Le stelle di Merzouga

Il fascino del Marocco e del deserto inducono spesso a ritornare

Non ho mai visto un cielo così trapunto di stelle come a Merzouga. Mai. Neanche nelle notti più buie o nei luoghi più impervi il cielo stellato si è espresso in tutto il suo come in questo angolo di deserto.
Disteso su un materasso alquanto duro e cullato dal suono di tamburi proveniente da un bivacco vicino, ho lo sguardo perso in questo mare di piccole e grandi luci, non smettendo di perdermi nell’immensità blu e non ho voglia né di chiudere gli occhi né di gettarmi tra le braccia di Morfeo. E come sottofondo continuano a farmi compagnia i bramiti dei dromedari affamati, il miagolare di alcuni gatti, il vento tiepido della notte e le stelle cadenti, tante più che nella notte di San Lorenzo.
E mentre osservo le stelle e i piccoli focolai di luce degli altri bivacchi, ripercorro con la mente la strada che mi ha portato qui, a un’ora e mezza di “cammellata” dal più vicino luogo abitato del Marocco, e la faticaccia delle ore d’auto e di dromedario soccombe al magnifico spettacolo.
Ritorno con la mente a Gennaio, appena subito il mio rientro dal primo soggiorno (vedi links) in cui vivo le emozioni vissute, la voglia di raccontarle e di condividerle con gli altri e sento forte il desiderio di ritornare.
Nel frattempo le giornate scorrono ed arriva la primavera con il pensiero delle ferie estive: ho in mente la Turchia ma, per una serie di coincidenze e di impegni, devo rinunciarci.
E’ in un giorno di Marzo che vado in Internet e per scherzo gironzolo su alcuni siti di compagnie aeree: ne visito un paio finché non capito sull’Iberia.
Come per caso imposto Marrakech a destinazione finale da Milano e… 250€! La tariffa per un volo via Madrid. Ci penso. Ci ripenso. Calcolo il viaggio con altre compagnie: di più, addirittura la stessa Easyjet ha un prezzo superiore per quel periodo.
Chiamo Roby e gli chiedo: “Ti va di ritornare di nuovo in Marocco?”. “Si” è la sua perentoria risposta. Ritorno in Iberia e prenoto: 11 giorni è il periodo del viaggio. 11 giorni da dover organizzare. 11 giorni da vivere in quel lembo d’Africa.
Avevo promesso a me stesso che la tappa principale del mio ritorno doveva essere il deserto con una notte in bivacco, e per ciò contatto emotiontravel (vedi links), sito di un’agenzia marocchina gestita da Erika, una ragazza italiana, a cui mando una richiesta per un tour di 5 giorni tra deserto e città imperiali: cosa mi si offre? Erika mi risponde subito: bivacco di una notte con dromedario; 2 notti a Fes; una notte a Rabat e auto con autista a mia disposizione costano 510€ a persona, di meno se siamo in 4. Non trovo male il prezzo e lascio sospeso (chiuderò poi in Luglio).
Nei giorni seguenti contatto il sig. Adriano, proprietario dell’Hotel du Tresor, di cui ero stato ospite a Capodanno. Anche lui mi risponde celermente e mi dice che la camera Panton da me richiesta è libera e che me la riserva insieme al transfert da e per l’aeroporto: prezzo totale per 6 notti è di 150€ a persona. Acconsento e prenoto. Il mio soggiorno in Marocco prende forma.
Sia Erika che Adriano mi fan presente che in Agosto fa caldissimo e soprattutto che nelle date del mio viaggio inizia il Ramadan.
Francamente non so se mi preoccupa di più la prima o la seconda: il caldo lo tollero anzi mi piace mentre per la festività islamica, non sono nuovo a salti di pranzo.
Itinerario
Passano i giorni e arriva l’estate. Arriva anche Agosto e il giorno della partenza e, dopo 4 ore di volo e 2 di sosta a Madrid, ci ritroviamo catapultati di nuovo a Marrakech, con il sorriso sempre aperto di Amin che ci accoglie, un cielo azzurro e il caldo tremendo ad arrostir la pelle.
I primi due giorni a Marrakech li trascorriamo effettuando le visite della prima volta, più che altro per filmare con la videocamera ciò che avevamo già visitato: la Djemaa e il suo variegato popolo; la Koutoubia e gli annessi giardini, rifugio ottimale alla calura; il Museo di Marrakech e il suo bhoua; la Medersa di Ali ben Youssef (con immagini rubate poiché è vietato far riprese); la Qubba almoravide con la moschea e la fontana Mouassine.
Ci perdiamo di nuovo nei suqs e nelle qissarie, ritrovando botteghe e commercianti alle prese con i loro affari e le loro vendite a turisti affamati di compere e a gente del posto in cerca di occasioni, ripercorrendo vecchi tragitti e rintracciando negozi in cui avevamo compiuti buoni acquisti.
Andiamo anche alla Rahba Kedima, quella splendida piazzetta triangolare sede del mercatino berbero, in cui si vendono spezie e rimedi naturali e dove colorati tappeti conferiscono un’aria allegra e festosa alle mercanzie esposte.
