoli momenti… sono attimi che ti segnano, per tutta la vita!
Con il mio corpo cerco di coprire la nostra guida, che nel frattempo tenta di asciugare la candela e, con un po’ di fortuna, alla fine il motorino riparte.
Questi motorini non hanno frizione, e in più le marce sono disposte al contrario delle nostre!
Pioggia incessante, fango, pozzanghere, motorino scassato, cambio difettoso, ciabatte rotte; sto per avere un esaurimento nervoso, rido istericamente per non piangere; ormai ho esaurito tutte le mie forze, mi sento stanco, soprattutto gli avambracci, non riesco più a tenere ben fermo il manubrio: ora non è più il motorino che va dove dico io; bensì sono io che vado dove dice il motorino!
Comincio a preoccuparmi, anche se mancano pochi chilometri al Ratanak hotel potrei non farcela; forse conviene fermarsi alla prima capanna che incontriamo e chiedere ospitalità per questa notte, sono certo che non ce la negheranno!
Fortunatamente (o sfortunatamente a seconda dei punti di vista) sono tutte paranoie inutili e alla fine riesco ad arrivare sano e salvo (anche se allo stremo delle forze) al nostro hotel.
Credo che la cosa sia possibile soltanto se si ha molto spirito d’avventura ma soprattutto molta esperienza alle spalle, e magari affittando una moto da cross e non un motorino!
Fortunatamente ho un po’ di esperienza di motocross, altrimenti non so proprio come ne sarei uscito fuori!

21/8/2005
Oggi apprendiamo come avviene la raccolta del caucciù, che qui a Ban Lung sembra essere la principale risorsa economica. Le piantagioni sono moltissime e ogni albero conserva evidenti i segni delle cicatrici eseguite dall’uomo per la raccolta del caucciù. Praticano le incisioni in maniera sequenziale con precisione e agilità di veri chirurghi, reggendosi su pericolanti e sbrindellate scalette costruite con rami di alberi.
Appena il taglio sul tronco viene eseguito, il caucciù scende velocemente lungo la ferita, fino ad incontrare un filo, quindi il caucciù scende su questo filo alla cui estremità viene attaccata una pietra per non far muovere il filo con il vento; e sotto viene posta una ciotolina dove va ad accumularsi il caucciù.
Poi visitiamo la fabbrica del caucciù, anche se ora i macchinari sono spenti, la nostra guida ci spiega come avvengono le varie fasi di lavorazione.
Vediamo anche i camioncini con cui trasportano il caucciù dalle piantagioni a qui: veramente buffi, sembrano camion dei nani!
Dopo le varie fasi di lavorazione si ottengono tre tipi di caucciù: uno giallo chiaro (il migliore), uno un po' più scuro (di media qualità) e uno quasi nero (il più scadente).
Un blocco (33.3 kg) di quello di prima scelta costa 33$ circa.
Dopo la fabbrica visitiamo le vicine cascate di Katchan, non molto grandi, ma veramente impetuose, almeno in questa stagione.
Poi andiamo al mercato dove mi faccio ricucire le ciabatte per 1000 riel (25 centesimi di dollaro); ma essendosi a una ciabatta dimezzata la suola, ora mi ritrovo con una ciabatta di 2 cm. e l’altra ridotta a meno della metà. E quando cammino sui sassi li sento come se fossi con un piede scalzo!
Gli altri ¾ di suola sono sicuramente rimaste attaccate al fango appiccicosissimo di chissà quale strada di Ban Lung!
Al mercatino mangio una prelibatezza del luogo: un uovo sodo normalissimo a vederlo da fuori, ma quando lo apro trovo dentro un pulcino semi-formato!!
Detto questo possiamo confermare che Ban Lung è il posto in assoluto più caro di tutta la Cambogia (motivo questo che ci ha portato a rimanere soltanto due giorni e non tre come previsto), e che il posto più bello è sicuramente il lago vulcanico di Yeak Lom. Non che sia chissà che, ma è l’unico posto che finora abbiamo visto dove l’acqua non sia marrone.

