Viaggio effettuato ad inizio agosto 2012
Indice: ISTANBUL E’ UNA CITTA’ SICURA - LA CITTA’ FORMICAIO E IL PAZZO TASSISTA - I GIOVANI, LA CULTURA E ALCUNE PARTICOLARITA’ DEL POSTO - INFORMAZIONI UTILI - STRUTTURA DELLA CITTA’, COSA VEDERE.ISTANBUL E’ UNA CITTA’ SICURA
Istanbul è una città assolutamente sicura! Sottolineo subito ciò contro il classico luogo comune, diffuso presso la maggioranza degli Italiani, che la associa al terrorismo, al brutto integralismo islamico, e identifica quindi la città quale sinonimo di rischi e di insicurezza. Senza dubbio hanno inciso sulla formazione di tale pregiudizio gli attentati degli anni recenti, riferiti con accanimento dai media, ma che sono stati registrati ad Istanbul in maniera solo isolata e sporadica dal 1977 fino al 2010. Tale stato di cose ha costituito, in verità, il motivo del mio continuo rinviare la realizzazione del proposito di un viaggio alla scoperta di questa fantastica capitale alle porte dell’Oriente. Mi piace utilizzare questo gioco di parole: ci sono Polizia e pulizia ovunque. Infatti, oltre ad essere presidiata in ogni angolo da uomini della Polizia, soprattutto nei siti di attrazione turistica, Istanbul è pulita. Non ho scorto neanche un mozzicone di sigaretta per le strade o nelle piazze: uomini del servizio di nettezza urbana erano a lavoro a tutte le ore; a tal proposito mi ha colpito il fatto che la grande scopa da essi adoperata era fatta artigianalmente con elementi naturali e che la paletta di raccolta dei rifiuti era ricavata dal fondo di un bidone di plastica tagliato (insomma i Turchi sono più bravi di noi Italiani nel riciclaggio. Forse più evoluti?). La sicurezza della città è assicurata anche dal suo immenso clima di tolleranza e di rispetto verso tutte le tipologie di persona, razze, religioni, modi di comportarsi e di vestire. Mi hanno colpito molto il buon assortimento e la felice integrazione esistente tra gli occidentali e i musulmani; l’assistere, per esempio, ad una passeggiata a braccetto tra due amiche tanto diverse tra loro: una donna interamente coperta di velo e abito lunghi e neri (meno solo i suoi occhi), e una donna con le gambe scoperte dai micro pantaloncini tanto in voga durante questa estate. Mi ha sorpreso anche il poter constatare che le turiste di tutto il mondo non hanno rinunciato in nessun momento della giornata al proprio abbigliamento estivo e anti-caldo, leggerissimo e scopertissimo, pur essendo ospiti di un luogo dai connotati e dal pensiero fortemente orientali. Mal che poteva andare, sarebbero state costrette a prender in prestito tuniche o veli strausati, per coprirsi nell’ingresso alle moschee, tra quelli a tale scopo in dotazione delle stesse sacre strutture; ma nessuno avrebbe loro rimproverato nulla per strada, né formulato avances o apprezzamenti sessuali (come invece da alcuni forum leggevo esser possibile). In fine, altro dato-simbolo della sicurezza di Istanbul è la massiccia e costante presenza di gente, turisti e non, per le sue strade, in tutte le ore del giorno e della notte, perché ad Istanbul la vita non si ferma mai! Anzi, potrei dire: una vera e propria folla.
