Amazing Zimbabwe! - Parte seconda

L’ennesima conferma che l’Africa non tradisce mai i propri estimatori!

E' la seconda e conclusiva parte del resoconto già presente sul sito con lo stesso titolo.
Itinerario
18 luglio 2011
E’ malinconico lasciare una situazione piacevole e persone con le quali si sono condivise giornate intense. In balia di questo sentimento, con i canadesi e Brian, prendiamo posto sulla jeep, ancor prima del sorgere del sole e per l’ultimo viaggio insieme.
Il freddo è a dir poco tagliente, siamo stretti nelle mantelle e silenziosi, concentrati sul paesaggio che si svela, colorandosi di tinte delicate, all’alba.
Attraversiamo una serie di savane sconfinate, dalla bellezza struggente, incontrando solo qualche coppia di minuscoli dik-dik, sparuti gruppi di impala e un magnifico serpentario, uccello predatore di grandi dimensioni.
Innumerevoli bufali in corsa, come un fiume impetuoso, attraversano la pista. Brian avanza, rallentando solo un poco, interrompendone il flusso. E’ un peccato perché i bufali si disperdono e li perdiamo di vista, ma a discolpa della guida va detto che quello di questa mattina è solo un trasferimento, la strada da percorrere è ancora molta e il tempo è misurato.
Infatti, raggiunto l’airstrip, una striscia di terra spianata nel nulla di una prateria, due piccoli Cessna 206 ci stanno già attendendo.
I canadesi partono per primi, tornano a Victoria Falls per trasferirsi subito dopo sul fiume Chobe.
Trascorsi pochi minuti, anche noi prendiamo il volo.
Adoriamo questo mezzo di trasporto che sorvola paesaggi sempre meravigliosi.
Lasciato il Parco Hwange, si vola sull’altopiano centrale, l’alto tavolato scende gradualmente, con due netti “gradini” formati da cordoni di colline, e si esaurisce in una vallata pianeggiante attraversata dal fiume Zambesi, il cui corso, bloccato più a valle da una colossale diga, forma l’immenso lago artificiale Kariba, lungo più di 220 chilometri, ha una larghezza massima di 40 chilometri, copre un'area di 5.580 km².
Dall’alto possiamo ammirare lo stupendo contrasto di colore della terra rossa che si stempera nell’azzurro del lago costellato da piccole isole.
Atterriamo su una pista di terra ritagliata tra il bush e la riva sabbiosa, ci aspettano ancora un’ora di strada sconnessa tra la vegetazione fitta e, dopo aver parcheggiato la jeep nella boscaglia, un breve tragitto a bordo di una piccola imbarcazione dal fondo piatto.
Musango Safari camp è situato su un’isola. La prima impressione non è delle migliori, si tratta di una struttura vecchia: tende, coperte e biancheria sono consunte, il cibo distribuito all’ora di pranzo è misurato e nulla di speciale, il proprietario – Steve Edwards – è un personaggio egocentrico. Siede al centro di una tavolata, parla quasi ininterrottamente senza ascoltare i commensali, indossa una divisa color kaki perfettamente pulita e stirata, attorno e dietro a sé lascia una scia di profumo, quasi fuori luogo in un contesto “wild”, mentre il personale che lavora alle sue dipendenze sfoggia una varietà di magliette e calzoncini pieni di rattoppi, strappi, macchie e odora di sudore acre. E’ inoltre imbarazzante vedere i ragazzi che servono il cibo a tavola inchinarsi davanti al padrone.
Le differenze denotano che il bianco boss non investe nulla nella gestione del campo e che, con tutta probabilità, il personale è malpagato e alloggiato molto precariamente. E’ evidente che lo Staff ha difficoltà a lavarsi e a tenere in ordine il proprio guardaroba.
Non siamo schizzinosi, proviamo anzi immediata solidarietà e simpatia nei confronti dei ragazzi che lavorano qui, ma resta il fatto che il rapporto qualità/prezzo di questa struttura non è affatto proporzionato.
Dopo pranzo e prima dell’attività pomeridiana, ci ritiriamo nella tenda che ci è stata assegnata.
Mentre stiamo ancora “prendendo le misure” della nuova sistemazione, un bushbuck ci osserva dubbioso. Muovendomi lentamente mi trasferisco in veranda, temo di vederlo fuggire, invece la timida bestiolina non si muove, ci separano solo due passi, ma non oso avvicinarmi oltre, guadagno così un lungo scambio di sguardi. Il solitario bushbuck è bellissimo con quegli occhioni languidi, le grandi orecchie, il pelo raso e rossiccio a macchie bianche. Una sorta di cerbiatto.
Dove l’uomo fa danno, la natura ripaga e la piccola antilope, senza esserne cosciente, mi riporta il buonumore.
Scegliamo di uscire in barca. Conrad è il nostro angelo custode, nonché barcaiolo, guida e compagno di avventure.
Dall’isola si attraversa il lago e si costeggia il Matusadona N.P.
Elefanti e impala si specchiano nell’acqua mentre bevono.
Ci avviciniamo, a motore spento, a una femmina d’elefante che, insieme al piccolo, si nutre strappando l’erba dal fondo del lago. E’ curioso osservare come la proboscide, una volta sradicate le piantine acquatiche, scuota più volte il raccolto per lavarlo e liberarlo da residui di terra.
Grazie alla vicinanza e all’assenza di rumore, possiamo goderci la sequenza fino a che la coppia di elefanti decide di andarsene, riuscendo anche a scattare una bella serie di fotografie.
Un giovane coccodrillo, molto audace e curioso, ci segue e, raggiunto il battellino, sembra davvero intenzionato a salirvi, allunga la testa fuori dall’acqua e poggia le tozze zampe sull’estremità della chiatta. Ci spostiamo, ma di nuovo il coccodrillo nuota veloce e riguadagna quella che evidentemente è la sua postazione preferita.
Si tratta di un comportamento insolito perché, generalmente, i coccodrilli da terra scivolano furtivi in acqua e si immergono velocemente fino a nascondersi del tutto. Sono abili nel celarsi e proprio per questo pericolosi.