22/8/2005
Dopo colazione salutiamo la nostra guida, e quindi usufruiamo del servizio gratuito di trasporto verso il vicino aeroporto (due minuti di macchina) offerto da Mr. Leng, proprietario non solo del Ratanak hotel, ma anche di un lussuoso fuoristrada da non so quante decine di migliaia di dollari.
Arrivati all’aeroporto constatiamo che il check-in non è altro che un capanno e la pista è in terra battuta con la presenza di un unico aeroplano a elica, 55$ solo andata (non c’è più concorrenza e le compagnie che offrono questo servizio non sono più due come una volta ma ora ce n'è soltanto una).
Mentre aspettiamo che l’aereo venga caricato la nostra guida ci fa una bella sorpresa: è venuto fino all’aeroporto soltanto per salutarci.
Sull’aereo ci rendiamo conto della reale immensità del Mekong, che in questa stagione alluviona zone interminabili fino all’orizzonte. Guardando sia a destra che a sinistra dell’aereo, l’unica cosa che si può notare è acqua, acqua, e acqua. Sembra un immenso mare.
Arrivati a Phnom Penh telefoniamo subito al nostro caro amico Martin, chiedendo il telefonino a un passante e pagando 2000 Riel (i cambogiani pagano la metà).
Mentre aspettiamo Martin mangiamo un boccone invitando con noi anche tre bambini che fanno l’elemosina. Prendono un cappuccino con ghiaccio, dei tramezzini, e patatine fritte. Bevono il cappuccino ma… lasciano tutto il resto! È evidente che non hanno poi tanta fame! Notiamo che come tutti i bambini anche loro hanno le ciabatte bucate.
Dopo 20 minuti Martin, puntualissimo, è già all’aeroporto e ci porta al Royal hotel (visto che l’ok guest-house dove siamo stati qualche giorno fa è piena).
Andando verso l’albergo Mary mi parla del fatto che le sembra impossibile che qui con questa guida matta e indisciplinata non avvenga mai un incidente (sembra che le norme stradali siano inesistenti e anche davanti ai poliziotti si possono fare tranquillamente le infrazioni più pericolose: dall’imboccare contromano grandi strade principali con tanto di spartitraffico al centro per separare i due sensi di marcia e con tanto di cartello di divieto fino alle classiche inversioni a “U” ). Non riesce a concludere il discorso che la nostra attenzione viene distolta da un forte rumore di rottami: due motorini e una macchina coinvolti nell’incidente! Nessuna frenata!
Guardo Mary e mi gratto proprio là dove non batte il sole.
Di corsa scendiamo dal tuk-tuk, ci dirigiamo verso l’infortunato più grave, e prestiamo subito il nostro aiuto: disinfettiamo le ferite con del mercurio cromo.
Fortunatamente nulla di grave, soltanto qualche escoriazione, ma la dinamica dell’incidente (anche se non sto a raccontarvela), è semplicemente assurda.
Quindi riprendiamo la nostra strada diretti al Royal hotel, ci facciamo una doccia, e subito riusciamo, diretti al mercato. Qui mangio un ragno molto grande e peloso (di cui non so il nome) dal sapore simile al fegato. Li ho già visti in giro ma mai nessuno mi ha insegnato come mangiarli. E ora che ne ho l’occasione non me la faccio sfuggire! Un amico di Martin che va pazzo per questo piatto mi fa vedere come si mangia.
Sempre al mercato compriamo un bel po’ di pesce. Dove lo cuciniamo? A casa di Martin, che ci ha invitati per la cena e con circa 6 dollari mangiamo pesce a volontà in circa 10 persone. Loro, oltre alla stupenda ospitalità, offrono riso e bevande, e nella loro povertà è sicuramente da apprezzare. È un grande onore per noi soprattutto l’essere accolti con tanto calore da tutti i componenti della famiglia.
Questa è gente favolosa, ragazzi!
Ci cucinano piatti separati, perché Martin (essendo stato numerose volte a mangiare con noi in tutti i ristoranti) sa che a Mary non piace la cipolla. Che vergogna! Invece di adattarci noi, che siamo ospiti di questa meravigliosa gente e che ci tratta con tanto calore come se fossimo degli dei, sono loro che si adattano a noi!
Dovendo usufruire del bagno mi rendo conto che si tratta di un semplice buco per terra nel retro della baracca e, tutto intorno oggetti e utensili di uso quotidiano: vestiti appesi ad asciugare, un enorme contenitore per l’acqua, spazzolini da denti, pentole, legna da bruciare e, essendo buio, non riesco a distinguere molto altro! Per centrare il buco devo fare luce con l’accendino!
Si intravede un minimo di agiatezza appena si entra nella stanza principale (quella con i letti), per la presenza di una televisione e di uno stereo, e inoltre i letti sono sì in legno, ma sono dotati di zanzariere!
Dopo aver cenato tutti insieme (fuori dalla baracca seduti per terra), sento improvvisamente la figlia di Martin (di circa 7 anni) che urla a squarciagola, come se fosse torturata a sangue quindi impauriti, io e Mary guardiamo Martin, ma con nostro stupore vediamo Martin che rimane seduto al suo posto senza smuoversi minimamente. Corro in casa e vedo la moglie di Martin che blocca la figlia a pancia in sotto, tenendola forte per quelle piccole, fragili e sottili braccia; la nonna invece le blocca le gambe e le strofina violentemente e freneticamente una moneta sulla schiena ungendola di tanto in tanto con chissà quale strana crema o olio!
La bambina urla, piange e si contorce come un'indemoniata, ma la nonna continua a strofinare la moneta con violenza inaudita, irritando la schiena della bambina al punto di fargli uscire il sangue pesto!
Quando la schiena è completamente rossa di sangue rimasto sotto pelle, il massaggio cambogiano (così lo ha chiamato Martin, non essendoci una traduzione), finisce e la bambina finalmente “rilasciata” corre in fretta e furia, a piangere da papà Martin, che ci riferisce poi di non voler assistere alla scena e che per quello era rimasto fuori!
Soltanto a massaggio terminato mi rendo conto che la madre ha pianto per tutto il tempo e sta ancora piangendo nonostante il massaggio sia finito ormai da un po’. Una scena agghiacciante!
Constatiamo però il fatto che tutti sono d’accordo su una cosa: durante il massaggio i bambini piangono e si dimenano con tutte le proprie forze, quindi dopo il massaggio sono allo stremo delle loro forze, e di conseguenza si addormentano quasi piangendo, in pochi minuti e, quando si risvegliano non hanno più alcun dolore, alcun male. Dai semplici mal di pancia e mal di testa, alle più complicate malattie che possono prolungarsi e aggravarsi nel tempo. Da quanto riusciamo a capire è una cura per molti mali ma… semplice leggenda metropolitana, o unica alternativa (probabilmente dettata dall’esperienza e dalla conoscenza di chissà quante generazioni passate) alla non dolorosa medicina occidentale che purtroppo qui risulta essere totalmente assente? Questo è un bel dilemma, comunque sia il giorno dopo la figlia di Martin sta bene. Se dovessi trovarmi nei suoi panni negherei ogni minimo dolore fino all’ultimo, pur di non farmi fare quella tortura!
Dopo aver cenato, bevuto e scherzato, Martin ci accompagna in albergo e quando gli chiediamo quanto dobbiamo dargli per il servizio di trasporto per tutta la giornata, lui ci dice semplicemente: ”quanto vi pare, fate voi”
Non avendo moneta spiccia, decidiamo di pagare anticipatamente e generosamente anche per domani (ci accompagnerà alla stazione degli autobus).