Spesso ci fermiamo nei caffè a riposare: l’Argana con le sue deliziose patisse o il café Arabe (vedi links), anche se è un lounge bar ed è un pochino caro con la sua terrazza chic e gli spruzzini dall’alto che rinfrescano dalla calura pomeridiana. Non mi piace la Terrasse du Café Glacier: i camerieri hanno un modo mafioso di fare e un servizio lento ma se ne approfittano perché il panorama è il migliore che si ha sulla piazza e da qui si possono riprendere i personaggi che la frequentano senza dover sottostare all’obbligo dell’obolo.
La città rallenta il ritmo nel pomeriggio a causa del caldo (si sfiorano anche i 42°) ma ritrova vigore la sera, quando il sole cala, le luci s’accendono e una lieve brezza abbassa l’afa e fa uscire gli abitanti per le strade: basta andare davanti la Koutoubia per trovare famiglie intere che sostano sedute a rimirare il passeggio o a godersi un cono gelato oppure frotte di ragazzini e ragazzine che ascoltano l’ultimo Cd del cantante in voga o all’improvviso, con un tamburo, cantano nenie arabe e suonano al ritmo della musica gnaoua.
Andiamo anche al Mellah, a sud della medina, il vecchio quartiere ebraico stretto tra il Palazzo de la Bahia e quello El Badi, sede di un mercato coperto in cui fanno da padrone le spezie: cumino, cannella, tè alla menta essiccato, zucchero e chiodi di garofano sono esposti in coni multicolori sulle mensole di ogni singolo negozio mentre donne velate e uomini in caftano si attardano tra banchi di carne e di frutta.
Passiamo anche davanti la vecchia Sinagoga ma non ci fermiamo, preferendo perderci per le vecchie stradine, scansando i nugoli di ragazzini che ci circondano ad ogni cantone e cercando di costeggiare il perimetro del Palazzo Reale, inavvicinabile e infotografabile.
Roby nei pomeriggi riposa mentre io ne approfitto per fare bagni nella piccola piscina dell’hotel e per scrivere le solite cartoline agli amici, aspettando che l’aria diventi più fresca e il caldo si attenui.
Alle 06.30 di un Venerdi mattina incontriamo Anouar, il nostro autista, un moretto di Essaouira dai capelli ricci e dagli occhi color carbone, che sarà la nostra ombra per i 5 giorni di tour: parla solo in francese, cosa che crea qualche problema a Roby che non conosce la lingua mentre con me instaura subito un ottimo rapporto.
La nostra meta è Merzouga e dopo 2 ore stiamo inerpicandoci con un comodo van sull’erta strada che porta al Tini-n-Tichka, il passo più alto del Marocco: saliamo sempre, ammirando il terreno brullo e le poche case presenti.
Ci fermiamo per un té in uno dei tanti posti di ristoro presenti sulla strada, con lo stomaco vuoto sottosopra per le curve ed un senso di vertigine dovuto un po’ all’altezza e un po’ alla mancanza della colazione e il gestore di questo posto, vedendo le nostre facce stravolte, subito ci porta pane e miele accompagnato da un buon tè alla menta, il tutto per appena 20 dirham.
Superato il passo, iniziamo la discesa in un panorama totalmente diverso: il paesaggio è più brullo, grandi alberi di palma invadono l’orizzonte e le prime casbah iniziano ad intravedersi lungo il tragitto.
Deviamo per 20 km in direzione di Ait-Benhhaddou attraverso un paesaggio spoglio e dopo una curva la casbah più famosa del Marocco ci appare davanti con le sue mura scure: scendiamo sul letto del fiume ma non entriamo nell’agglomerato di case perché abbiamo poco tempo da dedicare alla visita.
Ouarzarzate è una città sorta dal nulla e ancora in piena costruzione come si può vedere dalla presenza di tante gru nel panorama cittadino. Anouar ci mostra dall’auto l’ingresso agli Universal Studios, dove vengono girati molti film famosi, e poi ci lascia dietro alla Casbah di Taourirt, in balia delle guide che pretendono di portarti alla visita del luogo: non è un obbligo accettare i loro servigi ma meglio se si contratta prima e soprattutto si chiarisce che il prezzo da pagare è per tutto il gruppo e non per persona.
Riprendiamo il viaggio passato mezzogiorno, costeggiando sulla N10 il lago artificiale e percorrendo quel tratto di asfalto insieme a camion stracarichi di fieno, macchine nuove e vecchie e il consueto passeggio da parte di pedoni e animali sui lati della strada.
Da Skoura inizia la Valle du Dadés, costellata di oasi e casbah, e la strada ci conduce a Boulmane Dadés, una delle più belle città, arroccata sul costone di una collina arida e che attraversiamo durante il primo pomeriggio. Proseguiamo poi Tinerhir e le sue case addossate l’uno all’altra per poi fermarci a Tinejdad prima di affrontare la rotta secondaria che ci porterà a Erfoud.
La R 702 è quasi deserta di auto e camion e poco dopo partiti incontriamo una mandria di dromedari e un paio di tende berbere sullo sfondo del deserto che avanza. Anouar guida serafico benché sia pomeriggio e faccia molto caldo e ogni tanto rallenta per permettere la videoripresa di un panorama o di qualche curiosità che si incontra, come un tizio sbucato dal totale nulla che cammina placidamente sul bordo della strada diretto chissà dove.
