Avventure africane fra Tanzania e Zambia - Parte prima

Una grande esperienza tra la natura e la quotidianità del Continente Nero

14 Novembre 2004
Queste pagine raccontano del viaggio che abbiamo fatto nell'estate del 2004.
Siamo partiti dall'Italia con l'idea di visitare, oltre le mete più tradizionali del turismo, anche le zone meno frequentate. Abbiamo attraversato tutta la parte settentrionale della Tanzania sino al Lago Victoria, abbiamo navigato sul lago Tanganiyka e attraversato l'intero Zambia per raggiungere le stupende cascate Victoria.
Non è stato un viaggio facile (abbiamo sofferto il caldo, il freddo, la polvere, la carenza di cibo appetitoso, la malaria) ma nemmeno così complicato da essere sconsigliato ad altri.
Quello che segue è il diario scritto in quei giorni.

NOTIZIE PRATICHE
Per quanto riguarda gli europei, i visti possono essere richiesti direttamente in frontiera. In tutti gli aeroporti internazioniali è presente uno sportello apposito. In cinque minuti si sbrigano tutte le pratiche. Portatevi le fototessera e compilate la richiesta di visto direttametne in aereo, se ve lo consegnano. I visti possono essere richiesti anche nel paese di partenza in ambasciata o nei consolati. A mio parere non conviene molto richiedere il visto in Italia, in quanto i tempi sono molto lunghi e il costo è più alto (in Italia si paga 50 € mentre a Dar Es Salam il visto è costato 40 $, se non ricordo male). E' consigliabile avere con sè dollari statunitensi poiché ancora nell'estate del 2004 il cambio in Tanzania veniva spesso fatto alla pari (invece che 1 USD = 0,83 €)!
Per cittadini di altri Paesi, invece, le questioni si complicano. Il mio consiglio è quello di informarsi presso l'ambasciata della Tanzania NEL PROPRIO STATO e non in Italia. La mia esperienza personale al riguardo è stata infatti abbastanza esaustiva sulla capacità di informare della ambasciata della Tanzania in Italia. Essendo la mia compagna di nazionalità etiope e raggiungendoci lei da Addis Abeba direttamente a Dar Es Salam, ho chiesto all'ambasciata tanzaniana a Roma come avremmo dovuto comportarci. Le è stato consigliato di recarsi in Etiopia e di richiedere li il visto (come indicato anche nel sito).
Detto fatto ? No, per niente, perché in Etiopia l'ambasciata tanzaniana NON rilascia alcun visto se non ai dipendenti dello Stato. Nonostante lei avesse con se ben 3.500 € con cui dimostrare di potersi mantenere per il periodo di soggiorno fu trattenuta in aeroporto. Dovemmo richiedere il suo ingresso direttamente dalla Tanzania (cosa peraltro molto facile), come si può leggere nelle pagine dell'itinerario.

COMUNICARE
Telefonare dalla Tanzania in Italia è abbastanza semplice nonostante sia abbastanza costoso. A Dar Es Salam presso Telecom si può chiamare spendendo un po' meno, ma ancora più economico è comunicare tramite internet con il voice over ip o direttamente tramite webcam sui canali di chat. Ci sono numerosi piccoli internet cafè ben visibili ovunque, spesso anche nei paesini più piccoli e reconditi.
Un altro metodo comodo per comunicare con l'Italia è costitutito dall'uso dei telefoni mobili. Le compagnie telefoniche in Tanzania sono due e una soprattutto ha ampia copertura nei centri abitati e nei dintorni. A mio parere andrebbe valutata la possibilità di acquistare una carta ricaricabile tanzaniana nel caso dobbiate comunicare tra voi o con altri all'interno della Tanzania o nei paesi limitrofi (le compagnie telefoniche sono sempre le stesse).
Gli SMS arrivano in Italia in tempo reale ed è facile anche così mantenersi in contatto da un continente all'altro. Per i costi, consultate la vostra compagnia telefonica, anche perché non sempre i piani telefonici permettono il roaming internazionale.