22/8/2005
Martin potrebbe anche non presentarsi, visto che è stato già pagato ieri, e invece abbiamo, per l’ennesima volta, conferma dell’onestà dei cambogiani. Così appena usciamo dall’hotel, Martin puntualissimo, è già ad aspettarci, pronto a portarci alla stazione degli autobus.
Questa volta però siamo noi a fare tardi (anzi Mary), così quando arriviamo alla stazione, l’autobus è già partito.
Ai nostri occhi ci troviamo davanti un grande problema, ai loro occhi invece il problema è inesistente: in fretta e furia facciamo i biglietti e ripartiamo a tutta birra. Probabilmente vuole riprendere il pullman in corsa, pensiamo io e Mary; e invece dopo qualche chilometro troviamo l’autobus che, fermo su un lato della strada, ci aspetta! Ed è stracarico di gente! E tutti aspettano noi!
È evidente che dalla stazione, il nostro amico Martin ha fatto telefonare all’autista, dicendogli di aspettarci.
Di corsa salutiamo Martin (se sapevamo di doverlo salutare così in fretta avremo optato per il prossimo pullman) mentre gli autisti ci caricano gli zaini e così ci dirigiamo finalmente verso il tanto atteso mare.
Mentre siamo in viaggio, Martin contatta due suoi amici di Sihanoukville, Joe e Dan, che ci vengono a prendere alla stazione presentandosi con dei cartelli con su scritti i nostri nomi, e un bustone di cozze (identiche alle nostre, se non per il colore dei bordi verde smeraldo), che ci cucinano in spiaggia per augurarci il benvenuto.
Ci porta a una guest-house in Ocheutal beach, carina anche la spiaggia con i caratteristici ristoranti e pub.
Il mare ci lascia un po' a desiderare in quanto l’acqua è abbastanza torbida, tutt’altro che trasparente!

