Conosco poco la Sardegna, anzi pochissimo (e me ne dispiace): la mia esperienza precedente è infatti limitata al Selvaggio Blu effettuato nel 2003, un trekking molto impegnativo che dal golfo di Orosei porta sul Supramonte di Baunei in Ogliastra scendendo anche a spiagge spettacolari come Cala Goloritzé, Cala Luna, Cala Sisine, Cala Gonone. Comunque una realtà più “di terra” che di mare e di certo non turistica come possono essere le decantate mete della Costa Smeralda che nell’immaginario collettivo sono spesso identificate con la Sardegna “tout court”: non ci sono mai stato ma è noto che lì i prezzi sono elevati e non di rado fuori di testa, insomma da quel punto di vista le isole greche vincono alla grande.
Però per fortuna ci sono anche “altre Sardegne”.
Riporto per sommi capi la nostra esperienza con relativi costi. Gruppo di 30 persone del CAI di Arenzano, ci siamo appoggiati a www.naturalmentesardegna.org di Lino Cianciotto, una cooperativa di turismo sostenibile che per la zona del Sulcis Iglesiente in cui ci siamo mossi collabora con Iglesias Mine Tour di Pierpaolo Putzolu.
Il programma da loro messo a punto è consistito in un servizio comprensivo di TUTTO: 8 pernottamenti in mezza pensione (6 a Iglesias e 2 a Calasetta) con cene ottime, abbondanti e variate con buon vino a volontà, tutti i transfer in pullman riservato da/per l’aeroporto e per/da i luoghi di inizio e fine delle escursioni, abbondante pranzo al sacco, tutti gli ingressi (trenino minerario, grotta di Su Mannau, Museo Fenicio e villaggio ipogeo di Sant’Antioco, traghetto Calasetta-Carloforte), accompagnamento dal primo all’ultimo minuto di Lino e Pierpaolo, efficienti, preparati, disponibili che hanno pure omaggiato ciascuno dei partecipanti di mappe e di due belle pubblicazioni illustrate sul Sulcis Iglesiente.
Abbiamo effettuato ogni giorno una differente escursione (alcune impegnative, altre meno), quasi tutte con il corollario - durante o alla fine - di una puntata in spiaggia per bagno/spuntino/relax: spiagge che non saranno quelle più celebrate dal turismo, ma vi assicuro che Buggerru, Cala Domestica, Masua, Scivu, Piscinas, Porto Pino, Coequaddus di Sant’Antioco, La Bobba di San Pietro non sfigurano al loro confronto.
DIARIO DI VIAGGIO
Atterriamo nel capoluogo sardo intorno alle 13 di sabato 14 settembre 2013. Uno spuntino al bar dell'aeroporto e intraprendiamo una (per forza di cose) breve visita di Cagliari, dopodiché una sessantina di chilometri che copriamo in circa un'ora ci conducono a Iglesias, dove faremo base per sei pernottamenti.
La cittadina, che potrebbe far pensare a un luogo anonimo che ha la propria ragion d'essere solo nelle tracce della passata attività mineraria, si rivela invece sorprendentemente piacevole e molto curata: vi si alternano eleganti palazzi classicheggianti a suggestivi scorci sull'intrico di vie pedonali e piazzette del centro storico. Una simpatica curiosità consiste nella storica Pasticceria Lamarmora, uno dei rari esempi rimasti in Italia di facciate decorate con pubblicità (alcuni prodotti sono dimenticati, se non addirittura non più esistenti): le sale ai piani superiori non sono più attive e quella che era una pasticceria è oggi solo un bar, comunque accogliente, ma solo bar. Per fortuna, sono conservate in buon stato le pareti affrescate. A Iglesias è tuttora ben vivo il ricordo della dura attività mineraria passata, onorata con alcuni monumenti assai espressivi.
Raggiungiamo infine la struttura che ci ospiterà, ubicata un paio di chilometri dal centro in posizione tranquilla. Ottima sistemazione, con nota di merito per l'eccellente cucina: ogni sera menu completamente diversi in un'alternanza di carne e pesce, buoni vini locali, porzioni abbondantissime. Raccomandato senza riserve! http://www.hotelsportvillage.it/
E veniamo al programma di escursioni, motivazione primaria di questo viaggio, trattandosi di un gruppo del CAI di Arenzano. L'area in cui ci muoveremo è quella del Sulcis Iglesiente, la zona sud-occidentale della Sardegna.
