Ferragosto nel giardino del bene e del male

Florida, Georgia, South Carolina: viaggio negli stati del sole e… dell’umidità

 

 

Viaggio di 3 settimane effettuato nell’agosto 2008
Partecipanti: 2 famiglie con figli, di cui 2 che non superavano i 10 anni, quindi chi legge questo racconto non si aspetti di trovare consigli sulla vita notturna di Ocean Drive o sulla caccia a mani nude all’alligatore nelle paludi della Georgia meridionale.
Stavolta andiamo nel profondo Sud geografico, in Florida, e nel profondo sud storico e sociale, Georgia e South Carolina.
Si tratta di luoghi diversi da quelli che ho già visitato: un velo di caldo umido chiude l’orizzonte, così lontano dall’aria sottile e dall’immensità degli spazi dell’Ovest.
Luoghi diversi dal verde Nord-est, di un mare celeste anziché scuro, di marlin e barracuda, anziché balene e aragoste.
Luoghi diversi, infine, per la storia che raccontano, di nordisti e sudisti anziché indiani e cow-boys, di problemi razziali e lotte per l’integrazione, non ancora del tutto compiuta a giudicare dai caratteristici eleganti villaggi di campagna, dove è tuttora evidente la differenza tra i quartieri abitati dai bianchi e quelli popolati da famiglie nere.

Mi piace viaggiare negli Stati Uniti. Mi piace per la natura, per gli spazi e perché ritrovo tradizioni, storie e mode che hanno accompagnato gli anni di tutte le nostre adolescenze, la mia compresa, quando riuscire ad avere una maglietta degli Steelers o un improbabile giubbotto dei 49ers era il massimo, Doctor J lottava con Larry Bird (io sono sempre stato un convinto tifoso Celtics) e Dan Peterson accendeva la nostra fantasia raccontando del parquet “incrociato” del Boston Garden, palazzetto tanto bello e ricco di leggende sportive che il numero dei posti a sedere, “13.909”, era usato in America come sinonimo di fascino e perfezione.
Mi piace anche perchè è una meta “facile” rispetto a quanto offre ed è adatta anche a chi, come noi, viaggi con bambini al seguito: i luoghi sono molto ben segnalati, il traffico normalmente scarso tranne che nei grandi centri abitati e con un po’ di attenzione è difficile andare incontro a cattive sorprese e tentativi di fregare il turista.
La Florida, poi, è fantastica per i bambini, un vero e proprio enorme parco giochi che si protende nel mar dei Caraibi; intendiamoci, do priorità ad altri tipi di bellezza e ho portato mia figlia a Yellowstone due anni prima che a Disneyworld, ma lascio immaginare cosa lei reputi indimenticabile, per quanto sia innamorata della Natura.

Come spostarsi

Le possibilità di raggiungere la Florida sono praticamente infinite. Noi abbiamo volato con Swiss, da Milano via Zurigo. Della Swiss non posso che dire bene, così come dell’aeroporto di Zurigo, davvero splendido.
Varrebbe forse la pena di spendere qualcosa di più e prevedere il ritorno da un’altra città, evitando le lungaggini di un viaggio “ad anello” come il nostro.
In loco ci siamo serviti di 2 differenti noleggi, utili per il nostro gruppo: il primo di 2 autovetture da Miami a Orlando; il secondo, da Orlando a Miami, di un grosso van a 15 posti. Avvertenza: in internet, sul sito della Alamo, questo mezzo viene dato con portabagagli capiente, ma in verità non c’è vano bagagli e i sedili non si possono togliere, cosicché in pratica abbiamo viaggiato con le valigie sui sedili e la scomodità di doverle faticosamente sfilare dal portellone per tirarle fuori.
Ovviamente, nessuna contestazione è valsa a qualcosa, l’elasticità mentale degli addetti americani a volte è tanto inesistente quanto irritante!

Dove alloggiare

Inutile ricordare come la scelta di alloggi negli Usa sia la più vasta possibile. Noi, essendo in otto e viaggiando in agosto, abbiamo preferito prenotare quasi tutto da casa, via internet ovviamente.
Faccio un rapido elenco delle strutture da noi provate, solo un cenno a fronte di una scelta che confermo illimitata; inoltre, è da tenere presente che di norma negli Stati Uniti le stelle corrispondono alla qualità, difficile trovare cattive sorprese, e che le sistemazioni sono comunque decorose, anche a prezzi contenuti.
Tutte le strutture provate hanno la piscina, ho riscontrato che hotel e motel di quest’area ne dispongono quasi tutti; d’altronde, almeno in agosto, la piscina non è un lusso ma praticamente una necessità per sopravvivere al caldo opprimente.

