La nuova Amazonas

Forse arriva dal popolo della foresta la salvezza del polmone verde della Terra

Ivalda non è come tutte le altre: non serve a tavola, non lavora in cucina. Ivalda è forte e ben piazzata, ha molti figli, indossa i pantaloni e la maglietta kaki, il cappello verde con la visiera e la scritta "Reserva de Mamirauà". Perché lei è una delle guide di questo angolo ancora incontaminato nel cuore dell'Amazzonia.
Ivalda porta la canoa a forza di pagaia, sa guidare con destrezza una lancia veloce, è imbattibile ad avvistare gli animali in mezzo agli alberi, soprattutto gli invisibili uacarì, che poi si chiamano anche macaco inglès perché hanno il pelo bianco e la faccia rossa, proprio come un anglosassone scottato dal sole dei tropici.
Lei conosce tutti i segreti della foresta, con il fiume che la solca e la allaga sei mesi all'anno, quasi fino alle cime degli alberi. Ed è orgogliosa della sua comunidade: quattrocento persone che vivono di sviluppo sostenibile.
Non sono le sole. La riserva di Mamirauà è la prima nel suo genere: ha aperto la strada a una nuova forma di protezione della foresta più grande e più densa di simboli di tutto il pianeta.
Dal 1996, il governo dello stato di Amazonas, uno dei cinque che si dividono l'Amazzona brasiliana, ha inaugurato un nuovo stile. Basta con i parchi nazionali da cui la gente viene allontanata a forza, avanti con la politica della conservazione della natura attraverso la cura della comunità.
Non si parla solo di indigeni amazzonici. Nella foresta dello Stato vivono 7-800mila persone: accanto ai circa 120mila appartenenti ai popoli nativi, ci sono contadini, pescatori, cercatori di caucciù, boscaioli. Sono "caboclos", figli e nipoti di indigeni che si sono variamente intrecciati con brasiliani di origine europea e africana. E spesso capita che si trovino anche qui in incredibili misture di geni diversi e lontani tra loro i discendenti dei libanesi e dei giordani che popolano i libri di Jorge Amado.
Un territorio enorme per poca gente: 157 milioni di ettari, il più grande Stato brasiliano, che contiene un terzo dell'intera foresta brasiliana, ha quasi la metà del suo territorio tutelato in varie forme e conta meno del 3% delle aree deforestate, con una popolazione che arriva a 2,8 milioni di persone in gran parte inurbate.
"Saranno solo i popoli della foresta, indigeni e non indigeni, che fermeranno gli interessi distruttivi dei cercatori d'oro, dell'agricoltura e dell'allevamento estensivi, di quell'industria del legno che è disposta ad abbattere alberi secolari per farne segatura". Il Sottosegretario di Stato alla foresta amazzonica dell'Amazonas Virgilio Viana è un ecologista pragmatico che ha l'aria di divertirsi parecchio da quando, circa due anni fa, è stato chiamato dal governatore Edoardo Braga ad occuparsi dell'area più verde del polmone verde del mondo: un incarico che è una via di mezzo tra quello di un vero e proprio ministro e di un potente assessore regionale.
Viana ha cominciato puntando sul mantenimento e lo sviluppo delle comunità tradizionali. "Ho organizzato un servizio in battello, come quelli che solcano il Rio delle Amazzoni per il trasporto di gente e di merci - racconta - che fa la spola tra le comunità locali isolate, quasi tutte sui fiumi, portando l'ambulatorio medico e dentistico, ma anche la posta, gli uffici anagrafici e commerciali per ottenere un certificato o un documento. Una rappresentanza itinerante dello Stato e dei suoi servizi, per non lasciare la gente isolata e in preda all'abbandono".
