Capodanno a Marrakech

E’ il sorriso di Amin che ci accoglie appena arrivati, un sorriso aperto e caloroso che ci dice “Bienvenue en Marrakech” con l’espressione di letizia e di cordialità tipica di questo popolo fantastico e sorprendente.
Amin è l’amministratore tuttofare del nostro riad, colui che ho sentito la sera prima per rassicurarmi sulla prenotazione e sul transfert richiesto e che per telefono, in perfetto francese, mi ha detto di stare tranquillo, che avrei trovato un autista in aeroporto e un inserviente poco fuori la medina.
Abbiamo l’aereo alle prime luci dell’alba, un volo Easyjet prenotato nel pieno Agosto ad una tariffa veramente eccezionale (Milano/Marrakech ad appena 160€), costretto a partire mezz’ora in ritardo per permettere lo sghiacciamento delle ali a causa del terribile gelo che avvolge la Malpensa in questa prima ora del mattino, ma lo stesso poi all’atterraggio troviamo un tempo coperto che non è nelle nostre attese (anche se è sempre meglio qualche nuvola agli 0° gradi italiani!).
Da non perdere
L’aeroporto di Marrakech è nuovissimo, bianco e in stile arabo moresco, pieno di persone in partenza e, soprattutto, in arrivo per trascorrere il Capodanno in questa meravigliosa città o nella sua regione ma tutto ciò non rallenta l’espletamento delle formalità doganali (grazie anche al prestampato fornito in aereo su cui apporre le generalità e qualche informazione sul soggiorno) così, passato il controllo dei passaporti ed effettuato il ritiro dei bagagli, incontriamo all’uscita un gentilissimo signore con un cartello recante il nostro nome e quello del riad e che, in circa 15 minuti, ci lascia proprio nella piazza più viva e splendida di Marrakech, la Djemaa el Fna, davanti la figura di Amin giunto in perfetta sincronia col nostro arrivo.
Amin prende i nostri bagagli e ci conduce verso il riad, l’Hotel du Tresor, situato in una traversa della rue Zitoun el Qedim, a sud est della Djemaa: attraversiamo una porta ad arco e subito ci sentiamo avvolti nella vita di questi vicoli, scansando motorini sfreccianti e carretti trainati da pazienti muli.
I negozi iniziano ad aprire le loro serrande e nell’aria pervade un odore di fritto, che scopriamo venire da un caffè poco avanti e dovuto alle crepes che frigolano sul suo fornello bollente.
Percorriamo la strada seguendo Amin fino al primo incrocio e svoltiamo sulla destra per infilarci in una stradina laterale dove si aprono gli ingressi di altri hotel: arriviamo in fondo e risvoltiamo sulla destra di nuovo, diretti verso l’interno. Cerco di memorizzare la strada, convinto di dover percorrere vicoli e vicoletti bui invece, sempre al primo incrocio, appena si gira sulla sinistra, c’è l’ingresso al nostro riad, segnalato da un cartello e da una alta porta di legno scuro aperta.
Amin depone i nostri bagagli nell’atrio, ci avvisa che la camera non è ancora pronta e nell’attesa ci invita sul tetto per offrirci tè alla menta accompagnato da pane al sesamo, da confettura e dai beghrir, ciambelle spugnose da mangiare naturali o coperte di miele: tutto questo non è previsto e all’atto di dire ad Aziz, il giovane cameriere che ci servirà per la durata del soggiorno, di segnar sulla camera il costo, lui ci dice che la colazione ci è offerta dalla gestione.
Così restiamo seduti sul tetto di questo splendido riad, scelto quasi per caso leggendo le recensioni entusiaste di alcuni turisti che ne decantavano l’accoglienza e l’ospitalità e devo dire che non avevano alcun torto: il riad è di recente apertura, arredato in maniera molto “inusuale” per come sono i classici riad marocchini.
Ci sono pochi riferimenti moreschi se non nelle porte e in alcuni ornamenti ma gli interni sono arredati e decorati da pezzi moderni (lampade, tavoli, letti, armadi, ecc.), in totale armonia con l’ambiente circostante.
Prevarica il bianco dappertutto e il cortile interno contiene una piscina riscaldata (non ho osato chiedere se era possibile far anche il bagno) nonché un magnifico aranceto che giunge fin quasi il tetto e i cui rami ornati di frutti si possono toccare dalla balaustra che cinge il primo piano.