23/8/2005
A oriente di Ocheutal beach c’è una spiaggia quasi deserta e sicuramente migliore, ma ancora non è il massimo: cerchiamo una di quelle spiagge paradisiache, ma qui non sembra che ce ne siano.
Andiamo anche a Victory beach a vedere il tramonto, spiaggia più o meno dalle stesse caratteristiche: acqua piacevolmente calda ma non certo trasparente e sabbia non proprio bianca.
Visto il tramonto andiamo a fare un giro al porto, alla città, al quartiere a luci rosse e in ultimo al mercato del pesce, costituito da capanne sulla strada con vasconi pieni di enormi granchi dai più stravaganti colori, gamberi, scampi, seppie, calamari, lumache di mare giganti (di 3 o 4 chili) e tanto altro.
Per stasera compriamo soltanto calamari e gamberi, veramente deliziosi.
La sera Joe ci invita a casa sua; una casa su palafitte costituita unicamente da una baracca in legno e lamiera con un unico piccolo ambiente con buchi per terra abbastanza grandi da funzionare sia come secchio dell’immondizia, sia come agevolazione per l’accesso di grandi topi (ne abbiamo subito conferma vedendo la trappola pronta a scattare, sia vedendo i topi in prima persona).
Degli scarafaggi non ne faccio neanche cenno, ormai a quelli ci siamo abituati: anche per noi è diventata normale routine! Anzi, se non li vediamo ci preoccupiamo: probabilmente c’è qualcosa che non va!
Arrivati a casa tirano fuori immediatamente una strana pipa costituita da una canna di bambù e uno strano frutto secco che, posto all’estremità della canna, funziona da pipa.
Più tardi noto uno strano marchingegno costituito da una scatola in legno con sopra un cricchetto oleodinamico, il tutto poi legato insieme da una corda d’acciaio che tiene sotto pressa ben 3 kg. di ganja!
Con nostro stupore apre la scatola: “la apro per te”, mi ripete più volte “la apro per te”, e quindi apprendiamo come vengono fatti i pani di ganja compressa in forma di blocchetti da 1 kg.
Verso le 23 ci facciamo portare in guest-house prendendo appuntamento con Joe e Dan per le 9 di domani.

24/8/2005
Aspettiamo Joe e Dan fino alle 9:30 ma non vedendoli affittiamo altri due motorini con conducente e ci facciamo portare al parco nazionale di Ream dove facciamo un trekking di due ore ma niente di speciale, se non per un piccolo ruscello dall’acqua trasparente e pieno di piccoli pesciolini che mi solleticano mentre faccio il bagno (Mary decide di restare a crepare sotto quest’ustionante sole).
Per il resto una bella ammazzata, visto che il resto del tragitto si svolge sotto un sole cocente e spesso in salita.
Stremati dal corto ma faticoso trekking, ci facciamo portare al mercato del pesce, ma stavolta tocca alle grandi lumache di mare e a delle vongole dagli strani colori.
Portiamo il tutto al ristorante del fratello di Joe, che ci cucina sulla spiaggia, e ci fa pagare soltanto le bevande.
Mentre pranziamo arriva finalmente il nostro amico Joe (che questa mattina ci ha dato buca), e invitandolo a pranzare con noi notiamo che mette la sua ganja su qualsiasi cosa che mangia, spiegandoci che qui è considerata una spezia in cucina, e viene usata per preparare, condire e insaporire molti piatti.
Dopo pranzo Mary si fa fare ceretta e manicure, con tanto di disegnino sulle unghie, da ben sei persone (due o tre bambine di 14 anni e le rimanenti ragazze e signore) per soli 6 dollari.
La ceretta viene fatta con un unico spago piegato doppio, le cui estremità vengono tenute una tra i denti e l’altra in una mano. Con l’altra mano si tiene la parte ripiegata, che forma un cappio; allargando e stringendo questo cappio i due fili vengono avvolti roteando su se stessi e intrappolando tra di loro tutti i peli. A detta di Mary, oltre a non provocare dolore (i peli vengono strappati a verso), è anche un lavoro ben fatto!
Qui Mary si innamora di una delle tante bambine e decide di comprarle un grembiulino per la scuola.
Dopo la ceretta andiamo alle cascate che sicuramente meritano di essere viste e Mary come al solito si fa assalire da una decina di bambine che vogliono venderle patatine; nel frattempo io mi faccio il bagno tra queste lussureggianti cascate e poi una bella dormita su di una roccia nel bel mezzo della cascata.
La sera Joe ci invita di nuovo a casa sua, ma stavolta a cena.
Rigorosamente per terra e a piedi scalzi (io ci sto scomodissimo e non resisto per più di 5 minuti nella stessa posizione, mi chiedo come fanno loro a stare immobili, a gambe incrociate, seduti per terra sul legno, per ore e ore senza accusare il minimo dolore o fastidio. Forse a causa dei calli che tutti hanno su entrambi i malleoli?), mangiamo rane, pesce e granchi, il tutto rigorosamente accompagnato da riso comprato già cotto venduto in bustine di plastica.
Dopo cena ci offrono un vino di riso con dentro un grande millepiedi (messo per dare più sapore alla bevanda).
Dopo qualche bicchierino (siamo costretti a brindare uno alla volta perché c’è soltanto un bicchiere), andiamo in discoteca. Per arrivarci dobbiamo attraversare il quartiere a luci rosse, costituito da una lunga strada piena di buche con una sfilza di baracche con rudimentali luci al neon rosse e le ragazze sedute fuori ad aspettare.
La discoteca non è altro che un semplice karaoke khmer, con gente che balla in uno stranissimo modo, imitando le danzatrici apsara. Joe adora questo ballo e ci ha portato qui proprio per questo. Ci invita insistentemente ma gentilmente a ballare, pregandoci e dicendoci di farlo soltanto per lui: “fatelo per me, soltanto per me”, dice.
Quindi finiamo la birra e andiamo a ballare. Non solo Joe, ma anche tutti coloro che ballano, cercano di mostrarci e correggere i nostri movimenti, elogiandoci non appena facciamo un piccolo progresso nell’esibirci in questa strana ma carina e dolce danza.
Qui le bambine vengono allenate sin da piccole ad esibirsi in questa danza e il primo esercizio che viene insegnato loro è quello di piegare le punte delle dita, con le mani a palmo aperto, non verso il palmo ma verso il dorso; quasi a toccarsi il braccio con le unghie. Bisogna avere una certa elasticità per compiere questo movimento in maniera così aggraziata (io riesco a malapena a formare un brusco angolo di 90°, mentre le danzatrici allenate riescono a formare una dolce curva di quasi 180°!), e le cambogiane sembrano essere snodabili, perfette per quest’attività.