Quasi 2 ore di viaggio per uscire poi alle porte di Erfoud e girare subito per Rissani, il primo centro importante della valle del Tafilalt, in cui si trovano Merzouga e le dune dell’Erg Chebbi.
L’ingresso a Rissani avviene tramite una porta ad arco colorata e le immancabili bandiere marocchine (Anouar mi conferma il sospetto che siano poste sulle strade principali per legge, come la foto onnipresente di Mohamed VI, l’attuale sovrano) ci indicano la strada per attraversare il centro e proseguire sul nuovissimo collegamento stradale fino a Merzouga, che non percorriamo tutto perché ci fermiamo alla quasi presso lo Chevalier Solitaire, un hotel molto caratteristico (vedi links) ai margini del deserto, gestito da un nostro connazionale (iscritto a questo sito) e da sua moglie Latifah: proprio quest’ultima ci accoglie, ci fa accomodare nella confortevole sala da pranzo e permette di rinfrescarci mentre attendiamo l’arrivo di colui che ci porterà al bivacco.
Siamo stanchissimi, sono le 17.30 e viaggiamo da 11 ore ma l’avventura non è finita anzi, è l’inizio di un nuovo capitolo.
Dopo mezz’ora di attesa un tipo alto e vestito con abiti berberi viene a prenderci con un Doblò che definire “scassato” è un complimento e ci invita a portare lo stretto indispensabile: uno zaino contenente una pila per le esigenze fisiologiche notturne, qualcosa di leggermente pesante (d’estate non fa freddo nel deserto come d’inverno ma ci occorre), un cappello per il vento e una sciarpa di cotone per coprire il viso (il sole secca labbra e pelle).
Attraverso una serie di piste malmesse e che ci centrifugano all’interno dell’auto raggiungiamo una costruzione dove troviamo ad attenderci Youssef, un ragazzo berbero multilingue (sebbene le parla tutte in una unica frase): comprata l’acqua indispensabile e cara (10 dh 1 bottiglia e ne occorrono almeno 4), montiamo sui nostri dromedari e partiamo per il famoso bivacco.
Affronto il deserto in preda ad un’emozione bellissima: il sole tramonta e intorno le dune cambiano colore mentre lontano iniziano a sparire i riferimenti umani e mi trovo pian piano circondato solo da sabbia, ciuffi d’erba e il cielo che diventa scuro.
Youssef guida tranquillamente la carovana di 4 cammelli (con noi viaggia anche una coppia cino-francese) mentre io e Roby cerchiamo di far riprese e foto, sebbene l’andamento ondulante del dromedario non rende le cose semplici.
Il sole continua a calare e il buio inizia ad impossessarsi del deserto e si vede apparire anche qualche stella mentre la Luna brilla piena (domani parte anche il Ramadan): sono stanchissimo, non vedo l’ora di arrivare al bivacco e fermarmi.
Camminiamo nel buio quasi totale con noi 4 preoccupatissimi mentre il capoguida segue un percorso che conosce solo lui e che, dopo un 1 ora e mezza, ci porta davanti ad un gruppo di tende chiuse a quadrato.
Siamo al buio totale e camminiamo grazie alla pila in mio possesso ma Youssef in un batter d’occhio accende una lampada a gas, ci stende un tappeto dove poggia due materassi, le lenzuola, due coperte pesanti e ci lascia al nostro riposo.
Prendiamo così confidenza con questo posto, illuminato al momento solo da una luce fioca che rende appena visibile la piccola corte, e ci sistemiamo alla meglio per la notte.
Nel frattempo, Youssef ci pone una tavola bassa davanti su cui posa una teiera fumante e un piatto di anacardi e mandorle e si allontana per un po’, per comparire dopo mezz’ora con un altro tavolo che apparecchia ponendoci sopra una cesta di pane fresco di vario tipo, un’altra teiera fumante e quattro tazze con una misteriosa zuppa calda, che risulta squisita. Non finiamo neanche di gustarla che al centro viene posta un’enorme tajine calda che Youssef scoperchia velocemente: un ottimo odore di verdure cotte ci avvolge e mangiamo con gli occhi quel ben di Dio (o di Allah, a seconda dei punti di vista) composto da zucchine, patate, melenzane, pomodori, olive, pollo e le spezie occorrenti.
Siamo affamati e gustiamo questa cena ottima al lume di una lampada a gas con un tetto di stelle brillanti e cadenti e un leggero venticello che smorza il caldo e aiuta la conversazione tra noi.
Apprezzata la lauta cena, la stanchezza veramente prevale e la voglia di aver davanti quello stellario naturale, ci porta a stendersi sul materasso e a goder della sera e delle stelle.
E così mi addormento pacificamente e anche profondamente: è la prima sera che non soffro il caldo, e mi capita nel pieno deserto!
Dopo 7 ore di sonno ininterrotto, il miagolio di un gatto mi sveglia alle 5 passate con il cielo che assume la colorazione tipica dell’alba prossima. Mi alzo, mi do’ una sciacquata con l’acqua (nel deserto non si possono chiedere troppi confort), prendo la pila e mi reco all’aperto, accorgendomi poi di essermi fermato proprio nelle vicinanze di un dromedario addormentato.
Ecco che però si svegliano anche gli altri ospiti del bivacco e piccole luci iniziano ad accendersi nelle tende vicine: è l’ora di prepararsi a vedere il sorgere del sole.