Ogni camera è diversa dall’altra nello stile e nell’arredamento (c’è possibilità di soggiornare anche per i singoli), in più ha una posizione a pochissimi minuti dalla Djemaa ma ha soprattutto i prezzi decisamente abbordabili anche in alta stagione.
Il gestore di questa magnificenza è il sig. Adriano Pirani, presidente della comunità italiana presente nella regione di Marrakech, ed è lui il mio punto di riferimento per tutte le prenotazioni: sul sito dell’albergo si trovano tutte le informazioni a riguardo.
Nell’attesa che ci venga consegnata la Suite Sable da noi prenotata, ringraziamo per la colazione offertaci e avvisiamo Amin che torneremo da lì ad un’ora per risolvere alcune prime incombenze legate al nostro soggiorno ossia il cambio della moneta e il pagamento di una escursione da noi prenotata.
Camminiamo lungo la Rue de Bab Agnaou fino alla sede del Credit du Maroc, che ha all’esterno uno sportellino per il cambio, e ci rechiamo alla vetrata dove un omino ci cambia i nostri soldi offrendoci 11 dirham per 1 Euro (ed è più o meno il cambio standard) e poi da qui raggiungiamo la Sahara Experience per le informazioni riguardanti la nostra escursione. Ritorniamo subito al riad dove ci assegnano la suite ripulitissima: è il momento di sistemar i bagagli e di concederci un salutare riposino (alla fine siam svegli dalle 02.00 della notte!).
Sento il muezzin del primo pomeriggio e mi sento anche fresco riposato e pronto ad affrontare la nostra prima visita quindi ripercorriamo la rue Zitoun dirigendoci verso il punto nevralgico di Marrakech, il primo posto dove tutti i turisti o i visitatori o i semplici avventori si recano, la vasta Djemaa el-Fna.
Già da lontano si ode il suono di antichi strumenti e canti tribali accompagnato dalle urla dei venditori che l’affollano mentre una nuvola di fumo indica che i primi chioschi per il cibo sono stati già installati e operano alacremente.
Alcuni gatti randagi gironzolano tra i carretti e una enorme folla si sparge per tutta la piazza: accanto ai venditori di arance e frutta secca si trovano anche quelli di souvenirs di tutti i tipi e antistante l’enorme spiazzo i turisti si barcamenano tra spettacoli vari e personaggi dai mille mestieri.
Un gruppo di ballerini africani nei loro costumi sgargianti esegue una danza tribale mentre affianco un omino anziano espone dentiere e denti da otturazione; più in là alcune donne velate offrono i loro servigi per disegnare sulle mani ghirigori con l’henné e un uomo circondato da una folla di persone racconta una storia incomprensibile per chi non conosce l’arabo. Dai ristoranti situati sulla piazza odori di fritture si espandono nell’aria ed un costante sentore di spezie pervade ogni angolo.
Alle spalle della Djemaa (non oso definirla piazza nel nostro stretto termine, questo posto è qualcosa di più) si trovano gli ingressi a quel labirinto semicoperto che è la zona dei Suq, piena zeppa di negozi che vendono ogni genere, dai ninnoli alla gioielleria, dai cellulari alle lavatrici riaggiustate per passare alle stoffe, alle scarpe, ai souvenirs di terracotta e legno fino alle cincaglierie d’antiquariato.
E poi negozi di vendita di carne, frattaglie, pesce, frutta, spezie, sali da bagno, sali da cucina, olii profumati fra cui quello famoso d’Argan e le pasticcerie, le cui patisserie saranno un ottimo ristoro nelle visite quotidiane a questa enorme bolgia umana.
La Djemaa ci prende, ti prende, non si può far a meno di venirci almeno una volta al giorno e almeno una volta la sera: tutti ti chiamano, ti invitano, ti rincorrono per una foto o per una ripresa di videocamera, per apparire, per far soldi, per allietarti.
Se si fa una foto almeno 5 dh vanno dati (per 50 centesimi perché non farsi fotografare con i venditori di té o con i ballerini berberi?) ed ovviamente bisogna far attenzione anche al portafogli sebbene la polizia vigili costantemente su questa affollatissima e movimentata spianata.
Verso sud le file di caleches aspettano i turisti per il consueto giro intorno le mura ma la nostra attenzione è tutta per l’altra perla di Marrakech, il suo simbolo nel mondo: la Koutoubia.
