Sui sentieri del Parco Adamello - Brenta

Cime slanciate, cascate impetuose, laghetti cristallini, ghiacciai sterminati, rifugi ospitali: il manifesto della bellezza dolomitica!

Chi mi conosce - o semplicemente ha letto qualcuno dei miei articoli della sezione “Un passo dal cielo” - sa che ho una spiccata predilezione per il Gruppo di Brenta.

Nel corso di una frequentazione ininterrotta dal 1978 al 1991, seguita nei successivi vent’anni da occasionali ritorni, ho approfondito la conoscenza di quel magnifico ambito alpino. Ho imparato ad amare la varietà delle forme delle sue cime, la rete dei suoi sentieri, i sempre mutevoli colori delle sue rocce, l’arditezza delle sue vie ferrate, il calore dei suoi rifugi dai quali ho assistito ad albe e tramonti da pelle d’oca. Ho imparato ad amare anche i suoi impervi ghiaioni, le sue aride pietraie, le sue vallette sperdute, gli improvvisi banchi di nebbia e perfino i temporali bastardi che più di una volta mi hanno inzuppato fino alle mutande.
Effettuando le escursioni in quel gruppo, non possono sfuggire - anzi ne sono una prerogativa - gli scenari che si allineano sul versante opposto della Val Rendena, né le caratteristiche del tutto opposte a quelle dolomitiche.
Una sintetica connotazione della valle, a spiegare quali sono quelle differenze.
Sulla destra orografica del Sarca, il fiume che scorre sul fondovalle, si estende il gruppo granitico dell’Adamello, che ha i suoi culmini nelle cime dell’Adamello (m.3554), della Presanella (m.3558) e del Caré Alto (m.3453); il gruppo è ricchissimo di ghiacciai, laghi alpini e torrenti che formano, scorrendo le valli di penetrazione, bellissime cascate. Gli itinerari che lo attraversano offrono scenari grandiosi, anche se quelli di maggiore soddisfazione, cioè le traversate su ghiacciaio, richiedono esperienza e attrezzatura adeguata. Sulla sinistra orografica si sviluppa il Gruppo di Brenta, le cui peculiarità sono sostanzialmente diverse: povero di acque e con pochi ghiacciai (in questa catena definiti vedrette) di ridotte dimensioni, presenta, come già accennato, le forme tipiche delle Dolomiti. Il gruppo offre all’escursionista una infinità di scelte che vanno dal sentiero turistico alla traversata in quota, da vie ferrate tra le più prestigiose dell’arco alpino alle arrampicate del massimo impegno.
Da Tione si risale la Val Rendena in senso Sud-Nord lungo una sfilata di paesini guadagnando progressivamente quota, mentre il panorama si fa via via più aperto su scorci di grande bellezza verso le cime. Pinzolo, comune principale della valle situato a quota 770, per quanto inevitabilmente turistico, denota una dimensione più raccolta rispetto al caos della sua frazione Madonna di Campiglio (non è viceversa come si potrebbe credere).
Superate le località di Carisolo e Sant’Antonio di Mavignola, poco prima di entrare in Madonna di Campiglio è raccomandata una sosta sulla destra al piazzale dell’hotel La Fontanella. Da qui si ha la veduta più esauriente del versante ovest del Gruppo di Brenta, le cui cime possono essere facilmente individuate grazie a una precisa tavola di orientamento.
Su Madonna di Campiglio si può dire tutto il bene e tutto il male possibile. Tutto il bene per via della posizione magnifica che ne fa punto di partenza ideale per una grande quantità di escursioni e per essere stata la culla della S.A.T., la gloriosa Società Alpinisti Tridentini; tutto il male per l’espansione urbanistica che ne ha snaturato i caratteri alpini a vantaggio degli aspetti mondani. La realtà odierna non era certamente negli intenti di Giovanni Battista Righi, quando nel 1872 acquistò dal Capitolo di Trento il terreno del duecentesco ospizio dei viandanti, per costruirvi il primo “stabilimento alpino” destinato ai pionieri dell’alpinismo e ai primi villeggianti.
Lasciata Madonna di Campiglio, si raggiungono in breve i 1681 metri di Campo Carlo Magno: da qui parte la funivia del Grosté, che consente di raggiungere i 2442 metri dell’omonimo Passo, straordinario balcone panoramico e base per una infinità di escursioni.