25/8/2005
Visto che il mare qui ci ha un po’ delusi, decidiamo di rifarci visitando l’isola di Koh Rong Samloem dove, non essendoci un servizio di trasporto pubblico che collega quest’isola alla terra ferma, non ci sono neanche turisti, né infrastrutture per accoglierli.
Ci dicono che qui il mare è stupendo, quindi Joe va al porto a parlare con i pescatori e in poco tempo partiamo.
Affittiamo un peschereccio con tre pescatori di equipaggio più la nostra guida Joe a 70$ (35 io e 35 Mary), compreso vitto (pesce appena pescato e l’immancabile riso), alloggio (a nostra scelta sulla spiaggia o nel villaggio di pescatori dall’altra parte dell’isola), benzina, acqua e falò sulla spiaggia, il tutto per due giorni.
Appena arriviamo al porto per imbarcarci, notiamo che il nostro peschereccio è diverso da tutti gli altri: ha un telone sopra che hanno gentilmente messo solo ed esclusivamente per noi, per ripararci dal sole. Noi abbiamo soltanto chiesto a Joe se la barca ha una copertura o no, giusto per regolarci sulla quantità di protezione solare che dobbiamo cospargere sulla nostra pelle. Nonostante per i pescatori il telone costituisca un grande intralcio al loro lavoro, terranno questo telo per tutto il tempo.
Partiamo verso ora di pranzo, e mentre io pesco con la mia canna, loro pescano con le loro reti, e quando abbiamo pescato abbastanza pesce per mangiare tutti e sei, cominciano a cucinare, il tutto con la barca in movimento; ci fermiamo soltanto cinque minuti, per tirare su le reti.
Dopo circa tre ore di viaggio arriviamo finalmente su quest’isola, dove sorge, nell’estremità meridionale, un piccolissimo e poverissimo villaggio di pescatori. Joe ci spiega che per queste persone vedere un occidentale è un evento più unico che raro, e lo vediamo immediatamente da come i bambini ci assalgono e litigano tra di loro pur di vedersi ritratti nel display della macchina fotografica e telecamera! A volte esagerano, si spintonano violentemente, sono molto maneschi, e quindi mi costringono a mettere via tutto per evitare che mi distruggano qualcosa.
I bambini urlano e si divertono ridendo a più non posso ogni volta che si rivedono nel display.
Spesso mi ritrovo accovacciato per terra (per far vedere meglio ai bambini la telecamera) con una sigaretta in bocca; ma i bambini sono molto irrequieti e così uno mi viene addosso e gli si spenge la mia sigaretta accesa in un orecchio! Non ha detto una parola! Per qualche secondo diventa serio, si tocca sulla parte ustionata e fa un espressione come di meraviglia.
Io nel frattempo sono preoccupatissimo, non so cosa fare, forse ci vuole un po’ di ghiaccio, ma qui probabilmente non sanno neanche cosa sia il ghiaccio! Cerco di far qualcosa, sono dispiaciuto, mi sento in colpa. Ma giusto pochi attimi che sono bastati per mettere insieme questi miei sensi di colpa che subito mi rendo conto che il bambino è di nuovo a giocare e ad urlare più di prima come se nulla fosse accaduto!
Ah che bello, il bambino non si è fatto nulla!
E i genitori?e i parenti? Saranno arrabbiatissimi, saranno neri con me, come potrò farmi perdonare? Alzo gli occhi ma… non vedo nessuno minimamente arrabbiato, tutti ridono, forse perché vedono me impaurito, o forse perché prendono in giro il bambino che secondo loro doveva stare più attento? Non lo sappiamo, fatto sta che tutto il villaggio sembra essere in festa, tutti ci guardano, sorridono quando gli sguardi si incrociano, e ridono a più non posso quando commentano tra loro.
Le persone più grandi stanno attente che i bambini non esagerino nell’assalirci e quando ciò avviene intervengono con pesanti scappellotti.
Al primo schiaffone io e Mary, per istinto, assumiamo espressione e esclamazione di stupore e di contrarietà, ma soprattutto di dispiacere, e le mamme si mettono timidamente a ridere coprendo le loro bocche con una mano, come facciamo noi quando sbadigliamo.
Sembrano essere molto discreti, gentili, educati; non so più come descrivere questa stupenda gente, anche utilizzando tutte le parole del mondo non credo si possa riuscire a rendere l’idea, credo che l’unica cosa da fare sia VIVERLI.
Per evitare altri schiaffoni ai bambini e altre sigarette spente nell’orecchio, e soprattutto per evitare di farmi rompere la telecamera, ho rimesso tutto nello zaino.
Da qui i bambini cominciano a prendermi per mano senza staccarsi mai e mi portano in giro per tutto il villaggio, urlando e ripetendo a pappagallo le parole che diciamo noi.
Visitato il villaggio e acquistato del vino di riso, ci dirigiamo dall’altra parte dell’isola per dormire su una spiaggia deserta, ma prima ci affianchiamo a un altro peschereccio per mangiare (i cambogiani amano essere in tanti quando si mangia), rigorosamente riso e pesce, pescato mezz’ora prima, con le reti che noi stessi abbiamo calato e ritirato su!
Dopo mangiato ci dirigiamo verso questa favolosa spiaggia: ci avviciniamo alla costa puntando un potente faro sull’acqua (ormai è notte fonda) e notiamo con nostro stupore che migliaia se non milioni di piccoli pesciolini saltellano nell’acqua! Sembra che grandini! Sono veramente tanti!
Andiamo avanti con la barca fino a che non ci areniamo, quindi prendiamo gli zaini e scendiamo, guadando l’acqua ma… siamo soltanto su una secca!
Non ci resta che risalire sulla barca, aggirare la secca e arrivare più vicini alla spiaggia.
Puntando il faro sull’acqua mi rendo subito conto che questo è proprio il mare che cerchiamo.
Dopo pochi minuti siamo abbastanza vicini alla spiaggia da poterla raggiungere con gli zaini in spalla.
Accendiamo subito un fuoco e notiamo dei grandi buchi sulla sabbia. Da qui il sospetto che la spiaggia disabitata sia in realtà molto abitata: da numerosi e grandi granchi!
Ma fin qui è solo un forte sospetto, la conferma arriva un po’ più tardi, appena ci mettiamo a dormire, con l’assalto di questi granchi. All’inizio faccio dei salti che metto paura, ma poi capisco che basta il minimo movimento per farli scappare in fretta e furia. Sono velocissimi. Granchi da corsa!
Joe (che conosce i granchi) ci spiega che i granchi ti salgono addosso perché sentono l’odore, e pensano che la carne umana sia cibo per i loro denti; ma appena ti muovi anche di un millimetro, e quindi capiscono che il pasto non è fattibile, si danno a gambe levate!
Contro l’attacco dei granchi si rivela utilissimo un semplice sacco a pelo fatto con un lenzuolo.
Mary invece è ancora più fortunata: dormendo avvolta nella zanzariera non gli si avvicinano neanche (probabilmente perché gli si incastrano le zampette nella retina).
Sarebbe possibile dormire anche nel villaggio di pescatori: basta chiedere il permesso al capo villaggio!