Questo splendido minareto, sulla cui figura sono poi stati modellati alcuni altri minareti famosi come la Giralda di Siviglia e la Tour Hassan di Rabat, è separato dalla piazza da una trafficatissima via dove attraversare è veramente un’impresa ardua per chi non è abituato al traffico pazzo ma vedere da vicino questo splendido minareto fa dimenticare l’avventura nel traffico e solo così si può apprezzare la bella figura artistica che lo contraddistingue.
Da qui il muezzin invita alla preghiera con ampi altoparlanti e il cui suono lo si può udire notte e giorno per tutta la città mentre di sera questo posto si presenta con i suoi adiacenti giardini come un’oasi di pace in cui compiere una piacevole e fresca passeggiata.
Siamo frastornati: i rumori, le urla, gli odori, i clacsons e la musica dei negozi ci colpisce e ci rintrona ma ci affascina. E’ il caso, allora, di rifugiarsi sulle terrazze di un caffè, uno dei tanti che si affacciano sulla Djemaa e scegliamo il café Aqua ma c’è puzzo di piscio di gatto tra i tavoli e tira anche un leggero vento fresco, dovuto allo sbalzo di temperatura tipico quando la sera inizia a scendere: sarà la nostra ultima visita a questo cafè, gli altri sono migliori.
Suggerisco di ritornare in albergo e prepararci per la sera quindi ripercorriamo la rue Zitoun tra i negozi sempre aperti, i gruppi di giovani diretti alla Djemaa e i non rari mendicanti che si appostano negli angoli di questa strada pedonale (si fa per dire) ma trafficatissima di uomini e di mezzi.
Amin ci consiglia un ristorante sulla rue de Bab Agnaou che seppur scenograficamente bello, alla fine non si è rivelato gastronomicamente allettante.
Mi sveglio nella notte sentendo l’acqua picchiettare il pavimento esterno: piove a Marrakech. Che mi sia portato la mia nuvoletta da impiegato?
Ciò costringe tutti a far colazione nel salottino così conosciamo gli altri ospiti: una vichinga bionda che gira da sola per il Marocco; una italiana di Parma che si confessa amante di questo paese; una giovane di origine sudamericana che vorrebbe stabilirsi qui a Marrakech ed una coppia di amici in partenza per il deserto.
Tutte le donne girano da sole e ci dicono di non aver mai avuto problemi di sorta perché basta essere discrete, avere sempre una pashmina a disposizione e rispettare i loro usi e costumi.
Sebbene piove a tratti e non con grandi scrosci, ci organizziamo in modo da effettuare una prima visita ai luoghi più interessanti ed allora andiamo di buona lena verso il Palazzo el-Badi, posto a sud della medina, per entrare nei resti di uno delle più fastose residenze che la città abbia posseduto: pare che le sue pareti fossero coperte di gemme e pietre preziose e che marmi pregiati fosseri stati importati per la sua costruzione ma di tutto questo resta ormai nulla e sui suoi muri spertugiati fanno il nido le cicogne, giusto per dare un tocco esotico in più alla sua bellezza svanita.
Ma di luoghi da visitare ce ne sono ancora da scoprire: nei pressi della Porta Bab Agnaou c’è l’ingresso quasi seminascosto delle Tombe dei Saaditi, un complesso funerario scoperto quasi per caso agli inizi del secolo scorso e che consta di una serie di tombe racchiuse in uno spazio neanche molto vasto: facciamo la fila per entrare in quello principale, sebbene poi l’accesso completo non è consentito e si può ammirare da una balaustra il vasto spazio sepolcrale interno.
Vicino alle Tombe c’è un centro artigianale in cui facciamo un giro per vedere cosa offre l’artigianato locale e quali sono i prezzi a cui commisurarsi quando affronteremo i temibili (si fa per dire) venditori della Medina.
Ritorniamo in centro lungo la rue Zitoun Said in cui fervono lavori di scavo e dove non s’è assolutamente pensato di imporre lo stop a carretti e motorini così, oltre a schivar questi ultimi, dobbiamo saltare tra una pozzanghera e l’altra ed evitare fanghiglia e fossi vista l’assoluta mancanza di marciapiedi (d’altronde che senso avrebbe averli? E’ una zona pedonale, vecchia, nata proprio per far camminare solo uomini e animali, non certo auto e motorizzati vari).