Come spostarsi

Già da diversi anni utilizzo le autocorriere STAT da Genova per le valli dolomitiche, che offrono un ottimo servizio: partenza alle ore 6, cambio a Trento e arrivo a Pinzolo intorno alle 13,30.
In ambito locale, la Val Rendena è servita benissimo dagli autobus della Trentino Trasporti. Per la Val di Genova, funziona una navetta che copre i 17 km del tratto fra Carisolo e il Piano del Bèdole, mentre i mezzi privati sono limitati a Ponte Maria (circa metà tragitto) oltre che a determinate fasce orarie e stagionali: informarsi in loco. Inoltre circola un trenino turistico gratuito che in circa un’ora compie l’anello Giustino - Pinzolo - Carisolo - Pinzolo - Giustino.
Per agevolare l’approccio alle escursioni in quota sono attivi diversi impianti di risalita:
- da Pinzolo al Doss del Sabion (m.2097), funivia + seggiovia con stazione intermedia a Prà Rodont (m.1504);
- da Madonna di Campiglio (m.1512) allo Spinale (m.2100), cabinovia;
- da Madonna di Campiglio (m.1534) a Pradalago (m.2094), cabinovia;
- da Madonna di Campiglio (m.1529) ai Cinque Laghi (m.2059), cabinovia;
- da Campo Carlomagno (m.1600) al Grosté (m.2442), cabinovia in due tronchi a sgancio/aggancio automatico con stazione intermedia a m.2085.

Dove alloggiare

Per la seconda volta dopo il 2009, la scelta per il mio soggiorno del luglio 2011 è caduta su Pinzolo, che preferisco a Campiglio, troppo mondana per i miei gusti (e anche più cara, aspetto da non trascurare).
Abbandonata ormai da anni la formula della mezza pensione, trovo la più consona al mio tipo di vacanza montana il bed & breakfast, che permette maggiore libertà svincolandosi dallo stucchevole rituale obbligato della cena in albergo ad orario fisso: può infatti capitare che a metà giornata si sia mangiato - a seconda della presenza o meno di rifugi lungo l’itinerario - un misero panino o, al contrario, una appetitosa polenta e di conseguenza per cena necessiti un pasto completo oppure sia sufficiente una pizza o un’insalata. Con in più, il piacere di sperimentare ogni sera una cucina diversa nell’orario che si preferisce.
La struttura che mi sento di raccomandare è quella di Flavia Salvaterra, nella centralissima Via Marconi a pochi passi dalla piazza principale: ottima ospitalità, camere comode e pulitissime, colazione abbondante. Per chi non ne sia al corrente, faccio presente che la famiglia Salvaterra vanta mezzo secolo di gestione del Rifugio Dodici Apostoli, a partire dalla mitica nonna Maria (1900-1988), figura simbolo del Brenta quanto quella di Bruno Detassis (1910-2008) del Rifugio Brentei. Entrambi ebbi il piacere di conoscere a inizio anni ottanta.
Ricordo altresì che Ermanno Salvaterra, fratello di Flavia, è uno dei maggiori alpinisti viventi, non solo in ambito dolomitico ma famoso per imprese estreme (fra cui alcune “prime” invernali) nelle Ande Patagoniche.

In cucina

Flavia è convenzionata con diversi ristoranti che applicano ai suoi ospiti lo sconto del 10%, tutti validi:
- in Pinzolo cito La Roda (porzioni abbondantissime, ottima pizza e menù giornaliero a prezzo fisso molto conveniente), Collini e La Briciola;
- a Carisolo, L’antica Segheria;
- a Giustino, La Botte: l’antipasto “tris del Sarca” (misto filetti di pesci di fiume affumicati e marinati) vale la visita.