LA CITTA’ FORMICAIO E IL PAZZO TASSISTA
Istanbul è una megalopoli. I suoi abitanti oltrepassano notevolmente i dodici milioni, infatti è considerata la terza città più popolosa d’Europa. Ha un costante e intenso traffico automobilistico (il rispetto dei segnali stradali e delle comuni regole di circolazione è nella maggior parte delle ipotesi assente; i conducenti e i pedoni fanno ciò che vogliono, un po’ come accade a Napoli). A proposito di folla, non è un caso che la primissima impressione che mi ha fatto la città, mentre la scrutavo dal vetro del finestrino di un taxi che mi/ci portava dall’aeroporto di Ataturk all’hotel, è che Istanbul è un autentico formicaio di persone, ma anche di costruzioni realizzate una addosso all’altra come se mancasse l’aria. Gente e architettura a parte, l’aria mi/ci è mancata davvero appena arrivati in città. L’albergo che mi/ci attendeva si trova in una strada che sbocca su Piazza Taksìm, ossia il quartiere moderno e giovanile di Istanbul, ricco di negozi, di alberghi e di locali vari (perfino al terzo piano di un palazzo si può vedere una discoteca - ecco tornare l’idea del formicaio). Per guadagnar tempo (erano le due e mezza del pomeriggio) e non conoscendo nel concreto le distanze e la città, pur sapendo della esistenza di bus urbani e di navette varie, scegliamo di affidarci ad uno dei tanti tassisti in appostamento davanti all’aeroporto. Contrattiamo, come ci era stato consigliato di fare - ma poco, per la stanchezza e per non sembrare di volerne approfittare - la tariffa e paghiamo subito le 55 Lire Turche richiesteci per il servizio di trasporto, dunque ci accomodiamo nell’auto e facciamo metter i bagagli nel cofano. Fin qui nulla di strano. Iniziata la marcia, molto presto si delinea davanti a noi una scena di film dal brutto epilogo, che per fortuna o per caso non è poi arrivato. Il tassista corre come un matto, ma questo poco ci preoccupa perché è una caratteristica di molte città, specie straniere, e già ci eravamo passati, soprattutto in Grecia. Diventa però irritante che il conducente è palesemente agitato, parla freneticamente al cellulare nella sua lingua (nominando più volte Piazza Taksìm), cade la linea, ritelefona, è nervoso, poi viene richiamato a sua volta, ed è un continuo di chiamate animate. La situazione si trasforma in allarmante nel momento in cui l’uomo inizia ad intraprendere direzioni stradali completamente antitetiche alla nostra. Avendo studiato prima di partire la pianta della città e la ubicazione del nostro albergo, è chiarissimo che il pazzo tassista si sta recando a tutt’altra parte; poi nuovamente un cartello indicante Taksìm ci ridà la speranza, come a farci immaginare che l’uomo aveva mancato le uscite precedenti giuste per cercare magari una scorciatoia, ma lui prende la direzione opposta, verso Sultanahmet, la parte antica di Istanbul. Il peggio arriva quando il pazzo si introduce in un quartiere fatiscente, fatto di minuscoli squallidi vicoli chiaramente non turistici. Anche le persone là sono brutte di aspetto, i bambini poveri e decadenti. Manteniamo ancora la calma, solo perché di norma quando si fa vedere ad un potenziale malintenzionato di avere paura, anche se questi non ha cattive intenzioni, può tornare sui propri passi e compiere invece qualcosa di brutto perché indispettito. Tuttavia siamo a un passo dal farci letteralmente addosso: compare il segnale che preannuncia una strada chiusa. Mi dico che mai quello scellerato ci sarebbe entrato, ma temo che lo faccia e lo fa! Il sole è rovente, ci troviamo in una via stretta, deserta e silenziosa (penso: a chi poter urlare “aiuto” se non c’è un’anima viva?), le case sono chiuse e bruttissime, simili a baracche; a un certo punto uno slargo chiuso a quadrato da palazzine orribili si palesa ai nostri occhi, davanti alle porte ci sono sedie di legno e paglia su cui figurano donne senza un lembo di corpo scoperto, tutte in nero e delle quali a malapena si riescono a veder gli occhi. Il pazzo tassista frena al centro dello slargo, osserva nervoso le brutte palazzine mentre le donne in nero rivolgono tutte insieme la loro