Riattraversiamo diagonalmente la Djemaa e ci inoltriamo nella rue el Mouassine, seguendo rigorosamente la via principale per non perderci in quell’intricato labirinto di vicoli, bancarelle e negozi e guardandoci attorno come bambini che guardano vogliosi e curiosi un negozio di giocattoli o dolciumi.
Arriviamo non si sa come alla Moschea Mouassine, una delle più grandi di Marrakech (e per noi cristiani una delle più inavvicinabili) proprio mentre escono gli uomini dalla loro preghiera e ci fermiano a guardare un attimo la processione di fedeli aggiustarsi magliette e pullover o infilarsi le scarpe obbligatoriamente tolte prima di entrare. Appena usciti loro, ecco la fila delle donne, alcune coperte totalmente altre con un sol velo che, veloci come se dovessere andar a preparar cena, si disperdono per i vicoletti. Un gruppetto di loro si ferma davanti la vicina Fontana Mouassine, un tempo luogo di incontro per la popolazione che qui veniva ad attingere acqua, lavare stoviglie e panni e far abbeverare gli animali, ora solo uno dei tanti luoghi turistici.
Ci passiamo davanti, inoltrandoci nel suq Sebbaghine o suq dei tintori che, a parte per il cartello all’ingresso, lo si riconosce subito dall’odore, acre ma al momento non sgradevole e anche perché molti dei negozianti filano cotone o tingono piccoli gomitoli: la scena è inusuale e affascinante allo stesso tempo.
La strada che percorriamo (sempre col timore di perderci) si incrocia con il suq Stailia quindi ci fermiamo e controlliamo la piccola mappa che abbiamo con noi: se svoltiamo a destra ritorniamo verso la Djemaa mentre se svoltiamo a sinistra ci troviamo ad un bivio che porta ancora più dentro la medina.
Giriamo allora a sinistra, trovandoci subito ad un altro bivio e teniamo la destra per entrare nel suq Smata, quello in cui la vendita delle babbucce è l’elemento principale: infatti è pieno di babbucce di tutti i tipi, di tutte le forme, di tutti i colori e di tutti i tipi di lavorazione.
Meno male che un cartello ci indica la strada così sbuchiamo in quel piccolo ma a cielo aperto slargo che è la Piazza ben Youssef dove dall’altra parte si trova l’ingresso al Museo di Marrakech, uno dei più grandi del Marocco, costruito all’interno di uno splendido ed antico riad restaurato appunto per ospitarlo: compriamo il biglietto cumulativo per altri posti da visitare di 60 dh ed accediamo a questo bel palazzo, la cui magnificenza è un patio coperto nei cui bhoua (piccole nicchie provviste di sofà sui cui sedersi) troviamo un momentaneo ristoro alla camminata e alla pioggia.
Gironzoliamo per le sue sale e per le sue corti, ammirando la collezione di artigianato berbero ricca di collane, braccialetti, diademi e oreficeria di vario genere nonché degli immancabili pugnali e restiamo un po’ sconcertati per la presenza di quadri moderni, forse poco in tono con l’ambiente.
Fuori non piove più ed è l’occasione per andare alla Qubba Ba’adiyn proprio di fronte: questa cupola è tutto ciò che resta del luogo dove i fedeli compivano le loro abluzioni prima di accedere alla moschea antica di Ali ben Youssef, la cui nuova ricostruzione fronteggia il piccolo monumento antico.
Nel nostro biglietto cumulativo è compresa un’altra visita ed infatti giriamo l’angolo a nord per trovar un pochino nascosta (ma riconoscibile dalla presenza di venditori davanti che aspettano con varie mercanzie i turisti che entrano od escono) la Medersa di Ali ben Youssef, una scuola coranica aperta al pubblico.
Entriamo in un corridoio semibuio per sbucare in un cortile bellissimo, che ricorda molto i palazzi andalusi visitati la scorsa estate ma una strana luce mette in risalto questo ameno posto al momento pieno solo di turisti.
Alziamo lo sguardo per notare le piccole finestre che si affacciano sul cortile e l’architettura delicata dei portici, ricchi di decorazioni e di stucchi e saliamo poi al piano superiore dove entriamo nelle piccole celle e ci affacciamo dai balconi, ammirando il cortile da questi: ogni cella poteva contenere più studenti e in queste centrali alloggiavano invece le personalità più importanti.
