Le Azzorre, i giardini dell’Atlantico

Paesaggi di bellezza selvaggia, vulcani, vegetazione rigogliosa, gente ospitale: sono solo alcuni degli aspetti che rendono raccomandabile una vacanza nell’arcipelago

 

 

E’ da anni che le isole Azzorre languono nella nostra lunghissima lista dei Paesi da visitare. Molto spesso siamo stati vicinissimi a partire, ma per qualche motivo che non riesco neppure a spiegare con una certa logica, i nostri viaggi in quella direzione sono sempre stati intercettati dalle Canarie o da Madeira.
Finalmente, all’ennesimo tentativo, ci siamo decisi a focalizzare la nostra attenzione sulle isole dell’Atlantico portoghese.
Non è stato difficile scegliere tra le 9 isole che compongono l’arcipelago, semplicemente perché lo abbiamo fatto con la serenità di chi è conscio che, se le prime ci piaceranno, ci torneremo. Così, dopo una rapida lettura nella sola guida che troviamo in libreria, optiamo per Pico e Fajal. Pico è famosa per il whale watching ed entrambe hanno una natura vulcanica: più che sufficiente per noi!

Itinerario

17 giugno 2011
Dunque partiamo con un volo da Venezia su Lisbona e proseguiamo, sempre con la TAP Portugal, verso Horta, capitale dell’isola di Fajal, dove arriviamo nel tardo pomeriggio. Si unisce a me e mia moglie un compagno di viaggio ormai collaudato, visto che ha fatto ormai altri 8 viaggi in precedenza con noi
L’aeroporto è piccolo, con la pista letteralmente rubata alle scogliere dell’isola, dunque con una vista invidiabile. Dista solo 9 chilometri dalla cittadina e percorrendo la strada con l’auto a noleggio, ne approfittiamo per cominciare a fermarci per godere della vista sul mare, visto che splende il sole. Trovare il b&b nel quale abbiamo prenotato non è molto semplice: Vila Belgica si trova dalla parte opposta di Horta, in cima ad una collina che gode di una splendida vista sulla tratto di costa dove sorge la capitale. Finalmente, dopo aver chiesto varie indicazioni, arriviamo a destinazione alle 8 di sera e troviamo la proprietaria, una donna belga trapiantata alle Azzorre, che già stava cercando il mio numero di cellulare temendo che avessimo delle difficoltà. La rassicuriamo e ci sistemiamo nella bella camera che ci viene assegnata. Comincia il nostro viaggio alle Azzorre!

18 giugno
Il nostro primo giorno è segnato dall’esplorazione dell’isola senza una meta precisa. Sappiamo che non c’è nessun monumento storico da visitare (perlomeno secondo il criterio di un Italiano abituato a definire storico solo ciò che ha perlomeno un paio di secoli sulle spalle), dunque non siamo legati ad orari di nessun genere. Puntiamo verso nord, percorrendo la strada principale che si snoda lungo tutta la costa, compiendo il giro completo dell’isola, in senso antiorario: 62 chilometri soltanto in totale. Le ridotte dimensioni dell’isola ci permettono pertanto di fare tutte le deviazioni che vogliamo, ma soprattutto di mantenere ritmi molto lenti, cosa che faremo con immenso piacere per tutto il viaggio.
La nostra prima sosta è alla spiaggia di Almoxarife, alla quale si arriva abbandonando la strada principale e scendendo lungo una ripida via costeggiata da abitazioni con giardini curatissimi. Una minuscola e deliziosa piazzetta alberata segna la fine della strada e domina una bella spiaggia di sabbia nera completamente deserta. Benché siano quasi le 100 del mattino sul posto non c’è nessuno, solo un cagnolino che ci guarda con aria interrogativa, come se si chiedesse che cosa ci siamo andati a fare da quelle parti. Va detto che questa isola non è certo famosa per il mare e le spiagge: l’oceano è spesso molto agitato e la conformazione dell’isola fa sì che l’acqua diventi molto profonda dopo pochi metri: inoltre le coste sono spesso battute da forti venti ed il tempo è estremamente variabile: non sono certamente le condizioni ideali per il classico bagnante che ama la vita da spiaggia!
In compenso si presta egregiamente per una bella e rilassante passeggiata, accompagnata solo dal fragore delle onde che si infrangono contro la sabbia finissima. Solo quando stiamo per ripartire, alla fine della passeggiata, arriva un gruppo di tedeschi che, senza pensarci due volte, si spoglia e si getta in acqua: abbiamo già avuto modo di constatare che l’acqua è tutt’altro che calda (del resto anche la temperatura dell’aria non supera i 20-21 gradi) e quindi non abbiamo nessuna voglia di imitarli. Sorridiamo al pensiero dell’evidente differenza tra Europei del nord e del sud di fronte alle temperature dell’acqua…
Il tempo di salutare un gatto curioso che si è avvicinato a noi e siamo di nuovo in viaggio. Decidiamo di percorrere la strada secondaria che costeggia il mare e che si ricongiunge alla principale dopo un paio di chilometri. All’uscita del primo paesino, Pedro Miguel, subito una sorpresa: i ruderi di una possente chiesa in stile coloniale, invasi dalla vegetazione, attirano la nostra attenzione. La costruzione è spettrale e affascinante al tempo stesso: profonde crepe lungo i muri perimetrali della chiesa ci fanno pensare che l’edificio sia crollato in seguito ad una scossa di terremoto. Il contrasto con le abitazioni vicine, perfettamente tenute, ne aumenta il fascino e l’attrazione. Ci aggiriamo per le rovine silenziose e viene spontaneo cercare di immaginare le storie e le vicende quotidiane delle quali queste mura sono state testimoni. Neppure il tempo di abbandonare con un certo rammarico questo luogo affascinante che ecco apparire, tra le manciate di case del paesino successivo, un’altra chiesa, quasi identica, in rovina. Per la verità questa è ancora più bella, con la minuscola piazzetta antistante ancora intatta, dove due alberi secolari sembrano indifferenti, nella loro bellezza, allo scempio e alle drammatiche vicende che quel luogo racconta. Le loro fronde immense regalano ancora l’ombra alle mura scheletriche invase dalle erbacce.
La chiesa sembra essere stata ancora più importante della precedente e presenta l’abside ancora quasi intatta. Scopriremo il giorno dopo che entrambe le chiese sono crollate per il sisma del 1926 e lasciate al loro destino, sostituite da altre costruzioni certamente meno affascinanti ma antisismiche.
Proseguiamo lentamente verso nord, fermandoci spesso in diversi angoli panoramici, oppure semplicemente per goderci giardini fioriti o angoli di prati tappezzati di ortensie, onnipresenti, lantane, erica, agapanto.
Arriviamo finalmente in tarda mattinata nel punto opposto rispetto alla città di Horta: il vulcano Capelinho! Il luogo è uno delle attrazioni principali dell’isola: un cono vulcanico di recentissima formazione, visto che l’ultima eruzione, durata 13 mesi, risale al 1957. In quell’occasione si formò una nuova gigantesca bocca vulcanica a poca distanza da un faro che fu miracolosamente risparmiato, ma venne ugualmente abbandonato per sempre all’inizio dell’attività eruttiva. In buone condizioni, la costruzione aggiunge un tocco di “civiltà” a questo luogo aspro e tranquillo. Dalla fine della strada, oltre il faro, lo sguardo spazia lungo la costa selvaggia, inospitale e spettacolare, fino ad interrompersi proprio in corrispondenza della falesia formata dal cono vulcanico che irrompe irrispettoso nell’oceano, a formare un piccolo promontorio, popolato da chiassosi uccelli marini.
Ci fermiamo parecchio a gustarci questo spettacolo primordiale, accarezzati dal vento e dall’odore del mare. Sono quasi le due, quando il nostro stomaco ci ricorda che non abbiamo ancora pranzato. Scegliamo quindi uno dei ristoranti segnalati dalla proprietaria del nostro b & b, a soli 5 km da lì: è il Minigolf, sulla strada che porta al vicino porto di Varadouro.
Il ristorante si rivela un’ottima scelta: un cameriere molto cortese ci porta subito una formina di formaggio fresco, vagamente simile alla ricotta, come aperitivo. Ordiniamo 3 pesci diversi alla griglia, che si rivelano davvero ottimi, serviti senza inutili salse, ma solo con patate al forno. La sorpresa più bella è il conto: 28,30 Euro in tre, meno di 10 Euro a testa, caffè incluso!
Nel pomeriggio torniamo di nuovo alla scogliera antistante il vulcano per una ulteriore passeggiata: il luogo esercita certamente un certo fascino su di noi! Infine ci dirigiamo finalmente verso il centro, il cuore dell’isola, la Caldera grande!
Il luogo mitico dell’isola altro non è che una impressionante vecchissima caldera vulcanica che ha contribuito alla nascita dell’isola. Si trova vicino al punto più alto e centrale e ci si arriva percorrendo una splendida strada interna sempre circondata da prati, boschi di criptomerie ed eucalipti ma soprattutto fiori, fiori, fiori ovunque.
Dove la strada finisce, troviamo una ulteriore salita di una decina di metri da percorrere a piedi e ci affacciamo su un balcone naturale sensazionale: la terra sembra sprofondare per 300 metri a formare una arena naturale di due chilometri di diametro, tutta tappezzata di verde e minuscoli laghetti. Nel fondo della caldera, fino al 1957, c’era un unico lago: il terremoto di quell’anno però aprì delle fessure nel terreno che inghiottì l’acqua. Lo spettacolo è incredibile anche se rovinato dal tempo che si sta guastando: eravamo pronti al trekking di due ore intorno al cratere, ma dobbiamo rinunciare, perché comincia a piovere proprio mentre siamo lì a decidere il da farsi. Ci accontentiamo dunque di goderci il paesaggio che ci offre questa immensa bocca vulcanica spenta.
Scendiamo dalla Caldera per tornare verso il nostro alloggio: il tempo di una rapida doccia e si va a cena al Canto da Doca, singolare locale dove si sceglie sul menu carne e pesce, il quale viene servito crudo, assieme ad una piastra rovente dove ogni commensale si cucina il cibo da se. Mangiamo dell’ottimo pesce al prezzo di 51,50 Euro in tre.