attenzione su di noi. Che situazione inquietante! I nostri cuori si fermano e le narici non riescono più a respirare: in quelli che diventano gli attimi più lunghi della nostra vita, ci domandiamo cosa ne sarebbe stato di noi, se avremmo subito un semplice furto, un rapimento, un omicidio addirittura, e se la nostra conduzione in quel posto fuori mano fosse tutto un accordo telefonico tra il tassista e quelle sagome nere… Conto fino a tre e urlo, mentre il mio partner mi stringe la mano e mi ordina, chiaramente terrorizzato anche lui, di conservare la calma e il sangue freddo; ma a me non importa ciò che dice, perché la posta in gioco è troppo alta, devo protestare e capire cosa sta accadendo, se devo morire o meno. “Taksìm, Taksìm… Perché non siamo andati a Taksìm, dov’è Taksìm, l’albergo si trova a Taksìm, avevamo detto di andare a Taksìm”. Quella non era la mia voce. La paura le aveva dato timbro e accento completamente diversi dai miei. Il pazzo non replica nulla, poi esegue alcune manovre maldestre nello slargo, finalmente inserisce la retromarcia e pronuncia nervosamente poche parole in turco. Usciamo dal vicolo cieco, e non ci fidiamo finchè non ci conduce a Taksìm, davanti al nostro mai cosi’ tanto desiderato Nippon Hotel. L’auto si ferma e ci diamo alla fuga, tirando frettolosamente fuori i bagagli e senza guardare e salutare quel pazzo da legare. Quando il concierge ci accoglie sorridente all’ingresso, voltiamo pagina e ci diciamo che ci è andata bene, sperando che Istanbul non è brutta come l’aveva invece fatta sembrare l’esperienza in taxi. Anzi siamo ansiosi di ristorarci per ricrederci quanto prima, uscendo a piedi per la città. In definitiva, un tragitto di 15 minuti di automobile (tanto ci è stato poi detto essere il tempo necessario per raggiungere l’hotel dall’aeroporto) si è tradotto in una frenetica ora e quaranta di corse e inutili volteggi intorno e dentro a posti degradati e fuori traiettoria. E dire che la tariffa era stata pagata in anticipo, quindi non sussisteva la questione di alimentare il tassametro. Oggi penso che la nostra reazione di spavento sia stata del tutto legittima, ma esasperata dalla cattiva fama che ha la città presso la opinione comune. La stessa che forse condizionava anche me, ma che ora posso demolire perché, come ho già spiegato, è infondata. Tuttavia, ancora non ho trovato una spiegazione alla vicenda, né posso credere che l’uomo non conoscesse la collocazione dei quartieri della sua città. Prendo per buona quella data dal mio fidanzato: forse il pazzo tassista doveva risolvere una sua questione personale, perciò era sempre a telefono, e per la stessa ragione si era recato in quella zona malfamata della città, come per verificare qualcosa o per vedere qualcuno, magari la sua abitazione o cosa stesse facendo sua moglie. Chissà quale è la verità. Certo è che il ricordo scioccante del nostro primo impatto con la città, del tutto negativo, ci ha fatto automaticamente evitare i tassisti per tutto il soggiorno a Istanbul, specie in orario notturno e durante una sera in particolare, quando la voglia di rivedere la parte asiatica della città era molto intensa e altri mezzi di trasporto non erano disponibili. Quello stesso ricordo, pur essendo stato annientato dalla sensazione di sicurezza presto offerta dalla città, oltre che da innumerevoli meraviglie e attrazioni incredibili, è riaffiorato nella nostra mente nel preciso momento in cui dovevamo scegliere come raggiunger l’aeroporto per ritornare in Italia: irrinunciabile è parsa la comodità del taxi, specie per i tempi stretti a disposizione dopo l’ultima visita nel cuore di Sultanahmet e per l’esagerato aumento dei nostri bagagli dopo le ultimissime compere di souvenirs e prodotti tipici. Ma prima di affidarci ad un altro tassista, abbiamo guardato bene “in faccia” tutti i possibili candidati e scelto di rivolgerci alla persona che “ci piaceva” e che ci ispirava fiducia. Tutto ok: il tassista è stato molto quieto sia nella guida che nella relazione con noi, e tra l’altro ci ha chiesto anche meno soldi (40 Lire a fronte delle 55- trattate- del primo giorno).