Da non perdere

29 Luglio 2004: Milano - Dar Es Salam
Appuntamento all'aeroporto alle 6.00. Alle cinque e un quarto sono in via Codogno. Un saluto alla mamma e a Beba e papà mi accompagna sino a Linate. Il programma di viaggio prevede che da qui si voli a Francoforte e poi da li, con Yemenia Airlines, sino a Sana'a, dove avremo la coincidenza per Dar Es Salam. Zenash invece ha il volo diretto Addis Ababa-Dar Es Salam.
Alle sei e mezza ci presentiamo puntualissimi al check in, ma dopo venti minuti di coda, l'impiegata ci informa che “Spiacente, ma il volo non mi compare sul monitor” e dopo aver chiesto al telefono “Il volo è locked. Rivolgetevi allo sportello 102”. Alla seconda coda siamo già tutti i stanchi. Io, Claudio Pozzati (il tour leader), Luciana (sua moglie), Nello (il fratello di Claudio, grande lettore), Anna (sua moglie) e Bruno (un amico del gruppo, un portento dell'aritmetica) ci siamo già stufati di aspettare e non siamo gli unici ad essere nervosi: la gente in coda dinnanzi a noi sta già imprecando. C'è una donna che minaccia di rompere il muso all'impiegata al banco e anche al poliziotto che arriva per calmare gli animi.
Capiamo a questo punto che qualcosa non va; si bisbiglia che il nostro volo sia stato cancellato e la conferma arriva veloce a stenderci. Il successivo volo sarà infatti troppo tardi ed è ormai sicuro che perderemo la coincidenza. Non arriveremo in tempo a Dar Es Salam per incontrare Zen, accidenti! Alitalia è disponibile a spedirci dovunque ci sia un volo per recuperare il resto del volo, ma alla Yemenia a Roma non rispondono al telefono e i loro voli non sono visibili nella rete informatica usata dalle compagnie aeree occidentali.
Alle otto finalmente Alitalia e Yemenia riescono a comunicare e inizia così un carosello di telefonate tra Alitalia a Linate - Yemenia airlines a Roma - British Airways a Roma - Alitalia a Roma - Alitalia a Linate. Vengono interpellate le compagnie aeree più strane e sconosciute ma alla fine pare che salti fuori un volo Londra - Dar Es Salam di B.A. A Linate sostengono di non conoscerlo e ci trovano i posti per un Milano - Parigi - Abu Dahbi - Addis Ababa - Kilimanjaro - Dar Es Salam.
In questo modo quando noi saremmo ad Addis Ababa Zenash sarebbe a Dar Es Salam! Il colmo è che dovremmo farci 15 ore di attesa ad Addis Ababa! Dopo aver fatto il giro del mondo virtuale ci comunicano che hanno preso accordi definitivi con Yemenia A. per Londra. Nel frattempo le telefonate ai miei e a Zenash si moltiplicano. Alla fine il fatto che lei non sia riuscita a partire sembra quasi un bene!
Sul viaggio non c'è molto da dire. Rimangono solo il ricordo della sorpresa di vedere Londra dall'alto e della scomodità patita per tante ore. Alla fine arriviamo a Dar Es Salam.

30 Luglio 2004: Dar Es Salam
A Dar Es Salam (letteralmente “Porto della pace”) non c'è Bobby Trekking ad aspettarci e nemmeno il bagaglio di Nello! Sono molti i rappresentanti di tour operator che si fanno avanti e mentre Pozzati stringe accordi con uno di loro, io mi accorgo quanto sia difficile e costoso chiamare in Italia ed in Etiopia da qui.
Innanzitutto cerchiamo un albergo confortevole per la notte; poi raggiungiamo l'ufficio dell'immigrazione dove chiedere il permesso d'ingresso in Tanzania per Zenash. Gli abitanti locali si rivelano subito gentili e disponibili e anche agli uffici statali non abbiamo problemi a cercare ciò che desideriamo (alla faccia degli uffici statali italiani). Allo sportello parliamo con una ragazza che prende i documenti che le porgiamo e torna dopo dieci minuti. Ci dice di tornare nel pomeriggio alle 14.00 perché il collega che si occupa della trascrizione dei documenti non è presente. Ci rimane il tempo di mangiare in un self service e di tornare a piedi agli uffici. Lo stupore ci coglie allorché nell'avvicinarci allo sportello vediamo un foglio sporgere dal bancone. Ce lo sta porgendo un impiegato, che si affretta a spiegarci che quella è la nostra copia e che la dovremo spedire noi a Zenash. Alla faccia della burocrazia italiana (e due)! In un'oretta avevano predisposto i moduli necessari, fotocopiato i documenti che gli avevamo portato e mandato un fax all'ambasciata in Etiopia! Ci rimane solo da spedire 'sto fax. “Semplice!” direbbe uno che non conosce bene l'Africa. Qui in Tanzania gli strumenti di telecomunicazione ed Internet sono diffusi e di uso comune ma in Etiopia no. Dopo numerose telefonate, email e tentativi di spedire il fax, riusciamo a far avere la copia ai miei a Milano. Loro da lì la spediranno in Etiopia. Alla fine il foglio arriva, ma non il posto sul volo. Zen era in lista d'attesa e sembrerebbe dover riuscire a partire. Vedremo...
Cena in un ristorante indiano consigliato dal tour operator locale. Buono ma costoso! Hotel Concord Camere decenti a 30/35 $/notte (doppia). Aria condizionata. Ascensore. Bar con terrazza e musica di sera con prezzi medi. Ristorante mediocre/scarso.