26/8/2005
Al nostro risveglio ci rendiamo subito conto di dove ci troviamo e i sospetti della sera prima vengono confermati: ci troviamo in una spiaggia paradisiaca, dalla sabbia bianca e dalle acque smeraldine e trasparenti e alle spalle niente altro che foltissima vegetazione di un colore verde intenso, quasi fosforescente, e tanti animali che emettono strani suoni e rumori. Finalmente abbiamo trovato ciò che cerchiamo. Di fronte alla spiaggia c’è una secca che arriva a pelo d’acqua, e subito approfittiamo per sdraiarci sopra a prendere il sole a mollo nelle caldissime e calmissime acque di quest’isola meravigliosa, con tanto di pesciolini che ci solleticano.
Alle 9 dovrebbe arrivare il peschereccio, ma alla fine arriva solo alle 9:30.
Rischiamo di perdere la navetta per Krong Koh Kong, ma i marinai ci assicurano che arriveremo in tempo ugualmente, in quanto con il mare calmo guadagneremo il tempo perduto e in più ci porteranno direttamente al porto della navetta.
E infatti arriviamo a prendere la navetta all’ultimo secondo, siamo saliti al volo, a malapena il tempo di salutarci e di realizzare che stiamo per dire addio alla Cambogia e già siamo in viaggio.
Anche qui ci garantiscono 3-4 ore ma alla fine diventano ben 6! (15$).
Arriviamo a Krong Koh Kong e subito ci dirigiamo a Hat Lek (2$), quindi attraversiamo il confine e di corsa andiamo a Trat (100 B).
A Trat dormiamo al Pop guest-house, con case sul fiume molto carine e ben tenute, e un graziosissimo giardino dai bellissimi fiori tropicali (300 B).

