"Sul tetto" di Genova: il Castello d'Albertis

Un personaggio stravagante, un edificio straordinario, un Museo ricchissimo, un mezzo unico al mondo per arrivarci: può bastare? 😉

Il Castello d'Albertis è situato sulla collina di Montegalletto, in posizione spettacolare con vastissimo panorama sulla città di Genova. Progettato dal Capitano d'Albertis in una singolare mescolanza di stili architettonici, fu edificato tra il 1886 e il 1892 con la supervisione dell'architetto Alfredo D'Andrade sui resti di fortificazioni cinquecentesche.
Alla sua morte il Capitano donò alla città di Genova il Castello e le sue collezioni, che oggi costituiscono il Museo delle Culture del Mondo, un itinerario di visita altamente raccomandato: l'ennesima proposta per far comprendere al turista superficiale che Genova non è solo l'Acquario.

ORARIO DI APERTURA
Da Ottobre a Marzo: Mar-Ven ore 10-17 (ultimo ingresso ore 16); Sab e Dom ore 10-18 (ultimo ingresso ore 17).
Da Aprile a Settembre: Mar-Ven ore 10-18 (ultimo ingresso ore 17); Sab e Dom ore 10-19 (ultimo ingresso ore 18).
Salvo aperture straordinarie che verranno di volta in volta comunicate, il Museo resta chiuso nelle giornate di festività nazionali e locale (Festa Patronale del 24/6) e cioè: 1/1, 6/1, Pasqua, Lunedì dell'Angelo, 25/4, 1/5, 2/6, 24/6, 15/8, 1/11, 8/12, 25/12, 26/12.UN PO' DI STORIA
Il Capitano Enrico Alberto d'Albertis (1846-1932) fu una delle figure più interessanti e curiose del suo tempo: colto, viaggiatore, scrittore, spirito avventuroso e frequentatore dei salotti della Genova-bene, incarnò alla perfezione la figura di "marinaio gentiluomo", definizione con cui la pro-pronipote Anna ha titolato un godibilissimo libro del quale raccomando la lettura. Grazie alla propria condizione di uomo benestante, trascorse buona parte della propria vita dedicandosi a tempo pieno alla navigazione da diporto. Fondò nel 1879 il primo Yacht Club Italiano e a bordo dei suoi cutter “Violante” e “Corsaro” viaggiò dapprima nel Mediterraneo traversando poi l'Atlantico nel 1893 sulla rotta di Colombo fino a San Salvador, utilizzando strumenti nautici da lui stesso ricostruiti su modello di quelli in uso ai tempi del grande navigatore.
Uomo poliedrico e curioso, durante i suoi viaggi eseguiva analisi dei mari, dei pesci e delle piante, condusse campagne di scavo in alcune grotte della Liguria, fece tre volte il giro del mondo e una volta il periplo dell'Africa, utilizzando i più svariati mezzi di trasporto, dalla nave al cavallo, dal treno al cammello, dalle barche a vela agli idrovolanti.
Altra sua particolarissima passione fu la costruzione di orologi solari: se ne contano in tutto il mondo 103, di cui 10 presenti al castello, nel quale esiste tuttora il suo laboratorio (appunto, la Sala delle Meridiane). Scattò migliaia di foto, collezionò ogni tipo di ricordi di viaggio, da quelli di valore a quelli curiosi e non di rado pacchiani che, ammassati senza alcuna logica apparente in alcune vetrine, caratterizzano però l'unicità del personaggio: si possono trovare affiancati, ad esempio, un ornitorinco imbalsamato, un pezzo di tegola del Tempio del Cielo di Pechino, delle tessere da Mah-Jongg, un frammento della Grande Piramide, un ventaglio da quattro soldi, una tabacchiera di latta, dei semi di cacao, e così via, in un'interminabile scoperta di bizzarrie!

LA REALIZZAZIONE DEL PROGETTO
L'attuale allestimento, aperto al pubblico nel 2004 nell'ambito delle manifestazioni di Genova Capitale Europea della Cultura, è il risultato di un accurato progetto che ha integrato vecchio e nuovo per realizzare un percorso museale molto razionale: si attraversa l'abitazione del Capitano per approdare ai veri soggetti dell'esposizione, le popolazioni indigene di Africa, America e Oceania. Il percorso si snoda lungo due itinerari strettamente collegati tra loro a partire dalla figura del Capitano d'Albertis, che appare non solo come l'ideatore di una dimora assolutamente originale, ma anche filo conduttore di un viaggio che, attraverso i successivi vani, conduce ai popoli visitati in tutto il mondo e raggiunge il porto di Genova attraverso i passaggi segreti che si dipartono dal Castello.

LE COLLEZIONI
Insieme alle collezioni etnografiche e archeologiche raccolte dal Capitano d'Albertis nei suoi viaggi oltremare, la sua dimora ospita collezioni marinaresche (modellini di imbarcazioni, strumenti e carte nautiche) e fotografiche, i progetti delle meridiane, i volumi della sua biblioteca e le centinaia di disegni per la costruzione dell'edificio.
Il Capitano raccolse infinite testimonianze delle popolazioni incontrate, formando così le collezioni del suo museo, allestito in stile di gabinetto di curiosità, tra bacheche, panoplie, trofei coloniali e di caccia. Spiccano per quantità e varietà armi africane, lance cinesi e alabarde europee che via via decorano lo scalone dal piano terra al secondo piano, ma anche una collezione di armi da fuoco, quasi a tracciare un percorso evoluzionistico.