19 giugno
Le previsioni del tempo per oggi erano pessime e purtroppo ci hanno azzeccato. Immaginando una cosa del genere, ce la siamo presa comoda e abbiamo deciso di fare colazione alle 9.00. La stanza delle colazioni ha vista sul terrazzo e sul giardino, che ci “godiamo” con la pioggia e le nuvole basse che creano l’effetto nebbia. Visto che il tempo è pessimo decidiamo di visitare Horta, cominciando dal celebre Caffè Sport Peter, probabilmente il bar più conosciuto tra i naviganti dell’Oceano Atlantico.
La storia di questo caffè è davvero affascinante. Il nonno dell’attuale proprietario lo fondò nella seconda metà del diciannovesimo secolo. Inizialmente vendeva oggetti di artigianato in città, ma ben presto, intuendo che si sarebbero fatti più affari giù al porto, dove il traffico era molto intenso, acquistò un locale davanti alla banchina e cominciò anche a vendere bibite. Chiamò il locale Acorean House. Ma fu il figlio Josè che, con la sua forte personalità, trasformò il piccolo bar nel locale più famoso dell’Atlantico. Intuendo che i naviganti che facevano scalo a Fajal sulla rotta atlantico Europa-Americhe avevano bisogno delle cose più disparate, per anni fu proprio lui che si occupò di esaudire tutti i bisogni di capitani e marinai, andando oltre alle normali attività di gestore di un bar. Le sue capacità di risolvere tutti i problemi della gente di mare, rese Jose il personaggio sicuramente più famoso delle Azzorre. Il suo ribattezzato Bar Sport era aperto a tutti, dal mattino presto a notte fonda, punto di riferimento e di ritrovo per tutti coloro che avevano non solo voglia di bere qualcosa e socializzare, ma anche qualche problema da risolvere. Nell’immediato dopoguerra Josè divenne per tutti “Peter” dopo che uno dei tanti comandanti passati di lì, chiese se lo poteva chiamare così, perché somigliava a suo figlio di nome Peter. Il suo bar si riempì a poco a poco di ogni tipo di oggetto, anche di valore, lasciato lì dai naviganti di passaggio a testimonianza di amicizia e gratitudine. Molti di questi oggetti sono ora custoditi nel museo del piano superiore (museo scrimshaw, dal nome delle incisioni sui denti dei cetacei), ma molti altri decorano le pareti del bellissimo locale in stile marinaro, purtroppo sempre affollato.
Josè-Peter è morto nel 2005, ed ora è suo figlio a gestire il locale, frequentato ovviamente anche da molti turisti. Tanto per dare un’idea di quanto popolare fosse quest’uomo, la via dove si trova il bar è già stata ufficialmente ribattezzata con il suo nome!
Il museo del piano di sopra è chiuso perché oggi è domenica, dunque lo visiteremo domani.
Dopo la sosta caffè da Peter (a proposito, gli amanti del caffè Italiano, avranno parecchie soddisfazioni da queste parti ordinando un caffè “curto”!) visitiamo invece una delle chiese più belle di Horta, Nostra Signora della Concezione, che vediamo proprio alla fine della Messa, una ghiotta occasione per osservare un po’ la gente del luogo. Un giovane locale, visto il nostro interesse per la chiesa, ci avvicina e ci parla un po’ della storia del luogo e di Horta. Scopriamo così che l’intera isola ha 15.000 abitanti, di cui 7.000 circa vivono ad Horta, oppure che l’isola intera, come la chiesa dove ci troviamo, ha subito gravi danni con il terremoto del 1926. Parlando con lui capiamo che quindi le due chiese viste il giorno precedente sono crollate proprio per quel terremoto e non sono state più ricostruite. L’ultimo terremoto è stato nel 1998, ma non così devastante come quello di inizio secolo e quello successivo del 1957.
La chiesa è di uno stile barocco un po’ particolare, con un interessantissimo enorme pannello dietro l’altare, ricoperto d’argento. Il pannello, di dimensioni notevoli, circa 20 metri per 7-8 di larghezza, è letteralmente straripante, zeppo di figure e decorazioni. Il giovane ci spiega che è stato realizzato a gradoni degradanti, per simboleggiare le Fajas, che sono le terre che si sono originate dal crollo delle falesie nelle varie isole (soprattutto a San Jorge): vere e proprie piattaforme naturali, sono state spesso utilizzate per costruire pittoreschi villaggi di pescatori sul mare. La chiesa vale davvero una visita, come la vale il vicino mercato in stile vagamente arabo che oggi però troviamo inattivo.
E’ l’ora di pranzo: visto che il brutto tempo persiste e che il ristorante Mini Golf di ieri ci era piaciuto moltissimo, decidiamo di fare i 20 km che ci separano dal locale ed andare a mangiare lì. Abbiamo ormai stabilito che la nostra dieta base alle Azzorre sarà a base di pesce, visti anche i prezzi, e anche stavolta non facciamo eccezione. Mangiamo 2 rockfish bluemouth (lo scorfano di fondale, molto comune da queste parti e dalle carni estremamente saporite) alla griglia e un altro pesce fritto che non riusciamo ad individuare e spendiamo 38 Euro.
Dato che la zona del faro e del vulcano visitate ieri sono molto vicini, decidiamo di andare ad esplorare il faro che ieri abbiamo un po’ trascurato. Il tempo è ancora brutto, ma non piove. Man mano che ci avviciniamo alla scogliera dove sorge il faro, vediamo passare parecchie sterne in volo: dei cartelli esplicativi spiegano che la scogliera è il loro habitat naturale ma purtroppo sono piuttosto distanti e non riesco a vederle bene né a fotografarle.
Il faro, abbandonato dopo la spaventosa eruzione del 1957, ha visto addirittura tutto il piano inferiore coperto di cenere e lapilli. Quello che si vede, che sembra essere il piano terra, è in realtà il secondo piano della costruzione! L’accesso è libero, non ci sono porte e si cammina su un piano di legno che sembra essere stato rifatto recentemente.
Rientriamo ad Horta nel tardo pomeriggio, per esplorare il porto. La banchina è una vera e propria tavolozza a disposizione dei naviganti: molti di loro, impegnati nella traversata dell’Atlantico o addirittura nel giro del mondo, lasciano la loro testimonianza a mezzo di piccole icone dipinte sul cemento con vari soggetti: prevalgono ovviamente le barche, ma troviamo anche mappe con indicazioni delle rotte seguite, o soggetti che indicano la provenienza degli equipaggi: kiwi neozelandesi, canguri australiani, cappelli vikinghi di scandinavi. Notiamo anche una bandiera Italiana: l’autore peccava forse un po’ di fantasia o, più semplicemente, era un buon navigante ma un pessimo artista, che non ha voluto impegnarsi con soggetti più complessi!
Il colpo d’occhio sul porto è comunque notevole, visto che il grigio del cemento è quasi completamente ricoperto dei colori più sgargianti! Potrebbe essere una bella idea per qualche altro porto fosse un po’ troppo cementificato!
Cena al ristorante Kabem Todos, sul lungomare, Ancora pesce fresco per tre, con conto finale di 53 Euro.