Mi accorgo che è pomeriggio inoltrato ed è il tempo di ritornare al nostro riad per prepararci a questa serata di ultimo dell’anno ma nel tentativo di sviare alcuni commercianti un pochino insistenti sbagliamo strada e ne percorriamo una che ci fa allungare di un po’ il rientro e per giunta inizia anche a piovere più insistentemente.
Questa disgressione dal tragitto originale ci porta però nelle zone di Bab Doukkala, forse la parte della medina meno turistica e camminiamo così guardandoci intorno e scoprendo la Marrakech più autentica, fatta di piccoli antichi palazzi, di negozi improbabili (passiamo davanti un meccanico che ha una vetrina piena di cellulari e un’altra di barattoli d’olive!) e dell’assoluta mancanza di una rivendita di ombrelli.
Amin ci viene incontro nel piccolo riad offrendoci tè alla menta che accettiamo volentieri giusto per toglierci l’umidità di dosso ed assisto così alla preparazione della buonissima bevanda: si versa acqua calda nell’apposita teiera, la si risciacqua e la si getta poi viene inserito un ramo intero di menta fresca e dell’altra acqua, che viene però di nuovo rigettata ed infine si ricopre il tutto con altra acqua calda, si attendono alcuni minuti e poi la si fa colare dal lungo beccuccio nel bicchiere facendo in modo che la teiera versi partendo dal basso e risalendo verso l’alto e si riempiono i bicchieri senza far cadere una goccia!
Leggo da qualche parte dei miei appunti di andar a cena da Chez Chegrouni proprio nella Djemaa e mai consiglio migliore ci è stato dato così il nostro cenone di ultimo dell’anno è composto da una portata di couscous al pollo e legumi accompagnato da olive verdi, patatine fritte e uno squisito pane arabo da sbocconcellare nell’attesa dell’ordinazione (di sicuro è anche il cenone più economico: appena 9€!).
A mezzanotte siamo sul tetto del riad, ad ammirare il cielo che si è aperto e la luna che brilla tra le stelle: l’aria è tersa e fresca, sui tetti degli altri riad c’è gente che mangia, ride, qualcuno balla fino a che una voce quasi unica conta alla rovescia “dix, neuf… trois, deux, une et Bonne Année!”. Benvenuto 2009 in terra di Marocco.
Dal diluvio del giorno prima passiamo alla splendida giornata di questo 1° Gennaio 2009 e anche il resto degli ospiti, come noi, si concede la colazione un po’ più tardi del solito ma la nostra organizzazione non prevede fretta: oggi ce ne andiamo per giardini.
Ritorniamo verso il sud della Medina per ammirare il Palazzo de la Bahia, che ieri abbiamo saltato perché chiuso mentre oggi, tersa giornata piena di sole, è aperto ed affollato di turisti.
L’ingresso è molto economico (10 dh) e ci consente di visitare le sale e i cortili infiorati pieno d’alberi di limoni ed aranci senza ovviamente disprezzare alcune sale interne: gli splendidi soffitti e gli zellij delle pareti ne fanno una perla artistica di notevole bellezza.
Rubiamo da una guida qualche stralcio di storia e sappiamo così che qui viveva un gran visir con le sue mogli e concubine nello sfarzo totale ma poi tutto fu depredato alla sua morte.
Fuori da palazzo alzo la mano e un tassista si ferma quasi immediatamente inchiodando e chiedendoci dove siamo diretti: “Jardin Majorelle” dico e domando se ha il conteur. Ovviamente come quasi tutti i tassisti non ce l’ha quindi mi tocca contrattare e decidiamo per una cifra di 50 dh essendo la nostra meta situata a nord e nella zona moderna. Accettiamo e, mentre ci trasporta, ne approfittiamo per vedere la parte nuova di Marrakech.
A dispetto di chi la considera come la più africana delle città marocchine, la parte moderna è composta dai quartieri di Gueliz, Hivernage e Ville Nouvelle e consta di edifici moderni in stile arabo, larghi viali e centri commerciali mentre la variopinta folla di persone passeggia o si muove utilizzando nuovi autobus.
Ci guardiamo intorno, notando anche parecchi scheletri di nuove costruzioni lungo il tragitto e auto e modelli appena usciti dalle fabbriche ma questa “modernità” si trova ogni tanto a far scontro con il passaggio di un carretto pieno di fascine o della totale mancanza di regole stradali.
I Giardini Majorelle sono deliziosissimi, silenziosi, e con un’aria chic che incuote un certo timore ma suscita anche molto fascino: è qui che Yves Saint Laurent (il famoso stilista) è vissuto ed in suo onore è stato elevato un memoriale.