L’acqua del lago è poco profonda, si possono osservare ancora molti scheletri di alberi semisommersi, risultato della costruzione della diga e della piena d’acqua che ha invaso quella che in passato era una fertile vallata.
Differenti specie animali popolano questo ambiente lacustre, in particolare abbondano ippopotami, coccodrilli, elefanti e uccelli.
Di questi ultimi se ne vedono molti, di tutte le dimensioni e colori. Il “menu” giornaliero serve eleganti aironi neri che, posati sui rami degli alberi emergenti dall’acqua, spiegano le ali e stanno immobili ad asciugare. Spettrali figure su altrettanto spettrali tronchi.
Il sole tramonta dietro le montagne mentre cielo e acqua si arrossano. Conrad promette tramonti magici e questo primo calar del sole è indubbiamente spettacolare. I rossi, gli arancio e tutti i colori si spengono, rientriamo al campo galleggiando sulla superficie immobile del lago, avvolti dal buio totale. Il cielo si riempie di stelle e la via lattea pare schiacciarci tanto è vicina.
Vedo una stella cadente la cui scia luminosa si sposta in orizzontale compiendo un piccolo arco.
Infine la luna sorge, incredibilmente rossa, spargendo un lungo riflesso sull’acqua placida. Sbiadisce man mano che sale e alla grande sfera argentea questa sera manca solo uno spicchio, in alto. In questo emisfero la luna è “storta”!
La nostra scoperta astronomica continua…
attraverso un telescopio vediamo nitidamente Saturno, con l’anello in verticale, riconosciamo poi, a occhio nudo, varie costellazioni e la mitica Croce del Sud.
Un concentrato di emozioni che ci fanno fare pace con questo luogo mal gestito.
La temperatura è gradevole, finalmente godiamo di un sonno ristoratore e senza interruzioni.

19 luglio 2011
Teoricamente le attività praticabili sono diverse, ma anche per questa mattina le nostre scelte vengono pilotate da Steve che propone, con troppa insistenza per i nostri gusti, la visita a un villaggio di pescatori e alla Croc Farm poco lontana.
Il programma non ci convince, accettiamo comunque la proposta, ma ovviamente non riusciamo a manifestare eccessivo entusiasmo.
Con una lancia a motore sfrecciamo sul lago sino a raggiungere un agglomerato di casette di fango e paglia che ospita una comunità di pescatori.
Il “tour” – guidato da uno degli abitanti – prende una piega piacevole, si rivela soprattutto verace e spontaneo. Non è la finzione a beneficio dei turisti che purtroppo viene rappresentata sempre più spesso.
L’approccio con donne, bambini, adulti e anziani che incontriamo è gradevole e soddisfacente da ambo le parti.
I bimbi più piccoli, che ancora non frequentano le lezioni scolastiche, diffondono una ventata di colori, quelli dei loro indumenti, e di allegria.
Con discrezione e spontaneità mi coinvolgono in un gioco fatto di parole, nomi e filastrocche che non conosco e che ripeto, lasciando che mi prendano in giro per poi ridere insieme.
Mi perdo le spiegazioni dell’uomo che, via via, ci introduce nei vari settori del villaggio: la scuola, l’infermeria, gli orti, la zona della lavorazione del pesce o dove si riparano le reti…
poco male, i “miei” bimbi mi regalano momenti intensi, è bello tornare alla spensieratezza dell’infanzia, anche se solo per poco.
Alcuni adulti e l’uomo più anziano, il saggio del villaggio, rispettato dall’intera comunità, ci chiedono di fotografarli per il vezzo di rimirarsi nel display delle digitali.
Il turismo, anche se non di massa, ha già lasciato il segno, ma non possiamo negare a queste persone un po’ di divertimento, considerato che in cambio di una fotografia non chiedono nulla, ci omaggiano anzi di sorrisi e risate divertite.
Rimpiangiamo di non avere una vecchia Polaroid e di non poter lasciar loro le stampe dei ritratti.
La visita alla Croc Farm, come temevamo, non è stata di nostro gradimento.
Migliaia di coccodrilli, di tutte le dimensioni, vengono confinati in grandi recinti e nutriti a sproposito (anche con carne di coccodrillo!) per essere poi macellati e commercializzati.
Gli esemplari all’ultimo stadio di ingrasso sono smisurati, allo stato libero non esistono coccodrilli di tali dimensioni, faticano a muoversi, sono ammassati in un intreccio di corpi e squame tanto da faticare a distinguerli singolarmente. Si addentano, infliggendosi sanguinose ferite, in uno “spettacolo” macabro e penoso allo stesso tempo. Povere bestie, ci diciamo, rinunciando a proseguire la visita guidata e limitandoci a scattare solo qualche foto davanti alle vasche con i coccodrilli più giovani.
Lasciamo pieni di amarezza questo “lager” cintato da alte reti metalliche, con il filo spinato e le guardie armate, le telecamere piazzate ovunque e le alte ciminiere che diffondono un odore nauseabondo.
Durante il pranzo, non facciamo mistero di non aver apprezzato quel genere di allevamento.
Forse, per questa ragione, Steve propone di accompagnarci personalmente in un game drive nel Parco Matusadona.
Finalmente, pensiamo, e ci rassereniamo spendendo le ore di pausa in assoluto ozio.
Merenda con tè e dolcetti, poi, traversato il lago con il battellino, recuperiamo da sotto il fogliame la jeep.
Il game drive sembra promettente, attraversiamo paesaggi dai colori incantevoli, individuiamo e pediniamo un branco di elefanti che si sposta su uno stretto lembo di terra rossa che separa due lagune.
Prevedendo che gli elefanti faranno ritorno a breve, ci fermiamo appostandoci in un luogo riparato dalla vegetazione, convinti di “rubare” scatti molto ravvicinati.
Non sempre, però, i comportamenti degli animali sono prevedibili, la nostra attesa si rivela infruttuosa.
Ci allontaniamo dal lago, addentrandoci nel bush dove incontriamo gruppi di impala e seguiamo le tracce fresche lasciate da una mandria di bufali.
Improvvisamente la jeep ha un sussulto, il motore si spegne, inutili i tentativi di riavviarlo.