20 giugno
Ci attende la traversata verso l’isola di Pico, con il battello in partenza per le 13.00. Dopo colazione, visto che pioviggina ancora, decidiamo di visitare il museo sopra al caffè Peter, che ieri era chiuso. L’ingresso costa due euro, e li vale tutti! E’ una raccolta di oggetti, nella maggioranza dei casi regalati a Peter da navigatori e varie personalità, dove spiccano soprattutto vari denti di Capodoglio dipinti o intagliati, denti che raccontano la storia e la tradizione marinara. La pratica dell’intaglio e della pittura dei denti era piuttosto diffusa in passato tra i marinai imbarcati nelle baleniere. I più dotati passavano il tempo decorando i denti, lunghi circa 15 centimetri, con scene di vita marinara, ritratti di famiglia, di donne lasciate a casa. Avevamo previsto una breve visita, invece il museo ci prende così tanto che usciamo quasi alle 12.00. Il tempo di riconsegnare l’auto all’ufficio cittadino del rent a car (Ilha Verde, costo 212 Euro tutto incluso, anche la Kasco per tre giorni) e prendiamo il nostro traghetto. La traversata verso la vicina isola di Pico dura circa mezz’ora. All’arrivo a Madalena, cittadina sulla punta ovest dell’isola, ritiriamo la nostra auto, una Mitsubishi Colt, noleggiata dalla stessa compagnia di Fajal, che ci costa 292 Euro per 5 giorni, alle stesse condizioni della precedente.
Andiamo quindi a prenotare la nostra prima uscita per vedere le balene presso una compagnia che avevamo già individuato su Internet, la CWAzores. Prenotiamo per il mattino seguente alle 9.00, per la prima uscita della giornata. Da Madalena, partiamo quindi verso la estremità opposta dell’isola, Piedade, dove si trova il b & b che abbiamo prenotato.
Visto che sono quasi le 14.30 (in Portogallo,come in Italia, è difficile pranzare dopo una certa ora), decidiamo di fermarci per uno spuntino nel primo posto che capita. Il primo posto è una “pizzateca” ad una decina di chilometri da Madalena: siamo pronti al peggio, ma la pizza si rivela non male. Anche qui conto molto leggero, 12,30 Euro per 6 tranci di pizza, 3 bibite e un caffè.
A stomaco pieno è molto più facile e rilassante percorrere con calma tutta la strada costiera che corre a nord, fermandoci spesso a fotografare o ad assaporare il panorama dai mirador, molto frequenti anche qui come a Fajal. L’isola si rivela ancora più verde di Fajal anche se ha in comune i verdissimi pascoli, i prati, i giardini e bordo strade inondate di fiori, soprattutto ortensie. La strada costiera settentrionale è lunga 67 chilometri da Madalena a Piedade (ultimo villaggio nella parte nord dell’isola, dopodiché la strada piega verso sud e si dirige di nuovo verso Madalena) e le nostre soste sono così frequenti che ci impieghiamo quasi 4 ore ad arrivare, benché il traffico sia pressoché nullo. E’ un vero piacere guidare sulle strade di Pico, come lo è stato in quelle di Fajal.
Arrivati nel piccolo villaggio di Piedade, seguiamo le indicazioni per “O’ Zimbreiro”, il b & b dove abbiamo prenotato. Un dedalo di stradine ci conduce sempre più lontano dal già piccolo paesino, tra pascoli e muretti a secco di pietra lavica. Cominciamo a chiederci se non sia stato un errore scegliere questo posto, fidandoci solo del nostro istinto e delle immagini su Internet, soprattutto in considerazione del fatto che le compagnie che ci portano a vedere le balene sono a Madalena, dalla parte opposta! I nostri dubbi si dissipano come neve al sole appena arriviamo sul posto. O Zimbreiro è una vera e propria tenuta, con meravigliosa vista sul mare, composta da tre abitazioni, ben distanti tra loro: la casa padronale con una grande camera annessa, una seconda costruzione con altre due camere, e una terza più distante, con altre due camere. In mezzo, uno splendido ampio giardino con piscina! Jeremy, il giovane proprietario di origina belga (anche qui!), ci accoglie con ampi sorrisi e ci accompagna in camera. A me e mia moglie tocca la più grande e bella, annessa alla casa padronale, con ingresso indipendente e un’ampia terrazza con splendida vista sull’oceano e l’isola di San Jorge, giusto di fronte. Il nostro compagno di viaggio viene invece sistemato nella terza costruzione; la sua camera è un po’ più piccola, ma altrettanto bella. Entrambe sono interamente in legno, arredate in stile vagamente nautico: sembra di essere in una cabina di una nave di lusso.
Chiediamo consiglio per un ristorante per la cena, e Jeremy ci suggerisce il ristorante che si trova nella punta estrema dell’isola, vicino al faro, il “Ponta da Ilha” dal nome quanto mai evocativo! Ci arriviamo percorrendo stradine deserte e strettissime, con non poca difficoltà. La scelta si rivela felice: anche qui ordiniamo pesce, il solito scorfano di fondale alla griglia, calamari alla griglia e polpo in umido… Cibo eccellente a 40 Euro, mancia compresa.

