Il Bhutan, l'ultima Shangrilà

 

“Druk” -“il drago" - è il nome del piccolo regno himalayano conosciuto come Bhutan. Situato nel cuore dell’Himalaya, con un’estensione di 144 Km da nord a sud e 305 Km da est a ovest, è uno stato-cuscinetto tra Cina e India: a nord confina con il Tibet, a sud con il Bihar, a ovest con il Sikkim, a est con l’Arunachal Pradesh. Nei suoi pochi chilometri il Bhutan offre un'enorme varietà di paesaggi: vallate al di sopra di 3000 metri circondate dalle vette dell’Himalaya che lo separano dal Tibet, alcune delle quali superano i 7000 metri; magnifiche foreste di rododendri e magnolie al centro, un vero spettacolo nei mesi primaverili quando gli alberi sono in fiore; e una striscia di vegetazione tropicale che lo congiunge all’India. La popolazione consisteva di 657.548 persone nel 1999, un misto di Shadchops - abitanti originariamente discendenti dai tibetani - e nepalesi, principalmente immigrati per motivi di lavoro, il cui numero è stimato a 200.000.
La parte più ricca del paese si trova ad ovest, nelle tre principali città del paese: Punakha, l’antica capitale; Paro, il centro commerciale; e Thimpu, la nuova capitale. I Bhutanesi vivono in pittoresche e linde casette decorate con magnifici intarsi in legno, e in molti aspetti sia il paese che le case rammentano la Svizzera. Al centro del Bhutan si trovano le spettacolari valli del Bumthang e più ad est vi sono altre due cittadine, Tashigang e Samdrug Jongkhar.
È un paese “tradizionale", il Bhutan; gli amanti della fotografia qui si potranno sbizzarrire a volontà visto che tutti indossano abiti tradizionali, imposti dalla legge! È governato da una monarchia molto rigida: il re del Bhutan, educato a Oxford, vuole guidare il suo popolo verso il progresso in modo graduale, e fa di tutto per mantenere intatti i valori della società. In Bhutan non ci sono giornali internazionali e la televisione è stata ammessa solo tre anni fa. La popolazione è principalmente buddhista - anche se i nepalesi sono indù - e l’atmosfera culturale è quindi molto simile a quella del Tibet o del Ladakh: monasteri buddhisti, feste con danze rituali di monaci, e, come particolarità, gli ‘dzong’, enormi fortezze che ospitano sia il potere temporale che quello spirituale, sorti in punti strategici, che servivano per sorvegliare il possibile avvicinarsi di eserciti stranieri.
Il buddhismo fu introdotto nel secolo VIII da Padma Sambhava, il santo taumaturgo buddhista originario della valle di Swat, che transitava per il Bhutan mentre si recava in Tibet su invito del re Trisong Detsen, allo scopo d’introdurre il buddhismo e sottomettere la religione Bön. Da quel momento nel Bhutan la scuola Nyingmapa divenne la più importante, soprattutto in Bumthang dove si trovano molti luoghi che ricordano Guru Rimpoche. La religione di stato, però, è in mano alla scuola Drugpa Kagyu, diventata potente dopo che lo Shabdrung Ngawang Namgyal, scappato dal Tibet nel 1615, unificò il paese diventandone il capo sia temporale che spirituale.
Un paese rimasto sconosciuto fino al 1627, anno in cui i due gesuiti portoghesi Cacella e Cabral, i primi occidentali a passare, lo fecero conoscere al mondo. Le loro vicende sono raccontate dal Desideri in “An account on Tibet”, ed. Filippo De Filippi 1971 pag 21.
Il Bhutan è stato aperto da pochi decenni al turismo, e in un tentativo di mantenere l’immagine dell'"ultimo Shangrilà", nei primi anni l’accesso fu limitato a 5000 stranieri all’anno. Ora non vi sono più restrizioni di numero, ma il costo proibitivo di un viaggio in Bhutan, che può essere intrapreso soltanto tramite agenzie controllate dallo stato, fa sicchè tuttora la visita di questo ultimo baluardo tradizionale dell’Himalaya rimane un grande privilegio…