Musango safari camp non dispone di altri automezzi, Steve chiama via radio i ragazzi che presidiano il lodge, dando loro indicazioni di passare a recuperarci, con la lancia a motore, in un punto preciso lungo la riva del lago.
Siamo costretti ad abbandonare la jeep e a incamminarci nella boscaglia.
Steve non è armato e non sembra tanto disinvolto nei panni di “walking guide”, non è neppure esclusa la probabilità di incontrare elefanti o i bufali di cui seguivamo le impronte.
Per la prima volta, in Africa, mi sento inquieta, non nutriamo fiducia in questo ambiguo personaggio, ma non avendo scelta non possiamo far altro che seguirlo e sperare di raggiungere quanto prima il luogo fissato per il nostro salvataggio.
Tuttavia, una volta giunti sulla riva del lago, non una zona aperta e sabbiosa, bensì un insieme di massi scuri e vegetazione, l’inquietudine aumenta.
L’imbarcazione tarda ad arrivare, il sole sta tramontando, in acqua ci sono numerosi coccodrilli e altrettanti ippopotami che a breve usciranno per cibarsi d’erba.
Il buio incombe, l’angoscia è in crescendo. Solo dopo un’interminabile ora, il rumore lontano del motore e la sagoma della barca che si avvicina scacciano i brutti pensieri.
Saliamo a bordo rapidamente, un ultimo brivido mi percorre la schiena nel constatare che è buio pesto e il cielo si va riempiendo di stelle.
Siamo stati molto fortunati, non c’è altro da dire, preferiamo goderci il sollievo senza più pensare al pericolo cui siamo stati esposti.

20 luglio 2011
Sempre più pentiti d’aver scelto di trascorrere qui 3 giorni interi, ci rassegniamo alla monotonia del luogo e all’assenza di alternative alle escursioni in barca che sono comunque meno “claustrofobiche” di Musango, delle tende consunte immerse nel bush e della vista limitata che ciascuna offre affacciandosi su una minuscola porzione di spiaggia attraversata da filo elettrificato per impedire agli animali acquatici di avvicinarsi.
Accettiamo quindi di uscire con la chiatta prima e dopo pranzo, ma siamo ormai impazienti di dire addio per sempre a questo infelice cotesto e, soprattutto, al suo irritante proprietario.
La mattina scorre abbastanza velocemente, dal battellino ci godiamo il silenzio della natura interrotto dai richiami degli uccelli che sono innumerevoli, così come i coccodrilli che nuotano a pelo d’acqua e gli enormi ippopotami che affollano una penisola sabbiosa.
Gruppi di impala popolano le lagune e le loro figurine snelle si riflettono nell’acqua.
La navigazione pomeridiana ci regala, oltre alla quiete, waterbuck, impala e un elefante cui scattiamo una raffica di foto mentre si nutre di terra rossa, ricca di sali minerali.
L’animale occupa una stretta striscia di terreno che scavalca due specchi d’acqua.
Azzurro in primo piano e anche sullo sfondo, al centro il rosso mattone dell’istmo e il grigio del corpo massiccio del pachiderma. Decisamente una bella gamma cromatica valorizzata dalla calda luce di un imminente tramonto.
Del lago Kariba, triste e, in quanto artificiale, “finto”, ricorderemo con nostalgia solo gli infuocati tramonti, i cieli “drammaticamente” stellati, la “gravità” della via lattea tanto vicina da aver l’illusione di poterla toccare e la Croce del Sud, affascinante costellazione che appare subito dopo il tramonto e prima di ogni altra stella.
I tre giorni sono scaduti, il nostro umore migliora, ma Steve riesce a farci andare di traverso anche l’ultimo pasto con la notizia che domani voleremo a Mana Pools alle 16,20. Ci domanda anche se abbiamo nulla in contrario a dare un passaggio alla figlia, che proseguirebbe poi il viaggio verso Johannesburg e quindi in Nuova Zelanda, dove risiede con la madre.
Compreso che la manovra ha il solo scopo di far volare la ragazza a scrocco e, soprattutto, di accorciarle i tempi di attesa delle varie coincidenze che la riporteranno in patria, non tolleriamo di essere trattenuti in ostaggio per un altro intero giorno.
Seguono diverse telefonate ai vari funzionari e al pilota di Wilderness Safaris, ma questa sera è tardi per qualsiasi cosa. Il responso è rinviato a domani mattina.
Siamo molto alterati, non cediamo ai meschini tentativi di Steve di trattenerci organizzando attività che impegnino tutta la giornata, ci barrichiamo dietro al lapidario ultimatum: “vogliamo lasciare Musango al più presto e come da programma!”.

21 luglio 2011
Mentre facciamo colazione arriva la buona notizia: si vola a Mana Pools in mattinata.
Tanto è forte il desiderio di andarcene, i bagagli sono già pronti. Lasciamo un commento negativo sul libro degli ospiti e salutiamo con un sorriso forzato il boss e la figlia che, guarda caso, non parte con noi e così presto.
Il trasferimento via terra è un incubo, la jeep non è stata oggetto di una seria riparazione, rischiamo di bloccarci nuovamente. Conrad, per tutto il viaggio, è costretto a utilizzare una sola marcia.
Dopo un’ora di ansia, con l’orecchio teso a captare anche la più piccola vibrazione meccanica, in ritardo, raggiungiamo la pista di terra e l’aerino che decolla in pochi minuti.
Bollino nero su Musango Safari camp e su chi lo possiede. Con il senno di poi, avremmo dovuto evitare questo luogo.
Il volo da Kariba a Mana Pools è invece uno spettacolo, da solo vale il viaggio.
Si sorvola il lago, poi, superata l’imponente diga di Kariba, si segue il corso irregolare del fiume Zambesi.
Valle dello Zambesi / Mana Pools National Park:
Fondato nel 1963, è stato dichiarato World Heritage Site dall’UNESCO nel 1984, per la ragguardevole concentrazione di animali selvatici che ospita, tra cui spiccano grandi mandrie di bufali ed elefanti, e molti predatori, e per l’insolita concentrazione di coccodrilli del Nilo.
