Il Gruppo di Sella, un castello di roccia...

…ma anche un luogo in cui fare nuove amicizie!

Osservato da qualunque punto del suo tortuoso perimetro, il Gruppo di Sella dà la sensazione di una muraglia difficilmente sormontabile, tanto da far pensare a un labirintico castello di roccia.
Geologicamente, il Sella rappresenta una vera e propria lezione a cielo aperto: già dal primo sguardo risulta evidente la grande cengia orizzontale che in pratica divide il gruppo in due ampie fasce sovrapposte e racconta la storia dei successivi sconvolgimenti tettonici ai quali è dovuta l’originale struttura. La parte inferiore, costituita da Dolomia dello Sciliar non stratificata, acuisce nella sua compattezza la similitudine con un muro; al di sopra della cengia si formarono, in ere successive, rocce di Dolomia principale caratterizzate da una conformazione più movimentata.
Percorrendo lentamente e con occhio attento lo straordinario anello panoramico Passo Sella – Passo Gardena – Val Badia – Passo di Campolongo – Arabba – Passo Pordoi che si snoda alla sua base, si individuano di tanto in tanto accessi lungo fenditure, pietraie, scoscendimenti, cenge, lastronate rocciose, ghiaioni e finiamo per renderci conto che l’approccio all’altopiano sommitale non è mai tenero, quale che sia la via di salita intrapresa. Parlo naturalmente dall’ottica dell’escursionista e non da quella del rocciatore, àmbito stimolante che esula però dalle competenze di questa trattazione.
Fa eccezione il versante sud, non per minori difficoltà oggettive (anzi, mentre si scatta la foto presso la stele di Fausto Coppi si dia un po’ uno sguardo allo scivolo della Forcella Pordoi…) ma per la presenza della funivia del Sass Pordoi: dai 2960 metri della stazione d’arrivo si sgrana la processione dei turisti che porta in un’ora al Rifugio Boé, con lo scenario del Sass, Bec e Daint de Mesdì, dell’Antersass e della Torre Berger, o in circa un’ora e mezza al culmine del Piz Boè, per la soddisfazione di un facile “tremila” e di una panoramica che nelle giornate serene abbraccia davvero tutto il mondo.
In alternativa a questa comoda gita (peraltro raccomandabile a tutti), volendo salire sull’altopiano per vie meno turistiche, bisogna comunque guadagnarselo: quando poi si è lassù, è bello sbizzarrirsi lungo i numerosi itinerari, al limite spingendosi in sorprendenti “fuori pista” verso i panoramicissimi orli del massiccio, mantenendosi ovviamente a vista dei sentieri segnalati e con un’occhio all’eventualità di nebbia, fenomeno tutt’altro che raro.
I valloni laterali che risalgono i fianchi del Sella sono perlopiù costituiti da ripidi ghiaioni, il che rende la progressione in salita piuttosto faticosa, anche se priva di reali pericoli: mi riferisco alla Val di Mesdì, alla Val Setùs e all’appartata Val Culèa sul versante nord e alla Risa de Pigolerz su quello est del Vallòn. La via più semplice è di certo quella meridionale della Val Lastìes, ampia e ariosa, che si sviluppa lungo solide terrazze calcaree.
La soluzione che riserva maggiori soddisfazioni, ma anche la più ardua, è quella delle ferrate: il Sella offre agli appassionati almeno quattro possibilità su diversi livelli di difficoltà. Un autentico esame di laurea è rappresentato dalle Mèsules, una delle prime vie attrezzate tracciate sulle Dolomiti e tuttora una delle più impegnative: individuando dal Passo Sella il canalino bagnato che in totale verticalità porta in quota lungo un sistema di scalette, pioli e cavi d’acciaio, è facile desiderare di trovarsi lassù: altro è mettere in pratica il desiderio. Difficoltà forse superiori, pur se su un dislivello più limitato, si incontrano sulla ferrata Piazzetta, che ha inizio a breve distanza dall’Ossario dei caduti presso il Passo Pordoi e richiede una seria preparazione fisica.
Più accessibile al sottoscritto e al suo amicone Enzo risulta la famosa Tridentina, in assoluto una delle ferrate più frequentate e ambite, tant’è vero che nella consueta settimana di settembre che da anni dedichiamo alle Dolomiti decidiamo, in una splendida giornata di sole, di cimentarci anche noi, attrezzati seriamente con imbragatura, moschettoni e casco. Il percorso, assicurato alla perfezione anche se non regala niente a nessuno, risale diagonalmente la parete, a tratti verticale, della Torre Exner, massiccio obelisco di roccia diviso dall’altopiano da una spaccatura di cui non si vede il fondo; un rassicurante ponticello che scavalca il burrone contrassegna il termine delle difficoltà, dopodiché in un quarto d’ora si raggiunge il Rifugio Franco Cavazza al Pisciadù, in posizione stupenda a quota 2585 presso l’omonimo laghetto. Insomma, a meno che non si soffra di vertigini, c’è anche da divertirsi, illudendosi per qualche ora di essere più vicini al mondo delle scalate che a quello delle escursioni.
Lungo la parte finale facciamo la simpatica conoscenza di Enrico e Susanna, medico parmigiano con figlia diciottenne, che si aggregano poi a noi per la cena e il pernottamento alla Pensione Frara sul Passo Gardena.