21 giugno
Comincia la vera esplorazione dell’isola. Partiamo presto dal b&b perché dobbiamo essere al porto di Madalena, che dista circa un’ora, alle 8.30. Alla CW Azores ci hanno detto infatti che dobbiamo essere lì ½ ora prima della escursione per il briefing.
La compagnia è gestita da Italiani e scopriamo che noi due siamo i soli prenotati per questa mattina (il nostro compagno di viaggio parteciperà con noi ad una escursione successiva): dunque il briefing è in Italiano e non dobbiamo neppure preoccuparci di seguirlo in Inglese. Ci vengono date una serie di informazioni sulla vita marina delle Azzorre, in particolare di balene e delfini: molte cose, da appassionati, le sappiamo già, ma troviamo molto interessanti le notizie sulla stagionalità degli avvistamenti e delle rotte migratorie che interessano le Azzorre. Il personale si rivela essere molto preparato e professionale e scopriamo che l’agenzia non si occupa solo di escursioni per turisti ma fa anche ricerca.
Dato che siamo i soli due prenotati usciamo con una barca di un’altra società, con altre 4 persone. Siamo dunque in 6, in un gommone speciale, attrezzato per il whale-watching, che porterebbe al massimo 12 persone sistemate su delle selle piazzate al centro del mezzo, in due file da 6. Dunque abbiamo parecchio spazio a disposizione. Proprio perchè siamo usciti in diverse parti del mondo per osservare le balene, capiamo immediatamente che queste isole si rivelano essere uno dei luoghi più interessanti per questo tipo di attività. Gli avvistamenti si susseguono quasi ininterrotti: nelle tre ore di escursione: avvistiamo 3 capodogli, una mezza dozzina di grampi, una decina di balene pilota e almeno una cinquantina tra tursiopi e delfini comuni, un gruppo dei quali si esibisce in una spettacolare serie di salti sulle onde. Un via vai in mare davvero impressionante!
L’uscita si rivela dunque soddisfacente e, benché l’organizzazione di CW Azores si sia rivelata impeccabile, non prenotiamo con loro le prossime uscite. Jeremy ci ha infatti detto che per noi è molto più conveniente andare a Lajes, sul lato sud dell’isola, dove ci sono altre compagnie che accompagnano fuori i visitatori. Decidiamo dunque di andare subito a dare un’occhiata. Alle 12.30 il nostro compagno di viaggio ci viene a prendere (lui si è fatto un giretto nei dintorni) e partiamo alla volta di Lajes, percorrendo la strada costiera a sud.
Ci fermiamo solo pochi minuti per un picnic, consumando i panini acquistati dal nostro amico: vogliamo infatti arrivare entro le due del pomeriggio per valutare se è il caso di uscire di nuovo per le escursioni pomeridiane.
Effettivamente a Lajes troviamo altre tre o quattro compagnie e decidiamo di prenotare qui le nostre prossime uscite: i vantaggi sono più di uno. Prima di tutto è a soli 25 minuti di strada dal nostro alloggio, anziché un’ora. Secondo, il tratto di mare dove ci sono più avvistamenti si trova proprio nella zona antistante la costa tra Lajes e Piedade: ce ne siamo accorti proprio quel mattino, quando la barca partita da Madalena ha fatto rotta verso sud, e la cosa ci viene confermata qui a Lajes. Terzo, essendo costretti a fare meno strada, qui le compagnie chiedono meno soldi per lo stesso programma: paghiamo infatti 40 Euro per 3 ore e mezzo di escursione contro i 57 pagati a Madalena! Come se non bastasse, essendo più vicini alla zona di avvistamento, i tempi morti di trasferimento sono più brevi.
Dunque a Lajes optiamo per la compagnia “Aqua Azores” usando un collaudatissimo metodo scientifico per stabilire senza ombra di dubbio quale sia la migliore, più professionale, più preparata, con i migliori mezzi e che da maggiori garanzie: scegliamo quella con l’impiegata più simpatica e sorridente! Dopo questo consiglio gratuito e preziosissimo per l’ oculata scelta rivolto a chi dovesse decidere di andare a vedere le balene (!), resta da dire che il giro pomeridiano era occupato causa arrivo gruppo e dunque prenotiamo per l’indomani.
Visitiamo quindi il museo dei balenieri di Lajes, piccolo ma interessante: assieme a costumi locali e attrezzi usati dai balenieri, si vedono vecchie foto e un documentario sulla caccia alla balena girato pochi anni prima che venisse proibita, purtroppo solo nel 1986. Alcune scene sono piuttosto cruente e dopo un po’ decidiamo che può bastare!
Risaliamo in auto e decidiamo di allontanarci dalla costa e vagare senza meta verso l’interno: è un bellissimo gironzolare, perché imbocchiamo strade semi-asfaltate, a volte sterrate, completamente deserte, serpenti sinuosi che si immergono nel verde dei prati e scompaiono a volte tra l’inquietante nebbia delle nuvole basse. Non ci sono case, non c’è anima viva, solo vacche e tori al pascolo che si girano a guardarci incuriositi ogni volta che scendiamo dall’auto.
Finalmente dopo circa mezz’ora, mentre ci stiamo dirigendo verso un picco chiamato Pico de Urze, ci sorpassa un pick up con una cisternina sul cassone e alcuni bidoni del latte. Immaginiamo che stia andando a mungere e lo osserviamo allontanarsi nella speranza di ritrovarlo più tardi. Così è: dopo un paio di chilometri lo ritroviamo in uno spiazzo lungo la strada principale, fermo presso una piccola stazione di mungitura dotata di un generatore a scoppio per l’elettricità. Lo spettacolo al quale assistiamo è tra il comico è l’inquietante: senza che il pastore faccia o dica niente, emergono dalle nuvole vacche da tutte le direzioni: alcune corrono e sembrano volerlo caricare. In realtà vogliono probabilmente essere le prime a sottoporsi alla mungitura e stanno solo cercando di guadagnarsi il posto, in una scena fantozziana che ci ricorda molto il film nel quale i passeggeri dovevano salire sull’aereo senza avere i posti assegnati (mitico Fantozzi, ovunque si vada nel mondo ci sono scene che lo ricordano!). Le più esagitate si fermano a pochi centimetri da lui e, appena viene alzato il cofano di una specie di carretto con la mangiatoia, tuffano il capo dentro come condannate alla ghigliottina. Al posto della lama troveranno del fieno, ma ci sorprende vedere questi animali docili come cagnolini, eseguire ordini che non sono stati neppure impartiti. Alcune di loro hanno le mammelle straordinariamente gonfie e non ci meraviglia pensare che sia un sollievo essere munte e vedere (e sentire) quella enorme sacca che impedisce quasi di camminare sgonfiarsi e tornare alla normalità, magari mentre si gustano un po’ di fieno.
Ci fermiamo con lui almeno una mezz’oretta, scambiandoci sorrisi e rifiutando con cortesia di assaggiare il latte come lui ci propone di farci assaggiare. Gli facciamo capire che siamo solo interessati ad osservare la scena.
Gli animali che si mettono in fila ci fanno morir dal ridere: alcune, più prepotenti, fanno finta di non accorgersi che c’è una “collega” prima di loro e si infilano in mezzo, cercando di rubare il posto: che sia una “bruna alpina italiana” che cerca di far fessa una “pezzata inglese”, rispettosa della fila?. Comunque sia, la flemmatica pezzata non si fa fregare e con una cornata in testa convince la maleducata a ritirarsi. Tocca prima a lei farsi agganciare alle tette quel meccanismo infernale e non intende cedere il privilegio!
Il pastore è molto attento a pulirle prima di attaccarle alla mungitrice e a disinfettare il capezzolo una volta staccato. Lasciamo dopo un po’ le cornute nel pieno della loro rissa da bar, e ci dedichiamo alle foto tra la nebbia che evocano un clima ben più rilassato, come si confà al luogo.
Tentiamo anche di salire alla vetta, lontana ormai solo un paio di chilometri, ma la strettissima via ci porta nel pieno della nuvola e la visibilità è di soli pochi metri. Torniamo quindi sui nostri passi dirigendoci molto lentamente verso il nostro alloggio, percorrendo strade alternative, tutte all’interno dell’isola.
Il tempo di una rapida doccia e torniamo al ristorante Ponte da Iòha: pesci diversi, stesso conto, di 37,10 Euro che arrotondiamo di nuovo con slancio di generosità a 40 Euro!