L’area si estende sulla sponda meridionale del fiume Zambesi e forma un ecosistema particolare che ruota intorno a una serie di anse abbandonate dal fiume Zambesi nel lento spostamento del suo corso verso nord. In questo tratto, la piana alluvionale dello Zambesi ha originato alcune lunghe pozze permanenti e una serie di piccole pozze stagionali su un territorio di 2000 kmq che si estende dalla diga di Kariba ad ovest fino al confine con il Mozambico a est.
Tra le gole (strettoie) di Kariba e di Mupata (dove sventuratamente da anni si discute la crazione di un’ulteriore diga, che farebbe inondare e scomparire la valle dello Zambesi), il fiume è molto largo e sabbioso, con alcune isole e lunghe lingue di sabbia assai frequentate dagli animali.
A delimitare la piana alluvionale di un quarto di milione di ettari è lo Zambesi Escarpment, dove il territorio si alza improvvisamente di circa 1000 metri, incorniciando la piana a sud, e analogamente a nord, sulla sponda opposta, in Zambia; qui però si ergono anche scoscesi monti, più a ridosso del fiume. La valle è attraversata da vari affluenti stagionali dello Zambesi. Questo luogo incontaminato è attraversato da enormi branchi di bufali, specialmente in ottobre e novembre quando, nel periodo più caldo della stagione secca, molte specie scendono ad abbeverarsi al fiume. Grandi famiglie di elefanti discendono lungo i loro sentieri abituali le sponde del fiume e possono essere viste in grande numero, come pure i kudu, le zebre, le antilopi d’acqua e spesso gli eland, oltre a grandi quantità di impala, babbuini e cercopitechi.
Esistono 380 specie di uccelli, tra cui il piviere, il parrocchetto di Nyasa e varie aquile: il nicator orientale, vari bianconi, il pigliamosche di Livingstone, oltre all’aquila urlatrice.
Una caratteristica propria del parco di Mana Pools è la densità di rare Acacia albida, gli alberi che con la loro colorazione argentea abbelliscono le sponde. Su di esse si rende evidente la linea dell’altezza uniforme raggiunta dagli elefanti nel nutrirsi; ghiotti dei loro semi ricchi di proteine, possono essere spesso visti ergersi persino sulle zampe posteriori, intenti a strapparli dai rami più alti.
Anche gli alberi di Kigelia africana, Trichilia emetica e grandi Ficus, oltre ad alti termitai, punteggiano le sponde del fiume.
Il fiume è un paradiso per i pescatori, i pesci più ambiti sono la tilapia, il pesce tigre, il barbo, il vundu.
L’esperienza più emozionante per godere della pace del fiume e per avvicinare gli animali senza disturbarli è il safari in canoa, che molti operatori gestiscono da Kariba a Kanyemba. Tuttavia il numero di passaggi è regolato, quanto il numero di auto ammesse nel parco, per non determinare un eccessivo impatto turistico.
Prima di atterrare, il pilota vola in cerchio un paio di volte abbassandosi sempre più sul fiume.
Beneficiamo dello spettacolo di colori e della straordinarietà di un paesaggio ricco di acqua, di verdi praterie, di isole di sabbia candida e di animali.
Penso a Steve per l’ultima volta e a ciò che avremmo perso, oltre ad un’intera giornata, arrivando in questo Eden con il buio.
Apprezziamo fin da subito la caratteristica principale del Parco: ambiente molto aperto, alberi radi con alte chiome, visibilità ampia che facilita la ricerca degli animali.
Percorrendo la pista che conduce al campo, in poche decine di minuti vediamo un’esagerazione di elefanti, impala, waterbuck, kudu e babbuini.
Ruckomechi camp è una struttura moderna, elegante, funzionale, composta da un corpo centrale con sala da pranzo, libreria, lounge, bar e da una decina di tende. L’intero complesso è a zero impatto ambientale, si affaccia sul fiume ed è collegato da una lunghissima passerella di assi di legno.
In primo piano, eretta sul fiume, una terrazza a pianta quadrata, ospita un “salotto”. Eleggiamo questo spazio fatto di legno e cuscini colorati quale nostra postazione preferita per osservare il via vai degli elefanti che, disceso il terrapieno, attraversano il fiume a nuoto, raggiungono le isole sabbiose e fanno ritorno al campo, visitando spesso le tende e tutta l’area circostante.
Dopo i soliti convenevoli, prendiamo possesso della nostra nuova abitazione.
Varcata la soglia, il termine “tenda” ci pare riduttivo: 50 mq di superficie per 4,5 metri di altezza, pareti con zanzariere a tutta altezza e arredi molto originali.
Davanti a tanto buon gusto e spazio, indirizziamo mentalmente un elogio all’architetto che ha ideato il campo impiegando solo materiali locali quali sassi di fiume, legno grezzo, rami, ferro, tela e bellissimi oggetti d’artigianato africano.
Siamo ancora nella fase contemplativa di questo particolare alloggio quando gli elefanti oscurano un lato della tenda, sfilano senza far rumore e uno, il più giovane del gruppo, avvicinatosi, allunga la proboscide verso di noi.
Ci separa solo la sottile rete della zanzariera e questo è sicuramente l’incontro più emozionante e ravvicinato con un elefante… Amazing!
Come nell’altro campo Wilderness Safaris, anche qui la giornata è scandita da appuntamenti precisi: un’attività la mattina presto, rientro per il pranzo, pausa, merenda, una seconda uscita fino al tramonto che, a scelta, si protrae in notturna per altre due ore, cena e a letto presto.
Durante il pranzo, che si consuma osservando il fiume, prendiamo accordi per il game drive del pomeriggio, ovviamente con proseguimento serale.
Ci accompagna Kevin, abile guida nonché simpaticissima persona, con noi c’è una coppia di coltivatori di tabacco, residente in Zimbabwe.
Kevin non si sofferma a lungo davanti ai “soliti” kudu, impala, elefanti, uccelli, è evidente che, accertato che nessuno di noi è alla prima esperienza di safari, è a caccia di effetti speciali.