31 Luglio 2004: Dar Es Salam
Sveglia all'alba, anzi prima. Alle quattro del mattino circa dalla moschea vicina arriva la prima preghiera; poi ci si mette anche il tempio indiano, sembrano rispondersi l'un altro aumentando il volume nella ricerca di prevaricare sull'altro. Alla fine arriva un stormo di cornacchie che non si sente da meno. Allah, Shiva e i cra cra mi impediscono di riprendere il sonno.
Alle cinque del mattino, quindi, mi alzo e dopo dieci minuti io e Pozzati partiamo dall'hotel per recarci all'aeroporto. Con un piccolo stratagemma riusciamo ad entrare sino alla dogana. Il volo arriva, ma Zenash no! Il bagaglio di Nello non è arrivato. Carosello di telefonate per riuscire a sapere che il permesso non è ancora arrivato a Zen. Partirà in serata in prima classe. Girovaghiamo per i mercatini e i negozietti della città alla ricerca di abiti per Nello. In serata ceniamo all'ottimo Royal Chef a base di pesce grigliato con contorno di riso. Ottimo.

1 Agosto 2004: Dar Es Salam
Il programma per la giornata prevede: sveglia mattutina come ieri, raccolta di Zen all'aeroporto alle sette meno venti, appuntamento con gli altri alle sette, check in per Zanzibar con volo alle dieci. Dovremmo sapere come vanno le cose e dovremmo fare a meno di affannarci, perché... l'aereo da Addis Ababa ritarda di tre ore (scalo tecnico ad Arusha), Zen non arriva (problemi di overbooking ?) e il volo per Zanzibar è solo nel pomeriggio. Col solito traffico di telefonate, email ed SMS riesco a sapere che Zen arriverà domani nel pomeriggio.
Gli altri partono per Zanzibar e io rimango a Dar Es Salam ad aspettare Zen. Nel pomeriggio, dopo aver riposato un paio d'ore, girovago un po' per le strade del mercato. Acquisto uno zainetto per quattro dollari e me ne torno soddisfatto all'albergo. Ottima cena a base di pesce cucinato alla Zanzibar. Alle undici sono finalmente nel mondo dei sogni. Prima però, riesco a farmi il bucato. Hotel Catether. Ottime camere per 25 $/notte (doppia). Silenzioso durante la notte. TV satellitare. Aria condizionata. Bar sulla terrazza panoramica con prezzi medi. Ristorante pulito e ottimi piatti a prezzi contenuti.

2 Agosto 2004: Dar Es Salam
Alle sei e mezza sono sveglio ma mi impongo di rimanere a letto a riposare ancora un po'. Dopo colazione giro un po' per le vie intorno all'albergo e dopo aver preso coraggio entro nel più grande mercato coperto africano. Qui è tutto un vociare. Intorno all'edificio le mercanzie sono per lo più disposte a terra (soprattutto frutta e verdura) o sulle bancarelle (radio, taniche, vestiti, borse, spezie e altri mille generi di oggetti); dentro invece ci sono addirittura dei negozietti. Mi compro un tanka da regalare a Zen con la scritta in swaili “akuna “ (“nessuna è meglio di te”), il quadernetto su cui sto scrivendo il diario di viaggio e una penna.
Il meglio tuttavia è fuori dove c'è un miscuglio di gente e di cose da far girare la testa. Tutti si vendono o comprano qualcosa e nessuno sembra mostrare eccessivo interesse nei miei confronti. Mi offrono carote, manghi o ananas come fanno con gli altri. Sembra che non capiscano che non me ne posso fare nulla di tre teste d'aglio o di una melanzana. A volte i colori si sfumano l'uno nell'altro, altre si incrociano e si scontrano in contrasti violenti. I profumi e gli odori sono penetranti e ci vuole qualche istante prima di recuperare appieno il controllo di tutti i sensi.
Mi ricorda un po' il mercato del pesce di Catania... ma quanto è lontana l'Italia. Vorrei che anche Zenash fosse qui per vedere e per provare queste sensazioni, ma sono certo che il mercato di Addis Ababa non sia molto differente.
Me ne sto un po' in terrazza a leggere e pranzo poco dopo mezzogiorno con riso e verdure (2000 Tsh= 2 $). Alle due sono nuovamente in aeroporto per scoprire che l'aereo ritarderà sino alle cinque e mezza. Anche stavolta l'Ethiopian airlines ha pensato bene di deviare il volo su Arusha dove raccogliere passeggeri nuovi al posto di altri lasciati sul posto. Accidenti! Così perdiamo anche l'ultimo volo per Zanzibar di questa sera. Finalmente il volo è atterrato. Un abbraccio liberatorio ci fa dimenticare i patemi degli ultimi giorni. Le paure per il visto si dissolvono in un attimo quando Zenash si gira e si allontana dal bancone dei visti.