La prima giornata si articola in un'escursione a piedi di circa tre ore, coronata da una visita della galleria mineraria Henry e relax in spiaggia, poi nel tardo pomeriggio trasferimento alla grotta di Su Mannau.
Si parte da Planu Sartu, uno dei tanti siti in cui, a partire da metà ottocento, furono attive le miniere di zinco, rame, piombo e argento che per oltre un secolo posero la Sardegna ai primi posti nel settore, non solo in Italia ma anche in ambito europeo.
In un contesto di macchia mediterranea a breve distanza dal mare, incontriamo le prime testimonianze di quell'attività, sotto forma di ruderi di ricoveri di attrezzi e vasche per il lavaggio del minerale. Il sentiero si sviluppa spesso presso l'orlo superiore di falesie calcaree e naturalmente gli scorci costieri la fanno da padrone, nonostante la giornata un po' nuvolosa. Dopo un paio d’ore di marcia, in basso si scorge il piazzale in cui il trenino minerario inverte la marcia e giungiamo di lì a una mezzora in vista di Buggerru, uno dei più importanti insediamenti all'epoca delle miniere e piacevolmente conservato, con casette basse dai colori vivaci e una bella spiaggia sabbiosa che sarà la nostra meta per spuntino di metà giornata e relax.
Lungo il vialetto di accesso alla Galleria Henry sono esposte, a mo' di piccolo museo, attrezzature per l'attività estrattiva e un altarino a ricordo dei numerosi caduti in miniera. Il percorso in galleria con il trenino, su una lunghezza di 960 metri, è documentato con un video, di cui riporto il link: http://www.cisonostato.it/diario_dettaglio.php?idD=3447
All'uscita, si torna al punto di partenza a piedi, alternando tratti in gallerie parallele ad altri lungo un camminamento scavato nella roccia (messo in sicurezza con ringhiere) che regala vedute vertiginose sul mare sottostante.
Dopo un paio d'ore passate sulla spiaggia di Buggerru, dirigiamo verso la grotta di Su Mannau. La cavità, una delle cinque o sei aperte al pubblico fra le tantissime esistenti in Sardegna, si sviluppa in due settori principali su livelli differenti, originati da due corsi d’acqua sotterranei, rispettivamente i fiumi Placido e Rapido. La lunghezza totale è di 8 chilometri ma solo una parte è visitabile grazie a camminamenti illuminati agevolati in più tratti da scale e passerelle che rendono la grotta accessibile a tutti: si possono ammirare in successione numerose sale impreziosite da concrezioni, stalattiti, stalagmiti, colonne alte fino a 15 metri. Un vero spettacolo della geologia!
Nella giornata successiva si comincia a “fare sul serio”. E' infatti in programma un'escursione che, pur non toccando quote superiori ai 200 metri sul livello del mare, vede uno sviluppo alquanto lungo e una successione di saliscendi, non di rado su pendii scoscesi e sassosi, che sommati raggiungono un dislivello non trascurabile.
Punto di partenza è Cala Domestica, una stupenda insenatura al termine di una distesa di dune, racchiusa fra due alti promontori ricoperti di macchia mediterranea. La spiaggia è di sabbia dorata mista a scogli e, grazie alla posizione riparata e al fondale basso, risulta ideale per le famiglie con bambini. A un'estremità dell'arenile si estendono i ruderi di vecchie installazioni minerarie.
Si prende a salire lungo il promontorio meridionale, con vedute sempre più ampie che fanno apprezzare la spettacolarità dell'insenatura e raggiungiamo in breve una vecchia torre di avvistamento. Questo tipo di manufatti erano diffusi un po' in tutti i punti elevati della costa ed erano in comunicazione ottica ciascuno con quelli adiacenti: in caso di pericolo (in particolare scorrerie di pirati), bastavano segnalazioni con specchi o con fuochi per allertare in poco tempo estese porzioni del territorio.