Non passa molto tempo e, infatti, riceviamo in omaggio una prima assoluta…
da un boschetto provengono una serie di suoni inquietanti: rumore di rami spezzati, latrati, barriti.
Un piccolo elefantino, grazie alla prontezza e all’aggressività dei consanguinei adulti, è scampato all’attacco di un branco di licaoni.
Allontanatisi gli elefanti e tornata la quiete, ci concentriamo sul gruppo di licaoni, animali che non si possono definire “belli”.
Tutto concorre alla loro bruttezza: sembrano un incrocio tra iena, lupo e cane randagio, il pelame pare un disordinato “collage” di avanzi di pelliccia di tanti animali, sono famelici. Ciò nonostante, come tutti i predatori, sono affascinanti.
La loro ferocia è leggendaria, agiscono in squadra, attaccando la preda con una particolare tecnica e con un’alta percentuale di successo, sbranandola ancora in corsa e finendola, nel senso che non resta più nulla, nel giro di pochi minuti. Nella scala dei predatori occupano il quarto posto.
E’ piuttosto raro avvistarli, è infatti la prima volta che li vediamo e siamo raggianti.
Kevin ci invita a scendere dalla jeep…
temendo di aver capito male, lo guardo interrogativa, ma quando estrae il fucile dalla custodia e lo carica con il proiettile, non ci sono più dubbi.
Ci impartisce poche e ben precise istruzioni, dobbiamo muoverci con circospezione, mantenere il silenzio e accodarci, dietro di lui, in fila indiana.
Proviamo un misto di preoccupazione e di eccitazione mentre, anziché osservare solo escrementi e impronte tenendoci a debita distanza da qualsiasi animale, ci avviciniamo ai sei licaoni, con il solo obiettivo di scattare foto più ravvicinate.
Avanziamo sino a raggiungere una distanza che Kevin ritiene sicura, ci soffermiamo poi silenziosi ad osservare i licaoni mentre rotolano nella sabbia per camuffare il loro forte odore, sollevando nuvole di polvere. In seguito li vediamo urinare a turno e nello stesso preciso punto. Seguono momenti di attività convulsa. Infine, quando il branco riguadagna la posizione inattiva e sonnolenta, ci allontaniamo dalla scena.
Un gruppo di impala riscuote l’attenzione dei sei canidi, ma le antilopi, fiutato il pericolo, si mantengono in formazione compatta e si allontanano, facendo così sfumare un’occasione di caccia.
A questo punto, ancora “febbricitanti” per l’esperienza appena vissuta, proseguiamo il game drive cambiando zona.
Il paesaggio è straordinario, sterminate praterie verdeggianti si affacciano sul fiume e le pozze, basse colline interrompono la pianura, imponenti alberi impreziosiscono uno scenario già bellissimo. Di fronte, al di là del fiume, una catena di montagne delimita e racchiude la valle dello Zambesi.
Ci fermiamo a osservare la bevuta collettiva di una famiglia di elefanti, incantati dalla perfetta sincronia dei movimenti: tutte le proboscidi sono allungate verso il basso per attingere acqua, poi si sollevano in aria arricciandosi verso le bocche, come se un regista, dietro immaginarie quinte, stesse impartendo istruzioni precise.
La natura però non sempre è perfetta, notiamo – tra tutti – un grosso esemplare costretto a strane contorsioni per via di un’evidente imperfezione, ha infatti una zanna regolarmente curva e una totalmente diritta.
Incredibile la quantità di antilopi presenti in questo Parco, ovunque si incontrano kudu, impala e waterbuck.
Dopo il tramonto la temperatura si abbassa drasticamente, ma calde e morbide coperte ci riparano dal freddo.
Il game drive prosegue e il raggio di luce rossa della spotlight evidenzia tante creature grandi e piccole: impala ancor più numerosi ora con il favore delle tenebre, bufali, ippopotami che vagano alla ricerca di erba da brucare, elefanti, genette e persino un enorme porcospino.
Felici torniamo al campo, ceniamo e ci infiliamo velocemente sotto le coperte, stretti alla borsa dell’acqua calda, con il desiderio che arrivi presto domani e ben predisposti a nuove avventure.

22 luglio 2011
Sveglia alle 6, colazione e una nuova guida, Sean, per il game drive di questa mattina che condividiamo con Anna e Carlo, i soli italiani incontrati in Zimbabwe.
Strada facendo rivediamo i licaoni, se ne stanno indolenti a beneficiare dell’ombra.
Riconosciamo, tra la vegetazione, le massicce figure di due eland, vediamo sfilare impala e elefanti. Sostiamo davanti ad un gruppo di kudu che, dopo aver attraversato la pista, si insinua in un corridoio ricavato nell’erba alta tanto da scoprirne solo le teste.
In una spianata, gli avvoltoi si cibano dei resti di un piccolo animale.
Sean, walking guide come Kevin, altrettanto professionale, ma dal carattere più serio e taciturno, carica il fucile, ci fa cenno di scendere dalla jeep e di seguirlo.
Ci avviciniamo agli avvoltoi che interrompono il pasto andando a posarsi sui rami di un albero poco lontano.
Esaminando lo scheletro, che conserva intatti la scatola cranica, la colonna vertebrale, il bacino con la lunga coda, una sola anca e il femore, identifichiamo la corporatura di un babbuino.
Terminata la lezione di anatomia togliamo il disturbo, certi che – tra qualche ora – del malcapitato non resterà più nulla.
Per quanto possa sembrare macabra, la catena alimentare è affascinante. In natura tutto ha un senso: un animale morto, predato, si traduce in cibo e continuazione della vita per molte altre creature.
Rientrati al campo, mentre pranziamo, gli elefanti nuotano nel fiume, lo attraversano, si cibano allungando le proboscidi verso il fogliame e, una volta sazi, tornano per la stessa via insediandosi esattamente attorno alla nostra tenda. Ci appostiamo nelle vicinanze, insieme alla manager che invano – a gesti – tenta di scacciarli.
Non riusciamo a ritirarci nella nostra abitazione, ma poco importa, ci rallegriamo di un nuovo “vis-à-vis” con questi maestosi animali.