Roby espleta anche lui le sue esigenze di pulizia e ci incamminiamo sulla duna più alta che sovrasta lo scenario: la sabbia è morbida, diversa da quella delle spiagge, fredda ma tenera e che scivola granello per granello. Ne riempio un piccolo barattolo, per ricordo, mentre continuo a immergervi la mano.
Ci collochiamo abbastanza in alto giusto per attendere l’arrivo del sole e ci godiamo da questo punto elevato la vita intorno a noi: nei bivacchi i nostri accompagnatori preparano i dromedari per il ritorno e gli altri ospiti si affrettano a scalare le dune e a prendervi posizione. Qualcuno getta gridolini e scivola verso il basso e qualcun altro arriva invece fino su in cima, convinto di aver scalato il Monte Bianco.
Noi sediamo imperterriti, guardano il sole che piano piano illumina tutto: la luce fende l’aria e produce nella sabbia tanti cambi di colore mentre il cielo diventa chiaro fino ad esplodere in un magnifico azzurro proprio nel momento in cui il sole esce nel suo splendore dalle dune più lontane. E’ l’alba e c’è un attimo di silenzio per tutto il deserto.
Siamo ancora presi dall’evento che Youssef ci chiama per la nostra colazione, composta da fette di pane, marmellate, miele, olio, formaggio e burro accompagnato sia dal consueto tè che anche dal caffè noir (quello che noi chiamiamo marocchino) ed il tutto viene apprezzato dalla compagnia.
Risaliamo sui nostri dromedari e riprendiamo così tranquillamente la via del ritorno: sono appena le 8 del mattino e già l’aria inizia a riscaldarsi.
Dopo quasi 2 ore (un piccolo incidente con un dromedario ci fa ritardare) ritorniamo all’auberge di partenza e ringraziamo Youssef con una piccola regalìa (se l’è meritata, ci ha trattato benissimo ed è stato molto servizievole con noi) mentre il tipo berbero dell’andata ci fa montare su un 4x4 (sperando che il Doblò si sia definitivamente rotto) e ci riporta allo Chevalier dove troviamo Anouar in nostra attesa. Latifah ci concede l’uso delle toilette per sistemarci e poi riprendiamo il nostro tour partendo alla volta di Fés (vedi links).
Percorrendo la N 13 ritorniamo verso Rissani e poi diritti a Erfoud, lasciando alle spalle il deserto che ci insegue e attraversando la valle del Tafilalt, aridi monti ai cui piedi sorgono rigogliosi palmeti e casbah. Roby riprende scorci panoramici incantevoli mentre io cerco di immortalare con la digitale inquadrature di persone e luoghi.
Villaggi e oasi così si alternano fino ad Er Rachidia, che attraversiamo velocemente senza neanche fermarci a guardare il barrage, formato dalla diga artificiale. Anouar procede lungo la strada che sale tra le montagne mentre noi ci godiamo il paesaggio composto da oasi alberate e villaggi all’apparenza deserti, appuntando sulla carta stradale che stiamo attraversando le Gorges du Ziz, tortuose valli scavate dal fiume sottostante.
A Midelt sostiamo per un riposo e notiamo la presenza di una chiesa cristiana: un motociclista solitario nostro connazionale incontrato per caso e che segue itinerari fuoripista ci toglie il dubbio confermandoci che la Costituzione marocchina prevede la tutela delle minoranze religiose.
E, a proposito, ha inizio proprio oggi il Ramadan: banditi per i musulmani il cibo e il bere mentre per i turisti la vita procede tranquillamente anche se per me e Roby è imbarazzante bere in presenza di Anouar. Comunque lui sembra non soffrirne anche se le soste nel pomeriggio aumentano vuoi per riposare un po’ vuoi per bagnare (ma solo quello) il viso. Dopo Midelt Anouar abbandona la N13 e si inoltra per un’altra via (la R 503), rimanendo noi alquanto perplessi sulla decisione: la strada non è nelle condizioni migliori, in alcuni punti buche e sassi costringono a rallentare e a procedere con cautela. Però lasciando una strada “turistica” conosciamo l’aspetto più rustico del paese: piccoli villaggi sorgono lungo la strada con case colorate, panni stesi ad asciugare e animali in completa libertà edgni tanto incontriamo gruppetti di donne che si recano alla fontana del villaggio e bambini che ci guardano con curiosa circospezione. Viaggiamo per un bel po’ tra aridi campi dove mulinelli di sabbia si sollevano in presenza del vento e grosse nuvole cariche d’umidità si alternano a forti schiarite di sole fino ad arrivare a Boulemane, con la strada principale in totale discesa e le immancabili bandiere poste sui lati. Ora il paesaggio cambia e a farci compagnia arrivano querce ed abeti ad indicare che anche in questi luoghi dell’Atlante spesso scende la neve.
Sefrou è alle porte di Fès poco prima dell’aeroporto internazionale e la strada veloce si trasforma in un lungo viale d’accesso dove, con un certo orrore, leggiamo da display posti su colonnine lungo i marciapiedi che ci sono 48° di temperatura!
Anouar ci lascia davanti l’Ibis Moussafir (vedi links) e passiamo dal caldo asfissiante ed umido dell’esterno al freddo gelo della hall, cosa che ci procura un certo shock termico.