Miami: Savoy Hotel. Gode della posizione centralissima su Ocean drive; l’albergo, costruito in stile art déco, non ha il lusso di altre strutture più rinomate, ma nemmeno i prezzi particolarmente elevati. Ha accesso diretto sulla spiaggia, 2 piscine in un ambiente molto piacevole, camere molto ampie anche se con un vago senso di trascuratezza. Molto piacevole la zona delle due piscine, contornate da palme. Non è l’hotel della mia vita, ma lo consiglierei tranquillamente. Prenotazione tramite il sito dell’albergo www.savoymiami.com/
Stanza a 159 dollari durante la settimana, più 30 per il parcheggio

Key West: Marlin Motel. Situato nella zona sud della cittadina, vicino al fotografatissimo “Southernmost point of continental Usa”. Piscina gradevole, camere classiche da motel. Nessun problema. Prenotazione tramite il sito del motel www.bluemarlinmotel.com
Stanza a 109 dollari

Holiday Inn Ft.Lauderdale – Airport a Hollywood. Albergo di buona qualità, che rispecchia le caratteristiche della catena cui appartiene. Molto gradevole la piscina nel cortile interno, nella quale mi sono goduto un bagno solitario la mattina prima di colazione.
Albergo trovato sul posto, stanza a 144 dollari

Orlando: villa affittata in internet, sul sito www.orlandovillas.com.
La villa è identificata con il numero Ref.236, King Louie’s; è una splendida abitazione nel quartiere residenziale di Calabay Parc, un’oasi di pace e vialetti verdi a ridosso della Highway 27. Ambienti ampi e lussuosi, largo spazio esterno che dà sulla piscina (con luci che cambiano colore) con idromassaggio e bbq, sala hi-tech per i videogiochi e garage adibito a sala giochi; insomma, consiglierei caldamente questa sistemazione, per lo meno a chi necessiti di 4 camere. Se non si desidera fare la spesa al supermercato (peraltro secondo me l’esperienza nei supermarkets americani è da non perdere), per colazione si può usufruire del vicino Denny’s, mentre per pranzo e cena non ci sono problemi, visto che ristoranti take-away della zona passano a lasciare sotto la porta le proprie liste, una telefonata e menu di ogni etnia arrivano direttamente in salotto!!
Casa per 6 notti (8 persone): 1.682 dollari

Savannah: prima notte al Quality Inn di Pooler, periferia di Savannah. Classico motel, non propriamente un posto indimenticabile, ma risparmiamo qualcosa. Prenotazione tramite il centro di prenotazione http://www.choicehotels.com/.
Stanza a 87 dollari

Savannah again: per la seconda notte ci trasferiamo al Mulberry Inn, hotel centrale della catena Holiday Inn di livello medio-alto, l’alloggio più caro della vacanza.
Splendida la vecchia hall, arricchita da vecchie divise di soldati confederati; piacevoli le camere e ancor di più la piscina. Colazione strepitosa. Prenotazione tramite sito dell’hotel www.savannahhotel.com.
Stanza a 189 dollari

Charleston: 2 notti al Days Inn Patriot Point, di Mt. Pleasant, appena a nord di Charleston. Niente di che, forse la peggiore sistemazione della vacanza. E’ un motel di medio-basso livello, con piscina centrale costantemente abitata da poco (o troppo) socievoli tatuati con pelle arrossata dal sole; caratteristica simpatica è la vicinanza con un tipico diner, che assicura colazioni molto caratteristiche (e abbondanti…). Prenotazione tramite il sito www.daysinn.com
Stanza 85 dollari

Daytona
La sosta a Daytona, come vedremo, non era prevista. Data anche la situazione di emergenza, preferiamo affidarci ad una struttura che abbia camere confortevoli e, soprattutto, ci sembri sufficientemente solida, memori della storia dei “Tre porcellini”…
Ci fermiamo al Castillo Del Sol, della catena Best Western, dove troviamo personale gentile e disposto a darci una mano nelle particolari ore di tensione che precedono l’uragano.
Molto gradevoli e spaziose le camere, soprattutto la nostra che ha un balcone affacciato direttamente sulla spiaggia.
Insufficiente, invece, la colazione, servita con poca cortesia in ambienti insignificanti.
http://castillodelsolhotel.com/
Stanza circa 90 dollari

Da non perdere

IL SUD. SEE YOU LATER ALLIGATOR
Caraibi americani o America ai Caraibi´
Non so dare una risposta, sempre che ce ne sia una sensata. Ma la domanda non è inutile, perché lo sgomento nasce spontaneo, fin dall’uscita dall’aeroporto di Miami, quando ti sbatte in faccia l’inconfondibile aria calda, umida e odorosa dei Caraibi, con una leggera brezza a muovere stancamente le palme, e quando, nel parcheggio della Alamo, trovi personale che parla esclusivamente lo spagnolo; oppure nel vedere le case, di legno, colorate, che si affiancano a modernissimi sky- lines come quello di Miami, o Jacksonville, e ancora nel sentire le pale di legno che muovono un’aria sì calda, ma raffreddata da un implacabile condizionamento selvaggio; infine, nel godere dell’atmosfera “easy”, fatta di modi rallentati, di mohjtos, sigari e birre al lime, ma anche di macchinoni enormi sulle highways , baseball, Topolino e campi indiani.
Sia quello che sia, arriviamo a Miami in serata, causa un ritardo del nostro volo, quindi abbiamo giusto il tempo per incontrare il fantastico sky-line di Miami Beach e per godere della spiaggia all’alba della mattina successiva (le foto in spiaggia alla luce calda dell’alba sono un classico di chi, arrivando da ovest, non può sfuggire all’implacabile jet-leg), prima di “incamminarci” verso le Keys.