Nel corso del game drive pomeridiano, sono ancora gli elefanti a dar spettacolo.
Ci troviamo al centro di un fiumiciattolo, il classico guado che “inghiotte” la jeep fino all’intera altezza delle ruote. Dalla sponda opposta, una fila di pachidermi ci viene incontro e, mentre ci blocchiamo nell’acqua, i massicci corpi sfilano tanto vicini che per fotografarli occorre il grandangolo.
Adulti e piccoli, uno alla volta, ci passano a fianco silenziosi e indifferenti, tranne un giovane esemplare che esita a ricongiungersi ai compagni, intrattenendosi ad annusarci... Amazing!
Proseguendo l’esplorazione del Parco, attraversiamo habitat differenti:
alberi e verdi praterie con l’erba naturalmente rasata dagli erbivori, nelle vicinanze del fiume;
colline boscose, tappezzate di muschio, solcate da modesti corsi d’acqua, nella zona intermedia;
terra arida, sabbiosa, ricoperta da un tappeto di secchie foglie dagli splendidi colori autunnali e una foresta di arbusti completamente spogli, più all’interno.
Nel raggio di qualche chilometro cambiano le caratteristiche del territorio e le tinte, si ha l’impressione di compiere un suggestivo viaggio attraverso le diverse stagioni.
Gli elefanti, con schiere di piccoli, sono in ogni dove.
Le zebre al tramonto chiudono la prima parte di questo ricco tour fotografico.
Torniamo al campo solo per pochi minuti, giusto il tempo di sorseggiare un aperitivo e per consentire ai nostri compagni di avventure, Anna e Carlo, di terminare a questo punto il safari.
Ripartiamo. Kevin – abilissimo - scova nella notte tenebrosa genette, african civet, piccoli predatori, una iena che frantuma rumorosamente le ossa di un animale.
Sempre numerosi si susseguono elefanti, impala, antilopi e ippopotami.
Kevin ci dimostra, senza allontanarsi da questi ultimi, quanto, con i fari e il motore spento, mantenendo il silenzio, siano indifferenti a noi, aggirandoci come un qualsiasi ostacolo naturale.
Per la prima volta ci troviamo tanto vicini all’animale africano che, tra gli umani, miete più vittime, siamo tuttavia rilassati grazie alla competenza di una guida estremamente professionale che ci trasmette sicurezza e tranquillità, stati d’animo assolutamente necessari per godere di incontri di questo tipo senza provare timore.
Il tempo è scaduto, dipendesse da noi continueremmo il game drive per tutta la notte, ma precise regole impongono di tornare alla base.
Salutiamo pertanto le creature africane, fissando un nuovo appuntamento per domani, alle prime luci dell’alba.

23 luglio 2011
Stabilito un feeling con Kevin, è di nuovo con lui che ci troviamo a inseguire uno splendido kudu maschio dalle possenti corna. Il nostro obiettivo è quello di avvicinarci e di rubare primi piani, ma l’animale sembra voler giocare a farci dispetto, spostandosi in controluce, all’ombra e andando a nascondersi tra l’erba alta più della sua statura.
Con le femmine, meno elusive e quindi più facilmente avvicinabili, abbiamo più successo.
Cerchiamo di rintracciare tre iene incontrare da Sean, che ci segnala l’avvistamento via radio, ma non riusciamo nell’intento.
In compenso, seguendo gli avvoltoi che volano in cerchio sopra una precisa zona, troviamo il frutto della caccia di un gruppo di leoni.
Percorrendo un difficile fuoripista tentiamo di avvicinarci alla valletta dove scorre un ruscello, dalla nostra postazione leggermente elevata, scorgiamo, nell’acqua bassa, i resti di un bufalo, presidiati da un leone seminascosto tra l’erba secca.
La scena non è facilmente fotografabile, ma sostiamo in attesa dei movimenti del felino che prima di allontanarsi si palesa un paio di volte.
Ci spostiamo in una piana verdeggiante, orlata da alberi e affacciata su un tratto del fiume con isole e banchi di sabbia candida.
Incantati dalla bellezza del luogo, non ci sfugge tuttavia un grosso coccodrillo che scivola in acqua furtivo mentre uno stormo di uccelli spiega le ali e spicca il volo, spostandosi veloce a pelo d’acqua.
Il nome di questi straordinari uccelli è African Skimmer e, nel vederli volare, comprendiamo da cosa sia stato ispirato il logo di Wilderness Safaris.
I licaoni, con i quali ormai abbiamo un appuntamento quotidiano, si sono spostati qui, hanno percorso molta strada e si dimostrano attratti da un branco di impala.
Inizia un lungo agguato, con diversi lenti avvicinamenti alternati a soste all’ombra degli alberi.
Attendiamo eventuali sviluppi, ma i licaoni probabilmente non sono affamati, si rivelano troppo rilassati, dormicchiano più di quanto si muovono e gli impala si allontanano, quasi impercettibilmente, ma senza mai interrompere il loro arretrare.
Sul niente di fatto dei licaoni termina il primo game drive della giornata e la permanenza presso Ruckomechi camp di Anna e Carlo. Ci salutiamo con la promessa di risentirci in Italia.
Gli elefanti ci fanno visita all’ora di pranzo, “solito” copione con una sola variante, anziché indirizzarsi verso le tende, sostano a bere davanti al “salotto” che si affaccia sul fiume.
Kevin ci adotta per l’intero pomeriggio, con noi non ci sono altri ospiti, faremo quindi un game drive non stop in sua sola compagnia. Non potremmo chiedere di meglio.
Assistiamo all’accoppiamento di due aquile pescatrici posate sulla sommità di un termitaio. Pochi secondi ed è tutto finito, ma siamo riconoscenti all’Africa per questa esclusiva.
Tra le novità ci sono anche le faraone (Guineafowl) che roteano nella sabbia, sollevando sbuffi di polvere.
L’obiettivo di Kevin è costituito dai licaoni. Li troviamo più o meno dove li abbiamo lasciati prima di pranzo, all’ombra di un albero.
Kevin ci ha studiato, evidentemente abbiamo superato l’esame, ci propone infatti una “passeggiata” che ci porterà a poca distanza dai licaoni.
