La Regina è… la meno dolomitica

La Marmolada, una montagna “completa”

Osservando la Marmolada salta subito agli occhi, anche senza essere esperti di geologia e di tettonica, la differenza con gli altri gruppi dolomitici. Nell’immaginario di coloro che visitano e ammirano quello splendido settore delle nostre Alpi, il termine Dolomiti richiama infatti forme slanciate che incarnano il concetto stesso di verticalità: torri, obelischi, pinnacoli, monoliti, campanili, una continua sfida alle leggi della fisica e uno stimolo al compimento di grandi imprese alpinistiche. Il pensiero va quindi di volta in volta alle guglie delle Odle, del Latemar o del Larsèc, alla muraglia del Sella, alle pareti verticali del Sassolungo, allo slancio delle Torri del Vajolèt o delle Cime di Lavaredo.
Insomma, è curioso che proprio quella che è considerata la Regina delle Dolomiti si identifichi in misura così poco evidente con le caratteristiche del gruppo.
Vidi la Marmolada per la prima volta nel settembre del 1979, al tempo in cui le mie esperienze dolomitiche erano limitate ai sentieri del Brenta e a qualche puntata in Val di Fassa. Non voglio dire che la sua vista mi abbia deluso, ma di certo la sua grandiosità, attenuata dalla dolcezza del pendio ghiacciato che digrada sul Lago di Fedaia, non mi coinvolse nella stessa misura della Via delle Bocchette nel Gruppo di Brenta, che pochi giorni prima mi aveva emozionato profondamente.
In effetti quella veduta del versante nord, che è la più celebrata anche per la presenza del ghiacciaio (purtroppo in progressivo ritiro), è “poco dolomitica” e se ne ha la conferma apprendendo la storia geologica del Gruppo. Senza millantare conoscenze che non ho, cito i dati riferiti nelle numerosissime pubblicazioni sul tema, che cioè la Marmolada è situata sull’ideale confine tra Dolomiti Occidentali e Orientali: ne deriva che le sue rocce, a differenza della dolomia principale (cioè il carbonato doppio di calcio e magnesio), sono in prevalenza calcari bianchi molto compatti derivati da scogliere coralline, nei quali si individuano qui e là inserti di materiale vulcanico (per lo più tufi e ceneri consolidate) che testimoniano una ben circoscritta attività effusiva dell’area.
Questa breve (e in fondo arida) dissertazione scientifica non devo però far perdere di vista il fatto che la Marmolada è e rimane una montagna straordinaria, complessa, multiforme, che ben merita di essere conosciuta sotto ogni suo aspetto. Innanzitutto, montagna da primati: la più alta delle Dolomiti con i suoi 3343 metri, il ghiacciaio più esteso, una parete (la sud) tra le più ardite, vero muro lungo oltre un chilometro per un’altezza di 600 metri, un impianto di risalita tra i più spettacolari che vince un dislivello di oltre 1800 metri tra Malga Ciapela e Punta Rocca.