I GIOVANI, LA CULTURA E ALCUNE PARTICOLARITA’ DEL POSTO
Istanbul è la città dei giovani. La visitano giovani di tutto il mondo e tantissimi sono anche i giovani turchi che la vivacizzano. Nel 2010 è stata eletta tra le capitali europee della cultura, senza contare che dal 1985 la sua parte antica rientra nella lista Unesco dei patrimoni della umanità. Istanbul è ricca di locali che uniscono la cultura alla consumazione di piccoli pasti e/o di drink: si trovano spesso, specie in Istiklal str., la lunga via che parte da Taksìm e arriva alla Torre di Galata, strutture tipo caffè letterari, con tanto di scaffali libreria ad arredare le pareti e di tavoli e sedie su cui potersi intrattenere a bere o mangiare mentre si consulta un libro. La cosa meravigliosa è che tali posti sono stracolmi di ragazzi! A parte queste graziose strutture di intrattenimento (senz’altro presenti nelle nostre grandi città, come Milano, ma non dalle mie parti , dove andrebbero subito in fallimento), il fascino della cultura si coglie in ogni pietra della città. Non ci si stupisce di questo, anzi è proprio quanto ci si attende da una sua visita, visto che Istanbul (Bisanzio fino al 330 e poi Costantinopoli fino al 1930) è stata la capitale dell’Impero Romano (330-395), dell’Impero Bizantino (395-1204 e 1261-1453), dell’Impero Latino (1204-1261) e dell’Impero Ottomano (1453-1922). Ci sono ancora i segni della cristianità (non dimentichiamo che Istanbul era denominata “seconda Roma”, perché fino alla conquista ottomana nel 1453 fu tra le grandi città della cristianità); ma soprattutto i segni del potere ottomano (infatti il maggiore splendore della città vi fu sotto i sultani ottomani, e a quei tempi risalgono le sue più preziose moschee, come Suleymaniye , che è la più importante moschea di Istanbul- e a mio modesto parere la più bella, di più anche della celeberrima Moschea Blu). A proposito di moschee, nel mio viaggio ad Istanbul ho fatto in esse il mio primo ingresso in assoluto ed era in corso il Ramadam (per il 2012: dal 20 luglio al 18 agosto), periodo in cui le attività sono lente, gli orari ridotti e al calar del sole si rompe il digiuno. Il turista non percepisce la lentezza delle attività, ma vive il clima di grande preghiera per i Musulmani e assiste ad autentiche feste, banchetti e picnic serali sui prati o nei luoghi intorno alle moschee. La struttura delle moschee è sempre la stessa: si entra, prima che nella moschea vera e propria (dove le donne non possono vestire assolutamente abiti succinti e devono coprire il capo), in un cortile chiuso in cui ci sono una sorta di fontana centrale e poi dei lavabi per i piedi lateralmente all’ingresso della moschea stessa; giacchè l’Islam osteggia raffigurazioni animali o umane, i decori interni (a mosaico) sono per lo più legati al mondo vegetale e a calligrafie artistiche che riportano versetti del Corano. Osservando da lontano il cuore antico di Istanbul, si vedono circa sei moschee al solo primo colpo d’occhio, tutte allineate nelle loro differenti collocazioni e dirette verso la stessa parte. E i rispettivi minareti sono quanto di più bello si possa ammirare. I minareti sono un po’ come i campanili per i Cristiani. Sono le torri delle moschee e servono a scandire la giornata liturgica, dai suoi altoparlanti il muezzin chiama più volte al giorno (se non erro cinque) alla preghiera i devoti di Allah. Infatti, perché la preghiera sia valida, essa deve essere compiuta all’interno di precisi momenti della giornata, scanditi dall’andamento apparente del sole. Quel richiamo rituale salmodiato dello speciale incaricato, il quale ricorda il momento a partire dal quale è obbligatorio pregare (in casa, all’aperto o in moschea), si sente di continuo camminando per la città ed è veramente suggestivo per i turisti occidentali. Durante i momenti dedicati alla preghiera, ai turisti è proibito l’accesso nelle moschee (motivo per cui, ad esempio, prima di entrare nella Moschea Blu, ci siamo dovuti tornare più di una volta; in quanto, impegnati nello girare in lungo e in largo per la città, quando poi raggiungevamo nuovamente la moschea interessata, era il momento di un’altra preghiera e così via, quindi non era mai l’occasione giusta per la visita finchè abbiamo deciso di attendere che tutto finisse e che i fedeli uscissero. Nell’attesa, sbirciando alla finestra, notavo che gli uomini pregano divisi dalle donne e dai bambini, che invece siedono a terra in appositi spazi chiusi da cancelletti e ubicati tutti intorno alla parte centrale della sacra struttura. La maggior parte delle donne indossava abito e velo neri e lunghi, piuttosto che la variante-adottata da molte giovani incontrate per strada- dell’impermeabile, sempre a manica lunga, di una tinta pastello come il foulard sulla testa, messo sopra ad abiti alla moda. Quel modo castigato di vivere la vita, soprattutto il momento della preghiera in moschea, mi ha dato un senso di turbamento. Subito dopo, però, ho capito che non c’è maniera più vera e pura di vivere la preghiera, lontano da ogni tentazione e da ogni distrazione o frivolezza, nelle quali invece spesso si incorre durante la messa domenicale nelle nostre chiese. Tuttavia, notavo che si trattava per lo più di donne mature, mentre le bambine portavano abiti spesso normali e naturalmente il velo, ma non in strada). Verso il tramonto, tutti i fedeli si radunavano festosamente all’aperto nei pressi delle moschee: c’erano tavoli al servizio di locali ristorante, oppure le donne avevano portato, credo da casa, ceste contenenti cibi e bevande da consumare a terra, seduti su giornali o su tovaglie (comparivano per l’occasione anche venditori ambulanti di tovaglie). Ed era tutto un mangiare e chiacchierare allegramente dopo il lungo digiuno. Le donne solitamente mangiavano raggruppate tra loro, separate dagli uomini.