Da non perdere

DUE ESCURSIONI A PIEDI SUL VERSANTE BRENTA

DAL PASSO DEL GROSTÉ A MALGA VAGLIANA E CAMPO CARLO MAGNO
(Durata: circa 4 ore a passo regolare, comprese le deviazioni)
Essendo tutta in discesa, è la classica gita da primo giorno, ottima per acclimatarsi alla quota e “fare la gamba” senza troppo sforzo.
Il Passo del Grosté è raggiunto con la cabinovia da Campo Carlo Magno. La stazione a monte è annessa al Rifugio Stoppani, che offre servizio di ristorazione a self service o al tavolo, mentre al Passo propriamente detto, contrassegnato da una spartana croce fatta con due assi in legno, si sale con pochi minuti di cammino. Il versante orientale offre ampie visuali verso i pascoli di Malga Flavona, i possenti Turrion Alto e Turrion Basso, la più lontana Catena della Campa e i sentieri per i lunghi itinerari del Sentiero delle Palete, del lago di Tovel, del Passo della Gaiarda, di Malga Spora e giù fino ad Àndalo. Noi intraprendiamo invece la discesa sul versante occidentale, con spettacolari panorami sulla destra verso la Pietra Grande e sulla sinistra su Cima del Grosté e sul massiccio di Cima Brenta che si va gradualmente rivelando.
Raggiunto in poco meno di mezzora il Rifugio Giorgio Graffer (m.2263), c’è tutto il tempo per una breve digressione verso la Corna Rossa, un gruppo di bizzarri torrioni allineati molto apprezzati come palestra di arrampicata: vertiginosi sul versante Campiglio, il più alto si presenta invece sul lato opposto come un panettone erboso raggiunto in pochi minuti per ammirare un panorama insolito e godere di una pace impensabile a così breve distanza da rifugi che a causa del facile accesso sono sempre affollati.
Persa ancora quota fino alla stazione intermedia della funivia (Malga Boch, m.2085), il sentiero prosegue con modesti saliscendi per prati, mughi, boschetti di conifere, sempre ai piedi dei ghiaioni che sulla nostra destra scendono dalle imponenti pareti della Pietra Grande, di Cima Vagliana (curioso un pinnacolo forato che ricorda una cruna d’ago) e di Cima Vaglianella. Si costeggia anche un laghetto al centro di un pianoro carsico fino a scendere con ripidi tornanti a Malga Vagliana: siamo nel cuore di vasti pascoli, uno scenario in parte guastato da gitanti chiassosi qui giunti in auto tramite la carrareccia di servizio. E’ proprio lungo questa che si prosegue, toccando in breve Malga Vaglianella e giungendo infine su tratto piuttosto monotono a Campo Carlo Magno.

DA VALLESINELLA AL RIFUGIO MARIA E ALBERTO AI BRENTEI
(Durata: fra le 5 e le 6 ore fra andata e ritorno, a seconda delle eventuali digressioni)
Classicissima escursione, prodiga di panorami sempre più grandiosi quando più si prende quota.
Punto di partenza è Vallesinella (m.1513), raggiungibile lungo una strada forestale con pullmini dalla piazza centrale di Madonna di Campiglio. In realtà sono ammesse anche le auto private, limitatamente a quelle degli escursionisti diretti a itinerari che prevedano un pernottamento in quota: ma a giudicare dalla marea di vetture ammassate nel piazzale e in ogni spazio disponibile, nutro fieri dubbi sull’efficacia dei controlli.
Insomma, non si vede l’ora di scappare da questa bruttura, o in direzione dei sentieri delle cascate (Clicca QUI per il relativo video) o verso gli itinerari dell’Alta Val Brenta.
Superato un fienile con sottopasso e scavalcato un pittoresco ponticello, si sale in sottobosco con pendenza costante su un sentiero in buona parte agevolato da gradoni in legno fino a sbucare dopo circa un’ora sul ridente poggio dei Casinei con l’omonimo rifugio (m.1850).
Per i gitanti più tranquilli, è questo già un punto di arrivo per una piacevole scampagnata, cosicché da qui in avanti si dirada considerevolmente il flusso degli escursionisti in direzione del segnavia n.318: poco sopra quota 2000 un bivio con cartelli indicatori segnala sulla sinistra la Sella del Fridolin e il Rifugio Tuckett, mentre noi proseguiamo a destra (sud) sul Sentiero Bogani.
Si progredisce agevolmente con alcuni saliscendi poco pronunciati aggirando qualche sperone roccioso su cenge dotate di cavo di sicurezza (niente per cui impensierirsi), una galleria scavata nella roccia, un pendio di neve dura sempre ben pestata, mentre si fa sempre più ampio lo scenario che incombe sulla sottostante Val Brenta: sul versante opposto al nostro (destra di chi procede) si allinea la muraglia delle Cime di Val d’Agola e dei Francingli, poi la Vedretta dei Camosci e infine l’impressionante massiccio del Crozzon di Brenta (m.3135) e della Cima Tosa (m.3173 e massima elevazione del gruppo). Ben presto si scorge il Rifugio Brentei (m.2175), adagiato su un’ampia spalla erbosa.
Si raggiunge in pochi minuti l’ospitale edificio, vera e propria pagina della storia del Brenta con la gestione di successive generazioni della famiglia Detassis, a partire dal già citato leggendario Bruno.
Oltre la sosta per rifocillarci (sarà giusto l’ora di pranzo), non ci si stancherà mai di aggirarsi nei dintorni al cospetto di scenari mozzafiato: anche senza salire alla Bocca di Brenta (m.2552), valico che segna l’inizio della discesa verso Molveno e già ben visibile per quanto distante oltre un’ora di salita, si può raggiungere in pochi minuti la graziosa cappelletta dedicata ai caduti in montagna, restare senza fiato alla vista del pauroso canalone Neri che divide la Tosa dal Crozzon, ammirare in lontananza verso ovest i gruppi Adamello Presanella Ortles Cevedale e individuare mappa alla mano la sequenza di cime che incombono su questo pianoro dagli altri tre punti cardinali.
Pur non mancando una quantità di itinerari in partenza da qui, anche di più giorni e già percorsi in passato, oggi torniamo per la stessa via dell’andata: soluzione tutt’altro che banale, grazie alla mutata insolazione nel corso della giornata che regala scorci panoramici sempre nuovi.