Puntiamo dritti verso Key West.
Il tragitto è lungo e la strada lentissima; molto suggestivo lo scenario del Seven Mile Bridge, invece ci delude un poco il mare, ben lontano dai colori e dalle trasparenze caraibiche.
Dopo un paio di soste, dopo aver comprato un panama che penso non metterò più e bevuto un paio di favolose birre gelate Land Shark, arriviamo a Key West, tanto per cambiare più tardi del previsto.
Il caldo è prepotente, ma Key West è bellissima: affascinante, densa di atmosfera retrò, case in legno, ritmi lenti e giardini lussureggianti.
Non fosse altro che per prendere un po’ d’aria noleggiamo le macchinine elettriche offerte in più punti della cittadina: simpatiche, ma veramente care (129 dollari per qualche ora), a posteriori avrei preferito soffrire noleggiando una bici.
Per trovare refrigerio ci tuffiamo nella piscina (bollente) del motel, visto che l’acqua del mare è torbida e poco invitante.
Il tramonto nella zona vecchia del porto, bevendo un daiquiri ascoltando musica dal vivo è uno di quei momenti che difficilmente scorderò.
Purtroppo, l’indomani riprendiamo già la strada verso nord, Key West meritava più tempo e questo è il maggior rammarico della vacanza, quello che ricordiamo più frequentemente oggi.

La nostra macchina corre decisamente verso l’Everglades National Park, vale a dire un’area di natura incontaminata nel bel mezzo della civiltà; praticamente, svoltando dalla strada principale ti trovi improvvisamente in mezzo alla wilderness; la strada corre dritta a perdita d’occhio, tutto intorno una palude rigogliosa e sconfinata, e c’è qualcuno tra noi che ogni poco giura di aver scorto prima un alligatore, poi un pellicano, forse addirittura un puma….
Molto interessante, e secondo me da non perdere anche per la facilità di accesso, poche miglia dopo l’entrata dall’Ernest Coe Visitor Centre, è l’Anhinga Trail, vale a dire una passeggiata di circa un’ora su passerelle di legno sopra le paludi, dove si possono scorgere gli alligatori con facilità e a distanza veramente ravvicinata.
Per fortuna, e di questa scelta vado particolarmente orgoglioso, non ci fermiamo alla Everglades Alligator Farm (www.everglades.com), che sa di attività industriale, piena di turisti e di inservienti scortesi, ma proseguiamo fino a imboccare in direzione ovest la Highway 41 (Tamiani Trail), che attraversa orizzontalmente il parco. Qui si trovano altre piccole organizzazioni che si occupano di portare i clienti all’interno del parco con le tanto famose quanto rumorose airboats. Noi scegliamo Coopertown Airboats (www.coopertownairboats.com), dove un improbabile ranger dall’aria molto vissuta ci accompagna in questo tour davvero divertente. Non si pensi di incontrare chissà che animali, niente più di un paio di alligatori (con i quali peraltro l’incontro è altamente adrenalinico, vista la vicinanza dei loro dentini alle nostre braccia a poca distanza dall’acqua) e qualche esemplare di elegante airone bianco, che ci dicono essere il simbolo di Everglades, salvo poi incontrarlo spessissimo in tutta la Florida. L’emozione è comunque assicurata, non fosse altro che per il divertentissimo “planare” ad alta velocità sulla palude: la sensazione è praticamente di volare su un prato, compiendo evoluzioni in questo tappeto di erba alta che si estende a perdita d’occhio su un pavimento di acqua scura.
Coopertown gestisce anche un piccolo ristorante, dove sarebbe stato sicuramente suggestivo fermarsi per cena per assaggiare l’alligatore, ma arriviamo troppo tardi, semplicemente, non c’è niente da mangiare…
Così continuiamo nella sera caraibica per questo rettilineo infinito, fino a che non raggiungiamo un ristorante indiano (nel senso di pellerossa), gestito dai nativi della tribù Miccosukee (poco distante si può visitare il villaggio, ma chiude piuttosto presto, più o meno alle 17 e 30).
Qui possiamo finalmente provare la carne di alligatore, cucinata in bocconcini fritti. Non posso purtroppo dare un giudizio: l’alligatore è una sorta di misto tra pesce e pollo e non mi è sembrato male, ma la frittura era terribile, tanto da pregiudicare l’intero piatto.
La sera è solo un avvicinamento, lungo le trafficate highways che corrono lungo la costa; ma il tramonto sulle paludi resta un’immagine scolpita nei nostri cuori.