La religiosità dei Musulmani si avverte come molto forte ad Istanbul. Lo si percepisce dalla loro dedizione alla preghiera, dal modo di comportarsi e di vestirsi; dal fatto che in città viene praticato il rito della circoncisione, che interessa i bambini maschi in età pre-adolescenziale, i quali per l’importante occasione indossano preziosi vestiti principeschi di colore bianco (bianche sono perfino le scarpe), fatti di una stoffa lucida simile alla seta, con tanto di mantello e di turbante da sultano decorato al centro da una pietra dura e un pennacchio. La circoncisione (dal latino circum, “attorno” e caedere, “tagliare”) è una pratica chirurgica che consiste nell’asportare parte o la totalità del prepuzio. In un pomeriggio che a noi turisti pareva qualunque, mentre attendevamo la metro che ci avrebbe portato dal quartiere di Sultanahmet a quello di Taksìm, abbiamo visto passeggiare tanti bambini turchi vestiti da principi in bianco. Avendo letto molto materiale prima di partire per il nostro viaggio, sapevamo che avremmo potuto assistere alla celebrazione della “festa della circoncisione”; ma quando uno di quei bambini, accompagnato dalla propria giovane madre, si è fermato ad attender la nostra metro, non abbiamo potuto fare a meno di chiedere a lei come mai il figlio fosse vestito in quel modo. La madre, con il viso sorridente e radioso, ha prima guardato e stretto a sé il bimbo , che appariva invece imbronciato, e ci ha risposto con tanta naturalezza: “Ah, niente, abbiamo tagliato il pistolino!”, mimando le forbici con le dita della mano. Ricordo di aver letto da qualche parte che per far superare ai bimbi il dolore che si prova dopo la circoncisione, questi vengono ricoperti di doni e che si tiene una vera e propria festa in loro onore. Penso che non dimenticherò mai quella situazione, perché mai mi ha così enormemente colpito la diversità culturale tra i popoli.
Forse, proprio la diversità culturale è il principale requisito del fascino di Istanbul; diversità nella quale includerei anche la pratica dei salassi che viene eseguita grazie alle sanguisughe. Questi animaletti d’acqua, simili a lunghi girini, sguazzano in taniche trasparenti vendute nel celebre mercato delle spezie che si tiene vicino alla bellissima moschea di Solimano. Una mattina abbiamo anche visto un anziano signore che , una volta compratele, si è seduto e se le è applicate ai piedi.
Ad Istanbul mi/ci ha anche colpito il fatto che i bambini maschi sono molto attivi come venditori, soprattutto ambulanti (ad esempio di tappeti,o ombrelli, o acqua imbottigliata che praticamente è venduta in ogni millimetro di strada come avviene anche per il thè, portato in strada nei termos e venduto in bicchieri di carta).