I giardini, incontro di architettura e natura, sono perfettamente curati e pieni di piante esotiche di vario genere e si arricchiscono di ponti, fontane e laghetti artificiali che permettono una lieta passeggiata tra il verde della natura e i colori (blu in prevalenza) delle costruzioni: fa caldo e star qui seduti su una panchina a prendere il sole, pensando a nulla, ascoltando il rumore dell’acqua nei canali e il borbottio dei turisti ci fa l’effetto di un anti-stress che calma le tensioni.
Stress che però ritorna appena usciti: scansiamo caleches e file di turisti in entrata per trovare un altro tassista che ci porti di nuovo indietro e ci accordiamo con uno nuovo per farci trasportare ai Giardini la Menara, situati affianco all’aeroporto, e per altri 50 dh l’autista ci lascia all’ingresso proprio davanti il muso incartapecorito dei cammelli che vengono impiegati per le consuete foto coi turisti.
La giornata festiva riempe questi giardini di turisti ma anche di cittadini, soprattutto coppie e gruppi di giovani che camminano lungo l’enorme vialone che conduce alla vasca principale e al padiglione eretto sul lato nord. Fa caldo veramente e ci spogliamo dei nostri pullover mentre sullo sfondo compaiono come una cartolina le cime dell’Atlante, la catena montuosa che percorre il Marocco, tutte innevate e a tratti coperte di nuvole: il panorama è veramente bello e veder accostate alte palme con questi picchi bianchi di neve risulta molto strano.
Rientriamo a piedi in città, facendo i 2 e più chilometri di strada dritta con lentezza, salutando i turisti sui caleches e rispondendo ai clacson dei motorini diretti ai giardini. Ad un tratto, in uno slargo verde, dietro dei cespugli compaiono tre piccoli cammelli che pascolano allegramente noncuranti del casino e del traffico a pochi metri da loro: dopo gli scoiattoli di New York, le mucche di Amsterdam e le alci di Stoccolma, vedere i cammelli in Marrakech completa l’album de “gli animali liberi in città”!
Arriviamo alle rosse mura nel pieno pomeriggio, proprio alle spalle della Koutoubia, e facciamo il pensiero di recarci a prendere un bel tè alla menta e un po’ di pasticcini così proviamo quelli di Yakouba, una patisserie in rue el Koutoubia: entriamo nel negozio e scegliamo due pasticcini di ogni tipo che il giovane commesso ripone in un sacchetto (saranno stati una ventina di piccoli dolcini di vario genere). Fatta la scelta, ci pesa il tutto e ci fa pagare 20 dh ossia 2€! Fuori iniziamo ad assaggiare quel ben di Dio di bocconcini e ci sono i dolci al cocco, i pralinati al miele, i cuori con confettura e le frolle con le noci. 2€ di bontà e di delizia! Mi sa che diventiamo clienti di questo posto.
Ci perdiamo di nuovo nella Medina, giusto per iniziar a far occhio a cosa comprare per i soliti souvenirs da portare e poi rientriamo al riad.
La cena allo Chez Chegrouni è composta di un tajine con carne e legumi squisita ma ho ancora in bocca il sapore di quelle deliziose patisserie assaggiate nel pomeriggio.
E’ sveglia presto in questo altro splendido giorno dal cielo azzurrissimo poiché siamo diretti a Essaouira con l’escursione prenotata alla Sahara Experience così che poco prima delle 8 entriamo nella sede per effettuare il pagamento e scopriamo che siamo gli unici viaggiatori.
Aggiungo purtroppo perché, dopo uno scambio di email fatto prima della partenza, la gentile signora mi aveva avvertito che, in caso di presenza di altre persone, il prezzo si sarebbe notevolmente abbassato ma lo avremmo saputo solo all’atto della partenza e poiché ci siamo presentati solo noi due, paghiamo 450 dh a persona per ottenere un pulmino tutto a nostra disposizione e Youssef, un autista efficiente e poco pretenzioso.
Partiamo celermente per la città sul mare, sebben il tragitto di 3 ore è intervallato da una prima sosta in una sorta di autogrill, aperto apposta per il ristoro dei turisti (le esigenze fisiologiche sono impellenti dopo ore su una strada lunga, scorrevole ma leggermente dissestata), e da una successiva effettuata prima di Essaouira, su uno spiazzo panoramico dove sono presenti gli immancabili cammelli.