ORLANDO. DREAMS COME TRUE!
Orlando non è una città, è la quintessenza della pazzia. Non ha un centro, se si esclude il piccolo agglomerato di grattacieli di downtown, solo vialoni lungo i quali si allineano i giochi, i minigolf più incredibili, gli hotels, le piscine e qualche outlet mall; poi, tutto intorno, quartieri residenziali sparsi come arcipelaghi di villette quasi tutte uguali.
Eppure è affascinante, eppure non vedo l’ora di tornarci (e l’ho già in programma, aggiungo sottovoce).
Un’altra considerazione: i giorni che avete riservato ad Orlando non sono sufficienti. Non so quanti sono´ Non importa, so comunque che non bastano.
Noi ci siamo fermati per una settimana e abbiamo fatto un tour de force dei parchi di divertimenti, al punto che sono diventati quasi un lavoro. Eppure abbiamo il rammarico di non averne visto male alcuni, per niente altri (come i parchi acquatici, in primis Sea World o il nuovissimo Aquatica), di non aver avuto sufficiente tempo per lo shopping e di avere ignorato la demenzialità serale dei viali di Downtown Orlando.
I parchi sono tantissimi, enormi e strapieni di gente.
Non voglio essere scoraggiante, Orlando è semplicemente il centro mondiale dei parchi di divertimento, qui tutto è amplificato e moltiplicato, è una totale estraniazione dalla realtà, è un vortice da cui lasciarsi trascinare (spese comprese…)
Per vivere questa “irrealtà”, credo che la soluzione migliore sia la casa in affitto, che è più economica e offre molta più libertà rispetto agli hotel.
In questo modo ci si può organizzare come meglio si crede tra soggiorni nei parchi e barbecue a bordo piscina …….
. Dei parchi Disney, dovendo fare una classifica, metto all’ultimo posto Animal Kingdom, che da casa mi era sembrato meraviglioso, ma che alla prova dei fatti ci ha offerto soltanto un paio di attrazioni strepitose (la discesa dall’Everest, che però ha una coda drammatica, e Bugs’ life); poi, se proprio il tempo è limitato, trascurerei, udite udite, proprio il più classico Magic Kingdom, non fosse altro che l’abbiamo anche a Parigi, molto più vicino a noi, e pure più nuovo.
. Negli Universal Studios, quasi indispensabile, ad agosto, mettere mano al portafoglio e acquistare il pass Universal Express, che permette di accorciare, quando non di annullare, le code; è caro, costa quasi come il biglietto, ma ne vale sicuramente la pena; inutile dire che nei parchi Disney è invece utilissimo affidarsi agli orari del Fast Pass, anche se comporta qualche chilometro a piedi in più….
. Epcot è fantastico. Noi ci siamo lasciati ingannare da una falsa opinione che lo vede un po’ datato, con attrazioni minori. Al contrario, è veramente entusiasmante, compresa la parte attorno al lago dove ambientazioni diverse ricostruiscono vari paesi del mondo, con tutti gli stereotipi immaginabili. Bellissimo!
. Le attrazioni migliori´ Ne abbiamo provate talmente tante… giusto una curiosità, provo a stilare una graduatoria, ovviamente del tutto soggettiva:
Nei Parchi Disney, i primi posti li occupano la Tower of Terror, ai Disney’s Hollywood Studios, Expedition Everest e Bug’s Life in Animal Kingdom, Mission Space, a Epcot.
Negli Universale Studios, non ci sono problemi ad indicare le attrazioni più recenti, Spiderman e Simpson Ride in testa; difficile però tralasciare La Mummia, Jurassic Park e, per gli amanti dell’ottovolante, l’emozionante Ulk.

CAPE CANAVERAL – KENNEDY SPACE CENTER
Visita irrinunciabile; è praticamente considerata un’attrazione di Orlando, da cui dista più o meno un’ora di macchina, anche se in verità occupa una zona costiera di interesse naturalistico.
Consiglio, con il giusto anticipo, di consultare il sito del Centro http://www.nasa.gov/centers/kennedy/home/index.html e il sito della Nasa http://www.nasa.gov/centers/kennedy/home/index.html, dove sono riportati gli orari dei diversi lanci, per verificare la possibilità di poter assistere all’evento in prima persona; per il vero, gli orari dei lanci sono soggetti a frequenti modifiche, e anche a noi è capitato di vedere cambiata la data di un lancio a cui con entusiasmo avevamo programmato di assistere.
La giornata in questo mondo di razzi e astronauti è certamente suggestiva e coinvolgente, in particolare per chi ha un’età tale da conservare ricordi di corsa allo spazio e guerra fredda, insomma per chi dai Sessanta agli Ottanta c’era o ne ha sentito parlare direttamente
La visita si divide tra il Kennedy Space Center vero e proprio e la Astronaut Hall of Fame.
Il primo è la parte più “scientifica”, del centro, quella dove si può ammirare lo Shuttle e il famoso Rockets Garden; qui, direi che le emozioni maggiori sono fornite dallo Shuttle Launch Experience, una vera e propria simulazione di “volo” che porta i visitatori a vivere l’esperienza del lancio e della messa in orbita dello Shuttle.
La Hall of Fame, invece, rappresenta il “lato umano” della corsa allo spazio, e racchiude un’infinita esposizione di ricordi, che vanno dai giornali agli oggetti, alle uniformi e alle ricostruzioni sonore e sceniche (come quella del centro di Houston, sì, quello di “Houston, abbiamo un problema”); l’immersione nello spazio si fa più coinvolgente con la possibilità di provare in prima persona parte degli allenamenti degli astronauti, quale la G-Force Trainer, una piccola navicella che, girando all’impazzata, ti fa provare una pressione pari a 4 volte la forza di gravità (unico avvertimento per non sentirsi male: MAI guardare fuori dalla navicella mentre gira).

