Al termine della quinta parte di questa relazione di viaggio eravamo rimasti al trasferimento da El Chaltèn a Trelew. Decisamente, due Patagonie diverse separate da 7 gradi di latitudine, circa 900km in linea d’aria: dalle montagne al mare, dagli abiti caldi a quelli estivi.
Le quattro giornate dal 26 al 29 gennaio saranno incentrate sulla Peninsula Valdès, area della provincia argentina di Chubut, celebrata e visitata per la grande varietà di animali (di terra, d’aria e di mare) che la popolano.
In realtà il nostro viaggio avrà un’appendice con i sei giorni finali dedicati alle Cascate di Iguazù (lato argentino e brasiliano) e a Buenos Aires, ma riguardo alla Patagonia e alla motivazione del titolo, questa è la parte conclusiva del diario di viaggio. Le “Cataratas” e la capitale saranno illustrate su Ci Sono Stato da una serie di video.Lunedì 26 gennaio 2009
Causa partenza ritardata di un’ora e mezza del volo delle 18,33 da El Calafate, tocchiamo il suolo di Trelew alle 21,30. Individuiamo immediatamente (non è che siamo all’aeroporto di Los Angeles!) l’area dei rent-a-car. E’ questa infatti la sola parte del viaggio in cui abbiamo optato per l’auto in affitto, più indicata dei servizi pubblici o dei tour di gruppo alla visita capillare della Peninsula Valdès. La vettura riservataci dalla Hertz al costo di 195 euro per tre giorni è una Opel Corsa, più che sufficiente per tre persone.
Avendo mangiucchiato qui è là durante la giornata, decidiamo di rinunciare alla cena e puntare direttamente all’albergo: muniti della mappa fornitaci dall’impiegato dell’agenzia, ci inoltriamo così nell’abitato di Trelew. Il nome (pronuncia Treleu), ispirato come tanti in questa regione ai numerosi insediamenti gallesi avvenuti a partire dalla metà del 1800, significa “città di Lewis”, con riferimento a Lewis Jones, giovane tipografo di Liverpool che fra i primi raggiunse la zona. Non tardiamo ad avere conferma di quanto appreso in guide e resoconti, che cioè è una città davvero brutta, in cui non si soggiornerebbe se non per motivi logistici; nel nostro caso:
1. la presenza dell’aeroporto, visto che arriviamo e partiamo rispettivamente in tarda serata e di primo mattino;
2. la distanza di 62km che separa Trelew dalla ben più piacevole Puerto Madryn, “porta” della Peninsula nella quale pernotteremo nelle due notti centrali;
3. la maggiore vicinanza (90 km contro i 152 di Puerto Madryn) di Punta Tombo, il che ci consentirà domattina di raggiungere la “pinguinera” prima dell’assalto dei pullman turistici.
Anche il vetusto hotel El Cheltum in Avenida Hipólito Yrigoyen 1385 (vi dormiremo anche la sera del 29) sembra voler allinearsi al tono sciatto della città: accettabile quanto a locali comuni e a colazione, ma camere piccole, umide e trasandate che valgono anche meno dei 48 euro pagati per la doppia.
Prendiamo comunque sonno all’istante, al termine di una giornata un po’ faticosa per i numerosi spostamenti.
Martedì 27 gennaio 2009
Partiamo di buon’ora in direzione sud. La strada per Punta Tombo è iniziamente buona, asfaltata per i due terzi iniziali per diventare “ripio” (sterrata) nei 25km finali. Bastano però pochi minuti dopo avere lasciato Trelew che ecco un sasso volato da chissadove colpire il parabrezza, con conseguente bella “stella” sul cristallo. Siamo ancora sull’asfalto e, in previsione dello sterrato, aumentiamo la cautela nella guida: ma per fortuna resterà un episodio isolato.