Mi/ ci ha colpito l’assenza totale di mendicanti; nonché la diffusione, al Gran Bazar, ma perfino in negozi di tutto rispetto, di articoli di abbigliamento contraffatti in maniera ottimale, tanto da non riuscire a distinguerli dalle celebri marche originali (se non per il bassissimo prezzo). Naturalmente i turisti si tuffavano a pesce nell’affare! Il risultato di questa megagalattica compravendita è stato che per le strade di Istanbul non c’era una sola persona vestita all’occidentale che portasse abiti non firmati. Così come i turisti all’aeroporto, in procinto di lasciare la città, che nella maggior parte dei casi avevano polo di costosissime marche (taroccate- ora avevamo scoperto il trucco!). Nulla di fantascientifico nell’indossare grandi marche, se non fosse per la omologazione collettiva che ne fa fare mostra veramente a tutti (cosa irrealizzabile nella realtà, dato il costo elevato dei capi autentici cui si riferivano i tarocchi in questione). In generale, contraffazione a parte, Istanbul mi è parsa animata da un popolo di commercianti. I prodotti tipici, poi, sono tanti: spezie, thè, dolciumi, ceramiche dipinte a mano (fantastiche per colori e disegni!!!), l’occhio di Maometto, tappeti, ecc…
Passando poi davanti ad alcuni locali in orario digestivo, era facile vedere clienti che fumavano il “narghilè”, cioè la grande pipa turca ad acqua. Nel contenitore a bottiglia c’è acqua, spesso profumata, al cui interno viene fatta passare una spirale che consente al fumo (prodotto da un insieme di foglie di tabacco, c’è anche un po’ di brace di carbone) di raffreddarsi prima di giungere attraverso un tubicino alla bocca del fumatore. Ho letto che quando il fumo viene aspirato risulta essere fresco e depurato. Sembrava molto rilassante la situazione di chi fumava la pipa turca.
In tutte le strade principali, ci sono ambulanti che vendono il pane a forma di anello col sesamo (si chiama “simit”), che per la sua tipicità ad Istanbul è paragonabile alla mitica baguette parigina.
Tornando sul tema delle tipicità, se avessi avuto un solo giorno in più a disposizione, avrei fatto ingresso in uno dei numerosissimi Hammam (il bagno turco), e avrei assistito a uno spettacolo serale di danza turca, magari di danza del ventre. Sarà per la prossima volta…
INFORMAZIONI UTILI
Fuso orario: 1 ora avanti rispetto all’Italia (quindi se in Italia sono le 12.00, in Turchia sono le 13.00).
Moneta: 1 Euro equivale a circa 2 Lire Turche (2,20- 2,38), 10 Euro sono circa 20 Lire. Sono molto comodi i locali uffici di cambio ( si chiamano “Doviz Burosu”), e non detraggono i costi di commissione. Il costo della vita ad Istanbul è piuttosto basso; ho notato che per mangiare si spende pochissimo, mentre le bevande alcoliche e alcuni souvenirs (è normale) hanno un prezzo più alto rispetto alla media.
Volo: La durata effettiva del volo aereo da Roma (Fiumicino) ad Istanbul (Ataturk) è di due ore e trenta minuti. Abbiamo viaggiato con la compagnia di bandiera Turkish Airlines, trovandoci molto bene. Nel viaggio è compreso un pasto completo servito su vassoio. Nel mio caso questo era il menù: carne profumatissima (tipo kebab al piatto) accompagnata da cous cous; acqua più bevanda aggiuntiva (che poteva essere coca cola, vino o altro); insalata; tartine e burro; formaggi (salmone nel viaggio di ritorno); pane; dolce (un tipico dolce turco all’andata, e una mousse al cioccolato al ritorno); caffè turco o thè. Con l’andata calzava strabene questo trattamento, visto che il volo è avvenuto a cavallo dell’ora di pranzo e il fatto che mai come in quella occasione eravamo sprovvisti di qualunque cosa da poter metter in bocca per cui appena atterrati avremmo dovuto pensare di soddisfare il nostro stomaco. Al ritorno, il viaggio è avvenuto a cavallo delle cinque del pomeriggio, per cui non ci aspettavamo che la compagnia offrisse alcun pasto; invece prima sono stati distribuiti arachidi e poi il vassoio completo.
Clima: Ho soggiornato ad Istanbul nei primi di agosto: ogni pomeriggio c’è stata una scarica breve ma molto intensa di temporale. Dopo di che, l’aria era ancora più soffocante di prima; ci si sentiva , non i vestiti, ma proprio la pelle incollata addosso. Infatti l’estate a Istanbul è calda e molto umida ed è caratterizzata da precipitazioni minori rispetto agli altri periodi, ma sempre significative.