STORIA ALPINISTICA ESSENZIALE
Anche se, come per tutte le montagne, sicuramente molti cacciatori si erano già avventurati sui pendii della Marmolada, la prima “spedizione” documentata è datata 2 agosto 1802. Furono cinque persone capeggiate da don Giuseppe Terza, parroco di Livinallongo, a intraprendere, con mezzi presumibilmente rudimentali, la risalita del ghiacciaio; aumentando le difficoltà, il gruppo decise di rinunciare mentre don Terza proseguì da solo, ma nessuno ne ebbe più notizie e si può immaginare che sia precipitato in un crepaccio.
L’episodio scoraggiò per decenni ulteriori tentativi e si dovette aspettare il 28 settembre 1864 per vedere dei piedi umani posarsi sui 3343 metri di Punta Penia: furono quelli del grande Paul Grohmann e delle guide ampezzane Angelo e Fulgenzio Dimai, veri personaggi-simbolo dell’alpinismo dolomitico.
La prima ascensione dal verticale versante sud fu invece merito di Cesare Tomé, Santo De Toni e Luigi Farenzana il 22 agosto 1897: una scalata fino ad allora ritenuta impossibile e la prima delle innumerevoli vie che sarebbero state aperte nel corso del Novecento, ancora oggi vere e proprie tesi di laurea per ogni alpinista.
Un’impresa ancora più difficoltosa avvenne il 1° luglio 1901 e fu una donna a progettarla, organizzarla e realizzarla. L’inglese Barbara Tomasson, dopo alcune ricognizioni alla base e nella parte iniziale della parete sud, si portò a Passo Ombretta e, con l’ausilio delle guide Bortolo Zagonel e Michele Bettega, riuscì a decifrare la via più logica tra camini e strapiombi per raggiungere la sommità di Punta Penia.
Ma per risolvere il problema estremo della Marmolada, quello del sesto grado del pilastro sud di Punta Penia, si dovette attendere il 7 settembre 1929, quando Luigi Micheluzzi, Roberto Perathoner e Demetrio Christomannos riuscirono, fra difficoltà indicibili, a vincere quella colossale parete liscia e terribile.
Con il progresso delle tecniche e dei materiali, non si contarono più le ripetizioni, le varianti e le nuove vie aperte in quella sterminata muraglia, ma la grandezza di quell’impresa, proprio per la limitatezza dei mezzi a disposizione, rimane intatta.

PERSONAGGI
Il discorso della storia alpinistica della Marmolada va strettamente a braccetto con quello dei personaggi che gravitarono sull’area, fossero scalatori, guide o gestori di rifugi. Vale la pena citarne qualcuno, giusto a titolo di esempio e magari come stimolo per chi legge ad approfondire l’argomento.
Proprio Luigi Micheluzzi, anche se le sue imprese ebbero meno risonanza di quelle di alpinisti più celebrati per via del suo carattere riservato, può essere considerato un grande in assoluto. Ho avuto occasione di leggere in un vecchio libro un’intervista fattagli agli inizi degli anni Settanta in cui rievocava quella storica scalata, dalla quale emerge la straordinarietà sia dell’alpinista che l’uomo. Sette chiodi, una corda di canapa, un martello, una salsiccia in una tasca e la pipa in un’altra: ecco la sua dotazione per la salita! E in più, tanta sete e tanta fame, visto che in un passaggio acrobatico sotto uno strapiombo aveva perso la salsiccia, oltre che l’adorata pipa! Davvero altri tempi, pensando alle attrezzature supertecniche con cui oggi si affrontano anche semplici sentieri…
Personaggio altrettanto rappresentativo dell’ambito dolomitico fu Ettore Castiglioni, che proprio della Marmolada fu profondo conoscitore ed esploratore. Non a caso la sua storica guida della serie “Monti d’Italia” edita dal CAI / Touring Club “Odle-Sella-Marmolada”, benché edita nel 1937, rimane a tutt’oggi, pur attraverso ristampe e aggiornamenti, il punto di riferimento assoluto.
Oltre che protagonista di imprese al limite dell’umano (una per tutte l’ascesa del Piz Serauta, estremità orientale della Marmolada, un pilastro alto 700 metri su roccia poverissima di appigli), Castiglioni fu anche uomo a tutto tondo, mai allineato al regime e attento alle problematiche del suo tempo (oggi useremmo il termine “impegnato”). Proprio la sua generosità, che lo portò nel corso del tragico 1943 a scortare più volte gruppi di ebrei oltre il confine svizzero, gli fu fatale: arrestato dai gendarmi svizzeri e chiuso in una stanza d’albergo, fuggì sotto una fitta nevicata in pigiama, infagottato in una coperta e con i piedi avvolti in stracci. Il suo corpo senza vita fu ritrovato dopo un anno presso il Passo del Forno; aveva 35 anni.
A citare uomini ed aneddoti, oltre che proporre una casistica immensa, si finisce per fare torto agli altri, magari anonimi ma non meno meritevoli. Però non si può non spendere anche poche righe, ad esempio, per Erminio De Zulian: parlare di Erminio e della Villetta Maria a Pian Trevisan, da lui costruita amorevolmente in tutto legno con i residui di un ospedale da campo austriaco della Grande Guerra, era un tutt’uno. Oggi sul luogo sorge un albergo che ha mantenuto il nome originario, confortevole ma moderno, visto che la “vera” Villetta Maria fu distrutta dalle fiamme nel 1987 seppellendo per sempre anche Erminio e i libroni dei suoi ricordi, preziose testimonianze che nessuno avrà più il piacere di leggere.
Non meno emblematici, tra le grandi famiglie di custodi di rifugi, furono Francesco e Mario Iori, padre e figlio, per decenni gestori del Castiglioni alla Fedaia, rifugio tuttora esistente e frequentatissimo in riva al lago, anche se, come tutti quelli raggiungibili in auto, ha ormai perduto parte della peculiarità originaria. Oltre alle numerose imprese alpinistiche, gli Iori legarono lungamente i loro nomi alla “montagna di casa”, tanto che Mario era più noto come “Marmolada” che con il nome di battesimo; non solo, la sua popolarità era tale che gli giungevano da tutto il mondo lettere indirizzate semplicemente “Mario – Marmolada – Italia”!