ITINERARIO DI VISITA
La visita, una volta lasciata la biglietteria, ha inizio in un vestibolo ai piedi di un teatrale scalone dove, oltre a una massiccia bicicletta appartenuta a d'Albertis, ci si sofferma davanti a un muro bianco sul quale sono proiettate a ciclo continuo fotografie in bianco e nero dei suoi innumerevoli viaggi: è il risultato di un lavoro imponente eseguito da Anna, pro-pronipote del Capitano (nonché mia cara amica e compagna di viaggi), che si è occupata del riordino e scansione di circa 20.000 negativi e lastre di ogni formato.
Al piano superiore, da un pianerottolo occupato da scudi, statue, vasi cinesi, gong, tamburi, si diramano alcuni vani, uno destinato ad esposizioni temporanee (lo scorso anno fotografie di Bruce Chatwin, attualmente - ottobre 2007 - oggetti quotidiani della Costa d'Avorio), l'altro è la citata Sala delle Meridiane con il monumentale tavolo di lavoro al centro e un decoratissimo camino in maiolica; infine si entra nella biblioteca, sulle cui pareti sono addossate le vetrine con stipati caoticamente i ricordi di viaggio e gli scaffali con libri di ogni argomento, con prevalenza però di quello marinaro. In fondo alla biblioteca si accede scenograficamente alla veranda, dalla quale si ha tutta Genova ai propri piedi e sulla quale spicca la statua in grandezza naturale di Cristoforo Colombo giovinetto, opera del 1870 dello scultore Giulio Monteverde: secondo la tradizione, gli occhi del navigatore guarderebbero in direzione di Santo Domingo.
Il percorso continua con la sfarzosa "Sala turca", un vano ricco di influssi esotici, in specie ispano-moreschi ed orientali, dove centinaia tra suppellettili, monili, armi, vasi, divani e lampade riempiono ogni spazio libero sotto il pesante tendaggio del soffitto che richiama una tenda beduina.
Attraverso un corridoio affrescato con la scena delle tre caravelle di Colombo che salpano dal Porto di Palos, ai cui piedi una lapide in spagnolo riporta i versi "por Castilla y por Leòn / nuevo mundo allò Colòn", si giunge a un altro locale singolare: la ricostruzione fedele di una cabina di nave, nella quale si narra che in tarda età il Capitano si ritirasse per ammirare il mare attraverso la finestra che, per maggiore realismo, ha la forma di un oblò.
Si scende ora al piano inferiore, che espone, oltre le collezioni di Enrico d'Albertis, anche quelle raccolte dal cugino Luigi Maria in Nuova Guinea fra il 1872 e il 1878. Si ammira il materiale etnografico e archeologico proveniente dall'estremo settentrionale del Canada fino a quello meridionale della Terra del Fuoco che le Missioni Cattoliche Americane hanno esposto a Genova in occasione delle celebrazioni colombiane del 1992 ed hanno donato alla città. Spiccano per quantità ed importanza i manufatti degli Indiani delle Pianure di Canada e Stati Uniti, realizzati in pelle di bisonte e cervidi: mocassini, indumenti, giocattoli, sonagli per la danza, una culla a sospensione, borse per il trasporto e una serie di oggetti legati alla sfera della guerra, della caccia e del fumo della pipa.
Tra il materiale archeologico, frammenti maya in tufo vulcanico provenienti dall’acropoli di Copán in Honduras, ornamenti messicani aztechi e di Teotihuacan, reperti precolombiani fittili e tessili delle varie civiltà peruviane quali Moche, Mochica, Chimù, Ica, Nazca, in particolare ceramiche perfettamente conservate.
Non mancano testimonianze da Australia, Nuova Zelanda, Polinesia sotto forma di imbarcazioni, abiti, maschere, utensili, suppellettili, oggetti rituali. Piccola ma significativa, infine, una sezione di strumenti musicali etnici.
La visita volge al termine, ma prima di raggiungere il bookshop e l'uscita, si passa in un'ultima sala che per il suo contenuto mi è particolarmente cara e al cui riguardo mi piace riferire un aneddoto. Alla fine del 1967 (avevo quindi 21 anni), due amici mi fecero un invito molto particolare: uno di essi aveva fatto amicizia durante il servizio militare con un discendente di Monsignor Federico Lunardi (1880-1954), che aveva chiesto loro un aiuto per riordinare la grande quantità di oggetti - all'epoca giacenti alla rinfusa in un appartamento del centro storico genovese - raccolti dall'illustre antenato in oltre trent'anni di attività missionaria in America Latina. Ricordo l'emozione nell'aprire gli scatoloni, maneggiare, classificare, applicare cartellini descrittivi a reperti (vasi, statuine, utensili, giade, ecc.) di valore inestimabile… e adesso eccoli - per quanto solo una piccola parte - dopo avere vagato per quarant'anni tra varie sedi e magazzini, in questa vetrina, a rinnovare ogni volta l'emozione di quelle giornate della mia gioventù!La soluzione consigliata per raggiungere un luogo davvero unico qual è il Castello, è un mezzo di trasporto altrettanto unico (anzi, unico al mondo!): usciti dalla Stazione Ferroviaria di Genova Piazza Principe, si attraversa Piazza Acquaverde tenendosi sulla sinistra e, prima di imboccare Via Balbi, si svolta ancora a sinistra dove c'è l'entrata dell'ascensore Montegalletto - Castello d'Albertis. L'unicità dell'impianto sta nel fatto che la cabina, nella quale trovano posto 23 passeggeri, corre in piano su rotaie per circa 300 metri all'interno di un tunnel per poi salire in un pozzo verticale per altri settanta: sbucati su Corso Dogali, si attraversa (con cautela, siamo su una curva cieca) la strada e ci si trova all'ingresso del Castello.

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