Accettiamo, ma com’è ovvio, non siamo del tutto rilassati. Quando ci troviamo a una distanza di 30 metri e dobbiamo sederci davanti ai 6 feroci predatori, non compio gesti incontrollati ma già mi immagino tragicamente aggredita, sbranata, a brandelli in un lago di sangue…
Kevin, dal canto suo, ha l’abilità di comprendere il nostro stato d’animo e di infondere tranquillità e sicurezza facendoci notare che i licaoni, dopo un po’ di agitazione, ma soprattutto dopo averci annusato e compreso che non siamo cibo apprezzabile, perdono totalmente l’interesse nei nostri confronti.
Più rasserenati, ci spostiamo – sempre con circospezione e in perfetto silenzio – ancora più avanti, dimezzando la distanza. A 15 metri dai licaoni ci risediamo a terra, solleviamo lentamente gli obiettivi e scattiamo una serie di foto.
Il cuore si ferma in gola nel momento in cui un licaone si stacca dal gruppo, si muove nella nostra direzione, si ferma a non più di 7 metri…
Kevin, a gesti ci invita all’immobilità, la bestia si è allontanata dai compagni solo per identificare un luogo dove urinare. Ci assale una nuova ondata di preoccupazione nel ricordare quanto abbiamo visto il primo giorno: nel giro di pochi minuti ciascun licaone annuserà quello stesso punto preciso, urinando esattamente lì. Vale a dire ben 6 licaoni e solo 7 metri tra noi e loro.
Sono “solamente” tre gli animali che ripetono la sequenza e che, senza più degnarci d’uno sguardo, tornano apatici all’ombra del grande albero.
Ormai totalmente rilassati e come se fosse la cosa più naturale del mondo, stiamo accovacciati a lungo a osservarne i movimenti. I licaoni alternano sonnacchiosi pisolini a lotte durante le quali si sollevano sulle zampe posteriori, “abbracciandosi” con quelle anteriori, oppure si dispongono uno sopra l’altro in una sorta di accoppiamento. Kevin ci spiega che si tratta di un rituale volto a determinare la supremazia, si stabilisce così chi domina il branco.
Alcuni impala si profilano all’orizzonte e i licaoni, contemporaneamente, esattamente come abbiamo visto fare ai leoni, si indirizzano con lo sguardo verso la stessa direzione.
Speriamo in una scena di caccia, ma ben presto è evidente che l’interesse dei predatori nei confronti delle antilopi si esaurisce.
I licaoni, infine, si spostano di pochi metri, lasciando la zona in ombra e, mentre scattiamo fotografie con la luce del tramonto che esalta i colori, nel vedere nitidamente i particolari degli animali ravvicinati dall’obiettivo, provo quella forte sensazione di appartenenza al documentario che l’Africa ci regala in forme sempre diverse e che già mi fa pensare a un ritorno in questa meravigliosa terra.
Ci allontaniamo, voltando le spalle alle sei belve, solo quando scorgiamo un’altra jeep che transita in lontananza.
Ancora eccitati e colmi di felicità raggiungiamo un terrapieno che si eleva dal fiume.
Oggi – sabato – l’aperitivo è occasione di festa. Troviamo qui riuniti tutti gli ospiti di Ruckomechi, le guide, lo Staff, la luce soffusa di una fila di candele e una tavolata con stuzzichini e bevande.
Non disdegniamo le polpettine di pesce pescato nelle acque del fiume e neppure una birra fresca, ma a insaporire questo evento sono sicuramente i neri profili degli elefanti che attraversano un banco di sabbia e che si stagliano sullo sfondo di un tramonto all’ultimo stadio, con il cielo in cui predominano i colori porpora, viola, blu, nero.
Ripreso il safari, la notte ci regala un carosello di immagini ed emozioni.
Nei pressi del bufalo morto si aggirano i leoni, ma non solo, il forte odore di putrefazione ormai diffusosi a distanza richiama una processione di iene.
Dopo aver osservato l’ultima che annusa l’aria in direzione della carcassa, spenta la luce rossa, ci fermiamo, nel buio più totale e sotto la volta stellata, ad ascoltare il richiamo delle iene lontane. Verso inquietante e straordinario nello stesso tempo che ci rende partecipi e muti spettatori di uno dei più grandi fenomeni della natura: la vita che continua!
Vediamo inoltre e per la prima volta uno splendido serval, ancora qualche genetta e un african civet.

24 luglio 2011
Oggi, ultimo giorno a Mana Pools, ci accordiamo per un game drive al mattino, un’escursione in barca fino al tramonto e un safari notturno.
Kevin è impegnato con un gruppo di francesi, ci viene assegnata una diversa guida: Champion, il cui nome non ne rispecchia la personalità. E’ infatti un ragazzo molto giovane, piuttosto insicuro, in fase di addestramento.
A Champion, per ora, mancano esperienza e abilità nell’individuare gli animali. In alcuni casi, concentrato nella guida del veicolo, non vede quelli che invece noi indichiamo. Sosta troppo a lungo dinanzi a scene del tutto ordinarie.
Ci dobbiamo accontentare di ben poche “vibrazioni” emotive.
Dopo un paio d’ore infruttuose, consci che per noi il tempo di permanenza in Africa è agli sgoccioli, chiediamo all’inesperta guida di condurci nel sito dove giacciono i resti del bufalo.
Siamo fortunati, troviamo un leone con la testa infilata sotto le pelle sventrata e scura intento a spolpare gli ultimi brandelli di carne da un osso, probabilmente un femore, che si stacca da quel che resta del bufalo, ormai irriconoscibile.
Terminato il pasto, il leone si allontana dalla carcassa e si china a bere l’acqua del fiumiciattolo. Nel silenzio si ode il rumore del lungo risucchio.
Il felino si sposta di qualche altro passo per urinare, infine torna a bere ancora rumorosamente e copiosamente.
Lasciato il “luogo del delitto”, non aspettandoci altro, ci concentriamo sulla bellezza del paesaggio.