Puntiamo adesso decisamente a sud lungo un sentiero che si mantiene costantemente a breve distanza dall'orlo superiore delle falesie, regalando una successione di vedute in continuo mutamento. In certi punti la macchia mediterranea è decisamente fitta e si procede fra cespugli di lentisco, mirto, rosmarino e altre profumatissime essenze. Di tanto in tanto, da vertiginose fenditure si schiudono scorci mozzafiato sul mare sottostante e su pareti rocciose di assoluta verticalità.
Dopo un ultimo sguardo sull'ormai lontana Cala Domestica si cambia decisamente versante, ma non cessano le vedute spettacolari. Ci attende ora una ripida discesa, decisamente impervia da percorrere con cautela, che ci calerà al livello del mare, ma il premio per la faticosa discesa è un luogo incredibile: si tratta del Canal Grande, un'insenatura che un tempo fungeva da approdo per le navi che caricavano il minerale estratto alcuni chilometri all'interno e portato qui tramite una mulattiera ancora in ottimo stato. Le rocce stratificate costituiscono un'autentica lezione di geologia a cielo aperto e un ulteriore spettacolo è dato da una cavità "passante" di un centinaio di metri praticabile solo via mare (peraltro quasi sempre turbolento). Il luogo è spettacolare ma, un po' per la costa molto rocciosa e un po' per il mare mosso, rinunciamo al bagno e ci limitiamo a un pediluvio ristoratore.
Ma per arrivare a Masua, termine dell'escursione, bisogna camminare ancora per quasi tre ore su continui saliscendi: come per gli altri itinerari, esiste però un'alternativa "morbida", in questo caso la mulattiera che sale dolcemente verso l'interno per confluire in circa un'ora e mezza sulla carrozzabile dove è previsto il rendez-vous con il pullmino che riporta a Masua.
E' al gruppo di questa opzione che mi unisco, per dare sollievo alle mie anziane ginocchia che la ripida discesa ha messo a dura prova. La passeggiata si sviluppa su dolci pendii ammantati di fitta macchia mediterranea e di tanto in tanto ci si imbatte in ruderi di installazioni minerarie dismesse.
Masua è una magnifica insenatura che alcuni promontori suddividono in diverse spiaggette di sabbia fine. A poca distanza si erge imponente - vera e propria icona del Sulcis Iglesiente - il Pan di Zucchero, un possente faraglione reputato fra i più alti d'Europa con i suoi 132 metri, originato dall'erosione del mare che ne ha determinato l'isolamento dalla terraferma. E' bello "perdersi" fra le varie calette delimitate dalle rocce stratificate, dove la luce, l'acqua e la sabbia sembrano giocare per creare suggestivi chiaroscuri.
A metà pomeriggio veniamo raggiunti dai "duri" che hanno effettuato la traversata "alta", dopodiché sbucano come d'incanto dal bagagliaio del pullman pane carasau, salumi, formaggi, buon vino locale. Una inattesa e quanto mai gradita merenda allestitaci dalle nostre impareggiabili guide, destinata a diventare una piacevole consuetudine nelle giornate successive!
L'escursione da Ingurtosu a Piscinas è veramente unica per essere un mix fra l'archeologia industriale e lo spettacolo naturale delle dune.
Copio-incollo da uno dei tanti siti specializzati che ho consultato in preparazione del viaggio:
Il villaggio di Ingurtosu è situato all'estremità della lunga valle de Is Animas che conduce verso il mare della Costa Verde e termina sulle dune di Piscinas.
L'antico borgo, abitato oramai solo da pochissime famiglie, era il centro direttivo delle aree minerarie di Ingurtosu e di Gennamari. Nel villaggio erano dislocate le abitazioni degli operai e degli impiegati, l'ospedale, la chiesa ed il palazzo della direzione, denominato il Castello, situato in una posizione dominante.
La Miniera di Ingurtosu è uno degli otto siti minerari che compongono il Parco Geominerario Storico Ambientale della Sardegna, ufficialmente riconosciuto nel 1997 dall'UNESCO come primo parco all'interno della rete mondiale dei Geositi/Geoparchi, istituita con lo scopo di tutelare e valorizzare il patrimonio tecnico-scientifico, storico culturale ed ambientale dei siti nei quali l'uomo ha utilizzato le risorse geologiche e minerarie.
