Viaggio in Inghilterra

Dieci giorni fra attrazioni celebri e meno note del mondo anglosassone

 

Partenza dall’aeroporto di Forlì che raggiungiamo in macchina per lasciare i bagagli e poi, riportata la macchina a casa, mi faccio accompagnare in bici da mio babbo che riporta a casa la mia bici. Bello in aeroporto in bici. Dalla bici ai reattori dell’aereo.

Itinerario

10/8/2007 (venerdì)
Per l’aumento dei controlli facciamo un po’ di fila all’aeroporto di arrivo, Stansted (Londra). Panino italiano e poi ritiriamo la macchina. Una Fiat Punto di classe B pagata come una classe A che avevamo prenotato. Conviene prenotare una piccola classe che poi, se non è disponibile, ti danno quella di classe superiore allo stesso prezzo.
La guida a sinistra non è affatto di approccio semplice. Alla prima rotonda è già panico, ovviamente mascherato. Il vero problema sono le rotonde. Sono un problema già in Italia, figurarsi farle alla rovescio. Comunque tutto bene. Dopo 60 miglia (circa 90 km) fra traffico e lavori in corso, arriviamo a Canterbury. La “Fagiana” (alias Emanuela) si rivela abilissima nelle relazioni con gli indigeni e nell’uso della lingua (niente malignità). Raggiungiamo il nostro primo b&b di pernotto, prenotato dall’Italia dalla mia organizzatrice.
Visitiamo la città con particolare attenzione alla cattedrale che non vediamo all’interno perché già chiusa. Molto bella l’atmosfera che ricorda i romanzi sulla peste nera con i suoi cortili interni, il chiostro e tutti gli archi e le guglie in perfetto gotico inglese. Dei prati molto ben curati e anche i giardini delle case sono pieni di fiori. Passeggiata lungo i bastioni della città e poi proviamo un ristorante pseudo italiano di nome “Pinocchio”.

11/8/2007 (sabato)
Colazione abbondante. In un supermercato ci procuriamo un adattatore per le prese di corrente necessario per potere ricaricare il cellulare, la macchina fotografica e la telecamera.
Per raggiungere Sandwich imbocchiamo una stradina di campagna molto stretta. Ogni volta che incrociamo un auto dobbiamo fermarci, complice anche la mia scarsa stima delle misura guidando alla rovescio.
Raggiungiamo Sandwich. Un paesino tranquillo. Niente di eccezionale a parte due chiese di cui una in rovina. La cosa più bella è la tranquillità, il prato verde e i salici piangenti lungo il fiume. Giganteschi. Dopo un giro per la città in cui io perdo l’orientamento per ritornare alla macchina, ma, incredibilmente risolve la situazione la Manu, puntiamo in direzione di Dover. Lungo le stradine si susseguono case di campagna veramente carine. Molto più belle di quelle di città, anche perché non sono sacrificati in mezzo a strette viuzze. Mi piacerebbe trasportarne una in Italia, soprattutto per i loro giardini.
Arrivati a Dover puntiamo subito al castello che si erge sulla sommità della collina che domina la città. La Manu ottiene di cambiare la tessera turistica che aveva prenotato dall’Italia “Overseas Visitors Pass” dell’English Heritage. Con una cifra forfettaria possiamo entrare in diversi luoghi a pagamento. Le parole di inglese che si imparano aumentano mano a mano che procediamo, soprattutto per merito della curiosità della Manu.
Comincia la visita.
I tunnel del comando inglese durante la II guerra mondiale sono interessanti ma i dettagli raccontati dalla guida inglese, mi sono risultati incomprensibili e pertanto non è stato soddisfacente. Qualcosa di incompiuto. Il castello è molto ben conservato ma nulla di eccezionale. L’interno è molto spoglio, ma la vista di cui si gode dalla sua cima è splendida. In lontananza si vede la Francia al di la del Canale della Manica e alle spalle la campagna del Kent. Mangiamo qualche cosa nel bar del cortile del castello. Prendo un panino con delle rape rosse che non è propriamente eccezionale. Un semplice pane e prosciutto pare una cosa introvabile. Avranno anche conquistato il mondo ma non sanno certamente cosa sia il gusto.
Raggiungiamo il parcheggio delle “White Cliff”, le bianche scogliere di Dover e ci incamminiamo verso le scogliere. Le stesse in cui, come ricorda la Manu, sbarcò Robin Hood nel film con Kevin Costner. Riusciamo ad avere solo un assaggio perché, purtroppo, il tempo stringe e dobbiamo ancora fare diversa strada per arrivare al cottage dove dormire. Riusciamo a vedere solo la parte iniziale perché il percorso è di diversi km e richiede alcune ore. Sicuramente sarebbe stata una passeggiata molto bella per gli scenari di queste bianche scogliere a strapiombo sul mare, ma, purtroppo ci accontenteremo di quel poco che abbiamo percorso. La Manu preleva un pezzettino di roccia, che poi è semplicissimo gesso molto compatto.
Raggiungiamo Rye a cui diamo una occhiatina veloce. Un paesino con un centro storico delizioso. Alcune stradine in salita e i soliti fiori davanti a tutte le case. E’ bellissimo. Nel canale che porta al mare, ci sono diverse barche, ma per effetto della bassa marea sono tutte incagliate. Dagli odori che si sentono in giro, la specialità del locali è il pesce.
Dopo alcune difficoltà arriviamo al cottage che la Manu aveva prenotato. Vicino a Hooe ma in piena campagna. Molto carino. Cena in un pub di campagna molto british.