3 e 4 Agosto 2004: Dar Es Salam - Zanzibar
Sveglia mattutina. Il volo per Zanzibar è alle sette e non dura che venti minuti. Il bimotore di Precision Air fa giusto in tempo a raggiungere la quota di navigazione che già deve scendere. Un pulmino ci aspetta fuori dall'aeroporto. Ci porta a Stone Town all'albergo dove hanno dormito gli altri del gruppo e, poiché non si sono ancora svegliati, facciamo in tempo a far colazione in una “pasticceria”.
Finalmente insieme partiamo per il villaggio “Jambiani east coast”. Il posto è incantevole! Ci troviamo in un punto dell'isola molto a sud. Davanti al bungalow (a meno di cinque metri), il mare. Quando arriviamo, a dire il vero, troviamo una lunga distesa di sabbia a causa della bassa marea. In lontananza l'acqua turchese precede la barriera corallina dove si infrangono le onde. Le mille pozze che rimangono quando l'acqua si ritira diventano ognuna un mondo ricco di vita. Le stelle marine si infilano negli anfratti di qualche roccia lasciando i tentacoli in balia dei movimenti dell'acqua; piccoli pesci bianchi frugano tra le alghe. Sono i paguri che la fanno da padroni; ce ne sono a centinaia in ogni pozza, di ogni dimensione e occupanti abusivi di conchiglie di tutte le fogge.
Lungo la costa una spiaggia di sabbia bianca come la neve avvolge l'intera isola e durante la bassa marea diviene la principale via di comunicazione. Decine di uomini, donne e bambini a piedi e in bicicletta la percorrono in entrambe le direzioni carichi di ogni genere di mercanzie.
Vi sono poi alcune pozze più profondo di altre (probabilmente scavate da mani umane) in cui sono state piantate file di picchetti legati tra loro da corde di nylon. Appese alle corde fluttuano numerose alghe, che giornalmente vengono raccolte o riposizionate. Le alghe vengono poi fatte seccare distese a terra nei villaggi dell'isola tanto che il “profumo” di mare aleggia per tutta l'isola anche lontano dalla costa. Pare che le alghe vengano poi vendute ad una azienda giapponese ma nessuno qui sembra sapere quale sia il loro utilizzo finale (Agar agar? Cosmetici? Alimentazione?)

5 Agosto 2004: Zanzibar - Dar Es Salam
Non ci siamo ancora resi conto di essere in un paradiso stupendo e tantomeno siamo stufi di star fermi che già dobbiamo ripartire alla volta di Dar Es Salam per iniziare il nostro vero e proprio viaggio. La traversata in aliscafo miete numerose vittime tra locali e turisti. Tra questi ultimi c'è anche Nello, che è costretto a chiudersi in bagno in preda ad una colica e al mal di mare. Passiamo il pomeriggio a riposarci. Cena in un albergo lussuoso (dove ci porta Malco, il tour operator tanzaniano).

