Bruno Detassis, “grande vecchio” del Brenta

Un uomo, le sue montagne: una cosa sola!

La comunicazione moderna, ben lo sappiamo, si avvale di strategie che nulla lasciano al caso. Tra i tanti effetti c’è quello, spesso fastidioso, dell’imporsi prepotente di determinati vocaboli, espressioni o modi di dire che per un certo periodo ci martellano tramite tutti gli organi di informazione, salvo poi finire nel cestino per essere soppiantati velocemente da altri che i Grandi Comunicatori ritengono più efficaci.
Una notevole presa sul pubblico, ad esempio, hanno oggi espressioni quali “storia minore”, “piccolo è bello”, “prodotto di nicchia” o analoghe, tese ad ottenere un effetto opposto al significato letterale: quello cioè di indurre successo contraddicendo di fatto quanto di limitato, poco noto o di ridotta importanza quelle espressioni suggeriscono.
Questa divagazione potrebbe sembrare impropria, se non stravagante, in una rubrica che tratta i temi della montagna, ma non lo è. Voglio infatti parlare un po’ di alpinismo dolomitico, una storia costellata di una miriade di personaggi definibili “minori” nel senso di essere poco noti al di fuori di un ambito ristretto, ma invece grandi, nella persona, nel cuore e nello spirito.
Sfogliando di tanto in tanto le pagine un po’ logore dei volumetti rilegati in tela grigia delle guide CAI-TCI allineati nella mia biblioteca, mi ritrovo davanti nomi legati alle grandi ascensioni e familiari a chi ha un po’ di conoscenza del mondo alpino, dolomitico in particolare: parlo ad esempio di Castiglioni, Preuss, Cassin, Grohmann, Piaz, Pedrotti, Zsigmondy, Comici, Detassis, che però suoneranno ignoti ai non appassionati. Poi però vediamo che le guide di riferimento in vendita in libreria, a distanza di decenni, continuano a essere quelle che proprio alcuni di loro compilarono decenni fa e allora è evidente che, quegli uomini, “minori” proprio non lo sono!

Tra coloro che, così di getto, ho citato, mi è particolarmente gradito parlare un po’ di Bruno Detassis. Questo per diverse ragioni: la più immediata è di essere l’unico oggi in vita, cosa che mi ha consentito di conoscerlo personalmente incontrandolo più volte, anche se per lui so di essere solo uno dei tanti e non pretenderei di essere riconosciuto; ma soprattutto per una vita costellata di eventi straordinari che, all’età di 94 anni, ne fanno il “grande vecchio” del Brenta, personaggio simbolo che è l’incarnazione stessa di quel gruppo montuoso.
Mi addentrai per la prima volta nel Gruppo di Brenta a fine agosto del 1978, effettuando con un gruppo di amici il classico itinerario di traversata che da Madonna di Campiglio porta tramite funivia al Grosté e tocca in successione i Rifugi Tuckett, Brentei, Pedrotti, Selvata, Croz dell’Altissimo per concludersi a Molveno: una successione di scenari strepitosi, meritevoli magari di essere descritti in un successivo articolo, che nel mio caso fecero scattare un amore a prima vista per quei monti che permane tuttora a distanza di un quarto di secolo.
Ma dicevo di Detassis, o meglio, più familiarmente per quanti lo conoscono, “il Bruno”. Classe 1910, fatello maggiore di Catullo e Giordano, anch’essi ben noti nell’area dolomitica, ha dedicato tutta la vita alla montagna e all’alpinismo, quale autore di ascensioni memorabili, guida alpina tra le più esperte, tracciatore di itinerari, gestore di rifugi, soprattutto uomo di grande integrità, di poche parole e molti fatti: frasi spesso attinte a piene mani dal cassetto dei luoghi comuni, ma in questo caso quanto mai perfette per caratterizzare il personaggio.
Vidi per la prima volta Bruno Detassis proprio durante quella gita del 1978, dapprima nella sala da pranzo del Brentei, il rifugio da lui gestito dal 1949, intento a portare in tavola i minestroni, di lì a poco sul cortile esterno a tagliare e accatastare legna. Ancora ignaro di quel mondo dolomitico che solo con gli anni avrei conosciuto e amato, non avevo idea di chi fosse quell’uomo e credo di averlo considerato uno degli inservienti del rifugio, un po’ attempato anche se arzillo.
Anno dopo anno mi appassionai poi, ad ogni mio soggiorno nelle vallate trentine, ad approfondirne la conoscenza con l’acquisto di mappe, guide, libri di storia alpinistica, in qualche caso scovati sugli scaffali polverosi delle bottegucce di paese, e ci volle poco a capire chi era Bruno Detassis.
Originaria di Trento e quindi di estrazione cittadina, la famiglia Detassis fu tra le poche generazioni di guide alpine a non avere radici montanare. Il Bruno “cittadino” adolescente cominciò quindi ad arrampicare quasi per caso, recandosi con i coetanei sulle palestre di roccia dei dintorni e rivelò subito doti fuori dal comune, che lo posero in breve un palmo sopra tutti gli altri.
Negli Anni Trenta fu protagonista assoluto non solo in Brenta ma anche nel resto dell’ambito dolomitico e un po’ in tutto l’arco alpino. Spiccano salite memorabili per tecnica, forza, coraggio e intuito nell’individuare sempre la via più logica, quali la parete nord-est della Brenta Alta nel 1934, la nord-est del Crozzon di Brenta (la mitica Via delle Guide) nel 1935, la sud-ovest del Croz dell'Altissimo nel 1936, il pilastro di destra della parete sud-est della Cima Tosa nel 1937, per limitarsi solo al Gruppo di Brenta. Ma anche grandi imprese sulle Pale di San Martino, sul Sella, sul Monte Bianco e sul Rosa, nelle Alpi Francesi, fino alla lontana Patagonia. E chi, lungo gli itinerari escursionistici delle valli dolomitiche, alza il naso verso quelle vertiginose muraglie di roccia, non può non provare un brivido al pensiero di imprese compiute in tempi in cui la rudimentalità delle attrezzature imponeva che il valore imprescindibile fossero le doti dell’Uomo.
Oltre alla grande quantità di vie di salita aperte, merita una citazione la longevità del Bruno, ove si pensi che nel 1989 (novantesimo anniversario della prima ascensione) scalò per la 183esima volta il Campanile Basso, quindi alla... verde età di 79 anni!
Un altro suo capolavoro, realizzato negli Anni Trenta con un gruppo di amici fidati, è la Via delle Bocchette, meraviglioso itinerario in quota ricavato sfruttando e dotando di infissi di sicurezza le cenge naturali di cui un massiccio montuoso stratificato come il Brenta è ricco per unire numerosi piccoli valichi (localmente, appunto, bocche o bocchette) che mettono in comunicazione le varie valli del Gruppo. Il risultato è quello che qualcuno ha definito “il più bell’itinerario tra Vienna e Nizza”, una traversata entusiasmante nel cuore più profondo di montagne già di per sé spettacolari, in un continuo mutare di scenari, sfondi e prospettive. Senza esagerare, un percorso che non può mancare nel “palmarès” di ogni appassionato di vie ferrate (anche se è una delle meno difficili, grazie anche a una messa in sicurezza esemplare).