DAYTONA
Rombano i motori, olio, benzina e odore di gomma bruciata: si respira la storia della Nascar nell’ovale più famoso del mondo…
Daytona è per noi praticamente di strada, non è neanche pensabile rinunciare a qualche ora passata nel museo della 500 Miglia (http://www.daytona500experience.com/)
Questa sorta di santuario del campionato Nascar non delude di certo le aspettative: si trovano macchine da corsa, filmati, vecchie foto, un po’ di tutto per rendere viva e coinvolgente l’atmosfera del mondo della mitica 500 miglia di Daytona. Non manca il giro del circuito su un apposito trenino (un po’ noioso a dire il vero, anche per la fatica a comprendere i racconti dello speaker), con immancabile foto finale sul podio; e non mancano, soprattutto, alcune divertenti esperienze in prima persona, come un vero pit-stop per cambio gomme cronometrato dal personale, oppure la gara virtuale che i visitatori possono vivere a bordo di vere autovetture da corsa (ferme, ovviamente), una vera battaglia a colpi di sportellate e picchi di adrenalina…
Ma la strada attende, implacabile; salutata Daytona, chi avrebbe mai pensato che ci saremmo tornati dopo qualche giorno´

E’ SEMPRE UGUALE IL SUD, IL TUTTO IL MONDO E’ UGUALE…
Cantava Pierangelo Bertoli.
Certo è che il Sud, con la “esse” maiuscola, negli Stati Uniti ha una connotazione molto forte e cha va al di là della pura localizzazione geografica.
Noi ne abbiamo avuto solo un breve assaggio, 4-5 giorni in tutto divisi tra Savannah e Charleston, ma il Sud ci ha colpito davvero molto: una sensazione forte, in primis dal punto di vista emozionale, ma anche da quello puramente fisico.
Sì, anche fisico, perché girare per la Georgia e la South Carolina d’agosto è come entrare in una biosfera in cui viene ricostruito l’ambiente della foresta equatoriale: un caldo decisamente pesante, ma soprattutto un’umidità spaventosa, intorno al 90%, che ha un odore, un colore, quasi un’essenza da toccare.
L’atmosfera diventa ovattata e tutto è faticoso, i movimenti lenti, i passi strascicati. Proprio come al Sud: aveva ragione il vecchio Pierangelo Bertoli, “è sempre uguale il Sud”…

GEORGIA ON MY MIND…
Per continuare con le citazioni musicali.
In verità, della Georgia ne vediamo solo un piccolo tratto, quello della zona paludosa tra la costa e il confine con la Florida, per poi fermarci a visitare Savannah e la vicina Magnolia Plantation.
Savannah è considerata la città con il centro storico meglio conservato degli Stati Uniti, primato che, guarda caso, le viene conteso proprio da Charleston.
Scansiamo subito gli equivoci: il centro storico di Savannah, per quanto sia abilmente conservato e gli americani ne vadano matti, non è ovviamente paragonabile a quello di una città italiana di medio livello.
Comunque la città è indubbiamente affascinante; colpisce soprattutto l’atmosfera delle piazze, contornate da bellissime case vittoriane e che circondano a loro volta rigogliosi giardini quadrati. Il miglior modo di “gustarsi” Savannah è sedersi su una panchina all’interno di questi giardini (come Forrest Gump, la cui famosa panchina dalla quale raccontava tutta la sua storia si trovava proprio qui): ascoltare i rumori che si fanno magicamente lontani e osservare la fauna locale, che può essere rappresentata dagli uccelli e dai numerosi scoiattoli, oppure da qualche vecchietto che passeggia, oppure ancora da personaggi più meno strani, come predicatori che invitano al pentimento, in vista della prossima fine del mondo.
Altra opportunità è farsi portare a visitare le maggiori attrazioni della città con uno dei calesse che “affollano” il centro storico; scelta sicuramente piacevole, anche se un po’ cara, ma va detto che la sostenibilità del prezzo è direttamente collegata alla temperatura: se è agosto, vale la pena spendere qualcosa in più, piuttosto che affrontare le fatiche del giro della città a piedi…
Colpisce anche quell’alea di mistero che avvolge Savannah e per la quale la città è famosa: le frequenti rappresentazioni dell’inquietante statua della bambina a braccia aperte, i cimiteri decadenti e in parte lasciati alla vegetazione, alcune abitazioni che sembrano perfette per ambientarvi un film dell’orrore; è difficile da spiegare, ma Savannah non offre l’atmosfera serena di molte città statunitensi, ispira poca confidenza, quasi godesse nel mostrarsi ambigua e misteriosa. Ma sicuramente è solo suggestione…

Tornando alle cose “tangibili”, meno interessante la frequentata River street, che costeggia il Savannah River, anche se sono irrinunciabili due passi per vedere negozi, in cerca di un ristorantino per la cena.
Su River street, abbiamo cenato alla Shrimp’s house, caratteristico locale nel quale so che abbiamo gustato un’ottima cena a base di pesce, ma del quale ricordo soprattutto il minaccioso bicchierone nel quale ci hanno servito l’esplosivo Admiral’s ponch.
Come quasi tutti, anche noi ci siamo lasciati tentare con entusiasmo da una gita con il battello a vapore sul fiume. Il battello è carino e stando all’aperto consente di beneficiare di un minimo di aria; il fiume invece, anche se ha il merito di aver ispirato la celeberrima Moon River, è decisamente inutile, praticamente la gita si risolve in un passaggio tra grandi navi-cargo, tutto molto lontano dalle atmosfere del Sud a cui pensavamo…
Un’ultima annotazione: a chi pensi di visitare Savannah, consiglio vivamente la lettura di Mezzanotte nel Giardino del bene e del Male, di John Berendt, e anche la visione del film che ne è stato tratto, regista Clint Eastwood e cast d’eccellenza in cui figurano John Cusack, Kevin Spacey e Jude Law; alla fine forse ho apprezzato maggiormente il film, forse perché aiuta di più a ricordare Savannah e ad avvicinarne il fascino misterioso.