6 Agosto 2004: Dar Es Salam - Moshi
Sveglia alle sette. Alle nove siamo in partenza per Moshi in bus sulla linea Dar Es Salam - Arusha. Il viaggio è tutto sommato confortevole (se solo funzionasse l'aria condizionata!); infatti il mezzo (un pullman Scania con allestimenti brasiliani Marco Polo) è confortevole, provvisto di bagno e durante il viaggio ci vengono offerti snack, caramelle e da bere.
All'una ci si ferma per pranzare in una caotica stazione di servizio. In serata, dopo aver attraversato gran parte del nord della Tanzania arriviamo a Moshi, dove ci attendono due taxi per portarci all'hotel. L'albergo non sembra poi tanto male anche se ha l'aspetto di un luogo semiabbandonato. Sembra di capire che ci sia stato da pochissimo un cambio di gestione; la cosa risulta evidente dal fatto che i camerieri non si muovano completamente a loro agio e che due operai stiano sistemando le camere. Nella nostra manca solo l'acqua calda... per cui ci spostiamo in quella di fronte per fare la doccia. Questo ci da l'opportunità di assistere dalle finestre ad uno stupendo tramonto del sole alle spalle del Kilimanjaro. In serata, infatti la maestosa montagna ci presenta la sua vetta completamente sgombra da nubi. E' un'emozione tutta particolare... Non è una vetta altissima né particolarmente difficile da scalare, in Tibet ho fatto un trekking di cinque giorni a quote più alte, in fondo. Eppure la più alta vetta africana mi lascia comunque a bocca aperta.

7 Agosto 2004: Moshi - Arusha - Lago Natron
Capiamo che da qui le cose si fanno serie poiché al mattino ad aspettarci sulla strada troviamo un fuoristrada Land Rover. Carichiamo i bagagli e partiamo per Arusha dove ci fermiamo per fare rifornimento di acqua e generi alimentari.
La prima tappa di per sé, oltre a rivelarsi un po' troppo lunga, non è particolarmente faticosa e sin dal principio ci da modo di fare nuove scoperte. Appena fuori dai centri urbani abbiamo infatti modo di vedere gruppetti di ragazzi Masai completamente dipinti di nero con strisce bianche e una piuma sul capo. Si tratta dei giovani che stanno passando all'età matura attraverso un rito di passaggio.
Pranziamo a Mto Wa Mbo nel villaggio di Marzio (un amico di Claudio e Luciana). Il paesino è crocevia di alcuni fra gli itinerari più battuti dai turisti e vi si possono trovare dei gradevoli oggetti di artigianato.
Dal primo pomeriggio, cominciamo ad avvistare i primi animali selvatici (gazzelle di Thompson e di Grant, giraffe e zebre). Invece il problema del giorno è che al tramonto non siamo ancora al campeggio. Al crepuscolo ci troviamo di fronte ad un fiume in secca con un salto di un metro e mezzo. L'autista ha capito finalmente di aver sbagliato strada e si avventura al buio alla ricerca del campeggio. Dopo un'ora non è ancora tornato. Intorno a noi il buio è ora totale. Solo la vetta dell'Oldjongo Lengai sulla nostra sinistra si staglia sino a toccare le stelle.
Sappiamo che l'autista è privo di torcia elettrica ed iniziamo a temere che non sia più in grado di ritrovare la strada del ritorno, quando ci raggiunge un masai. Non capisce e soprattutto non parla inglese ma ci indica insistentemente una strada più in basso rispetto a noi e a gesti fa capire più avanti ci sono delle tende (o delle capanne?). Poi se ne va. Ormai è buio. In cielo brillano stelle mai viste prima così splendenti e in così gran numero. Avevo il ricordo ormai lontano dello stupore provato sotto il cielo del Tibet durante il trekking da Lasha a Samià e del cielo sopra Watamu vent'anni fa... Ma ora mi sembra di essere testimone di un evento straordinario; eppure qui tutte le notti il cielo si mostra così. Cosa ci perdiamo noi, nelle nostre città troppo illuminate!
Gli altri, tuttavia non sembrano godersi lo spettacolo, impauriti come sono dalla situazione: siamo in un parco abitato anche da animali feroci, di notte e senza protezione sicura. Bruno impreca contro l'autista e il cuoco. Anna e Luciana hanno paura per Nello e Claudio che si sono allontanati per cercare i tanzaniani e quando tornano Nello sgrida contro Claudio per la situazione incresciosa. Claudio minimizza, ma si vede che ce l'ha con i nostri accompagnatori. Zenash, ostenta una sicurezza che non ha veramente.
Dopo circa un'ora Amahni e Salomon tornano chiaccherando tra loro. Raccontano di aver percorso la strada sino ad un campo. Con loro c'è anche il masai incontrato prima, che ora ci guiderà nel buio. Tra gli strepiti di Anna, Nello e Luciana, il fuoristrada avanza tra le sterpaglie sino ad un gruppo di tende. Ci è subito evidente che non è il posto giusto: dalle tende fanno capolino teste assonnate che protestano in mille lingue e un secondo masai (questo sì che parla swahili) spiega che la nostra meta è più a valle. Col suo aiuto finalmente raggiungiamo il campeggio.