27/8/2005
Tanto per cambiare ci svegliamo presto, e prendiamo un traghetto per Ko Chang (50 B), ma anche qui le spiagge non sono paradisiache come pensiamo.
Dormiamo in una capanna a 3$ a notte e affittiamo un motorino per 5$ al giorno.
Giriamo l’isola fino Lagoon beach dove a un certo punto c’è una biforcazione: a destra la strada è privatizzata dal Lagoon Resort e bisogna pagare 100 B. per proseguire; a sinistra invece la strada si interrompe per una frana, hanno costruito in fretta e furia un ponticello fatto con rami di alberi ma… non ci fidiamo a passarci a piedi, figuriamoci con il motorino!
L’unica cosa è tornare indietro!

28/8/2005
Giriamo l’isola dalla parte opposta.
Di mattina con la bassa marea, notiamo come avviene la raccolta delle vongole: scavano con dei cucchiai tra i sassi e ne trovano a bizzeffe. In meno di un’ora riempiono i secchi pieni e se ne vanno!

29/8/2005
Piove ininterrottamente per quasi tutto il giorno, quindi non c’è molto da dire, se non che facciamo avanti e indietro tra la nostra capanna, il pub della nostra guest-house e il pub della guest-house a fianco.

30/8/2005
Piove ininterrottamente per tutta la notte (l’acqua entra nella nostra capanna da varie infiltrazioni presenti ovunque) e appena ci svegliamo ci rendiamo subito conto che l’acqua che fuoriesce dai “servizi igienici” (se così vogliamo chiamarli), non è semplicemente marrone: è fangosa!

31/8/2005
Prendiamo un traghetto per Trat e quindi un pullman per Bangkok. Ci garantiscono che in 4 ore giungeremo a destinazione. “Ormai siamo in Tailandia, le strade sono tutte asfaltate non credo che ritarderemo”, dico a Mary.
Dopo 7 ore siamo ancora incastrati nel traffico delle numerose sopraelevate di Bangkok.
Penultimo giorno di vacanza e quindi acquisto di vari zaini stracolmi di ogni cosa.

01/09/05
Prendiamo un tuk-tuk per andare all’imbarcadero sul Chao Phraya per fare lo stesso e identico giro che ho fatto 5 anni fa (snake farm e palazzo reale), perché voglio farlo vedere a Mary.
Il conducente del tuk-tuk annuisce energicamente quando gli diciamo dove vogliamo andare e invece dopo pochi isolati ci fermiamo da un suo amico, che gli traduce in tailandese dove abbiamo intenzione di andare. Il bello è che contrattiamo a lungo sul prezzo quando lui non sa neanche dove deve portarci!
Alla fine però riusciamo ad arrivare al porto e facciamo il nostro giro turistico.
Qui poco è cambiato da 5 anni fa: stesso fiume, stessa imbarcazione con il tetto a forma di casa, stesse palafitte, stesse barche arenate sul fango in putrefazione sotto grandi e lussuosi alberghi a 5 stelle, stesso spettacolo dei serpenti, nulla di nuovo per me, ma non certo per Mary.
L’unica differenza che noto è un maggior numero di grandi navi attraccate lungo il fiume.
Dopo il classico giretto, scendiamo a un altro porticciolo e prendiamo un altro tuk-tuk chiedendo al conducente di portarci a un qualsiasi mercato per comprare qualche souvenir: ci porta in giro per tutta Bangkok tranne che al mercato, prediligendo gioiellerie, ristoranti di lusso e molti altri luoghi con il tappeto rosso all’entrata, perché sicuramente otterrà una ricompensa se riesce a farci spendere in questi locali.
Ma non ci caschiamo!
Quindi alla fine ci facciamo portare in albergo dove ci facciamo una doccia, prepariamo gli zaini, e quindi ci avviamo tristemente verso l’aeroporto di Bangkok.