22 giugno
Stamattina facciamo colazione nel terrazzo del b&b e conosciamo nonni e zii di Jeremy che sono venuti a trovarli dal Belgio. Conosciamo anche i suoi genitori che scopriamo aver venduto il loro avviato salone di parrucchieri, a Chaleroi, per trasferirsi in una casetta lì vicina, dove il padre, oltre che dare una mano al b&b, fabbrica vasi in terracotta, mentre la mamma, per sua stessa ammissione, è molto impegnata a godersi la vita.
Il nostro compagno di viaggio, nato e cresciuto in Belgio, sembra un gallo nel pollaio da quanto si diverte a chiacchierare. Dato che il mondo è piccolo scopriamo nell’ordine: che il nostro amico abitava da piccolo a due chilometri dalla casa degli zii; che la mamma di Jeremy è di origine Italiana, di un paesino a 18 chilometri da casa nostra; che somiglia terribilmente ad una mia amica di nome Danila e, guarda un po’, si chiama Danila pure lei; che se il nostro amico non la smette di chiacchierare passerà tutta la giornata qui e scopriranno pure di essere parenti.
Dunque riusciamo a trascinarlo via con grande fatica, ricordandogli che per quella sera ci sarà la cena al b&b (cuoco Jeremy) e potrà riprendere la conversazione con i suoi nuovi amici Valloni.
Con le orecchie ancora piene di conversazioni in francese, ci rituffiamo finalmente nel paesaggio Portoghese.
Ci hanno consigliato di non perdere i laghi interni e tentiamo di visitarli subito, visto che l’interno ci era piaciuto da matti, ma il brutto tempo e le nuvole basse non ci permettono di vederne manco l’ombra. Ritenteremo. Riscendiamo così verso la costa, dove il tempo è migliore (questa è una costante delle isole visitate: il brutto tempo in un versante o all’interno, non significa nulla, dall’altra parte, a pochi km di distanza, potrebbe essere bellissimo) e ci dividiamo. Il nostro compagno, appassionato di architettura, chiede di essere lasciato nel paesino di S. Roque, costa nord, mentre noi ci dirigiamo verso Madalena, per vedere i famosissimi vigneti, protetti dall’Unesco. Lo spettacolo è effettivamente di quelli da raccontare ed immortalare, con minuscoli fazzoletti di terra, rubati al suolo vulcanico, circondati da muretti a secco neri come la pece, anzi, come la lava! Se non fosse per i vigneti, uno penserebbe davvero di essere in Irlanda, non in un’isola del Portogallo! I vigneti sono spesso arroccati su lembi di terra letteralmente rubati al mare ed hanno una vista spettacolare sulla costa. Man mano che ci si avvicina a Madalena ce ne sono sempre di più ed è uno spasso perdersi tra le anguste stradine che portano giù verso il mare, delimitate dai muretti e dalle chiazze di verde dei numerosi vigneti. Non è difficile immaginare il perché siano protetti dall’Unesco!
Al ritorno ci fermiamo a fare uno spuntino nel posto dove abbiamo mangiato la pizza al taglio il giorno dell’arrivo. Quindi raccogliamo il nostro delusissimo compagno di viaggio che ci dice di non aver visto davvero niente di interessante dal punto di vista architettonico a San Roque.
Da San Roque prendiamo la strada interna che taglia verso la costa opposta, per andare a Lajes dove ci attende la nostra seconda escursione per le balene. Mentre il nostro compagno mangia qualcosa in un bel ristorantino sul porto noi andiamo a trovare la nostra simpatica amica di Aqua Azores e prendiamo i biglietti. Ci dice che siamo in 6 e usciremo non con un gommone ma una barca leggermente più alta.
Partenza alle 14.00: il tempo ora volge decisamente al bello da queste parti ed il mare è molto calmo, condizioni ideali. Arriviamo nella zona calda nel giro di poche decine di minuti, allontanandoci dalla costa nella quale la ragazza che ci accompagna ci fa notare le torrette di avvistamento delle balene. Al tempo delle baleniere l’avvistatore segnalava la presenza delle balene agli equipaggi: le bianche torrette sono tuttora usate, questa volta per dare una mano agli equipaggi del whale watching. Subito troviamo un paio di capodogli, diverse balene pilota e moltissimi delfini, purtroppo abbastanza sfuggenti.
La barca più alta implica un maggiore rollio ed è più difficile stare in equilibrio, soprattutto per me che ho un teleobiettivo: tutto sommato il gommone è preferibile, per fotografare. Comunque anche questa uscita è decisamente soddisfacente e al ritorno, alle 17.30, ne prenotiamo un’altra ancora per il giorno dopo.
Temporeggiamo un pochino al molo, perché rientrando abbiamo visto dei pescatori scaricare il pesce: non c’è dubbio che il mare antistante le isole sia pescosissimo, vista la quantità di pesce che salta fuor dal ventre della barca: orate, branzini, diversi tipi di pesce di colore rosso (tra cui lo scorfano di fondale, che abbiamo avuto modo di assaggiare nei giorni precedenti) e molti altri che non conosciamo, ma tutti di dimensioni ragguardevoli: tanto per dare un’idea, orate e branzini sono i più piccoli.
Pochi minuti e si riparte per Piedade, stasera alle 19.30 c’è la cena al nostro b&b e non vogliamo arrivare tardi.
La cena, servita nella bellissima sala da pranzo padronale e si rivela raffinata e deliziosa: Jeremy è un cuoco sopraffino ed accompagna al vino portoghese pietanze franco-belghe a base di pesce che sono una delizia non solo per il palato ma anche per la vista. Mangiamo una terrine di crostacei con fagiolini bolliti e un cestello di carote, seguito da una mousse di branzino con patatine novelle, davvero delicatissime. La compagna francese di Jeremy, Anne-Lise, annuncia le portate e serve al tavolo con studiata efficienza: nessuno direbbe che è una biologa anziché una esperta maitre! I commensali sono 9, noi tre, e 6 belgi: i genitori di Jeremy, i nonni e gli zii. Si parla ovviamente in Francese, visto che sono tutti valloni, e solo mia moglie soffre un pochino la situazione visto che non sa e non capisce molto il francese: a lei ci pensa la nonna di Jeremy che, incurante della barriera linguistica, se rivolge spesso a lei, dispensandole larghi sorrisi. Ogni tanto le vedo ridere, e mi chiedo se è per il fatto che si parlano e non si capiscono! Fortunatamente il nostro compagno di viaggio ogni tanto traduce e anche il papà di Jeremy le parla in Inglese: quanto basta per non farla addormentare e vederla un po’ più partecipe!
Il tempo vola e la cena si conclude con una eccellente torta al limone fatta in casa, seguita dal siparietto di uno dei cani di casa, una simpatica quanto ben piantata femmina di bulldog (avete presente? Quel tipo di cani talmente brutti da essere belli!) che non ne vuole sapere di andare a dormire: la padrona continua a mandarla di sopra e lei fa due scalini in su, controlla se la guardano e poi ne fa tre in giù: ma come, c’è un avvenimento nuovo in sala da pranzo e lei non può partecipare? Non c’è niente da fare, nonostante venga più volte sgridata, alla fine arriva al compromesso di fermarsi ad osservare la serata dall’ultimo gradino della scala. A nanna ci andrà soltanto quando noi, verso mezzanotte, toglieremo il disturbo ringraziando per la magnifica cena (per la cronaca costo di 30 Euro a testa, la più cara delle vacanze, ma visto aperitivi, vino, cibo raffinato francese e la magnifica ambientazione, non c’è di che rammaricarsi).
Un’ultima sosta in terrazza, a godersi la brezza proveniente dal mare e le luci dell’Isola di San Jorge in lontananza e anche noi andiamo a dormire, ben più volentieri del bulldog…