Poi ha scommesso sulle riserve per lo sviluppo sostenibile: Mamirauà è stata la prima, altre quattro sono seguite e numerose sono ancora in gestazione. Non basta. La parola d'ordine, per Viana, è "mantenere la foresta aiutando le attività compatibili che si sviluppano tradizionalmente al suo interno" nelle 5000 comunità, tra indigene e non, attualmente esistenti: la pesca nei luoghi e nei tempi permessi, l'ecoturismo direttamente gestito da un'intera comunità che vive praticamente solo di quello, come a Mamirauà. E anche la "coltivazione" della foresta: la "seringua", per cominciare, ossia la raccolta del lattice degli alberi del caucciù, l'attività sostenibile per la cui difesa è morto ormai vent'anni fa il leader amazzonico Chico Mendes. Poi la raccolta delle erbe con cui si fa la medicina tradizionale ma anche quella industriale e chimica; la raccolta delle noci che servono all'industria cosmetica e che pare rappresentino le uova d'oro dell'Amazzonia dei prossimi decenni. Infine, la frutta selvatica che cresce solo qui e che serve come base delle bevande più diffuse in Brasile e lo stesso taglio controllato di piccole porzioni di foresta.
"Il punto è che quello che viene dalla foresta amazzonica deve diventare un prodotto unico e di qualità totale - spiega Viana - non si possono abbattere centinaia di chilometri quadrati della più grande riserva di biodiversità del mondo per farne stecchini o compensato. Si può invece fare coltivazione e prelievo controllato di specie forestali importanti, per costruire mobili di artigianato e di artigianato artistico". L'hanno chiamata, a Manaus, la "zona franca verde", sull'onda della zona franca economica che era stata concessa all'Amazonas negli anni sessanta per favorire lo sviluppo dell'industria d'avanguardia.
E così, per fare un esempio, solo le popolazioni che vivono nelle cinque riserve dello sviluppo sostenibile hanno il diritto di pesca del "piracacù", una enorme bestia saporitissima che si conserva anche come il baccalà e va fortissima sul mercato locale e nazionale. Inoltre, sempre nell'area dei parchi dell'ecosviluppo, la gestione foestale sostenibile ha ridotto di decine di volte il tasso di deforestazione e ha "stoppato" il taglio illegale.
"Le statistiche ci dicono che nell'intera area amazzonica il tasso di disboscamento nelle terre indigene è dello 0,8%, molto più basso del 3,5% nelle aree di conservazioni federali e statali" conferma Viana.
Attorno alla zona franca verde si muovono per ora delle somme impegnative per il Governo dell'Amazonas. "Stiamo investendo da 10 a 60 dollari per ettaro per la creazione di nuove unità di protezione, per un totale che va da 43 a 257 milioni di dollari. Ma la comunità internazionale deve aiutarci, considerando anche il valore dei servizi ambientali forniti all'intero pianeta dall'Amazonas. Ci sono 34 miliardi di tonnellate di carbonio stoccate nelle aree protette amazzoniche e i nostri parchi sono la chiave della protezione delle riserve di acqua dolce della Terra, così come della difesa della biodiversità".
Dall'altro lato, ci sono gli interessi ingenti dell'economia a tutti i costi (ambientali): nella regione amazzonica ci sono riserve di petrolio di entità ancora sconosciuta, così come - pare - depositi di diamanti del valore molto maggiore di quelli sudafricani. Nello stesso governo Braga, c'è chi parla di "sfruttamento sostenibile dei pozzi di petrolio".
Anche per queste ragioni è importante lo siluppo della democrazia e della cultura delle comunità. Nell'estate scorsa si è tenuto il primo congresso dei popoli indigeni dello Stato, mentre all'inizio di ottobre 2004, con la collaborzione del WWF brasiliano, si sono incontrati per la prima volta in un congresso nazionale gli abitanti "non indigeni": i "seringueiros", gli estrattori di caucciù dagli alberi della gomma organizzati da Chico Mendes; i "coltivatori di alberi" per la produzione di legname certificato; i raccoglitori di piante medicinali e cosmetiche; le comunità che vivono di progetti di turismo ecosostenibile. "Per ora ancora separati, perché i problemi che devono affrontare sono diversi per ogni comunità. Poi, ci auguriamo, il popolo della foresta - conclude Viana - diventerà uno solo". Ricco delle sue mille comunidades, come quella di Ivalda.

2 commenti in “La nuova Amazonas
  1. Avatar commento
    uzatpo ycpvsnuqw
    07/08/2007 02:37

    pbuj ptnfud lxdijafhp ntxokfl vqay vedtlxyas qlgrtw

  2. Avatar commento
    omersimpson
    27/10/2006 11:20

    proprio un brutto viaggio non mi è piaciuto

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