L'abitato è dominato dalla chiesetta di Santa Barbara, protettrice dei minatori: è da qui che ha inizio la nostra escursione. Dalla chiesa ben si riconosce il cosiddetto Castello, un tempo centro direzionale del distretto minerario mentre poco sotto di noi ci guardano curiose due femmine di Cervo Sardo.
Ben presto raggiungiamo il "Castello", un complesso architettonico di grande suggestione. L'itinerario prosegue in vista dei ruderi delle unità abitative un tempo occupate dai minatori in stridente contrasto con l'eleganza del centro direzionale. E' molto istruttiva la visita del "Pozzo Gal", un'importante miniera in cui sono ben conservate e riconoscibili, per quanto arrugginite, le attrezzature per l'attività estrattiva. Occorre precisare che il termine "pozzo" in questo ambito non definisce solo uno scavo verso il basso ma, più in genere, un complesso minerario.
Il percorso prosegue in un'area in cui tutto testimonia la passata attività mineraria, dai grandi complessi ai piccoli particolari che si scorgono dovunque si diriga lo sguardo. Particolarmente evocativo è il passaggio sul terrapieno su cui era posata la linea ferroviaria destinata al trasporto del minerale.
Questa straordinaria escursione immerge in paesaggi quasi fuori dal tempo: ruderi di case, impianti e cantieri dismessi, pozzi diroccati, enormi quantità di materiali di scarto, carrelli minerari arrugginiti fanno davvero pensare ai villaggi fantasma del Far West. Uno dei complessi più imponenti è quello della Laveria Brassey, un tipico esempio di architettura industriale squadrata e funzionale peraltro non privo di qualche concessione all'estetica.
Si prosegue attraversando terreni sventrati dalle cave, il cui abbandono ha lasciato una sorta di paesaggio lunare.
Il paesaggio va poi addolcendosi, sfumando gradualmente in un sottobosco percorso da un torrente. Si attraversa più volte il corso d'acqua improvvisando divertenti guadi finchè la vegetazione si dirada rivelando quasi all'improvviso l'inizio delle dune.
Piscinas è il sistema dunale più esteso di tutto il Mediterraneo: cumuli imponenti di sabbia che svaria dal color oro al bianco abbagliante si innalzano per un centinaio di metri, da un lato penetrando nell'entroterra per oltre un chilometro e dall'altro smorzandosi in un mare cristallino. Il loro fronte misura circa 3 chilometri, dando luogo a una spiaggia di sabbia finissima, una delle più celebrate della Sardegna.
Raggiunto il culmine della prima duna si scorge finalmente il mare che è ancora lontano ma potrebbe essere raggiunto scendendo in linea retta. Significherebbe però perdere una serie di scorci praticamente infiniti e qui diventa indispensabile la profonda conoscenza del luogo da parte delle nostre guide: senza dubbio Lino e Pierpaolo conoscono il loro mestiere e per un paio d'ore ci conducono, in una serie di saliscendi, a belvederi uno più spettacolare dell'altro che ci fanno comprendere l'unicità di questo luogo straordinario.
Raggiunta infine la spiaggia, è irrinunciabile un lungo bagno, seguito dalla merenda con la quale ormai le nostre guide ci stanno viziando. Interessante completamento dell'esperienza, è una passeggiata lungo l'immediato interno del fronte mare, dove si estendono piccole lagune di acqua salmastra che danno luogo a scorci insoliti quanto suggestivi. Degna conclusione di un'escursione di grande soddisfazione!
Escursione da Capo Pecora a Scivu
Capo Pecora, l'estremità meridionale della cosiddetta Costa Verde, è un promontorio di granito modellato dalla forza del mare e del vento. La spiaggia è composta da ciottoli chiari e massi di composizione granitica levigati dalle maree, fra i quali trova il suo habitat una sorprendente fioritura di candidi gigli. Immediatamente dietro alla spiaggia, si estende una fitta macchia mediterranea, nella quale si inoltra il nostro sentiero.
Avanziamo lungamente nel folto della vegetazione, dalla quale emergono una grande quantità di massi dalle forme bizzarre prodotte dall'erosione eolica. Gli scorci creati da questo singolare paesaggio, ora verso l'interno, ora verso la costa sottostante, sono praticamente infiniti e stimolano la fantasia di chi vi ravvisa somiglianze con volti, animali, oggetti.