23 giugno
Di nuovo in piedi molto presto, perché il nostro compagno di viaggio oggi prende il battello per una escursione giornaliera a San Jorge: noi abbiamo deciso di non andare, perché non vogliamo fare le cose troppo di corsa: visto quanto ci stanno piacendo le isole, non c’è nessun dubbio che torneremo più avanti e cercheremo di visitarle tutte…
Il battello parte alle 8.00 da San Jorge, noi partiamo alle 7.00 e arriviamo alle 7.40: su San Jorge splende il sole, mentre tira un’aria più brutta verso Lajes, dove ci dirigiamo subito dopo per la nostra escursione per balene. Non facciamo neppure a tempo a percorrere la prima parte della strada interna che già veniamo avvolti dalle nuvole.
Scendendo dalla parte opposta dell’isola il tempo non migliora: usciamo dalle nuvole man mano che scendiamo, ma il cielo rimane coperto. Ci aspetta tuttavia una bella sorpresa appena arriviamo a Lajes: la gente del paese è impegnata a decorare la strada principale che porta verso la chiesa, con petali di fiori. Facciamo mente locale e ci rendiamo conto che oggi è il Corpus Domini, una festa che a noi Italiani molto spesso sfugge, ma che è molto sentita in molti altri Paesi tra cui il Portogallo. Dato che siamo in anticipo, ci uniamo alla gente del Paese e chiediamo quando ci sia la processione, perché è chiaro che il tappeto floreale, come succede a Spello, viene preparato per la processione religiosa finale. Ci dicono che la processione sarà alle 11.30 ed abbiamo seri dubbi che riusciremo a vederla visto che si rientra dall’osservazione delle balene alle 12.30! Che fare? Visto che il tempo non è neanche il massimo proviamo ad andare a controllare alla Aqua Acores se per caso possiamo spostarci alla escursione del pomeriggio. La ragazza ci dice che noi due siamo gli unici prenotati per l’escursione del mattino, quindi non ci vuole molto per accordarci per uscire al pomeriggio, fa comodo anche a loro risparmiare una uscita.
Così facciamo colazione, dopo una seconda ispezione per le strade decorate, decidiamo di provare a vedere se la situazione del tempo migliora nella zona dei laghi. Niente da fare. Il giro si rivela interessante, ma il tempo è brutto e non riusciamo a vedere i laghi. Quindi ritorniamo verso le 11.00 a Lajes.
La processione è in ritardo, quindi ne approfittiamo per aggirarci per il paesino e chiacchierare con i locali. Un giovane ci dice che quella sera ci sarà la festa di San Joao e ci invita ad andare a vederla. Registriamo l’informazione e finalmente, poco prima delle 12.00, si aprono le porte della chiesa e arriva da una strada laterale la banda del Paese! I fedeli precedono il prete, che avanza sul tappetino centrale di fiori preparato con tanta cura. Dalle finestre che si affacciano sulla strada sono state esposte delle coperte colorate, che contribuiscono ancora di più a ravvivare l’atmosfera di festa. Una festa certamente ruspante, perché fanno sorridere le coperte a quadrettini, ricamate all’uncinetto, esposte, come pure fanno tenerezza i bambini vestiti come delle bamboline, chiaramente impacciati nel loro abito nuovo. Ci sono in verità anche una decina di ragazzini con il vestito della prima comunione: a quanto pare si è presa l’occasione per raggruppare le celebrazioni!
La gente non fa in tempo a disperdersi che già sono pronti, efficientissimi, i netturbini che rimuovono il tappeto di fiori che tutto sommato non era neanche stato troppo rovinato… che peccato! Certo non erano le opere d’arte che si vedono a Spello, ma erano pur sempre belle da vedere.
In attesa delle 2 del pomeriggio, mangiamo qualcosa al ristorante del porto (spendendo 17.70 Euro) e siamo pronti a partire. Si esce di nuovo con la Moby Dick, la barca un po’ più alta .La scelta di posticipare il giro si è rivelata vincente perché nel frattempo il cielo si è aperto e cielo a mare son ridiventati blu, non sono più grigi!
Anche stavolta gli avvistamenti si susseguono e cominciano subito con i capodogli. La maggior parte di questi cetacei che si vedono qui sono femmine, di taglia un po’ più piccola rispetto ai maschi, perché sono stanziali, mentre i maschi tendono a muoversi e tornare qui solo per l’accoppiamento.
Il capodoglio è comunque il più grande degli odontoceti, ovvero delle balene dotate di denti. L’infelice nome inglese, sperm-whale viene dal fatto che i primi cacciatori consideravano sperma la sostanza bianchiccia che si trovava nel cranio e che veniva utilizzata in vari campi dall’industria baleniera. Una credenza certamente ingenua (che senso ha in natura posizionare lì lo sperma? La natura non fa cose inutili!): ora si sa che la sostanza funziona da radar nelle profondità dei mari, dove non c’è luce. E’ un terzo occhio, utilissimo al Capodoglio per individuare le prede.
Quando è in superficie, anche se il 90% del corpo resta sott’acqua, è facilissimo da riconoscere, già dal soffio, che è rivolto in avanti e leggermente a sinistra. L’avvistamento avviene dunque nel momento in cui i capodogli riemergono per respirare. Passano infatti la maggior parte del tempo immersi in apnea, a profondità che variano dai 500 fino addirittura a 3000 metri, cercando di catturare prede di varie dimensioni, tra cui i mitici calamari giganti che costituiscono una parte importante della loro dieta.
Il periodo di respirazione dura all’incirca 6-7 minuti, dopodiché il cetaceo inarca la schiena e si prepara ad immergersi: è il momento più spettacolare, quello in cui emergerà la pinna caudale che sarà l’ultima a sparire sott’acqua. Dopo aver regalato questo spettacolo, l’animale sparisce e non comparirà più per almeno 40-45 minuti: tanto dura in media il periodo di apnea.