Ci spingiamo in una zona lontana, per noi nuova, particolarmente suggestiva, caratterizzata da un immenso bosco con alberi dall’alto fusto che permettono ampia visibilità. Qui crescono anche alcuni massicci baobab.
Percorriamo letti sabbiosi di fiumi asciutti che solcano vaste distese di bassi cespugli verdi, il suolo è in prevalenza secco, terroso.
Tranne gli impala, che incontriamo a branchi, e i babbuini che affollano una estesa conca affacciata su un tratto del fiume, non vediamo molti altri animali.
L’ultima immagine del game drive con Champion è rappresentata dai licaoni che camminano in fila, lentamente, indirizzati verso una zona fittamente vegetata.
Torniamo al campo all’ora di pranzo e, chiacchierando con gli ospiti francesi, veniamo a sapere che quando – poco fa - abbiamo visto i licaoni per l’ultima volta, quella ritirata oltre la boscaglia era la fase conclusiva di un teatro di caccia.
I francesi, arrivati ieri sera, alla prima uscita, non solo hanno incontrato i licaoni, ma li hanno seguiti e osservati mentre braccavano, catturavano e sbranavano un impala, con una ferocia tale da terminare il pasto in soli 5 minuti.
Fatichiamo a inghiottire questo secondo amaro boccone: dopo gli appostamenti, il tempo dedicato a osservare i licaoni in totale immobilità e silenzio, dopo aver osato avvicinarli a piedi, il gran finale, con la predazione, spettava a noi, ma ancora una volta dobbiamo prendere atto che in natura nulla è scontato…
Siamo piuttosto risentiti con i licaoni e anche con il leopardo di Hwange N.P., ma, pazienza, speriamo di rifarci la prossima volta!
Gli elefanti, oggi, si aggirano nella parte centrale del campo. Mi immobilizzo mentre, davanti a me e senza alcuna barriera a separarci, un grosso esemplare si sposta silenzioso tra il ristorante e il “salotto” affacciato sul fiume.
Trascorriamo il resto della giornata in compagnia di Kevin.
Navighiamo sul fiume aggirando isole di sabbia e costeggiandone le sponde per una scorpacciata di coccodrilli di ogni dimensione, ippopotami, elefanti e un’infinità di uccelli.
Gli ippopotami giocano a nascondino, immergendosi uno alla volta, impedendoci così di fotografarli, e riaffiorando ancora uno ad uno.
Un giovane ippopotamo si rende ridicolo, e ci fa sorridere, nel momento in cui emerge con la testa vicinissima al battello. Non gradisce la nostra compagnia, si spaventa e si rituffa rumorosamente soffiando acqua.
Tre bestioni adulti affiancano la barca, ci rincorrono, lasciandosi alle spalle altrettante scie schiumose.
Sono buffi e nello stesso tempo ci ricordano i delfini che nuotano veloci seguendo le imbarcazioni.
L’escursione dura fino al calar del sole.
Con la barca dal fondo piatto ci avviciniamo silenziosi ai tanti uccelli, colorati e bellissimi, che “catturiamo” con gli obiettivi in una ricca collezione di immagini.
Dopo aver assaporato l’ultimo tramonto africano e le figure degli elefanti che avanzano su una lingua di sabbia, assistiamo al breve volo delle faraone che, numerose e per eludere i predatori notturni, vanno ad appollaiarsi sui rami di un albero caduto nel fiume.
Termina così, con questa poetica immagine, l’escursione sullo Zambesi.
Recuperata la jeep, ha inizio il game drive notturno.
L’Africa sembra volerci salutare regalandoci tanti animali e, soprattutto, a multipli di due.
L’euforia di Kevin è contagiosa, ci divertiamo a contare coppie di genette, di iene, di eland, di honey badger (tasso del miele), di african civet e persino due african wildcat che, secondo il nostro amico, si vedono ancor meno spesso di un leopardo.
Elefanti e ippopotami compaiono all’improvviso in questa notte prodiga di incontri, anche molto ravvicinati.
Sulla via del ritorno, un enorme elefante maschio (Bull) dalle zanne possenti e perfette, ci precede a passo lento e silenzioso. Interrompe la sua andatura solo per allungare la proboscide e per selezionare dai rami più alti degli alberi le foglie migliori.
Il posteriore nero, un muro che avanza davanti a noi per diverse centinaia di metri, è una scena che mi emoziona e costituisce la perfetta conclusione di questo nostro straordinario viaggio in Zimbabwe.
L’elefante ha però deciso di raggiungere il campo e di farci visita anche nel corso della notte.
Siamo ormai sotto le coperte, abbiamo da poco spento la luce, dietro la nostra tenda sentiamo il rumore di rami spezzati. Attraverso la zanzariera ne riconosciamo lo scuro profilo, ci godiamo la sua ingombrante presenza e la magia del cielo stellato… Amazing! esclamerebbero ancora una volta i compagni d’avventura che si sono alternati a tavola o sulla jeep.

25 luglio 2011
Dopo aver fatto colazione, lasciamo Mana Pools e Kevin con un groppo in gola.
Il pilota, che già conosciamo, manovra il piccolo aereo che vola a bassa quota per 90 minuti prima di raggiungere Harare.
Superiamo dapprima una fascia verde, poi una zona secca ricoperta di bush, campi coltivati e irrigati, piccoli laghi, fiumi e, infine, sorvoliamo la città con gli agglomerati di casette basse e i moderni palazzi del centro.
Harare è una città piacevole, più gradevole di altre metropoli africane già visitate in passato, ma dopo l’isolamento dei parchi non riusciamo ad apprezzare il brusco ritorno tra la folla, il traffico, i rumori. Ci limitiamo a una passeggiata di un paio d’ore nelle vie del centro, rifugiandoci per il resto della giornata nella quiete del giardino dell’hotel dove consumiamo anche i pasti.

26 e 27 luglio 2011
Il lungo viaggio di rientro, con transiti a Johannesburg e Zurigo, ha inizio alle ore 13 e termina a Malpensa un giorno dopo.
Non ricordo molto dei voli e delle soste negli aeroporti, nella mente c’è spazio solo per le emozioni, le immagini e per quelli che ormai sono già nostalgici ricordi.

THE END!

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