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Che bel Paese, il Bhutan!
Erano due anni che mancavo da questa terra con la sua natura stupenda che riserva una sorpresa naturalistica dietro ad ogni curva; ma con gente un po' strana...
Prima di partire avevo letto sul Kuensel, il giornale nazionale bhutanese, che in tutto il paese è entrata in vigore la legge anti-fumo; una legge un po' confusa nell’applicazione concreta. Qualche giorno prima il Re, in un’intervista rilasciata a giornalisti indiani, aveva ammesso di fumare, e anche molto, ma aveva dichiarato di aver imposto questo divieto per il bene delle future generazioni. Paese democratico, il Bhutan! Nella nuova normativa risulta che ogni turista può portare con sè una stecca di sigarette gratis, con il divieto di venderle nel paese. Ma... ci hanno dato una bella stangata all’arrivo!
Eravamo otto persone, sette magnifiche e gentili signore ed io. Su otto eravamo cinque fumatori, per cui in valigia ognuno portava le sigarette che dovevano coprire il fabbisogno per i 9 giorni di permanenza in Bhutan, visto che è vietata la vendita delle sigarette. Riempiti i moduli e pagati 20 dollari per il visto, due signori in abito tradizionale ,- il “gho” - una veste nei tipici colori bhutanesi che scende fino alle ginocchia e calzettoni che salgono fino alle ginocchia, labbra e denti rossi per la continua masticazione del betel (famoso per i suoi effetti cancerogeni...) si avvicinano con il viso alterato dalla cupidigia, con il sorrisetto furbo di: “ora vi freghiamo”. Sono gli ufficiali di dogana. Si avventano sulle valigie delle mie clienti e con immenso piacere tirano fuori sigarette dicendo: “Bisogna pagare 28 dollari per ogni stecca. Non è permessa l’importazione di una sola sigaretta; nel nostro paese non si fuma”. Mi permetto, ad alta voce, di protestare, ma fanno orecchie da mercante: incassano e danno ricevute! Questo era il nostro “welcome to Bhutan”. All’occhio, fumatori! Siamo perseguitati anche nei paesi buddhisti...
Nel nostro giro la prima sosta era Paro, dove si svolgeva il festival annuale. Benché i festival siano interessanti, per noi organizzatori diventano un incubo a causa della poca ricettività alberghiera. Infatti sembra che tutto il mondo si concentri in questo piccolo paese occupando tutte le stanze di tutti gli alberghi, e chi prima arriva meglio alloggia. Le agenzie bhutanesi, che fanno pagare una quota fissa di 200 dollari al giorno, ti danno comunque gli alberghi che vogliono, senza tener conto delle richieste fatte in precedenza. Avevo giurato che non ci sarei mai più andato...
L’inaugurazione del festival di Paro avviene in un posto magnifico, anche se è un po' faticosetto arrivarci: non arrivano le macchine e bisogna camminare 30 minuti, su per un sentiero che si inerpica sotto un costone roccioso sul quale è arroccato lo Dzong di Dzongdhaka, il cui monastero data del XIII sec.
L’atmosfera è simpatica; le danze si svolgono nel cortile dello Dzong, e intorno vi sono ogni sorta di bancarelle, dove si vende di tutto. Gente felice sale con il suo picnic per passare la giornata sotto il sole, una delle poche con il sole!
L'indomani andiamo ad assistere all’inizio del festival vero e proprio nello Dzong di Paro. All’entrata un poliziotto obbliga i partecipanti a togliere il cappello, in segno di rispetto, nonostante il sole e il caldo feroce. Faccio notare che una signora del gruppo soffre di un malattia alla testa e non può togliere il cappellino. Risposta: “O lo toglie o se ne va”. Lo toglie!
Anche qui dentro una folla ordinata è accucciata intorno ai lati del cortile. I buffoni, gli azzara, sorvegliano simpaticamente che non si occupi tutto lo spiazzo dove devono avvenire le danze. Lo spettacolo dura molto, e pochi sono in grado di resistere fino alla fine; dopo aver visto i primi danzatori con bellissimi abiti di broccato e ascoltato le musiche di tamburi e radung, si è soddisfatti e si va via...
Mentre gironzolo fra le bancarelle vedo una tenda verde e sorpresa...una grande scritta invita i visitatori di procurarsi dei profilattici gratuitamente.