Stiamo percorrendo la RN 3, la cosiddetta Panamericana, che ha origine in Alaska e termina nella Tierra del Fuego a Bahia Lapataia: ricordiamo il fotografatissimo - già citato nella parte seconda del resoconto - cartello che recita "Aquì finaliza la Ruta Nacional n.3 - Buenos Aires km.3079 - Alaska km.17848”. Lasciamo poi la RN3 per imboccare a sinistra la RN 1, per un breve tratto asfaltata e poi sterrata fino ad arrivare a Punta Tombo, dove parcheggiamo (siamo fra i primi) la macchina davanti al Centro Visitatori e paghiamo la tassa d’ingresso (9 euro a testa) alla riserva protetta.
Il luogo è sorprendente, una lunga spiaggia di ghiaia che verso l’interno sfuma su un terreno piuttosto brullo cosparso di cespugli: insomma, l’opposto di quello che si immagina come habitat di pinguini, abituati come siamo a vedere raffigurazioni di distese ghiacciate in cui i simpatici pennuti si affollano. In effetti, Punta Tombo è in tutta la Terra l’areale più vicino all’equatore in cui quegli uccelli vivano: si tratta per la precisione di Pinguini Magellanici (Spheniscus Magellanicus), alti in media una settantina di centimetri, una colonia di circa 500.000 individui che fra settembre e marzo si riversano qui per la riproduzione, spingendosi fino oltre un chilometro dalla battigia e scavando un’infinità di tane al riparo dei cespugli.
La visita avviene lungo un tracciato ben delimitato, o con sassi allineati sul terreno o su passerelle rialzate, dal quale è fatto divieto uscire e in cui, in caso di “incroci”, sono i pinguini ad avere la precedenza. Il sito è un ininterotto brulicare di adulti che vanno e vengono fra il mare le tane per approvigionarsi del cibo con il quale imboccare i piccoli: la presenza dei visitatori deve interferire il meno possibile, cosa che purtroppo non sempre avviene quando verso metà mattinata arrivano i pullman con le orde dei viaggi organizzati. Da parte nostra, è il momento giusto per tornare all’auto!
(Clicca QUI per il divertente video “La marcia dei pinguini”).
Puntiamo ora verso nord, percorrendo prima a ritroso i 90 km. fra qui e Trelew e poi gli altri 62 che ci portano a Puerto Madryn, dove raggiungiamo, dopo qualche giro a vuoto fra i sensi unici del reticolato di strade cittadine, la struttura che ci ospiterà per due notti. Si tratta del Complejo Turistico Sol de Patagonia, Avenida Mathews 2161, dove ci è stata assegnata una confortevole unità comprendente a piano terra un ampio soggiorno / cucina e un soppalco con due camere da letto; prezzo € 99 per notte.
La cittadina si rivela decisamente piacevole e lascia indovinare una buona qualità di vita, con un animato lungomare pieno di locali che prospetta su una larga spiaggia sabbiosa. Sarà - unitamente a un po’ di shopping che da un po’ di tempo ci mancava - un piacevole diversivo del pomeriggio, non prima, però, di uno spuntino di metà giornata: consumiamo una ricca insalatona e un boccale di birra al ristorante dello stabilimento balneare “Sotavento” in Blvd Brown 1300, con spesa in tre persone di 30 euro.
Per la cena, ci orientiamo sulla “Cantina El Nautico” in Av. Roca 790, che non tradisce le favorevoli recensioni presenti in Rete, visto che il locale è pieno e aspettiamo qualche minuto per ottenere un tavolo; mangiamo decisamente bene spendendo in totale 45 euro.
Mercoledì 28 Gennaio
E’ la giornata della Peninsula Valdès. Già sappiamo che non è stagione per l’avvistamento delle balene, cosicché partiamo di buon’ora con l’intenzione di vedere il più possibile oggi con eventuale opzione per un ritorno domattina.