8 Agosto 2004: Lago Natron - Oldjongo Lengai
Giornata di riposo. Al mattino ammiriamo stormi di fenicotteri sul lago Natron e portiamo un borsone di farmaci al dispensario locale. Le malattie che affliggono la popolazione di questa zona sono le solite che uccidono milioni di persone nel mondo e che con pochi soldi di investimento sarebbero presto debellate. Eppure nessuno Stato ricco si impegna nella ricerca per malattie che esistono solo nei paesi poveri ed ecco quindi che malaria e dissenteria mietono vittime a migliaia ogni giorno. Fa rabbia sentirsi così impotenti. Fa rabbia sapere che le industrie farmaceutiche spendono enormi somme in regalie ai medici. Fa rabbia vedere aerei ultramoderni e ultracostosi, sganciare bombe da milioni di dollari per qualche barile di petrolio.
Nel pomeriggio facciamo una bella dormita, ma il tempo sembra non passare e quindi ci decidiamo a recarci alle cascate. Risalendo il fiume che scorre dietro al campo si raggiunge, con una ventina di minuti di cammino, un luogo incantevole. Ci si trova all'interno di una gola scavata dall'acqua nella roccia. In questo punto l'acqua del fiume fa un salto di circa tre metri rovesciandosi in una sorta di vasca, mentre dall'alto un secondo torrente confluisce con una cascata di una decina di metri nel letto del primo corso d'acqua. L'acqua cade dall'alto dividendosi in mille scrosci tra le foglie dei banani e delle palme.
Una prima sensazione di freddo mi passa repentinamente dopo l'immersione; poi vengo rapito dall'ambiente e da un'euforia incontrollabile che mi fa tornare bambino. Ci spruzziamo di acqua, nuotiamo controcorrente e ci facciamo fare l'idromassaggio dalla corrente impetuosa. Stanchi e felici torniamo al campo per cena.
Verso mezzanotte ci alziamo dopo qualche ora di un sonno inquieto. Io, Zenash e Claudio ci facciamo accompagnare con una guida masai ai piedi del vulcano. A mezzanotte e mezza iniziamo la salita. Dopo un primo tratto facile, il sentiero inizia a salire dritto verso la cima e comprendiamo subito che sarà molto dura. Abbiamo con noi tre litri di acqua a testa, le torce elettriche e una felpa. Il sentiero è a tratti polveroso e a tratti a gradoni scavati dalla pioggia nella roccia. Si fatica moltissimo e la cenere del vulcano secca la pelle sudata. A circa un terzo del percorso Claudio inizia a cedere. Ha qualche conato di vomito e ha rallentato notevolmente il passo. Dopo circa un'ora ancora di cammino si butta a terra per una pausa e ci esorta a continuare da soli. E' molto tardi, sono circa le quattro, quando riprendiamo il cammino. Verso le cinque anche Zenash è esausta e alla vetta manca ancora un'ora e mezza di cammino ma sembra ancora lontanissima. Zenash vuole tornare indietro e io non sono in grado di convincerla (e convincermi) a continuare. Io stesso ho dei timori per la discesa: ho il ginocchio destro dolorante e so bene che i tratti di arrampicata in salita saranno dei salti in discesa. Decidiamo di rinunciare. Non voglio dare il massimo perché non conosco questa montagna e voglio che anche Zenash abbia energie in caso di qualche imprevisto. La guida si butta a terra e si addormenta di botto (scenderemo con la luce dell'alba). Noi ci accucciamo sul sentiero. Mi tolgo la maglietta fradicia e tengo la sola felpa di cotone. Si muore dal freddo! Ci abbracciamo e cerchiamo di sistemarci in modo da non disperdere il calore, ma in breve comincio a tremare. Zenash si addormenta (le sue mani aggrappate al mio zaino mollano lentamente la presa). Sopra di me il cielo è immenso e freddo nella sua insondabile oscurità. Passa un satellite. Io tremo sempre più forte, non riesco a controllarmi.
Finalmente si inizia ad intravvedere una pallida luce sulle nuvole in lontananza. Decidiamo di scendere. La discesa si rivela molto più semplice del previsto in quanto la polvere attutisce ogni passo. Una nuvola di cenere ci avvolge e ci ricopre. A metà tragitto recuperiamo Claudio e alle otto siamo ai piedi del “mostro”. Stravolti ci stendiamo nella savana. Abbiamo i capelli e le facce grigie di polvere e di sconforto, ma non siamo così stanchi come avremmo creduto. Non siamo arrivati in vetta, ci mancava poco ormai. Vedevamo distintamente le colate bianche di soda nel buio della notte riflettere la luce della luna. Eppure non siamo delusi, siamo contenti di averci almeno provato e siamo intimamente convinti di aver fatto qualcosa di speciale.