La nostra osservazione dei capodogli viene intervallata dai soliti delfini comuni, tursiopi, balene pilota e grampi. Stavolta appaiono però anche un gruppo di 5 balene di sowerby , una balena non facile da avvistare, basti pensare che è stata descritta per la prima volta solo nel 1800. Cerchiamo di approcciarle velocemente, ma purtroppo quando arriviamo in zona si sono già eclissate, peccato! Il tempo rimane molto bello per tutta l’escursione, e il pomeriggio vola. Si rientra alle 17.30 ed anche stavolta osserviamo sul molo alcuni piccoli pescherecci con il loro poderoso carico di pesce. Davvero uno spettacolo vedere un pescatore sfilettare con mani esperte un grosso pesce che mi dicono chiamarsi, in portoghese, pesce porco. Somiglia vagamente al nostro sarago, ma non riesco ad individuare il nome italiano. Ce ne saranno almeno 4-500 e i pesci già sfilettati sono un coreografico cimitero ai suoi piedi.
Visto che la luce del pomeriggio è meravigliosa e il cielo sembra essersi aperto anche al centro dell’isola, proviamo nuovamente a dirigerci verso i laghi: così ci avviciniamo anche a San Roque, dove dovremo raccogliere il nostro compagno di viaggio alle 19.30. Stavolta ci va bene e riusciamo a vedere tre bellissimi laghi: il primo ha addirittura una vasta zona occupata da alghe di colore rossiccio, un vero spettacolo. Le nuvole ci infastidiscono solo verso la fine, quando però è ormai tempo di spostarci per andare a Las Roques.
Il tempo di raccogliere il nostro amico e siamo di nuovo in viaggio verso Lajes, stavolta per andare a dare un’occhiata a questa famosa festa di San Joao. Il vicolo addobbato a festa è già pieno di gente quando arriviamo: quasi tutte le finestre che danno sul vicolo sono decorate con statuine di San Joao, lucine e bigliettini, un insieme decisamente colorato quanto kitch! Verso la metà del vicolo, si apre una piazzetta che da su un cortile interno: questa mattina, quando siamo passati di lì erano deserti, ora son pullulanti di vita e colori! Su degli enormi tavoli è distribuito il ben di dio: pasta al forno, pesce alla griglia, seppie in umido, fagioli, insalate, pollo, baccalà, pizza, patate…
Tenendoci in disparte cerchiamo di fare alcune foto, quando un uomo, brandendo una caraffa con fare minaccioso, ci mette un bicchiere in mano e ce lo riempie di sangria. Ci parla in portoghese, ma non ci vuole molto a capire che ci sta dicendo di prendere un piatto e servirci! Eseguiamo l’ordine, cercando di capire se c’è un posto dove si paga, ma non lo vediamo. Mia moglie glielo chiede, e lui risponde a metà tra il divertito e l’incredulo, dicendo che no, qui non si paga, è tutto gratis!
Non è il fatto che tutto sia gratuito che ci sorprende e ci commuove, ma il fatto che tutti si stanno muovendo come se noi e qualche altro turista coinvolto nella festa, fossimo loro compaesani. Ci si siede tutti fianco a fianco nei tavoli improvvisati lungo il muro, mentre la musica si confonde con le chiacchiere della gente. Nel cortile è stata improvvisata una griglia, dove vengono rovesciate chili di sardine: nelle nostre sagre paesane salsicce e costicine, qui sardine ai ferri! La differenza è che qui tutto è gratis!
Non ci vuole molto a capire che tutti i manicaretti che troviamo distribuiti sui tavoli, sono stati preparati dalle famiglie del paese. Ne abbiamo la conferma, quando vediamo che man mano che le pentole vengono svuotate, da uno scantinato ne escono altrettante di piene: in quel sottoscala ci deve essere il paese del Bengodi! Il cibo è semplicemente fantastico, mi fa voglia tutto quanto, persino la pasta al forno sembra essere originale Italiana! Io adoro le sardine ai ferri, ma non posso riempirmi il piatto di pesce azzurro, vista la scelta che c’è! E’ dura dire di no al cuoco di turno che passa tra i tavoli sbattendo nei piatti sardine fumanti, ma ho già il piatto pieno di altre leccornie: nel giro di mezz’ora mi scolo tre bicchieri di sangria e mangio quanto un reggimento! Ci vorrebbe una festa di San Joao ogni sera!
Ma al di là del cibo, davvero eccellente, ciò che godiamo di più è ovviamente l’atmosfera, quella da noi ormai perduta dei paesini dove tutti si conoscono e tutti mettono qualcosa, cucinano piatti con orgoglio e soddisfazione, senza chiedere nulla in cambio se non la partecipazione di tutti gli altri con lo stesso entusiasmo. Il fatto che noi siamo turisti e non abbiamo messo assolutamente nulla se non il nostro appetito, non li tocca minimamente.
Tocca però noi e prima di andarcene facciamo un altro tentativo: chiediamo al nostro uomo, che sembra essere addetto alla sangria, dove possiamo lasciare una offerta a San Joao (non è andata bene con la richiesta di pagamento, tentiamo con la devota offerta!): neppure celando la richiesta sotto forma di omaggio al Santo, riusciamo nel nostro intento! L’uomo ci dice di no, non è prevista neanche l’offerta, neanche la Chiesa e i Santi sembrano essere interessati questa sera al vil denaro! Ci chiede invece se abbiamo mangiato, e la nostra mano sul ventre vale qualsiasi risposta: solo allora si allontana soddisfatto, per intercettare col piglio del rapace i bicchieri vuoti dei nuovi arrivati.
Tornando indietro non posso fare a meno di sorridere notando il sofisticato impianto stereo: in una casa del vicolo è stata spalancata la porta e messo un impianto stereo privato davanti alla porta, due fili allungati, le casse portate nel vicolo, su due balconi al primo piano, e la musica è servita! Davanti all’ingresso di un’altra casa si sono invece radunati alcuni ragazzini che stanno provando a suonare insieme alcuni brani: c’è una chitarra, un flauto, una tromba, un oboe. Immaginiamo che più tardi i ragazzini si esibiranno per tutto il Paese. Ma noi dobbiamo con rammarico andare, domani è giorno di trasferimento… Grazie a San Joao e ai suoi simpatici fedeli.