Il percorso muta poi repentinamente, lasciando la costa per inoltrarsi all'interno. Superato con un passaggio un po' accidentato un piccolo canyon prodotto da una frana, si punta decisamente in salita, unica via per scavalcare il promontorio che separa Capo Pecora dalla spiaggia di Scivu. Con uno strappo un po' ripido, l'unico di tutta la traversata, si raggiunge la sommità del promontorio quotata circa 260 metri, già da lontano individuabile per la presenza di quello che a prima vista potrebbe sembrare un nuraghe ma è invece il rudere di una delle tante torri di avvistamento. D'improvviso, sull'opposto versante si ha un magnifico colpo d'occhio sulla sottostante spiaggia di Scivu. Delimitata da alte scarpate di arenaria rossiccia e da retrostanti dune, è fatta di finissima sabbia dorata su un fronte di oltre due chilometri. E' un luogo grandioso e affascinante, grazie alla natura praticamente intatta nella quale è immerso e alla mancanza di insediamenti, eccezion fatta per un minuscolo chiosco verso l'estremità nord aperto solo nella stagione estiva.
Questo punto panoramico è ideale per lo spuntino di metà giornata, anche se la copertura nuvolosa e il vento che si è alzato consigliano di indossare il pile e di cercare riparo fra gli arbusti. Dato il meteo che si è fatto uggioso, abbreviamo la sosta in quota e intraprendiamo la discesa. Anche se Scivu "sembra subito lì sotto", in realtà occorre quasi un'ora e mezza per arrivarvi: infatti il percorso impone ripetuti saliscendi a causa di diversi canyon dei quali bisogna ogni volta raggiungere il fondo e poi risalire sul versante opposto. Una conformazione alquanto articolata che ci premia però con continui mutamenti del panorama. Alcune placche inclinate che si tagliano in diagonale richiedono passo fermo: niente di pericoloso (al massimo si può scivolare per qualche metro e procurarsi qualche graffio fra i cespugli) ma è opportuno un minimo di cautela.
Finalmente la spiaggia è a portata di mano (anzi... di piedi!) e scendendo lungo un ultimo tratto un po' dirupato finalmente eccoci sulla sabbia della tanto decantata Scivu, che è definita "la spiaggia parlante" per via del sordo rumore che si può udire camminando sulla sua finissima sabbia. Il mare è parecchio agitato e risulta subito evidente che non sarà il caso di fare il bagno, ma abbiamo comunque modo di goderci un'oretta di relax, passeggiando a piedi nudi sulla battigia e (indovinate?) sgranocchiando le delikatessen e il vino locale che non mancano mai negli zaini (più simili alle tasche senza fondo di Eta Beta...) di Lino e di Pierpaolo!
Non rimane che coprire i due chilometri che ci separano dal pullman che ci riporterà ai nostri alloggi di Iglesias, ammirando (anche grazie a una schiarita sempre più estesa) gli stupendi scenari di questa spiaggia meravigliosa.
Lasciamo Iglesias per dedicare le ultime due giornate piene del nostro soggiorno alle due isole prospicienti la costa del Sulcis Iglesiente: Sant'Antioco e San Pietro.
Sant'Antioco, con una superficie di 109 kmq, è per estensione la quarta isola italiana dopo Sardegna, Sicilia ed Elba: in realtà è improprio definirla isola, essendo da tempo unita alla terraferma da un istmo sul quale è stata costruita una strada carrozzabile. Eccone una breve connotazione storica, attinta da siti internet.
Abitata in epoca preistorica da popolazioni dell'età nuragica, attorno al IX secolo a.C. fu fondato dai Fenici nella parte nordorientale un insediamento urbano denominato Sulki. In seguito l’isola fu conquistata dai Cartaginesi attorno al VI secolo a.C., poi sottomessa all'impero romano dopo le guerre puniche con il nome di Sulcis, che diede anche il nome attuale alla regione circostante.