Tutti e quattro insieme decidiamo l’indomani, visto il persistere del gran sereno, per la panoramica salita al Piz Boé lungo un itinerario meno scontato di quello già noto tramite la funivia del Passo Pordoi: si tratta della poco frequentata ferrata del Vallon. A tale scopo utilizziamo l’impianto in due tronchi che da Corvara porta a quota 2537, a breve distanza dall’accogliente Rifugio Kostner.
Sulla cabinovia ci troviamo in compagnia di una coppia di mezza età. Lo sapremo solo tra poco, lui si chiama Giulio, tranquillo sessantenne in pensione che ogni prima settimana di settembre porta la sua barba brizzolata, il suo progetto di pancetta e la sua simpatica signora lungo le valli delle Dolomiti.
Anche oggi ha in programma di salire al Vallon, dove, lasciata la moglie a prendere il sole sulla veranda della stazione intermedia della funivia (l’ipertensione le preclude quote superiori), farà la solita passeggiata lungo il grandioso anfiteatro di ghiaie ai piedi della muraglia di dolomia che il Gruppo di Sella presenta su questo versante. Ancora una volta si siederà su uno dei tanti massi di frana sparsi nella conca: una sosta per esteti ed estimatori dei grandi spazi. Seguirà con il binocolo quegli omini colorati che risalgono il canalone umido che porta alla sommità dell’altopiano nell’eco del clac-clac dei moschettoni che si agganciano ai cavi d’acciaio e intanto pensa che prima o poi chissà, se trovasse compagnia…
Credo che siano più o meno questi i pensieri di Giulio mentre acquista i biglietti della funivia: si ha un bel dire che lo scenario nel quale sta per immergersi è di quelli che lasciano senza fiato, ma la sua faccia è quella di chi non ha gran voglia di limitarsi per l’ennesima volta alla stessa gita per famigliole e si consola godendosi la limpidezza del cielo, oggi capace di rendere memorabile solo per questo una giornata di montagna.
Attaccare discorso tra gente che va in giro per i monti è quasi scontato: una parola tira l’altra col risultato che, grazie a un paio di moschettoni e uno spezzone di cordino in sovrappiù che io, Enzo ed Enrico abbiamo nello zaino, possiamo assemblare per il nuovo amico un surrogato di imbrago che, unitamente al nostro incoraggiamento, ha l’effetto di dissolvere le sue esitazioni, darci immediatamente del tu e unirsi a noi.
Il tratto attrezzato ci impegna per non più di mezz’ora lungo cengette ben gradinate che si concludono all’altezza di una spaccatura nella roccia scavalcata da una passerella metallica deformata da una frana ma ben solida; di lì in avanti è tutta una traversata in moderata salita in ambiente apertissimo, un’affascinante desolazione intervallata di tanto in tanto da terrazzini panoramici che si aprono come quinte di un teatro su scenari che nessun architetto potrà mai imitare.
Un’ultimo strappo è costituito dalla Cresta Strenta, elevazione che fino all’ultimo nasconde, dando l’idea di essere il punto di arrivo, la vera cima del Boè: ancora un breve tratto attrezzato che rende giustizia al nome del luogo (significa, è evidente, Cresta Stretta) ed eccoci ai 3152 metri della Capanna Fassa. Il panorama che si gode di lassù è impossibile da descrivere e non ci proverò neanch’io.
Al di là delle meraviglie che ci circondano, l’aspetto più piacevole che ricorderò di questa giornata è però la soddisfazione di Giulio: la stretta di mano che ci scambiamo a fine gita, il sorriso con cui fa capire tutto alla sua signora nell’istante in cui balza giù dalla seggiovia e il “L’ho fatto!” con cui assorda il figlio nel microfono del telefonino ci ripagano anche di più delle grappe che insiste per offrirci. E tutto grazie alla casualità di avere conosciuto su una funivia “quelle” persone e non altre!
È in fondo una piccola storia, ma quello che vediamo è un uomo felice.

2 commenti in “Il Gruppo di Sella, un castello di roccia…
  1. Avatar commento
    Leandro
    13/07/2005 14:39

    Dalla Capanna Fassa / Piz Boè la via di discesa più logica è imboccare il sentiero 638 in direzione sud-est. Dopo poco si lascia a destra il bivio per la Ferrata Piazzetta e si prosegue in costante discesa. Si scende poi lungo la Risa de Pegolerz, un canalone ripido ma privo di reali pericoli e si continua quasi in piano fino al rif. Kostner al Vallon (m.2500, consigliato per l'ottima cucina). Circa due ore dalla cima del Boè. Dal Kostner in pochi minuti alla seggiovia che scende al Rist. Boè (m.2198), e poi funivia fino a Corvara. Volendo rinunciare agli impianti, si può scendere su sentiero, ma solo quasi 1000 metri di dislivello. Buona gita!

  2. Avatar commento
    essemme
    13/07/2005 13:19

    dal rifugio capanna fassa quale è il sentiero piu' adatto per arrivare a Corvara? grazie di cuore stefano

Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento, contattaci per ottenere il tuo account

© 2024 Ci Sono Stato. All RIGHTS RESERVED. | Privacy Policy | Cookie Policy