Lonely Planet alla mano, tra le piantagioni che circondano Savannah scegliamo la Magnolia Plantation.
Anche se non si tratta di un lungo viaggio, conservo il ricordo amaro della strada che percorriamo, lungo la quale attraversiamo “antichi” paesini che evidenziano con estrema chiarezza quanto sia lunga la strada dell’uguaglianza tra bianchi e neri.
Questi villaggi, infatti, mostrano due diverse facce a seconda della zona che si attraversa: entri in paese e trovi graziose case in legno, spesso bianche o di colori accesi, il portichetto e il giardino intorno ben tenuto senza divisorie; passando da una zona del paese all’altra, però, le stesse case diventano fatiscenti, i portici cadenti e i giardini invasi dai rovi. Le persone che vedi in giro, evidentemente, di colore.
Oltre a tutto, proprio in uno di questi quartieri assistiamo dal vivo ad una scena normalmente vista alla tv, con la polizia che circonda a mitra spianati una catapecchia di legno, intimando agli abitanti di uscire.
Certo, mi piacerebbe aver avuto la classica impressione affrettata e inesatta, e che qualcuno mi scrivesse per smentirmi categoricamente, per dirmi che mi sono sbagliato…
Torniamo alla Magnolia; varcati i cancelli (il biglietto non è a buon mercato, ma tant’é, con il nostro super-euro…), si apre un lungo viale memorabile, contornato da piante secolari da cui pende il caratteristico Spanish moss, creando quell’atmosfera da Sud tante volte vista in fotografia…
La casa, classicamente colonica, non è degna di particolare nota; soprattutto agli occhi di noi europei, la visita guidata risulta discretamente noiosa.
Il punto di forza della Magnolia Plantation è invece il parco, all’interno del quale si sviluppa una passeggiata ben segnalata di un’ora abbondante, tra piante tropicali, laghetti salmastri e bellissimi fiori rigogliosi; oltre a ragni veramente enormi, con ragnatele che invadono il sentiero pericolosamente ad altezza d’uomo, e un caldo appiccicoso e prepotente…
Abbiamo anche l’avventura di sentire vicina la presenza di alligatori, che non riusciamo a vedere nella vegetazione, ma il verso molto ravvicinato ci induce ad una rapida fuga…
Bella la Magnolia, ma non è ancora la classica piantagione che mi aspetto di trovare.
Partiamo verso nord: Charleston e la South Carolina ci attendono.

SOUTH CAROLINA: PROSEGUIAMO A NORD… VERSO SUD
Sì, perché percorrendo la strada che corre verso nord, si ha la sensazione di addentrarsi nel Sud più profondo.
Avevo letto che qui avremmo trovato la vera gente del Sud, che chiama yankees i cugini della North Carolina ed espone sulle case esposte la bandiera dei Confederati affiancata da quella statunitense a testa in giù.
Be’, quello che ci è mancato sono le bandiere, non ne abbiamo viste a testa in giù, ma la sensazione precisa di essere nel cuore degli “Stati ribelli” è più che mai viva: in primis nella storia, perché dal bombardamento di Fort Sumter, posto nella baia di fronte a Charleston, ebbe avvio la Guerra di Secessione; poi nella società, perché, mi dispiace dirlo, ma la sensazione è che qui sussista tuttora una discriminazione strisciante, non esplicita ovviamente, nei confronti delle persone di colore (per quanto si possa capire da una sola rapida occhiata); e ancora nelle facce della gente, soprattutto i giovani, numerosi con i capelli rossi e con il pizzetto rosso su guance arrossate dal sole, le tipiche facce dei sudisti, quelle che siamo abituati a vedere nei film e nelle vecchie fotografie.
Ovviamente, di questa appartenenza “sudista” è stato fatto un business, e sono molti i negozi che espongono memorabilia e oggetti più o meno veri risalenti al periodo della Guerra, quella che gli americano chiamano “The great unpleasentness”, il grande dispiacere.
Venendo a Charleston, il centro storico, che rivaleggia come dicevo con quello di Savannah è certamente suggestivo, non straordinario; anzi, secondo me manca di parte del fascino che emana la “cugina” della Georgia. Piacevole girare per negozi (antiquari in primis) e anche passeggiare su “The battery”, il lungomare, così come curiosare nel mercatino coperto da una tettoia in legno.
Il nostro primo giorno lo dedichiamo alla visita entusiasmante del Patriots Point, appena a nord della città, dove si può visitare la Yorktown, portaerei in attività dalla seconda guerra mondiale a quella del Vietnam. Negli hangar interni e sull’immenso ponte, sono dispiegati numerosi aerei che hanno fatto la storia della Marina americana, insieme con filmati, ricostruzioni e il piccolo ma commovente museo delle “Medals of honour”, all’entrata del quale campeggia la scritta tutta americana “FREEDOM IS NOT FREE”.
Lo stesso Patriots Point offre l’opportunità di scoprire altre 2 – 3 navi da guerra, gli angusti interni di un sommergibile e la ricostruzione di una base portata lì da”somewhere, in South Vietnam”.
Il secondo giorno ci dedichiamo ad una visita più culturale e prendiamo il battello che da Charleston porta all’isoletta sul quale sorge il Fort Sumter, celebre per il fatto che le cannonate sparate dai Confederati sul forte, occupato dai soldati dell’Unione, diedero l’avvio alla Guerra di Secessione. Per il vero, anche questo come altri siti storici americani riserva a noi europei qualche delusione: nient’altro che le mura fortificate, qualche interessante cartello esplicativo e una piccola mostra all’interno.
Direi che il momento più entusiasmante della torrida mattina possa essere considerato il volo di numerosi pellicani e l’avvistamento di diversi delfini nelle acque intorno all’isola.
Dopo la visita della città, già costretti a cambiare itinerario dall’arrivo sulla Florida dell’uragano Fay, per fortuna ci concediamo la visita alla Boone Hall Plantation; la tenuta è bellissima e ottimamente conservata, un’esperienza davvero affascinante che riguarda sia il giro della piantagione che effettuiamo a bordo di un piccolo autobus completamente aperto, con tanto di guida che parla ininterrottamente un incomprensibile inglese devastato dall’accento del Sud, sia, e soprattutto, l’emozionante spettacolo di cultura Gullah a cui assistiamo: una giovane che canta e recita storie sia in inglese sia nell’antico dialetto Gullah, una sorta di lingua comune che gli schiavi avevano creato per comprendersi al di là delle differenze linguistiche delle varie zone di provenienza.
Alla sera, ala ricerca di paesini consigliati dalla guida, fatta qualche miglia lungo la costa dopo Mt.Pleasant, ci imbattiamo in un luogo denso di atmosfera e di vitalità, dove, tra 2 file di case di legno lungo un canale, pullulano ristorantini di pesce, colorati e pieni di luci, mentre numerose persone cenano a bordo delle barche ormeggiate lungo il canale.
Non ricordo come si chiami questo posto, ma è facile da trovare; il ricordo è comunque piacevole e intenso almeno quanto il caldo patito.