Sistemiamo le nostre valige, riposiamo qualche oretta per riprenderci dalla fatica del bivacco, ovviamente facciamo anche una doccia rigenerante ed usciamo alle prime luci della sera, inoltrandoci nelle vie trafficate e nel passeggio serale.
Il muezzin chiama a raccolta i fedeli alla preghiera e l’enorme moschea in avenue de la Liberté ne è gremita quindi silenziosamente passiamo oltre e raggiungiamo la Avenue Hassan II, principale arteria della ville nouvelle, piena di ristoranti e café dove poter cenare.
Fes è divisa in tre zone: la ville Nouvelle, Fés El Jedid e Fés El Badi di cui quest’ultima è la parte più antica.
Anouar ci accompagna alla Bab Boujloud, l’enorme porta verde che funge da ingresso principale alla medina e al quartiere e ci segue a debita distanza nella visita, poiché lui è un autista ma non è una guida quindi potrebbe avere qualche problema con la sempre vigile polizia locale o con le guide legali.
Infatti appena ci avviciniamo alla porta siamo subito circondati dalle cosidette faux guides le quali invogliano ai loro servigi prospettando il perdersi nella vasta medina o visite impossibili nei luoghi d’interesse. Niente di più falso: visitare la medina di Fés non è complicato e si accede ai monumenti senza alcun problema.
Grazie ad una guida costruita con l’aiuto della Lonely, dei forum e dei racconti di viaggio, ci appoggiamo a nessuno e quindi proseguiamo tranquilli.
Appena superata la porta, ci dirigiamo alla nostra sinistra per imboccare la Tala’a Kbira, la strada che ci conduce verso il cuore del quartiere e dove c’è subito una bella fontana sulla sinistra che precede la Moschea Gazlane e l’orologio ad acqua mentre, dopo una svolta della strada, appare il bel minareto rivestito di mattonelle verdi della Moschea ash-Sherabliyin.
Proseguiamo tra bancarelle e negozi in apertura fino all’insegna che indica sulla destra l’ingresso al souq dell’henné: entriamo e subito a sinistra troviamo una piccola piazza alberata dove si trovano anche i venditori delle ceramiche blu di Fès.
Usciamo dalla piazzetta e proseguiamo per la strada d‘ingresso al suq dirigendoci verso sinistra e dopo 50 m svoltiamo a destra per entrare in una piazza più grande, la Place an-Nejjarine, dominata da una delle fontane più belle della città e da un imponente funduq, un caravanserraglio per i mercati ambulanti (al piano terra si vendevano le merci e a quelli superiori gli ambulanti dormivano), trasformato ora in un museo.
Qui incontriamo due ragazzi molto simpatici, Francesca ed Alberto, con cui divideremo le visite per alcuni giorni e con cui scambieremo chiacchiere e conoscenze sui rispettivi viaggi: loro si appoggiano a noi per la visita alla medina quindi ritorniamo così tutti insieme a ritroso sulla Tala’a Kbira e proseguiamo dritto fino all’incrocio a T dove s’erge la Medersa el-Attarine, una delle più antiche.
Svoltiamo a destra, avendo così i negozi alla nostra destra e le mura della Grande Moschea e Università Kairaouine dall’altro lato: leggiamo qualche notizia a riguardo e veniamo a conoscenza che la moschea è in grado di contenere 20.000 persone (ed infatti dalla porta d’ingresso ammiriamo uno spazio di preghiera molto grande) mentre l’Università è considerata la più antica del mondo ed è uno dei centri culturali islamici più stimati. Particolare non da poco è che fu fondata da una donna e che ospita una delle biblioteche più belle del mondo islamico.
Costeggiando le mura arriviamo alla Place as-Seffarine in cui, di fronte all’ingresso dell’Università, si erge la Medersa omonima, ricca di una elaborato porta in cedro: siamo giunti nel cuore della Medina, attraversando stretti vicoli e scansando gli immancabili carretti e i venditori insistenti.
Tutto intorno a noi freme d’attività: panifici all’opera; telai in funzione; voci di donne ad un bancone di macelleria e un sarto placidamente cuce un abito sulla porta della sua piccola bottega. Appesi agli stipiti di una porta fan bella mostra tegami di rame e i soliti ninnoli di terracotta invadono le bancarelle della piazza, rubando lo spazio alle mercanzie vicine.
Scopo ora della visita è trovare e visitare le famose tintorie ma qui diventa un po’ più complicato: interviene quindi Anouar il quale subito attacca bottone con un tipo lì seduto che si propone per farci visitare il negozio n°6, da cui si dovrebbero vedere le famose vasche. Ovvio che la visita non sarà gratuita (si potrebbe aspettare qualche gruppo di turisti in viaggio organizzato a cui aggregarsi) e ci accordiamo per 50 dh così il tipo ci porta verso le concerie.
Per chi vuol far la visita autonomamente, nella piazza, all’altezza dell’arco e sulla sua destra, c’è un vicolo in cui inoltrarsi e dove dopo pochi metri si trova il negozio n° 6. Qui ci danno un rametto di menta e ci fan salire per due piani fino a sbucare su una terrazza/negozio da cui ammiriamo le sottostanti concerie composte da enormi vasche piene di liquido colorato in cui abili operai lavorano le pelli.