9 Agosto 2004: Lago Natron - Lago Eyasi
Viaggio lungo nella savana e sulle colline. Vediamo qualche animale selvatico e copriamo la cenere della notte con tantissima altra polvere. Per il pranzo ci fermiamo in una capanna in un villaggio al limitare del parco. Con una caraffa ci laviamo via almeno un po' di polvere sotto lo sguardo allibito di un masai che mangia chapati pucciato in un cappuccino! La situazione è a dir poco surreale! Anche oggi siamo arrivati col buio. Al campo c'è un gruppo numeroso di Avventure nel Mondo. Doccia fredda contro la polvere e per rigenerarci e... via a nanna.

10 Agosto 2004: Lago Eyasi - Ngorongoro National Park
Sveglia mattutina per la caccia coi boscimani. Ci trasferiamo col fuoristrada nella boscaglia. Tra gli alberi localizziamo alcuni giacigli e alcuni fuochi. In una radura un gruppo di uomini, donne e bambini si riscalda intorno a due fuochi. Alcuni cani giocherellano intorno a loro. A terra archi, frecce e pugnali. La guida locale (un boscimane in giacca a vento) ci presenta. Sono molto cordiali e ci tengono a stringerci personalmente la mano uno ad uno, bimbi e donne compresi. Claudio gli offre dei sigarilli ripieni di erbe strane (cannabis?) acquistati appositamente qualche giorno prima. Loro diligentemente se li dividono (donne e bambini compresi), li scartano e ne fumano il contenuto con delle specie di pipe (donne e bambini compresi!).
Alle prime luci comincia la caccia. Gli uomini e i ragazzi meno giovani (10-12 anni) raccolgono le armi e partono. Noi li seguiamo nella boscaglia. Usano tre tipi di frecce a seconda della preda da catturare. Punte in metallo a guisa di freccia con del veleno per gli animali più grossi (antilopi, ad esempio), punte in metallo dentellate ma più fini per animali di medie dimensioni e frecce di legno per uccelli e piccoli mammiferi. Percorrono la boscaglia intorno al letto di un fiume asciutto quasi di corsa, fermandosi di tanto in tanto ad aspettarci, ogni volta che si accorgono di averci distanziato.
Nel frattempo le donne, gli anziani, i malati e i bambini rimangono al campo o raccolgono fra la boscaglie bacche e radici. La caccia, oggi, non va tanto bene; dopo quasi tre ore non sono riusciti a prendere nulla. Hanno fatto scappare tre Dik Dik. Poi hanno mancato di poco un cuculo ed infine si sono fatti sfuggire un paio di scoiattoli. Le scimmie che sostengono di aver visto si sono volatilizzate.
I boscimani, dall'inglese bush e man (letteralmente: uomini della boscaglia), si spostano in quest'area di tanto in tanto cambiando il luogo in cui si fermano per la notte. Non costruiscono edifici di nessun genere ma dormono in giacigli improvvisati disposti intorno al fuoco e si coprono tutt'al più con qualche foglia di palma o di banano. Si nutrono di quel che trovano e dividono tra tutti i membri del gruppo le poche risorse di cui dispongono. Gli anziani e i malati rimangono al campo con i bimbi più piccoli e con i cuccioli dei cani durante il giorno. Non sembrano denutriti o mal messi ma li lasciamo con sentimenti di pietà e tristezza. Prima dei saluti ci lasciano provare i loro archi e cercano di venderci collanine confezionate dalle donne, fatte di aculei di istrice bucati e tagliati in pezzetti di qualche centimetro.
Alla fine di questa esperienza ho acquisito fondamentalmente una certezza: la caccia non fa per me (a malapena sono riuscito a scoccare una freccia con l'arco di un bimbo)! Meglio Zenash, invece, a cui però manca completamente la mira!
Fatti i bagagli, smontate le tende e presa la colazione, si riparte. Nel pomeriggio arriviamo all'ingresso del parco di Ngorongoro. Qui fa più fresco e la vegetazione è verde e lussureggiante. Ci sono numerosi turisti, alcuni dei quali in abbigliamento assolutamente differente dal nostro: scarpe coi tacchi, minigonne, sciarpette e cappellini; sono tutti freschi, lindi e profumati (noi siamo ancora una volta sudati e ricoperti di polvere). Si capisce che qui ci sono alberghi e un aeroporto.
Sbrigate le formalità entriamo nel parco. La strada arranca su per la montagna in una fitta foresta. Ci fermiamo sul bordo del cratere da cui si gode uno stupendo paesaggio. Dalla strada un bufalo ci guarda incuriosito, poi salta tra le frasche.
Il campeggio si trova sul bordo del cratere. Fa parecchio freddo e l'umidità non aiuta a sopportare la temperatura. Anche qui i turisti sono numerosissimi; ai bagni si fa la coda e le cucine sono una babilonia in miniatura. Un gruppo di spagnoli arrivato quasi col buio ci invade il ritaglio di prato che avevamo occupato; alcuni vorrebbero montare le loro tende addirittura davanti alle nostre aperture, ma per fortuna si decidono a ricredersi dopo la nostra ferma protesta e l'intervento del loro capogruppo. Fanno un casino bestiale!