Hotel: La scelta dell’hotel in cui pernottare a mio avviso è importante, specie il posto in cui è ubicato. Pare che, ad Istanbul, al di sotto della categoria 4 stelle le strutture non sono consigliabili. Tra i vari 4 stelle rispondenti al nostro proposito di spesa, l’agenzia ce ne aveva proposto anche alcuni da mille e una notte per estetica, di gusto ottomano, che si trovavano nel cuore di Sultanahmet, la parte storica e dunque più ricca di siti turistici della città. Questi erano veramente belli, ma o mancava l’ascensore (come tornare a piedi in una camera posizionata in alto, dopo una giornata di marce?) o altri servizi non trascurabili. Il motivo, però, per il quale non li abbiamo scelti non è stato questo; quanto il fatto che avevamo letto che è sconsigliata la vita a Sultanahmet di notte, perché pur essendo suggestiva in quanto quartiere antico di Istanbul, si tratta della parte più degradata. Questo non ho capito se vero, ma sicuramente è vero invece che la vita notturna si svolge altrove, ossia tra Galata e Taksìm. Ecco cosa ci ha indotto a prenotare un hotel vicino a Taksìm: posizione perfetta!!!!! Da lì infatti, si può intraprendere una lunga e piacevole passeggiata verso il quartiere delle moschee più famose, del Gran Bazar, del mercato delle spezie, del palazzo del Sultano,ecc.., attraversando prima la zona di Galata. O si può scegliere di salire su un bus turistico. O si può prender la metro.
Cibi e bevande: Premetto che non sono una fanatica del mangiare. La carne (sempre speziata), le verdure e alcuni legumi vanno per la maggiore ad Istanbul e sono buoni ovunque. Oltre ai ristoranti veri e propri, ci sono molte tavole calde o fast-food di cucina turca che sono consigliabili per il semplice fatto che i cibi del menù sono tutti in vetrina. In tal modo si può scegliere ciò che più piace basandosi anche sull’aspetto dell’alimento ed evitare di ordinare cose immangiabili (come una zuppa allo yogurt che mi è capitata a tavola per aver letto i piatti in menù). Il thè è la bevanda nazionale, ed è utilizzato con la stessa frequenza del caffè espresso in Italia. Anche a fine pranzo. Posizionati sui ponti cittadini e in mare i pescatori sono sempre in attività, e pare che il pesce sia un’altra ghiottoneria locale. Io non lo mangio, ma il mio partner non lo ha mai scelto perché degli italiani che frequentano tutto l’anno Istanbul per ragioni di lavoro ci hanno detto che il mare del posto, anche per la intensa vita portuale, è altamente inquinato. Inoltre, prima di partire ho letto che ad Istanbul l’acqua non è potabile, per cui ho consumato solo bevande imbottigliate ed evitato sia le bibite con l’aggiunta di ghiaccio, sia l’invitante thè venduto dagli ambulanti. Poche parole voglio spendere poi per i dolci turchi: sono molto usati sformatini fatti da vermicelli di pasta incollati tra loro col miele, che coprono farciture di pistacchi e altre bombe zuccherine; ci sono anche tartine di gelatina, infarinate al cocco o con altre polveri caloriche. Insomma, dopo i primi due assaggi, bisogna dire “basta”: il dolce turco è troppo dolce. Originalissimo ho trovato il gelato artigianale turco, sia per la sua consistenza che per il modo in cui viene venduto: è un gelato gommoso e il gelataio, sempre in abito tradizionale turco, lo serve nel cono mettendo in atto vere e proprie arti da giocoliere, servendosi di un’asta e suonando in fine un campanellino. E’ una grande attrattiva turistica da vedere con i propri occhi per capire il gioco che si crea tra acquirente e gelataio.
Lingua: Ad Istanbul si parlano Turco e Inglese. L’italiano è poco conosciuto. Negli hotel o al Bazar sono conosciute le principali parole di un po’ tutte le lingue europee. Ma la lingua inglese va assolutamente per la maggiore, sia tra i giovani che tra gli anziani.