24 giugno
E’ il nostro ultimo giorno a Pico: dopo colazione un’occhiatina al laboratorio di François, il padre di Jeremy, e poi saluti a tutti.
Il battello è alle 13.45 e quindi abbiamo tempo per una deviazione: proviamo ad andare verso la vetta di Pico, il vulcano omonimo, sulla strada interna che va a Madalena. Siamo fortunati, perché la vetta si presenta sgombra da nubi e avvicinandoci possiamo gustarci man mano la maestosità del perfetto cono vulcanico. Ci fermiamo proprio dove comincia il sentiero che sale alla vetta ed io entro nel centro visitatori a raccogliere informazioni sul sentiero. Per la prossima visita ci organizzeremo per fare il trekking fino alla cima. Quando cominciamo a scendere verso Madalena, il cielo si rannuvola di nuovo, ma ormai è fatta, siamo pronti a partire. Facciamo benzina, 38 Euro, riconsegniamo l’auto e compriamo i biglietti per Horta, 3,40 Euro a persona.
Per questa ultima notte a Fajal abbiamo prenotato in paese, visto che non abbiamo l’auto. Abbiamo scelto il Fajal Resort, un posto certamente meno caratteristico di un b&b ma estremamente comodo. L’hotel è ben strutturato, con diverse case in stile portoghese disposte in cerchio intorno al corpo centrale. Noi veniamo sistemati proprio nelle case, non nel corpo centrale più moderno che ispira certamente meno simpatia. La doppia costa 110 Euro con colazione, non è molto economica.
Pranziamo al mitico caffè sport Peter ed è una piacevole sorpresa scoprire che i prezzi sono allineati, nonostante il fatto che questo sia il locale più famoso delle Azzorre: 23 Euro per i nostri tre piatti a base di pesce e insalata. Passiamo il pomeriggio a passeggiare per Horta, con altra puntatina al molo per osservare i numerosi murales lasciati dai naviganti (e occhiatina alle stupende barche!). Consumiamo anche la cena da Peter’s: dei coreografici ed eccellenti spiedini di Marisco che segnano un adeguato addio alle isole Azzorre.
Conto di 58 Euro, visto che abbiamo scelto il piatto più coreografico ma anche più ricco!

25 giugno
Al mattino, dopo colazione c’è ancora tempo per un ultimo shopping prima di andare all’aereoporto con il taxi (13 Euro). Il volo per Lisbona è alle 12.45 e trascorreremo la notte a Lisbona, in quanto la prima coincidenza per Venezia è il mattino seguente. Un’ottima occasione per fare una passeggiata pomeridiana e serale a Lisbona, città che avevamo visitato 16 anni fa. Un breve ma piacevole ritorno nella capitale lusitana. Ci torneremo presto, di nuovo in transito per una nuova avventura alle Azzorre, in isole da destinarsi!

 

 

Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento, contattaci per ottenere il tuo account

© 2024 Ci Sono Stato. All RIGHTS RESERVED. | Privacy Policy | Cookie Policy