Calasetta è abitata da una popolazione di origine, cultura, parlata liguri e denominata "tabarchina". L'insediamento di tale popolazione proveniente dalla Tunisia avvenne nel 1770; il termine "tabarchino" deriva dalla colonia ligure, proveniente da Pegli e dintorni, presso Genova, insediatasi attorno al 1540 in Tunisia avendo in concessione l'isolotto di Tabarca e poi trasferitasi nel 1738 sull'isola di San Pietro, dove fu fondato il centro di Carloforte, successivamente su Sant'Antioco. Nel centro di Sant'Antioco si parla invece una varietà della lingua sarda.
L'isola è suddivisa in due comuni: Sant'Antioco e Calasetta, che amministrano rispettivamente la parte settentrionale e quella meridionale.
Cominciamo la nostra visita dall'abitato di Sant'Antioco, che ci riserva parecchi spunti di interesse, a partire da piacevoli scorci urbani. Davvero degno di nota, sia per pregio dei pezzi esposti, che per funzionalità dell'allestimento, è il Museo archeologico comunale "Ferruccio Barreca", inaugurato nel 2005. I reperti esposti testimoniano le successive civiltà che occuparono l'area: nuragica, fenicia, punica e romana.
Esternamente al Museo si estende l'area del Tophet, la cui funzione fu a lungo discussa dagli storici. Molto diffuso nell'area mediterranea, il Tophet (da Wikipedia) "è un santuario fenicio-punico a cielo aperto, consistente in un'area consacrata dove venivano deposti e sepolti ritualmente i resti combusti dei sacrifici e dalle sepolture infantili". Studi più recenti propendono però verso la teoria che si trattasse piuttosto di aree di sepoltura separate destinate alle tombe infantili, sia di bimbi morti nei primi anni di vita sia di feti abortiti.
Non meno suggestiva è la visita del villaggio ipogeo, localizzato nel sito della necropoli punica scavata tra il VI e il III secolo a.C. Nel corso della Storia la parte più povera della popolazione profanò le tombe trasformandole in abitazioni: il quartiere che andò via via formandosi prese il nome di “Is gruttas” e i suoi abitanti "Is gruttaiusu". Del tutto prive di alcun tipo di servizi, le grotte furono occupate fino agli anni ’60 del Novecento e dai dati degli archivi storici risulta che arrivarono a viverci circa 700 persone. A metà degli anni Novanta un progetto dell’Amministrazione Comunale permise il recupero del rione “Grotte” e la realizzazione del Villaggio Ipogeo, sito oggi tra i più visitati dell'itinerario storico di Sant'Antioco. Nei vari locali sono state ripristinate le originarie destinazioni d'uso, utilizzando arredi in parte di riporto e in parte originali.
Esaurita la parte "culturale", non può mancare quella di relax, consistente in qualche ora su una bella spiaggia. Ci orientiamo su quella di Coaquaddus (Coa de cuaddu), il cui significato è "Coda di cavallo", una bella distesa di sabbia fine delimitata da due promontori rocciosi che meritano una passeggiata lungo la loro sommità alla scoperta di meravigliose calette.
Concluso il pomeriggio balneare, non resta che dirigersi verso il luogo degli ultimi due pernottamenti. Si tratta del resort "Stella del sud", ubicato a cinque chilometri a sud di Calasetta e poche decine di metri all'interno della cosiddetta Spiaggia Grande, una distesa di sabbia chiara delimitata da macchia mediterranea su una lunghezza di quasi un chilometro. In attesa della cena, è imperdibile una passeggiata sull'orlo delle falesie a nord della spiaggia, ammirando le rocce di arenaria che sembrano animate di luce propria dal sole al tramonto.
L'ultima giornata piena del nostro soggiorno prevede la visita dell'isola di San Pietro.
Carloforte è l'unico centro abitato dell'isola. Fu fondata nel 1738, durante il regno di Carlo Emanuele III di Savoia, da una colonia di pescatori liguri provenienti da Tabarca, un'isola al largo della Tunisia: tale colonia era proprietà dei Lomellini, allora signori di Pegli, che allo scopo di sfruttare i ricchi banchi di corallo l'avevano popolata con pescatori quasi esclusivamente pegliesi. L'origine ligure dei suoi abitanti la si può riscontrare nel dialetto, nelle tradizioni, nei costumi, nell'urbanistica del paese, come si può notare visitando il suo centro storico.