DUE ESCURSIONI A PIEDI SUL VERSANTE ADAMELLO PRESANELLA

DALLA PIANA DEL BÈDOLE AL RIFUGIO CITTÀ DI TRENTO AL MANDRONE
(Durata: circa 5 ore fra andata e ritorno, più eventuali digressioni ai laghetti del Mandrone)
Un paio di chilometri oltre Pinzolo, per la precisione all’altezza di Carisolo, ha inizio la strada di 17 chilometri che risale la rigogliosa Val di Genova.
Va detto che, benché ai tempi delle Repubbliche Marinare una parte del legname per costruire le navi genovesi fosse acquistato in queste zone (Venezia si approvvigionava nelle foreste di Paneveggio e del Cansiglio), la città di Genova non c’entra con la denominazione della valle. È più plausibile che il termine dialettale “genua” derivi dal latino “janua” nel senso di porta della valle, al cui imbocco sorgevano i fienili più antichi oggi scomparsi, detti case di Genua.
Lasciata Carisolo e l’asse viario della Val Rendena, si imbocca la strada, a tratti poco agevole, che fiancheggia il corso del Sarca di Val Genova. Trovandosi la Val di Genova sotto la gestione dell’Ente Parco, è opportuno informarsi per tempo sulla viabilità, che è sottoposta a limitazioni dei veicoli privati a seconda delle stagioni e degli orari; circolano comunque navette in partenza da Pinzolo e da Madonna di Campiglio. Per la situazione aggiornata rivolgersi alla APT di Pinzolo.
Si può fare sosta alla base della cascata di Nardis, i cui due salti paralleli precipitano per oltre cento metri (Clicca QUI per il relativo video); si toccano poi le belle radure dei rifugi Fontanabona e Stella Alpina, per raggiungere infine la piana del Bèdole: da qui, in un quarto d’ora al Rifugio, che sorge ai piedi di un fitto bosco di conifere.
Il Bèdole (per maggior completezza Rifugio Adamello Collini al Bèdole, m.1640), tipico per la struttura in legno annerito e le finestre biancorosse, è uno dei rifugi storici della Val Rendena: costruito nel 1931, è sempre stato gestito dalle successive generazioni della famiglia Collini; una suggestiva cappelletta in tronchi nei suoi pressi ricorda il suo fondatore Adamello Collini, che il 27 settembre 1943 fu prelevato dalle SS e portato in campo di concentramento, dove morì di stenti nel febbraio del 1945 all’età di 55 anni. Questo vero e proprio personaggio simbolo dell’alpinismo trentino pagò così il fatto di avere portato in salvo fino al Mandrone, da dove venivano smistate a un centro di raccolta per la Svizzera, centinaia di persone, il tutto senza mai chiedere nulla. L’attuale gestione è curata dal nipote suo omonimo.
Ferma restando la gradevolezza del luogo, è irrinunciabile l’escursione lungo il sentiero n. 212 che consente di guadagnare costantemente quota fino a giungere in circa due ore e mezzo ai 2449 metri del Rifugio Città di Trento al Mandrone.
Ci si inoltra subito nel bosco per la parte più monotona del percorso: dopo avere attraversato su un ponticello un’impetuosa cascata, hanno inizio le famose novantanove svolte che fanno guadagnare in poco più di un’ora 450 metri di quota. Non le ho contate, credo che giochi parecchio la suggestione della cifra tonda, probabilmente non sono proprio 99 ma poco ci manca: fatto sta che, sbucati dal bosco su un pendio di prati, rocce, cascatelle, fiumiciattoli e raggiunto il cartello “Mezza via”, non dispiace una sosta per prendere fiato, magari con il conforto di un pezzo di cioccolato e un sorso di tè.
La salita si fa via via sempre più dolce, superando anche alcuni tratti scavati nella roccia e dotati di cavi di sicurezza e passerelle (anch’essi elementari come nel citato Sentiero Bogani). Si toccano un piccolo cimitero di guerra, l’edificio del vecchio rifugio da qualche anno recuperato per ospitare il Centro Glaciologico Julius Payer, la cappelletta in pietre a vista, per raggiungere infine il Rifugio Città di Trento al Mandrone.
Il rifugio è, come si suol dire “un porto di mare”, in quando ai suoi tavoli si mescolano nella convivialità tipica della gente che va per monti coloro che - come me - hanno fatto la semplice (ma comunque già di tutto rispetto) escursione dal Bèdole e quelli in procinto di salire per pernottare ai 3040 metri del Rifugio ai Caduti dell’Adamello per poi proseguire nei giorni successivi lungo le grandiose traversate su ghiacciaio.
L'imponenza del contesto circostante lascia davvero a bocca aperta, soprattutto in direzione sud: in primo piano, a una quota leggermente inferiore, gli stupendi Laghetti del Mandrone, al di là dei quali si stende la mole della Vedretta del Mandrone, lingua settentrionale del vasto Ghiacciaio dell’Adamello. Sulla sinistra si allineano le tre piramidi granitiche della Lobbia Bassa, Lobbia di Mezzo e Lobbia Alta. Impressiona anche il fragore delle cascate di scioglimento del ghiacciaio che precipitano a valle.
Per completare degnamente un’esaltante giornata di montagna, è consigliata una passeggiata lungo le rive dei laghetti, che offrono riflessi e giochi di luce sempre nuovi oltre che una sorprendente fioritura.
Il ritorno avviene per la stessa via di salita.