Durante il viaggio attraversiamo piccole città e villaggi, divisi in due da questa striscia d’asfalto dove noncuranti camminano pedoni e ciclisti, carretti, motorini strombazzanti e vecchie auto e dove si aprono improvvisi mercati o si riuniscono in isolate piazzole coloro che attendono gli autobus dagli orari incerti: incrociamo anche i lavoro dell’autostrada da Casablanca ad Agadir e per un tratto camminiamo nello sterrato perché la strada è in completo ampliamento e rifacimento.
Alcuni scolari ci salutano mentre aspettiamo che la polizia controlli la patente al nostro autista (è prassi, il poverino comunque guida nei limiti di velocità) e più avanti troviamo anche le famose capre sugli alberi d’argan anche se Youssef ci fa presente che sì che ci salgono da sole ma spesso i contadini, sapendo che più o meno entro una certa ora passano i pullman di turisti, ce le mettono loro così chi vuol scattare foto deve dare un obolo.
Youssef ci lascia al porto dandoci appuntamento nel pomeriggio per il rientro e ci inoltriamo per l’arco d’accesso dove subito un bellissimo panorama si apre ai nostri occhi: stormi di gabbiani volano sulla spiaggia e la città si presenta sullo sfondo in tutta la sua bianchezza ed estensione.
Entriamo dalla porta sud e percorriamo la ave Sidi Mohammed, poi giriamo a sinistra intrufolandoci in quel dedalo di vicoletti, alzando gli occhi ad ammirare le architetture portoghesi o arabe dei palazzi sovrastanti e fermandoci a fotografare mirabili ingressi colorati. Predomina il bianco e il blu tra i colori, come se la città non volesse perdere il contatto tra il cielo ed il mare adiacente. Ai piedi della Skala de la Ville troviamo un piccolo mercato i cui prezzi sono inferiori a quelli di Marrakech e dove soprattutto non c’è l’assillo dei venditori che vogliono mostrar tutte le merci: ne approfittiamo per comprare pashmine e borse fatte a mano e poi ci involiamo sui bastioni, ammirando oltre questi il mare che s’infrange sugli scogli sottostanti e lasciando alle nostre spalle la città che si erge sul basso sperone roccioso.
Pranziamo in maniche corte con un’ottimo couscous al pesce e sardine alla griglia in uno dei tanti locali di fronte la moschea (di cui però non ricordo il nome, dimenticato più che altro per il pessimo servizio ottenuto anche se il cibo invece è stato buonissimo) e affrontiamo poi l’ora postmeridiana mangiucchiando alcuni dolci fatti di miele e mandorle comprati da un fornaio e passeggiando sulla ave de l’Istiqlal senza fretta, fermandoci nei negozi e facendoci accarezzare dal bel sole splendente..
Youssef giunge all’appuntamento dopo alcuni minuti esserci arrivati noi, provenienti dalla visita alla Skala du Port da cui si apprezza veramente la bellezza di Essaouira e da dove si può spaziare con lo sguardo anche sull’enorme e lunga spiaggia che si trova poco fuori la città: gentilmente, ci chiede com’è stata la visita, cosa abbiamo visto e se siamo rimasti soddisfatti.
Torniamo quindi indietro e ripassiamo in quei piccoli villaggi già visti ma del ritorno ci rimane impresso soprattutto il tramonto che arrossa il cielo e l’argilla della terra, regalandoci una bellissima visione delle colline infuocate e facendoci comprendere perché la bandiera del Marocco è di questo colore.
Alla periferia di Marrakech rimaniamo imbottigliati nel traffico ma la lentezza della coda mi permette di guardare meglio la nuova struttura della stazione ferroviaria e l’adiacente Teatro Reale.
E’ tempo d’acquisti in questa di nuovo uggiosa giornata e l’intenzione è proprio quella di intrufolarci nei suq ed affrontare i temibili venditori quindi ci prepariamo psicologicamente agli incontri.
Nei suq c’è da perdersi letteralmente, tra vicoli, vicoletti, le qissarie (i mercati coperti), piazzette nascoste, voci e urla, carretti che intralciano il cammino e i bambini che si offrono di accompagnarti alla Djemaa e se poi si accorgono che sei italiano, i vari “Campioni del mondo” o “Totti” o “Inter” (?) sono gli appellativi più comuni con cui ci chiamano.