La Peninsula ha la forma di una grossa goccia su una superficie di circa 4000 kmq, collegata alla terraferma dall’Istmo Ameghino, una striscia di terra dalla larghezza minima di meno di dieci chilometri nel punto in cui sorge, a 65 km da Puerto Madryn, il “Centro de Interpretaciòn” dove si pagano i 10 euro per l’ingresso al Parco: qui, oltre a salire sulla torre panoramica con vista sul Golfo San Josè (nord) e il Golfo Nuevo (sud), ci si può approvvigionare della mappa dettagliata e di materiale illustrativo, nonchè assumere informazioni sempre aggiornate sugli avvistamenti degli animali. In particolare, apprendiamo che a Punta Norte già da diversi giorni non si ha traccia né di orche né di leoni marini: decidiamo quindi di escludere il sito dal nostro itinerario, risparmiandoci circa 70 km di “ripio” e provare a completare così la visita della Peninsula in giornata.
Dirigiamo verso est, lasciando per il ritorno Punta Piramide e Puerto Piramides, lungo la strada n. 2, che si addentra all’interno rasentando sulla sinistra Salina Grande e Salina Chica che costituiscono la più profonda depressione del Sudamerica. Ci riaffacciamo sulla costa dopo un centinaio di chilometri, per la precisione a Punta Delgada: una breve deviazione porta a uno spettacolare belvedere dall’orlo della falesia sulla sottostante spiaggia, popolata di elefanti marini. Poco oltre, un cancello introduce al complesso del faro, oggi dismesso dalla sua funzione, ma facente parte dell’elegante albergo-ristorante “Hotel Faro de Punta Delgada”: al varco si è accolti cordialmente da un incaricato che ci mette in lista per la successiva visita gratuita alla spiaggia con guida (l’accesso libero non è ammesso).
Sono circa le 13 e c’è giusto il tempo di pranzare: ci facciamo tentare (giusto per curiosità, non siamo quelli che all’estero danno la caccia a piatti italiani - o pseudo tali) dalle fettuccine al pesto e bisogna dire che sono buone e abbondanti, anche se si tratta di “un” pesto che ha nulla a che fare con “il” pesto. A dispetto del tono tendente al lussuoso, la spesa è contenuta, 48 euro in tre.
Si fa l’ora dell’escursione, alla quale partecipiamo noi tre insieme con altri quattro turisti argentini; con la guida - un ragazzone atletico, alto e biondo che credo sia parecchio apprezzato dal gentil sesso, oltre che simpatico e preparato - scendiamo lungo un sentiero gradinato fino alla spiaggia sulla quale giacciono numerosi elefanti marini (in questa stagione tutte femmine), dai quali però è consentita solo l’osservazione a distanza, essendo una colonia protetta e oggetto di studio. Enormi, immobili, sembrano sacchi di patate: sulla spiaggia sono quasi inetti al moto mentre diventano agilissimi in mare.
Lasciata Punta Delgada, la strada panoramica prende il numero 47 e prosegue verso nord, fino a pervenire dopo 42 km. a un altro punto significativo, vale a dire Punta Cantor. Nelle vicinanze sorge la Estancia La Elvira, una struttura ricettiva che ha anche cura del sentiero interpretativo, intervallato da pannelli descrittivi su ambiente, fauna e flora, che da qui ha origine e si percorre in circa un’ora fra andata e ritorno: la parte finale offre spettacolari vedute su Caleta Valdes, uno stretto specchio d’acqua marina creato da una striscia di terra di 32 km parallelamente alla costa, habitat ideale per una grande varietà di fauna avicola e marina.
Ultimata la passeggiata, risaliamo in macchina e procediamo per qualche chilometro verso Punta Norte ammirando differenti prospettive sulla Caleta per poi tornare alla Estancia, nei cui pressi prendiamo sulla destra (ovest) il bivio per la strada 52 che dopo 33 km si innesta a sua volta nella n. 3. Siamo in vista del Golfo San Josè e proseguiamo a sud per gli ulteriori 47 km che conducono a Puerto Piramides.