CENNI SULLA GRANDE GUERRA
Neanche la Marmolada fu risparmiata dalle vicende della guerra 1915-18, anzi la posizione strategica ne fece uno dei fronti di battaglia più contesi e, data la quota, di maggiore asprezza.
Dopo una fase iniziale del conflitto nella quale fu sottovalutata l’importanza militare da parte dei due opposti schieramenti, a partire dalla primavera del 1916 le opere di fortificazione furono attuate secondo differenti criteri: gli Austriaci scavarono gallerie nel ghiaccio fino a creare una vera e propria “città” sotterranea su uno sviluppo di otto chilometri di cunicoli, mentre gli Italiani si diedero a perforare allo stesso scopo la roccia, in un’estenuante tragica competizione fatta di tiri di artiglieria, brillamento di mine, scontri a fuoco, assalti improvvisi.
Non avebbe senso in questa sede un freddo resoconto (che peraltro non sarei in grado di fare) del sussuguirsi di operazioni, avanzate, ritirate che in anni di guerra produssero scostamenti della linea del fronte di rilevanza trascurabile. La Storia, non quella “ufficiale” ma quella delle cronache quotidiane di guerra, narrate in tanti commoventi libri, porta la nostra mente alle condizioni spaventose delle truppe: vivere per mesi tra rocce impervie e trincee scavate nella neve, dormire in cavità naturali o baraccamenti appigliati alle pareti, trasportare viveri, attrezzature e armamenti sull’orlo di precipizi, lungo vie attrezzate, su precarie gradinature, in condizioni ambientali e atmosferiche talvolta estreme.
E’ questa la lezione che tutt’oggi la montagna può dare e alla quale consiglio a tutti i frequentatori dei magnifici sentieri intorno alla Marmolada di dedicare qualche ritaglio di tempo. Basta un binocolo (in certi casi nemmeno quello) da dirigere ad esempio dal Rifuglio Pian dei Fiacconi o dalla Capanna al Ghiacciaio verso il Sass delle Dodici, oppure dai Rifugi Contrin o Falier in direzione dell’immane parete sud, o ancora dal Rifugio Serauta (stazione intermedia della funivia di Malga Ciapela) verso le creste di Serauta: le tracce ben visibili degli imbocchi delle gallerie aperti sulle pareti verticali, i camminamenti a filo del vuoto, le strette cenge scalinate, i detriti delle mine sono ben visibili, a testimoniare la differenza che c’è tra il parlare di guerra sulle poltrone del salotto e viverla in prima persona.
Come ideale completamento dell’esperienza, è da non perdere il Museo Storico della Guerra 1915-18, adiacente alla stazione della funivia di Punta Serauta (m.2950). Infine, anche se meno nota e decantata, raccomando la piccola ma ricca esposizione presso la stazione di partenza della funivia Fedaia – Pian dei Fiacconi; è un’accuratissima mostra di reperti in continua espansione, visto che il ghiacciaio, ritirandosi verso quote sempre più alte, continua a restituire una grande quantità di reperti rimasti sepolti per quasi novant’anni. I volontari che curano l’allestimento continuano nell’opera di ricerca e ogni ritrovamento è un’emozione sempre nuova.

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