FAY, GO AWAY
Il Weather Channel, con i soliti catastrofismo e allarmismo, ci ha annunciato l’arrivo dell’uragano Fay; in verità per ora è una tempesta tropicale, però è prossimo alla trasformazione in uragano ed ha già spinto all’evacuazione delle Keys e messo in seria difficoltà Miami.
E’ previsto che l’uragano investa in pieno Tampa, per cui ci convinciamo ad accettare un cambio di itinerario, rinunciando, ahimè, alle atmosfere del baseball made in Usa e ai biglietti acquistati con anticipo per la partita tra i Tampa Rays e i Los Angeles Angels.
Dobbiamo comunque avvicinarci a Miami, visto che il nostro volo partirà da lì, quindi decidiamo di fermarci a Daytona Beach per attendere di poter scendere più a sud.
I due giorni a Daytona Beach sono un’esperienza da non dimenticare.
Innanzitutto, ci fermiamo al Castillo del Sol hotel, della catena Best western, un bell’albergone sulla spiaggia con un aspetto sufficientemente solido e rassicurante (memori della favola dei Tre Porcellini, l’importante è che abbia dei bei muri in grado di resistere al vento…).
Non sappiamo ancora quanto fermarci, ma subito l’addetto alla reception, al quale chiediamo notizie, sfodera da sotto il bancone ben 2 pc collegati su diversi canali meteo, ci spiega che il peggio dell’uragano è sui margini del vortice e non al centro (e quindi noi ci siamo dentro in pieno…), infine disintegra il nostro intento di partire l’indomani per Miami con un perentorio “Miami is done”, accompagnato da gesti chiarissimi ed espressione truce, che non lasciano spazio a tentennamenti.
Così cominciano i nostri 2 giorni alla “Fortezza Bastiani” di Daytona Beach; per carità, siamo in una cella “dorata”: camera lussuosa e spaziosissima con vista sul mare, piscina e spiaggia a disposizione.
Mare e cielo hanno colori pazzeschi: se da una parte, verso ovest alle nostre spalle, l’immagine è quasi dolce, con le palme scosse da un forte vento nel cielo azzurrino, dall’altra, verso l’oceano, si addensa un vero e proprio fronte d’assalto delle nubi, che incombono scurissime su un mare verde petrolio.
Trascorriamo la giornata successiva in piscina e al minigolf (una nota: i minigolf in Florida, in più rispetto ai “nostri”, offrono bellissime ambientazioni, come la giungla, o castelli medioevali, o ancora ambienti pirateschi come questo in cui abbiamo giocato); la situazione cambia radicalmente nel pomeriggio, quando, colpiti da una pioggia sferzante, ripariamo in camera e ci troviamo infilato sotto la porta un foglio davvero poco rassicurante, in cui, con il tono tipicamente perentorio degli statunitensi, ci vengono fornite indicazioni sul comportamento da tenere nelle ore successive, alla luce della situazione meteorologica: chiudere porte e finestre, non camminare nei corridoi all’aperto, non lasciare nulla sui balconi, corrente elettrica che potrebbe venire meno, ecc.
Sarei poco credibile se dicessi che affrontiamo il nostro primo uragano in completa tranquillità: in verità, facciamo spesa al supermarket (compresa una lampada d’emergenza a pile) e ci barrichiamo in camera, dove passiamo la serata ad osservare le inquietanti trasmissioni sul meteo locale.
Ma ciò che forse è peggio, è che i nostri “tartari” sembrano rallentare e forse non arrivare mai: praticamente la tempesta si è fermata sotto Daytona e ci impedisce di scendere a Miami.
Fay ci ha tolto l’emozione del baseball a Tampa e cancellato una notte a Miami, non possiamo permettere che ci sconvolga del tutto la vacanza o, peggio ancora, che ci impedisca di raggiungere il volo di ritorno!
Quindi, non senza una buona dose di preoccupazione (e chi non l’avrebbe, bombardato da ogni canale delle tv con scene di gente che chiude le finestre con assi di legno e ammucchia sacchi di sabbia davanti alle porte´) decidiamo di “aggirare” il ciclone, di portarci sulla costa ovest e di scendere fino all’estremo sud, arrivando a Miami attraversando le zone già colpite dalla tempesta nei giorni prima.
Abbiamo vinto noi!