STRUTTURA DELLA CITTA’, COSA VEDERE
Istanbul è una città unica al mondo, perché costruita su due continenti: Europa e Asia. Come Roma sorge su sette colli; sullo sfondo di cupole, minareti, palazzi importanti. L’attuale area urbana si estende su entrambe le sponde del Bosforo, lo stretto che divide l’Europa dall’Asia e unisce il Mar Nero al Mar di Marmara, e sul Mar di Marmara stesso. Il “Corno d’oro” è il nome del porto naturale nella parte europea ed all’imbocco del Bosforo su cui si affaccia il centro storico. La città ha una parte antica (Sultanahmet ne esprime in assoluto l’essenza) e una nuova al di là del Ponte di Galata, verso Taksìm (dove ci sono hotel, uffici, tantissimi negozi e locali) e Nisantasi (il quadrilatero della moda, quartiere ubicato alle spalle di Taksìm). Leggevo in una rivista specializzata in viaggi che Istanbul si deve visitare in “quindici mosse”: Palazzo Topkapi / a mio avviso il rispettivo parco è grazioso, quanto agli interni invece non ci sono arredi, se non ricchi mosaici alle pareti ( per lo più nell’harem per il quale c’è un ingresso a parte), in quanto il palazzo del sultano è adibito essenzialmente a museo: ospita soprattutto i tesori ricevuti in dono dal sultano, tra cui il diamante più grande del mondo che è di 86 carati, ha la forma di un cucchiaio, conta 56 sfaccettature, ed è circondato da 49 brillanti/ ; Moschea di S. Sofia e Moschea Blu (così chiamata per la caratteristica decorazione a piastrelle di ceramica blu)- che sorgono una di rimpetto all’altra; Cisterna; Gran Bazar (è gigante tra coperto e scoperto, conta 12 ingressi principali e 20 secondari- affari non se ne fanno perché le varie mercanzie costano di più rispetto ad altri punti della città); Moschea di Solimano; Mercato delle Spezie; Torre di Galata; Moschea di Eyup (là si dice che si possono maggiormente vedere i bambini in bianco per la circoncisione), Parco Yldiz, Palazzo Dolmabahse… In verità ne occorrono molte di più. Consiglio a chiunque di non chiudersi solo in questi punti di interesse e di esplorare anche la città in modo esteso grazie ai tours sugli autobus scoperti per turisti. Quello che ho acquistato io prevedeva la visita di tutti i quartieri posti sulla sponda più turistica (Besiktas, Beyoglu, Fatih, Enimonu…) fino ad attraversare il ponte sul Bosforo che collega Istanbul alla sua parte asiatica. Un lungo ponte d’acciaio modernissimo e scenografico, dal quale ci si perde in un panorama sul mare da sogno! I quartieri asiatici, dunque, si trovano sull’altra sponda del Bosforo e sono Uskudar e Kadikoy. Leggevo che ad Uskudar c’è la prima moschea (Sakirim) realizzata da una donna architetto. Il tour ci ha consentito di vedere il Beylerbeyi Palace, residenza estiva dei sultani ottomani, e poche altre cose. In realtà, a parte questo palazzo, la sponda cittadina al di là del Bosforo non è granchè bella. Quello che invece rapisce, oltre al panorama visto sul ponte, è la sensazione di cambiare continente pur continuando a stare nella stessa città. Alla fine del ponte, infatti, si passa attraverso la dogana che segna l’inizio dell’Asia. Un momento indimenticabile per il turista! Non sono molto belle neanche la zona che si trova sul lato turistico, ma più sopra di Sultanahmet, cioè verso “Minia Turk” (un parco di architetture turche in miniatura); o quella che sorge oltre il ponte di Galata, verso il Dolmabahce Palace. Però vale la pena vederle per capire l’anima e lo stile di vita della città a tutto tondo.
Personalmente non dimenticherò mai il passaggio sul Bosforo in Asia; il ponte di Galata dove i pescatori lanciano ininterrottamente le loro canne da pesca, per 24 ore al giorno, e da dove ho ammirato ogni notte la più bella luna della mia vita (bassa sul mare ed arancione al centro del cielo nero); la Moschea di Solimano e il mercato delle spezie; l’onnipresente vespaio umano sulla via, piena di luminarie, che va da Galata a Taksìm. Lungo il viale che conduce da Galata a Taksìm, poi, si può salire su una singolare funicolare dell’800, tutta in legno, messa in funzione quale attrattiva per i turisti.