Il proprietario del posto ci fa da guida illustrandoci (in uno spagnolo italianizzato) le fasi della lavorazioni delle pelli (cammello o montone o pecora, ma non asino, come insiste il nostro presentatore) e della successiva colorazione, che utilizza varie sostanze fra cui l’ammoniaca e l’urina dei piccioni. Dall’alto ammiriamo questa tavolozza di colori leggermente nauseabondi e ci chiediamo come gli operai possano lavorare in siffatte condizioni stomachevoli.
Ne approfittiamo quindi della mercanzia esposta per far qualche acquisto (si deve lasciar comunque qualcosa al padrone) e ne usciamo, grazie ai nostri due nuovi amici, con un piccolo cesto di stoffa bellamente decorato.
La guida ci conduce ora verso altri negozi (visitando anche un panificio) ma poi lo liquidiamo garbatamente dimostrandoci non interessati al resto e pagandogli il compenso pattuito.
Ritorniamo sulla piazza as-Seffarine e ci perdiamo un po’ per i suqs tra la calca di persone e i negozi però è l’ora di un po’ di riposo cosi ritorniamo indietro, riattraversiamo la piazza e imbocchiamo la via sotto l’arco, ritrovandoci a costeggiare di nuovo le mura sulla destra fino a compiere il giro e ritrovarci davanti la Medersa el Attarine.
Riscendiamo fino a dopo il suq dell’henné e giriamo dopo tre traverse sulla sinistra per imboccare la Tala’a Sghira, parallela alla Kbira: la medina è veramente immensa anche se molto più tranquilla di quella di Marrakech poiché i saliscendi e i gradini non la rendono percorribile ai motorini e alle bici.
Arriviamo di nuovo alla Bab Boujloud sbucando però dalla parte opposta rispetto a quella in cui eravamo entrati e ne approfittiamo per fermarci ad un salon de thè e ristorarci con un ottimo thè alla menta: ci sentiamo un po’ in colpa per bere mentre gli altri ci guardano ma d’altronde il Ramadan è un comandamento religioso a cui i turisti non islamici non sono obbligati a sottostare.
Separati dai nostri nuovi amici, riconduciamo Roby in albergo e dopo io e Anouar effettuiamo in auto il giro delle mura di Fés, lunghe ben 8 km: in piccole piazzole sovrastanti l’antico abitato scattiamo foto e videoriprendiamo la medina in tutta la sua vastità.
Ritroviamo Francesca e Alberto in serata per la cena che gustiamo al Mama mia, un piccolo ristorante sulla Place de Florence, e per una passeggiata sulla Avenue Hassan II che, dopo la fine della preghiera del Ramadan, si presenta con le fontane illuminate ed funzionanti con giochi d’acqua.
Anouar non si smentisce e alle 09.30 di un caldo Lunedì è già ad attenderci davanti l‘albergo: caricare la valigia e partire per Meknes è presto fatto.
Approfittiamo dell’economica e veloce autostrada (sui 12 dh) per arrivare in poco più di mezz’ora nella città definita la “Versailles del Marocco” e Anour ci lascia nella vasta place el_Hedim proprio davanti la Bab el Mansour, la grande porta ben conservata e riccamente decorata con mattonelle zellij e iscrizioni sulla sommità.
Attraversiamo una delle porte laterali per entrare al mechouar o piazza d’armi e vedere il minareto del Mausoleo di Moulay Ismail, il fondatore della città ma ne usciamo subito poiché abbiamo appuntamento con Francesca ed Alberto nella piazza (loro han raggiunto la città in treno).
Ritrovati, passiamo davanti l’ingresso al Museo Dar Jamai e proseguiamo verso nord attraverso le bancarelle e i negozi per giungere al suq delle spezie e al mercato delle pulci. Da qui, costeggiando le mura, ci troviamo all’ingresso della Bab el-Jedid dove a sinistra si va al Mausoleo di Sidi ben Aissa e a destra si entra di nuovo nella medina. Allora rientriamo e svoltiamo a sinistra nella rue el-Hanaya e proseguiamo verso nord fino alla Moschea Berdaine (in semplice arenaria) e all’omonima Bab.
Siamo in pochissimi turisti a girare per la medina, tutt’intorno solo persone del luogo che affollano i negozi e le strade e sentiamo che quella è la vera vita quotidiana di una tipica città del Marocco, lontano dalla calca e dalla smania di vendere di Marrakech o Fés: infatti nessuno ci chiama, nessuno ci invoglia anzi tutti si prestano volentieri alle foto personali o delle loro botteghe.
Troviamo maestri materassai e artigiani di strumenti musicali, falegnami alle prese con credenze e sgabelli, uomini ingarbugliati tra giochi di fili mentre avvolgono fusi di cotone (ogni tanto dobbiamo star attenti a non romperne uno!) e tante donne che si incontrano per chiacchierare o salutarsi.
Dalla Bab ritorniamo indietro per rue Zaouia Nasseria, poi rue Souika e rue Ben el-Maacer, passando davanti la Grande Moschea e godendoci lo spettacolo della vita per le stradine nonché le chicche architettoniche che troviamo lungo il percorso come porte riccamente intagliate o finestre deliziosamente decorate.