La cittadina nacque a fine Ottocento come porto per l’esportazione del sale ricavato da Salina Grande, ma negli ultimi decenni la sua popolarità è accresciuta per essere punto di partenza delle crociere per l’avvistamento delle balene franche australi. Come detto, non è stagione, ragion per cui il piccolo abitato ci trasmette una sensazione di abbandono: poca gente, parecchi esercizi chiusi. Molto scenografico è comunque il contesto naturale, con le caratteristiche falesie dirupate a forma piramidale che incombono sulla ventosissima spiaggia di sabbia grigiastra e alle quali è dovuto il nome della località.
Riprendiamo la direzione ovest fino al Centro de Interpretaciòn: sono le 18, da Puerto Madryn ci dividono 65 chilometri e non ci sembra il caso di accollarci domani un altro “vai e vieni” di 130, così approfittiamo della lunghezza delle giornate in questa stagione per effettuare le ultime due soste. E facciamo bene, visto che la Isla de los Pàjaros è riserva integrale non accessibile e si può avvistare qualche uccello da una piazzola con binocoli solo disponendo di molto tempo e con una certa dose di fortuna: insomma, una cosa per specialisti appassionati. La vicina cappella bianca di San Josè, eretta a ricordo del massacro dei coloni da parte degli indigeni nel 1810, per quanto graziosa, richiede non più di qualche minuto per la visita dell’interno che ospita alcuni ex-voto di gusto popolare.
Siamo di ritorno a Puerto Madryn intorno alle 19,30: abbiamo percorso 325 chilometri fra asfalto e “ripio”. Anticipo la domanda che potrebbe esserci rivolta: dalla nostra esperienza, possiamo dire che in questa stagione una giornata sfruttata al massimo consente - senza nemmeno troppo affannarsi - la visita esauriente della Peninsula Valdès. Discorso diverso se si aggiunga la crociera per balene e l’estensione a Punta Norte per le orche e i leoni marini: in questo caso è consigliabile diluire l’itinerario in due giorni, con un pernottamento intermedio (prenotato con opportuno anticipo) a Punta Delgada o alla Estancia La Elvira.
Per la cena, ci indirizziamo al ristorante “Los Colonos” in Avenida Roca y Alfonsina Storni, molto caratteristico per la struttura esterna e interna in forma di nave totalmente in legno: tre porzioni di salmone gratinato con verdure, crocchette di patate e insalata, annaffiate da una bottiglia di pregevole vino bianco di Mendoza ci costano il corrispettivo di 60 euro. Ben spesi, decisamente.
Giovedì 29 gennaio
Oggi possiamo prendercela comoda, senza alcun altro impegno se non quello di restituire stasera l’auto in affitto entro la scadenza pattuita di 72 ore.
La mattinata trascorre tranquilla a Puerto Madryn, confermatasi cittadina che si presta a meraviglia per passeggiare pigramente: una piccola parentesi di pigrizia dopo quasi 20 giorni in giro per mari, monti, aerei, autocorriere, imbarcazioni di Argentina e Cile potremo ben concedercela, no?
Essendo il nostro resort situato a breve distanza dal promontorio di Punta Cuevas, ci rechiamo sulla terrazza panoramica prospiciente l’attigua spiaggia dominata da uno dei simboli della città, la statua dell’indio Tehuelche che simboleggia i nativi della regione.
Nelle immediate vicinanze merita una visita l’EcoCentro, un centro culturale di recente costruzione nel quale, lungo un itinerario di visita molto razionale, è proposto un approccio al mare patagonico nel senso più esteso del termine: il mare che dà la vita al pianeta e sostentamento alla fauna acquatica e avicola, che crea l’habitat dinamico delle coste, il tutto tramite plastici dei vari ambienti naturali marini e terrestri, pannelli illustrativi, percorsi interattivi.