Il battello che in circa mezzora porta sull'isola parte dal vivace porto di Calasetta. Approdati a Carloforte costeggiamo uno stagno costiero popolato da fenicotteri rosa fino a raggiungere Cala Fico dove scendiamo dal pullman (che andrà ad attenderci nel punto d'arrivo dell'escursione) per intraprendere la traversata per Capo Sandalo, sul quale è situato il faro più occidentale d'Italia. Si lascia Cala Fico per prendere quota lungo un promontorio e subito ha inizio una sequenza di panorami uno più spettacolare dell'altro. L'isola è di natura vulcanica, come si può notare dalle rocce frantumate in mezzo alle quali si procede, spesso dalle forme curiose. Il percorso si sviluppa lungo ripetuti saliscendi in un paesaggio per il quale l'aggettivo "lunare" non è per nulla sprecato, e non manca qualche divertente passaggio in cui ci si aiuta con le mani.
Dopo circa tre ore, arriviamo in vista del faro di Capo Sandalo che infine raggiungiamo non senza ammirare qualche scorcio vertiginoso sul mare sottostante; anche il piazzale antistante il faro offre vedute mozzafiato a 360 gradi.
Ultimata con soddisfazione quest’ultima escursione a piedi, degna conclusione nel nostro programma, il pullman ci porta lungo una magnifica strada panoramica nella parte sud-occidentale dell'isola a una delle spiagge più belle di San Pietro, dove ci svacchiamo per buona parte del pomeriggio, fra nuotate e spuntini. Si tratta di La Bobba, una stupenda distesa sabbiosa, e così come Coaquaddus di Sant'Antioco, non bisogna rinunciare a una passeggiata lungo i due promontori che la delimitano. Da una parte si possono scoprire incantevoli calette dalle acqua cristalline, mentre sul promontorio opposto una passeggiata di una decina di minuti conduce a quella che è la vera e propria icona di Carloforte: si tratta dei due slanciati faraglioni denominati "Le Colonne", che si possono ammirare da diversi belvederi lungo un sentiero ben tracciato.
Raggiungiamo infine Carloforte, simpatico borgo nel quale ci troviamo subito a nostro agio. Una passeggiata fra belle stradine, piazzette, saliscendi, scene di quotidianità, case variopinte, giardini fioriti all'interno della cinta muraria e sul vivace lungomare è davvero piacevole. L'impronta ligure è decisamente marcata, sia nella parlata della gente sia nelle targhe stradali bilingui.
Concludiamo la serata con una strepitosa cena da "A Galaia" (imperdibile, prendete nota!), con un menu che è un autentico trionfo del tonno, presente in varie preparazioni in tutte le portate: antipasti, primi e secondi. Rientriamo infine ai nostri alloggi di Calasetta.
Ed eccoci all'ultimo giorno. Dato che il nostro volo Ryanair da Cagliari a Pisa partirà alle 18, buona parte della giornata potrà ancora essere utilizzata, almeno per qualche ora di sosta balneare che potrebbe essere l'ultima dell'anno, essendo oggi il 22 settembre.
Lasciamo definitivamente il resort Stella del Sud e ripercorso l'istmo ci immettiamo sulla strada costiera in direzione sud, con destinazione Porto Pino costeggiando un tratto di lagune interne. Porto Pino vanta una delle spiagge più lunghe della Sardegna, una distesa di sabbia finissima su una lunghezza di oltre tre chilometri. Anche se in misura minore di quelle di Piscinas, anche qui si estende una suggestiva serie di dune, a creare uno splendido contrasto fra il bianco della sabbia e il blu cobalto del mare.
Non resta che dirigersi in aeroporto. La strada che rasenta Capo Teulada, Capo Malfatano, Chia e Pula è un susseguirsi di scorci mozzafiato: bisognerebbe fare continue soste per scendere ed ammirare ogni angolo di una costa di rara bellezza, ma la concomitante visita odierna di Papa Francesco consiglia un'andatura spedita nel timore di incontrare traffico. Ci accontentiamo di ciò che vediamo attraverso i finestrini auspicando un ritorno in questa indimenticabile Sardegna. Un ritorno che ci sarà sicuramente!
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Sulcis e Iglesiente, una delle “altre Sardegne”
Exploring the Unique Beauty and Tradition of Sub-Regions Sulcis and Iglesiente: Sardinia’s Hidden Gems
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