Proprio mentre cerchiamo un Internet Point ci imbattiamo in una simpatica e cordiale signora che ci invita a visitare il Riad dove lavora: entriamo così in uno spazio grande e artisticamente decorato, dove si respira proprio un’aria da casa marocchina, e la signora ci conduce alla visita di varie stanze fin sopra alla terrazza da cui, tra un gazebo ed una piscina, si gode un’ottima veduta su tutta la città.
Per chi volesse soggiornare in questo meraviglioso riad dai prezzi veramente contenuti, consulti il sito di cui ai links.
Purtroppo dopo questa visita salutiamo Francesca e Alberto, che pernotteranno a Meknes e partiranno poi per Tetouan e Tangeri, mentre noi proseguiamo per Rabat: promettiamo di sentirci via sms per raccontare delle rispettive esperienze.
Anouar ci attende davanti la Bab el Mansour e ritorniamo al parcheggio (a pagamento ma appena 5 dh) per riprendere l’auto e partire alla volta della capitale, seguendo un percorso alternativo.
Attraversiamo così dolci colline e campi verdi in un panorama diverso rispetto a quello del sud, più arido, e piccole città lungo la strada testimoniano un maggiore aspetto moderno di questa parte del paese.
Entriamo a Rabat dal lato di Salè, superando il ponte che scavalca il fiume divisore delle due città e notiamo che la città ha più un aspetto occidentale con ampie strade e un traffico più regolare.
L’Ibis Moussafir si trova però leggermente fuori al centro, accanto la stazione d’Agdal, cosa che ci costringe la sera a prendere un taxi e farci lasciare davanti l’ingresso della Medina, dove consumiamo la cena al ristorante El Bahia che, seppur scenograficamente molto particolare, non consigliamo in quanto paghiamo un conto altino rispetto alla misera tajine che ci han portato.
Per trascorrere il resto della sera entriamo nella Medina all’ora di preghiera ma ci sono le strade vuote, pochi passanti e i negozi chiusi. Però, appena l’ora termina, succede un vero miracolo: le strade si affollano, i negozi aprono le saracinesche e la Medina si trasforma letteralmente in una bolgia infernale.
Aspettiamo quindi il mattino per rivisitare con calma questo piccolo angolo, percorrendo l’ancora tranquilla (alle 10!) avenue Mohamed e finendo alla boulevard El Alou, dove svoltiamo a destra per raggiungere la Kasbah des Oudaias, costruita su un promontorio a picco sull’estuario e sull’Oceano Atlantico.
Davanti l’entrata stazionano le immancabili faux guide, con cui abbiamo un leggero diverbio perché ne rifiutiamo i servigi (sostengono che non si può visitare senza il loro aiuto ma invece si può tranquillamente girare da soli). L’entrata principale è costituita dall’enorme porta almohade di Bab Oudaia ma è chiusa e si accede da una porta laterale da cui bisogna poi proseguire dritto fino al primo incrocio: basta girare sulla sinistra e si arriva all’unica via principale, la rue Jamaa. Percorriamo quest’ultima e sulla sinistra vediamo la moschea più antica di Rabat, mentre intorno piccole case bianche e azzurre attorniano questo angolo dal sapore leggermente andaluso.
Dalla larga Plateforme du Sémaphore posta al termine della strada ammiriamo le splendide vedute dell’estuario e di Salé ma non scendiamo alla spiaggia, avendo poco tempo a disposizione.
Torniamo indietro e, usciti, ci inoltriamo nella rue des Consuls per ritornare a riprendere l’auto, passando nel mercato ora affollato di persone posto sulla rue Souika.
Anouar ci conduce spedito all’ultimo monumento che ci interessa visitare, ossia la Torre Hassan e il Mausoleo, a pochi chilometri di distanza dalla Medina.
Siamo accolti da due cavalieri dormienti (poverini, sotto al sole cocente e in pieno Ramadan) ed entriamo nell’ampio slargo in cui resti di colonne si ergono a formare una geometrica foresta e su cui la torre svetta in tutta la sua mole statuaria: quella che doveva essere una grande moschea venne abbandonata 4 anni dopo per la morte del committente regalando a noi questo panorama.
Sullo stesso sito ammiriamo il Mausoleo di Mohammed V, dove riposano il nonno e il padre dell’attuale Re, come ci fa notare Anouar, molto amato dal popolo.
Torniamo all’auto e partiamo così per Marrakech, affrontando un viaggio con le comode autostrade: Anouar vorrebbe utilizzare la nazionale ma io insisto nel prendere la via più breve, accollandomi ovviamente la spesa.
Scopriamo che utilizzare le autostrade, oltre che comodo, è anche economico: la tratta Rabat/Bouznika la paghiamo appena 21 dh; la Bouznika/Berrechid arriviamo a 10 dh e la Casablanca/Marrakech sono 63 dh. Insomma, un tratto di poco più di 300 Km ci viene a costare appena 9€! E Anouor dice che è caro viaggiare in autostrada.
Marrakech ovviamente ci accoglie col suo traffico confusionato e ci facciamo lasciare da Anouar alla fine della Rue de Bab Agnaou, salutando così questo giovane nostro compagno a cui mandiamo tuttora i ringraziamenti: è stato la nostra ombra e s’è mai tirato indietro alle nostre richieste, lavorando duramente con noi e guidando per ore anche con la fame e la sete.