11 Agosto 2004: Ngorongoro National Park - Serengeti
Alle prime luci siamo in piedi. L'umidità è alta anche in tenda e fa parecchio freddo. Non si vede nulla! Le nuvole ricoprono tutto di una coltre lattiginosa fatta di mille goccioline. La discesa nel cratere è ripida, ma meno di quel che credessi e la nostra jeep fa certo meno fatica dei pulmini che girano qui.
All'interno del cratere finalmente siamo sotto le nuvole e iniziamo ad avvistare i primi animali. Qui sul fondo si trovano molti degli ambienti presenti in Africa e spostandosi da uno all'altro si possono vedere quasi tutti i tipici animali africani. Vediamo ippopotami, gazzelle di Thompson e di Grant, varie altre antilopi, gnu, bufali, ghepardi, leoni, elefanti, giraffe, iene e un rinoceronte.
Tuttavia alla fine del giorno mi rimane un po' d'amaro in bocca. Gli animali vengono circondati dai pulmini (qui i turisti sono vermante tanti!) e comunque sembra quasi di essere in uno zoo, visto lo spazio ristretto in cui ci troviamo. Di tutto il tempo trascorso qui, ciò che mi colpisce di più è il “contatto” coi falchi. Ce ne sono almeno un ventina nell'area in cui ci fermiamo per pranzo. Scendono in picchiata su di noi per rubarci il cibo e in un paio di occasioni ci riescono anche: Bruno perde dalle mani la sua coscia di pollo e un panino appoggiato su una roccia prende il volo in un secondo tra gli artigli di uno dei rapaci. Scendono in picchiata su noi cercando di procurarsi qualcosa da mangiare, poi si rialzano in cielo e volteggiano sulle nostre teste in attesa del momento propizio.
Da Ngorongoro scendiamo nel Serengeti. Durante il tragitto ci capita di vedere ancora numerosi animali, ma mai in gruppi numerosi come quelli che vidi vent'anni fa in Kenya negli Tsavo e nell'Amboseli. Qui inoltre sembrano essere molto più abituati alla presenza dell'uomo, tanto da far sembrare meno naturale la loro presenza. Nel Serengeti, comunque, il numero dei turisti è inferiore e ci si gode meglio la castità dei panorami.
Scartato il campo che ci era stato assegnato a causa della ridotta quantità di servizi (non ci sono nemmeno le cucine e sta per piovere), ci spostiamo in un secondo campeggio, dove arriviamo col buio. Non abbiamo ancora finito di montare le tende che un forte temporale ci sorprende. Ci rifugiamo nell'auto con i bagagli mentre scrosci di pioggia si abbattono sul campo. E' ormai buio pesto quando smette di piovere, ma i danni dell'acqua sono minori di quel che sembrasse. Dopo cena ci rifugiamo nelle tende bagnate con i soli sacchi a pelo. Il campo non è protetto in alcun modo e quando mi reco al serbatoio di acqua per lavarmi le mani la luce della torcia rimbalza su due occhietti che mi guardano. In fondo le mani non sono così sporche e me ne torno in tenda!

Il proseguimento del diario con la parte finale del viaggio sarà presto on line, sempre sulle pagine virtuali di Ci Sono Stato!

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