Il primo errore lo commettiamo in un negozio di terrecotte quando imprudentemente indico alcune tajine colorate che mi piacciono: mai indicare la merce! In un baleno mi trovo il venditore alle costole che vuole vendermele ma il prezzo, per i miei gusti, non è pari a ciò che voglio spendere e poi la sua insistenza porta allo sfinimento quindi mi limito a ringraziare e andar via.
Troviamo un negozio gestito da un vecchietto carinissimo che vende delle babbucce deliziose e ci lascia guardare senza intervenire: ne compriamo un paio, sempre contrattando ma almeno ci ha lasciato guardare liberamente.
Più avanti ci fermiamo in un altro negozio di terrecotte dove sulla porta c’è un omone alto con una lunga barba nera ed un caftano dello stesso colore e c’invita ad entrare e a guardare mentre lui rimane sulla porta. Siamo colpiti favorevolmente e ci aggiriamo così tra la merce esposta: chiedo il prezzo per ogni prodotto che mi interessa, faccio mentalmente la somma e poi sparo il prezzo che offro per la merce che intendo prendere. L’omone nero ci pensa su ma aggiunge qualche dirham. Io allora aggiungo un altro prodotto a quel prezzo, lui sale ma di meno. Resto fermo al prezzo e lui allora scende del suo fino a stabilirci sui 300 dh: con 33€ ho fatto regali per una ventina di persone.
Saliamo lungo il suq Semmarine e subito dopo l’insegna “Ethno” che si vede chiaramente giriamo a destra dove nascosta da piccoli vicoli c’è la Rahba Qedima, una piazzetta che troviamo bellissima: tappeti stesi al sole; un odore di spezie che pervade l’aria; tanti manufatti in legno esposti sui banchetti e un viavai incessante di gente.
Mi viene l’idea di andare in un hammam e poiché ci han dato la reclame di uno appena aperto, ci rechiamo dietro il Café de France alla Djemaa percorrendo la rue des Banques e svoltando alla seconda sulla destra: scendiamo pr il deerb Zaari fino al numero 27 ed entriamo alla Medina s.p.a..
Il depliant riporta prezzi ragionevoli (hammam+gommage 100 dh o trattamento anche con la maschera a 300 dh) e la gentile signorina ce li conferma e ci spiega che però loro lavorano solo su appuntamento e che sono al momento pieni ma si poteva prenderne uno per i prossimi giorni: purtroppo chiarifico che siamo in prossima partenza però non mi sarebbe dispiaciuto poter usufruire del bell’ambiente e chiunque poi ci possa andare, spero mi faccia sapere com’è stata l’esperienza.
Una sosta al Café Argana sulla Djemaa è il miglior modo per godersi le patisserie marocchine con un buon caffè seduti comodamente sulle sue terrazze a godersi il passeggio e il sole che picchia ed è uno spettacolo che veramente si vorrebbe mai fermare.
C’è un ultimo giro da fare, quello all’Ensemble Artisanal, sulla avenue Mohammed V, in cui si trovano negozi di vario genere riuniti in una specie di cooperativa con i prezzi fissi ma con la qualità garantita ed apprezziamo infatti i bei lavori dell’arte tessile berbera, alcuni pezzi di legno intagliati al momento, comodi capi in vera pelle e soprattutto le colorate terrecotte, di ottima fattura ma di prezzo maggiore rispetto a quelle dei suq.
Impegnamo il resto del tardo pomeriggio a rifare la valigia introducendovi i souvenirs e pregando che non si rompano e, dopocena, come ultimo giro, ci perdiamo ovviamente nella Djemma che di sera, soprattutto dalle terrazza dei ristoranti, con le luci dei banchetti di ristoro e la nuvola di fumo d’arrosto che si eleva, è uno spettacolo indimenticabile: saltimbanchi e narratori, giocatori e venditori di frutta secca e datteri continuano a imperversare imperterriti e la folla invade anche la vicina rue de Bab Agnaou, in cui la musica ad alto volume sparata dai negozi di dischi dura incessante fin oltre mezzanotte.
Quando di buon ora attraversiamo la piazza ancora addormentata trainando le valige, da un’angolo una donna anziana ricoperta da un velo e con una ciotola fumante in mano ci vede passare, alza i suoi occhi dolci, ci sorride e ci augura “Bon Voyage”: ho gli occhi umidi mentre entro in taxi.

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