Commenti
MIRKO
Sicuramente il viaggio più bello della mia vita. Qui il turismo (eccetto a Siem Reap) è quasi completamente inesistente, in molti luoghi i bambini si spaventano soltanto alla vista di un occidentale, gli adulti invece si meravigliano a vedere i nostri peli, ce li toccano e assumono un'espressione di meraviglia e poi scoppiano a ridere!
Nei luoghi più remoti addirittura non c’è neanche bisogno di contrattare, gli stessi prezzi valgono sia per i cambogiani che per noi, che spesso e volentieri siamo gli unici turisti stranieri.
Spesso passano giornate intere e vediamo soltanto cambogiani o persone appartenenti alle varie etnie locali. Nessun straniero!
Tutti ci salutano, a cominciare dai bambini, fino alle persone adulte e agli anziani, ma l’essere coscienti che il viaggio prima o poi finisce, e sapere di dover tornare nel mondo “sviluppato”, nel mondo “civilizzato”, dove abbiamo tutto, ma dove tutti sembrano essere perennemente inc..., per lasciare questa civiltà che invece, pur non avendo nulla riesce a vivere meglio di noi, ad apprezzare le piccole cose, a sorridere, a mantenere i valori, l’orgoglio, il calore e l’onestà,ci fa venire spesso gli occhi lucidi.
Sì l’onestà, perché pur essendo così poveri, ogni qual volta ci dimentichiamo qualcosa da qualche parte (acqua, soldi, macchina fotografica, guida, magliette) ci corrono sempre dietro pur di riportarcele.
Molte persone ci invitano a casa (chi ne ha una), ci vogliono far conoscere la moglie, i figli, i parenti in generale (sempre numerosissimi), e ogni volta veniamo accolti calorosamente, spesso riservandoci meraviglie e stupori, lasciandoci increduli, a bocca aperta, senza parole, spesso ci fanno venire la pelle d’oca per le loro piccole azioni.
Rientrando in Thailandia, soprattutto a Bangkok, notiamo invece l’esatto contrario: tutti lievitano i prezzi a volte decuplicandoli, i proprietari dei tuk-tuk ci portano dappertutto tranne che dove vogliamo andare, facendo finta di non capire ed esercitando pressioni per farci comprare nei negozi dove prendono la commissione e tanti altri raggiri di questo genere.
Tanta differenza quanta ce n'è tra il giorno e la notte!

MARY
Per me questo è stato il primo vero viaggio della mia vita… quelli precedenti sono stati di breve durata e sempre in Europa, quindi non avevo mai potuto assaporare prima d’ora il sapore e il profumo di una cultura e di un popolo completamente diverso da quello che conoscevo, nonostante ogni viaggio mi abbia insegnato sempre qualcosa.
Devo dire però che quello che ho imparato da questa esperienza è di gran lunga più profondo… non credo sia facile esprimerlo!
Il calore e l’accoglienza che ci ha riservato questo popolo è andata oltre quello che avevo immaginato documentandomi qua e là prima di partire… vedere la loro vita, condividere con loro momenti di vita quotidiana, gustare i loro sapori, giocare con i bambini carichi di meraviglia e di stupore mentre rivedono le loro immagini impresse sulla macchinetta fotografica, capire cosa significa veramente la parola “povertà” scontrandosi con una realtà che sembra essere diversa da quella che sono stata abituata a vedere in televisione a tal punto da sembrare due cose diverse. Beh, tutto questo mi ha fatto capire quanto siamo superficiali,egoisti,vivendo in una società tutto sommato benestante rispetto a loro e continuandoci a lamentare di tutto senza apprezzare le cose che abbiamo. E nonostante le loro condizioni siano estremamente dure e faticose hanno sempre un sorriso per tutti, al contrario di noi che non ci diciamo più nemmeno buongiorno in ascensore.
Sono rientrata a casa con gli occhi colmi di meraviglia per tutto quello che ho visto con nel cuore un meraviglioso ricordo che sarà sempre vivo per tutto quello che di buono mi hanno trasmesso i cambogiani.
Se mi dovessero chiedere il colore di questa terra che mi ha particolarmente colpito potrei dire senza dubbio il verde, così intenso e rigoglioso non l’ho mai visto da nessuna parte.
La loro storia poi come può non colpire soprattutto quando una persona come me conosce solo quello che le televisione trasmette sui genocidi… posso ora col senno di poi affermare che la crudeltà che si respira nell’aria visitando di persona un luogo che è stato teatro di ogni più atroce tortura lascia dentro un senso profondo d’indignazione mista ad incredulità, perché io con i miei 25 anni non riesco a capire come un uomo solo possa essere così profondamente cattivo e possa spargere così tanto dolore.
Spero di poter continuare in futuro a vivere di queste esperienze: sono tornata diversa… migliore credo…!

5 commenti in “La Cambogia: c’è altro oltre Angkor
  1. Avatar commento
    claudia
    02/12/2011 16:13

    sto per partire con il mio ragazzo per un viaggio molto simile al vostro e ora sono ancora più entusiasta della scelta fatta!grazie di averlo condiviso!

  2. Avatar commento
    Ica
    10/08/2010 11:15

    bellissimo diario di viaggio... complimenti! partirò già tanto arricchita dalla vostra esprienza

  3. Avatar commento
    sorcetto
    10/07/2009 23:11

    grazie mum!! ciao

  4. Avatar commento
    mun
    22/02/2009 23:06

    un viaggio stupendo!! uno dei resoconti più emozionanti che abbia mai letto! complimenti ragazzi!

  5. Avatar commento
    giorgessa
    27/03/2006 13:44

    Avete fatto un viaggio meraviglioso. Siete riusciti a vivere ogni situazione con naturalezza e coscienza. Come ogni viaggiatore dovrebbe fare. grazie per avermi citata e tanti tanti auguri per le vostre prossime avventure.

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