WELCOME TO MIAMI, BIENVENIDO A MIAMI
Attraversiamo la Florida in lungo e in largo, ma alla fine giungiamo a rivedere il desiderato sky-line di Miami.
Purtroppo, il soggiorno nella metropoli è saltato e ci resta solo una giornata, che spendiamo passeggiando lungo le principali arterie commerciali, Collins Avenue e Lincoln Road, per gli immancabili ultimi acquisti.
Dedichiamo qualche ora (e parecchi dollari di taxi) per visitare il quartiere di Little Havana, di cui si parla nelle guide come di uno spaccato vivissimo della vicina capitale cubana; in verità, trovo questa visita del tutto inutile, le vie del quartiere sono anonime e praticamente identiche a quelle che le circondano, tanto che risulta addirittura difficile captarne l’identità etnica particolare.
Peccato non aver potuto visitare altro; ci restano l’atmosfera inebriante di Ocean Drive, la vitalità della spiaggia ed il lusso degli hotels, le palme che sventolano lente, le biciclette condotte da ragazze in bikini e da poliziotti in divisa e, perché no, il favoloso mojito che ci guarda dal nostro tavolo, con le goccioline che scendono lungo il bicchiere gelato… Welcome to Miami, bienvenido a Miami

Curiosità 

Per un viaggio di questo tipo i consigli pratici sono i più banali, ma da non sottovalutare:
- possibilmente, evitare il mese di agosto; noi, che non avevamo scelta, abbiamo trovato un caldo e un’umidità asfissianti , oltre ad un possente affollamento nei parchi di divertimento
- ancora, dopo metà agosto aumenta la possibilità di incappare in uragani e tempeste tropicali che, se non guai peggiori, possono causare problemi negli spostamenti e forzati cambi di programma, come è successo a noi
- le distanze sono implacabili e come sempre sono difficilmente percepibili dalle cartine
- Acquisti: il consiglio è di portarsi una valigia vuota da riempire per il ritorno. Souvenirs a parte, in un periodo come questo, in cui l’Euro ci consente di fare una volta tanto i signori all’estero, perchè lasciarsi scappare l’occasione di fare spese in uno dei numerosi outlet mall che si incontrano´ Noi ne abbiamo visitati 2, entrambe ad Orlando: Premium Outlets e Prime Outlets.
Vale la pena, anche se non si è amanti dello shopping, spendere qualche ora e qualche dollaro in questi centri, che consentono risparmi davvero notevoli; unica controindicazione, tornati a casa, è una certa riluttanza, se non rifiuto, verso l’acquisto delle più note marche di abbigliamento, che negli Stati Uniti vengono vendute almeno ad 1/3 del prezzo italiano.
- copio da Wikipedia: “La Florida Centrale è nota anche come la capitale dei fulmini perché ne cadono più che in ogni altra parte degli USA. La Florida ha la più alta media di piogge tra gli stati, la principale motivazione è che le tempeste pomeridiane sono molto usuali in buona parte dello stato dalla tarda primavera fino al primo autunno”. E’ vero! Prima di tutto, mai visto una concentrazione simile di parafulmini: soprattutto nei parchi di divertimento, ogni cosa che si innalzi di qualche metro da terra, che sia un’attrazione, un chiosco o un semplice tendone, è sormontata da un parafulmine; e nella nostra vacanza, abbiamo incontrato più volte questi violenti acquazzoni pomeridiani, accompagnati da fulmini e da tuoni/esplosioni in numero e potenza inquietanti, a cui noi decisamente non siamo abituati.
- Parchi di divertimento, qualche indicazione:
. Ad agosto sono innegabilmente stra-pieni, quindi il primo consiglio è di armarsi di pazienza ed entusiasmo, saranno entrambe utilissimi dopo qualche ora sotto il sole che picchia senza tregua, nel destreggiarsi tra la folla che riempie i viali dei parchi.
. Secondo me, è meglio arrivare più presto possibile, sia per godere dei momenti di minor afflusso, sia per concedersi magari qualche ora di riposo serale nella propria piscina.

 

 

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