Il Bhutan è famoso per i suoi dzong, imponenti fortezze-monasteri sorti nei luoghi di importanza strategica per difendersi da eventuali invasioni tibetane, tutti costruiti intorno al XVII sec dallo Shabdrung Ngawang Namghiel. In effetti sono maestosi e incutono timore; gli interni (quel poco che ti fanno visitare) danno una sensazione di calore, perchè tutto è costruito in legno. Gli dzong contengono uffici governativi/amministrativi e monasteri, quindi dentro si vedono impiegati, rigidamente in abiti tradizionale, che vanno a casa a fine lavoro, qualche bella sala del monastero con affreschi stupendi, e monachelli che giocano nei cortili.

Da Jakar, capoluogo del Bumthang con diversi templi e monasteri, siamo andati a visitare il piccolo villaggio di Ura. Il paesaggio è cambiato: le foreste tropicali lasciano il posto a campi verdi e ben coltivati. Il Bumthang è costituito di cinque ampie vallate costellate con le casette tipiche del Bhutan che ricordano gli chalet svizzeri. In genere il popolo bhutanese è cortese e sorridente, le persone sono disposte a farsi fotografare e a parlare, quando ci si capisce.

Thimphu, la capitale del Bhutan, ci riporta verso il nostro mondo. È molto cambiata dall’ultima volta che l'ho visitata; dovunque supermercati ben forniti e discoteche. Ma il mercato settimanale del sabato è rimasto molto carino. Le bancarelle spesso altro non sono che un tappeto steso per terra; l’odore di pesce secco è un tantino invasivo; ci sono noci moscate fresche utilizzate per la composizione del betel (noce di betel), verdure e oggetti vari per l'uso quotidiano dei locali. A Thimphu è rimasta ancora la mancanza di semafori, e ancora il vigile al centro degli incroci danza quando avverte gli automobilisti, - pochi - che possono proseguire o fermarsi.
Ma la natura, che varia da una vegetazione tropicale al freddo himalayano, è ciò che colpisce di più in questo Paese! Lungo la strada centrale che porta in Bumthang e poi prosegue per il confine con l’Assam - area in questo periodo vietata ai turisti - è un susseguirsi di foreste lussureggianti, scimmie che vengono fino al bordo della strada quasi per far ammirare la loro bellezza, piccoli cervi che camminano tranquillamente al bordo della strada.
E i fiori! Quanti fiori ci sono! La foresta è punteggiata di immensi rododendri in fiore; magnolie gigantesche sorgono un po' dovunque quasi a formare un bosco nel bosco. Ogni istante c’e qualcosa di bello da vedere e fotografare.
La sera faceva freddo ma eravamo riscaldati dalle stufe a legna sistemate nella sala da pranzo. Un peccato lasciarle, perchè in camera è freddo. Per arrivare nel Bumthang si valicano tre passi fra i 3000 e i 3400 metri. Sul valico del Dochu-la sono state erette 108 stupe, sugli altri si gode un'ottima panoramica delle montagne intorno.
Puntsoling ci aspetta con un clima umido e piovoso. Una città di confine che non offre molto. Una popolazione mista fra Indiani, Bhutanesi e Nepalesi passeggiano fra le stradine non molto pulite o fanno acquisti in supermercati ben riforniti. Uscendo dall’albergo si può facilmente varcare l’arco che segnala il confine fra il Bhutan e l’India. Lo faccio spesso perchè in India si può telefonare a un costo meno elevato del Bhutan. Lo faccio perchè rientro nel caos caldo e amichevole indiano che contrasta con il paesaggio ordinato e lindo, quasi svizzero del Bhutan.
Domani varcheremo tutti insieme il confine per infilarci nella piccola casetta dell’immigration e per continuare il nostro viaggio su strade affollate, clacson rombanti e confusione. L’India.

Franco Pizzi, aprile 2005

 

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Viaggiatore: Morenita Ruggi