E’ grazie a lui che abbiamo trovato la guida per le concerie e fatto buoni acquisti, mai portandoci in negozi da lui conosciuti ma solo consigliandoci sulla bontà dei prodotti (mi ha fatto comprare una splendida teiera ad un prezzo veramente eccellente).
Amin è sulla porta del riad quando torniamo e ci consegna le chiavi dandoci il benvenuto con il suo sorriso, chiedendoci com’è andato il tour e cosa abbiamo visto e ci informa che la valigia lasciata in custodia è già nella nostra camera: piombare sul letto è il minimo e, dopo il riposino e un bel bagno nella piscina, ce ne andiamo da Chez Chegrouni, il nostro ristorante preferito, per una ricca cena a base di viandes (gli spiedini di carne) e di cous cous aux poulet.
Abbiamo altri due giorni da trascorrere a Marrakech quindi ce la prendiamo molto comoda: ritorniamo al Palais El Bedi e al Palais Bahia per riprenderne gli interni e i panorami (ne avevo già parlato nel mio precedente diario di viaggio) e facciamo un salto anche ai Jardin Majorelle, l’elegante oasi di piante rare e vasche piene di ninfee situato poco fuori la medina.
Fa sempre caldo in città, sebbene attenuato da una leggera brezza, ed è ottimale il trovar fresco all’interno dei suqs e delle qissarie, in modo da ripararsi dal sole e procedere agli immancabili acquisti: olio d’argan; molte spezie (faccio incetta di composto per il tè alla menta) e una scatola di caffè marocchino.
Compro con una contrattazione serrata dei foulard per le mie amiche da un tipo che sembra vendermi segreti di stato (mi tiene lontano dalla bancarella per propormi un prezzo che le altre avventrici non sentano) e ci fermiano in un negozio molto carino che vende tajine stilizzate: è quello di M.me Botero, una francese che vive lì e che produce oggettistica marocchina aggiungendovi tocchi personali come piccoli animaletti o decorazioni. Trovarla non è facile: si entra dalla fontana Mouassine e si prosegue sempre dritto fino a quando sulla propria destra appare il negozio facilmente riconoscibile. L’unico difetto è che i prezzi sono fissi e non si contratta.
Ritroviamo anche il vecchio negozio del prete in cui avevamo fatto acquisti a Capodanno solo che c’è il fratello ora che però ci riserva lo stesso trattamento cioè ci fa entrare, ci fa guardare senza insistere e ci offre a prezzi bassissimi riproduzioni di tajine, vasi, portaoggetti riccamente decorati.
Nella Djemaa ci ritroviamo tra le mani inviti per trattamenti in offerta negli hammam e decido di approfittare dedicando un tardo pomeriggio ad un gommage+massage di viso e corpo nel riad spa Isis (vedi links) facilmente raggiungibile nella medina: 1 ora di trattamento per 250 dh (25€ circa) e devo solo portare un costume.
Mi presento nel pomeriggio inoltrato e vengo introdotto in un bell’ambiente dove mi invitano a spogliarmi e mi forniscono ciabatte e accappatoio. Salgo sul tetto e portato in un piccolo hammam dove sono bagnato d’acqua calda, comparso di savon noir e lasciato per alcuni minuti disteso per poi essere ripulito con acqua calda e strofinato con la kessa, il guanto che sfrega la pelle e la libera dalle impurità. Dopo avviene il risciacquo e sono rispalmato di argilla dappertutto, anche sul viso, e lasciato di nuovo nei vapori: dopo 10 minuti l’addetta ritorna, mi strofina ben bene e poi mi getta secchiate d’acqua per ripulirmi.
Mi invita poi a scendere nella zona massaggi dove un baldo giovane mi fa stendere supino su un lettino e mi massaggia per 30 minuti in una situazione a dir poco paradisiaca, utilizzando olio d’argan ed essenze profumate.
Dopo un’ora, mi ritrovo i pori liberi e la pelle così brillante tanto che Roby mi prende in giro dicendo che la sera lo illumino!
Già, la sera, uno dei momenti più belli delle giornate a Marrakech, quando la Djemaa è illuminata dai fari potenti delle bancarelle, la nuvola provocata dal cibo cucinato si alza tra frigolii d’olio e il vociare dei commensali mentre intorno si alternano spettacoli di cantanti, di ammaestratori e di finti acrobati.
Alla Koutobia la vasta area è transennata e migliaia di persone pregano su stuoie di paglia pur se il traffico continua a vibrare noncurante delle orazioni: possiamo filmare e fotografare ma guai a superare la transenna. E’ luogo sacro in quel momento. Dopo, la marea di fedeli lascia lo spiazzo e si sparge d’ogni luogo producendo una immensa fiumana e i giovani riprendono possesso di quel luogo d’incontro.
Attraversiamo la strada sempre attenti ai motorini e alle macchine strombazzanti e una portoghese urla nel traffico “Confuçao! Confuçao!” coprendosi le orecchie e cercando di scansare caleches, carretti e pullman pieni di turisti.
Se vogliamo un briciolo di tranquillità, lo cerchiamo nel nostro riad ed infatti poi ce ne andiamo sul tetto a guardare il cielo e la luna piena ma, seppure le stelle fanno capolino e la Luna brilla nella sua metà, non si ripete lo spettacolo di Merzouga: quello è ad uso esclusivo del deserto.

Marocco, terra meravigliosa ed accogliente. A presto. Inshallah.

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