IL GIRO DEI CINQUE LAGHI
(Durata fra le 5 e le 6 ore per l’anello completo, a seconda delle diversioni sul pianoro dei laghi Seròdoli e Gelato)
Diciamo subito che definire quali siano i Cinque Laghi è questione piuttosto controversa.
Per la storica autorevole guida del TCI-CAI, sono, in successione dalla stazione a monte della funivia: Ritort, Lambin, Seròdoli, Gelato e Nambron. Senonché, essendo il Nambron parecchio isolato e raggiungibile dal Gelato scavalcando un colle sassoso molto impervio, quasi nessuno ci va. Si tende quindi a inserire anche il Nambino, non fosse altro per la sua popolarità e il facile accesso da Madonna di Campiglio. Ma a questo punto dove mettiamo il lago Nero (piccolo ma bellissimo), sulla via di discesa dal Seròdoli al Nambino? A rigore, sarebbe il sesto lago se non addirittura il settimo! E come fare torto ai diversi laghetti senza nome sul pianoro del Seròdoli e del Gelato, spesso scopribili solo salendo sulle rocce montonate che caratterizzano la zona? Magnifici anche questi, fra i quali è bello "perdersi", con una serie infinita di riflessi e chiaroscuri a seconda del punto di osservazione.
Deciso allora di sopravvivere anche senza il crisma dell’ufficialità, pensiamo a inoltrarci in questo scenario idilliaco e selvaggio al tempo stesso.
L’approccio avviene da Madonna di Campiglio (m.1529) tramite la cabinovia (appunto) Cinque Laghi (m.2059). Dal piazzale della stazione a monte, dopo le irrinunciabili fotografie della sfilata di cime del Gruppo di Brenta sul versante opposto della Valle (non ideali le ore del mattino per il sole contro), si imbocca il sentiero n.232: appena un chilometro del tutto pianeggiante porta al Lago Ritort, in un contesto di prati, ruscelletti e cascatelle che ne fanno già meta di scampagnate.
Ha ora inizio l’unico consistente strappo in salita dell’escursione che porta al Passo Ritort (m.2275), oltre il quale si perde di vista l’omonimo lago per proseguire su terreno misto di erba e rocce intervallato da cumuli di massi di frana che rendono un po’ fastidioso l’incedere. Il Lago Lambin si propone d’improvviso a una svolta, in un ambiente assai più severo del precedente, circondato da pendii brulli incoronati da montagne seghettate: in compenso l’acqua è di una trasparenza incredibile.
Il prosieguo del sentiero mantiene analoghe caratteristiche finché, dopo una bella vista sul sottostante Lago Nero (sembra di toccarlo ma come vedremo… “sembra” solamente) in pochi minuti si raggiunge il pianoro dei Laghi Seròdoli e Gelato, quotato 2370 metri, dominato da una vecchia baita di pastori che funge da ricovero di fortuna. Come anticipato, il bello di questo altopiano consiste nell’aggirarsi senza meta e senza fretta fra una quantità di laghetti minuscoli le cui acque regalano un’infinità di scorci sempre cangianti.
Rinunciato come accennato al lago Nambron, si intraprende la discesa lungo il sentiero n.217. Il primo tratto serpeggia fra i massi, talvolta instabili e scivolosi, che fiancheggiano una cascata lungo un sentiero che tende a perdersi (un minimo di attenzione!) fino a raggiungere lo splendido Lago Nero (m.2246), che in realtà non è proprio nero ma di un azzurro dai toni quasi metallici: si continua su un tratto di lastronate rocciose, oltre il quale ci aspetta una discesa alquanto lunga, non tanto per il dislivello (circa 400 metri) ma per le infinite svolte inizialmente su terreno scoperto e poi in sottobosco fino al Lago Nambino e all’omonimo rifugio (m.1770).
Come tutti i luoghi di facile accesso (si arriva in auto a un parcheggio oltre il quale restano solo 500 metri a piedi), qui “c’è tutto il mondo”, ma lo scenario è oggettivamente bello, con il lago completamente circondato da fitti boschi di conifere.
Restano “solo” i tre chilometri per Madonna di Campiglio, dei quali faremmo volentieri a meno, non fosse altro per non inalare i polveroni sollevati dalle auto lungo la sterrata.