Tornando all’esperienza personale, ricordo una breve chiacchierata, con tanto di sua firma fattami porre nella prima pagina della mia guida del Brenta (di cui fu co-autore insieme con l’inseparabile compagno di cordata Ettore Castiglioni), in un albergo di Molveno in occasione di una celebrazione sulla montagna alla fine degli Anni Ottanta; ho ben nitida la sua figura, solo apparentemente burbera, calata incongruamente in una giacca e cravatta che chiaramente “non sentiva sue”.
Ricordo con altrettanto piacere il ripetersi ogni anno, tra il 1979 e il 1991, della classica escursione al Brentei, quella gita che, da parte sia dei valligiani che dei turisti, è sempre stata definita “Andiamo su dal Bruno?”; e ogni volta, tra un minestrone e un grappino, ecco sbucare in sala da pranzo la sua folta barba bianca sempre più lunga a seppellire l’immancabile pipa.
Negli ultimi dieci anni sono tornato nel Brenta solo saltuariamente, ma ho spesso notizie del “Grande Vecchio” a mezzo di amici che frequentano Madonna di Campiglio sia d’estate che d’inverno. So ad esempio che di recente ha perso l’adorata moglie Nella, che è ancora in gamba a 94 anni, anche se ci vede più poco: però non rinuncia, di tanto in tanto, a salire, con l’ausilio della teleferica, al Brentei, il rifugio gestito dal 1949 al 1988 e poi affidato al figlio Claudio che oggi lo conduce con altrettanta dedizione. Ed ogni volta che “il Bruno” torna su è occasione di grande festa!

Da sempre uomo di poche parole, Bruno Detassis ha sempre amato esprimersi, spesso in dialetto, con concetti semplici ma intrisi di verità. "Ricordetelo ben, se rampega prima cola testa, po' coi pei, e sol ala fin cole man": così può capitare di sentirlo dire riferendosi a un alpinismo moderno che sembra spesso volere esasperare i valori atletici anteponendoli a quelli della sana pratica della montagna.
Ed emblematica rimarrà sempre una massima a lui cara: “Prenditi il tempo, ma non la vita”. Una lezione semplice oggi troppo spesso trascurata, e non solo nel mondo alpino.

Aggiornamento, quattro anni dopo la stesura dell'articolo: Bruno Detassis è mancato l'8 maggio 2008, un mese e mezzo prima di compiere 98 anni.

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