Per lo spuntino di metà giornata, torniamo volentieri all’ormai familiare “Sotavento”, dove siamo accolti con cordialità dal gestore: fra una chiacchiera e l’altra (gli argentini non si tirano mai indietro, specialmente con noi italiani), ci mostra orgogliosamente un poster autografato da Cacho Castaña, il divo di tango del momento la cui casa di vacanza è sul lato opposto della strada.
Il pomeriggio è dedicato a una delle più classiche gite fuori porta, per noi ideale in quanto situata a una quindicina di chilometri da Trelew, dove stasera pernotteremo. Lasciamo quindi definitivamente Puerto Madryn in direzione sud con meta Gaiman, una cittadina dalla bella atmosfera anglosassone, fondata da coloni gallesi nel 1874 e che della terra originaria mantiene le tipiche architetture in pietra a vista; un’altra tradizione conservata ben viva è quella delle sale da tè, nelle quali la bevanda è servita accompagnata da raffinata pasticceria. Noi ci orientiamo sulla “Ty te Caerdydd”, anche perché già dall’ingresso in Gaiman una serie di variopinti cartelli ne indicano la direzione e ci si arriva per forza!
Oltre alla magnifica ambientazione in mezzo al verde, all’eleganza delle sale e all’assortimento dei dolci serviti, la Casa si fa vanto di avere ospitato il 25 novembre 1995 la Principessa Diana d’Inghilterra, ricordata da una lapide e da alcune fotografie.
La “merenda” ci costa circa 8 euro a testa, ed è talmente abbondante da servire anche da cena, tanto più che la cameriera insiste per prepararci il “doggy bag” con gli avanzi.
Subito fuori dell’abitato di Gaiman ci attende un’ultima curiosità, il “Parque del Desafio” (desafio significa sfida), un terreno di circa un ettaro dove Joaquìn Alonso - autodefinitosi “artista plastico” - con l’ausilo della figlia Milagros nel corso di 26 anni a partire dal 1980 ha creato un singolare parco, assemblando lattine, bottiglie di vetro e plastica, pneumatici, pezzi di tubo, carcasse di veicoli e altri materiali di risulta. Le realizzazioni vanno da composizioni floreali a casette, da un castello a silhouettes di animali preistorici, da una “torre celtica” (omaggio agli antenati gallesi) a un campo di funghi a un monumento ai caduti delle Malvine, più tante altre bizzarrie. Qui e là, ci si imbatte pure in motti scritti dall’autore; ne cito uno: “No esperes esperando, espera viviendo”. Il Parque del Desafio è stato inserito nel 1998 nel “Guinness dei primati”.
Non resta che rientrare a Trelew e andare in aeroporto per restituire l’auto alla Hertz. Per il danno subito al cristallo anteriore ci vengono addebitati una trentina di euro: va bene così, a rigore avrebbero anche potuto farci pagare la sostituzione con uno nuovo.
L’impiegato ci accompagna poi al già noto Hotel Cheltum: non è che in tre giorni sia migliorato (!), ma poco ce ne importa, visto che ci corichiamo subito in vista della levataccia di domani.
Venerdì 30 gennaio
Come da accordi presi ieri sera tramite la reception, il taxi arriva puntuale alle 5.30 per portarci in pochi minuti in aeroporto.
Il volo di Aerolineas Argentinas delle 7,15 decolla puntuale ed atterrerà alle 10 a Buenos Aires, da dove con successivo volo raggiungeremo Puerto Iguazù.
Tre giorni alle cascate e altrettanti nella capitale concluderanno degnamente questo memorabile viaggio. Altri aspetti di questa immensa e stupenda Argentina, come vedremo, testimoniata QUI dai video presenti nell’apposita sezione di Ci Sono Stato:
* Le cascate di Iguazù: il lato argentino
* Le cascate di Iguaçu: il lato brasiliano
* Tango!
* Buenos Aires: a spasso fra i caffè storici
* La Boca, un pezzo di Genova in Argentina.
Hasta luego, Patagonia!