Curiosità 

** L’ingresso in Pinzolo provenendo da Tione riserva la curiosità del monumento in bronzo al “moleta”, cioè l’arrotino, tipica attività dei rendenesi esportata dagli emigranti in tutto il mondo nel corso del XIX e XX secolo.

** Poco fuori dell’abitato in direzione di Carisolo si raccomanda una sosta all’isolata chiesetta quattrocentesca di San Vigilio. Sul fianco meridionale, sorprendentemente ben conservato grazie all’esposizione e al tetto sporgente, spicca l’affresco della Danza Macabra di Simone Baschenis, esponente di una famiglia di pittori bergamaschi del Cinquecento attivi in Trentino. La successione di una quarantina di personaggi raffigura il progressivo trionfo della Morte sulla Vita con un’incisività che impressiona tuttora; è noto che l’iconografia religiosa rivestiva all’epoca un ruolo educativo ben marcato e credo proprio che la vista di quelle figure scheletriche fosse per gli ingenui valligiani un deterrente efficace quanto il Codice Penale.

** In una delle chiacchierate con Flavia Salvaterra, alla quale - per quanto forestiero - sono accomunato dall’amore per queste montagne, facevamo la considerazione di come nel breve volgere di tre o quattro anni abbiano “passato la mano” dopo decenni tre famiglie storiche di gestori di rifugi della Val Rendena: appunto i Salvaterra del Dodici Apostoli, i Detassis del Brentei e i Donini del Pedrotti. Resistono in pochi, quali ad esempio i Cornella dell’Agostini e i Collini del Bèdole.
Pagine di storia alpinistica che si chiudono e segno inesorabile, ahimè, del tempo che passa.

 

 

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