12/8/2007 (domenica)
Colazione abbondante. Raggiungiamo Battle. Davanti al castello c’è una specie di raduno di vecchie Rover.
Visita al castello, ruderi dell’abbazia benedettina e al luogo della battaglia in cui Guglielmo il Conquistatore, normanno, sconfisse le popolazioni locali, dando inizio alla dominazione normanna dell’isola. L’ultima volta che l’Inghilterra venne invasa e conquistata.
La tessera della Manu si è rivelata un vero affare. Persino lo sconto nel parcheggio.
Raggiungiamo la costa nella località di Beachy Head. Anche qui, scogliere bianche a strapiombo sul mare con verdi prati fino alla sommità. Un bel promontorio che può ricordare i pascoli delle nostre dolomiti. Dedichiamo un po’ di tempo alla contemplazione dell’immensità del mare. Molto bello il faro, tipicamente rosso e bianco che sorge su uno scoglio a breve distanza della costa.
Proseguiamo e, sulla strada costiera, vediamo in un prato una partita di cricket. Tutti vestiti di bianco e molto eleganti. Non sembra nemmeno uno sport.
Le spiagge dell’Atlantico sono di sabbia grossa e molto lunghe e ventose. Moltissimi kyte surf, anche su ruote.
Raggiungiamo verso le 19 la cittadina di Arundel dove prendiamo alloggio in una bella camera a 75 £. Giro per la città e cena al pub “S.Mary Inn”. Molto buono e quiz night. La Manu è entusiasta. Una sorta di quiz per i clienti su vari argomenti a cui partecipano anche in gruppo. 200 £ in palio per chi indovina il maggior numero di risposte. Ovviamente non partecipiamo, ma vorremmo portare l’idea in Italia.

13/8/2007 (lunedì)
Raggiungiamo Stonehenge. Molto bello in mezzo ad un verde promontorio. Peccato per la strada molto frequentata che passa vicino alle rovine che stona un po’ con l’atmosfera mistica che hanno voluto creare. L’uso delle audio guide in italiano permette di apprezzare maggiormente alcuni particolari che altrimenti sfuggirebbero. Giriamo tutto intorno ai pietroni di Stonehenge lasciandoci guidare. L’incognita della funzione originale di tali pietre disposte a circolo, famose in tutto il mondo, e la loro presenza millenaria sul luogo, rendono tutto molto particolare. L’organizzazione turistica è impeccabile.
Raggiungiamo Salisbury, una graziosa città. Un piccolo fiume l’attraversa, l’Avon, per cui l’atmosfera con i ponticelli, le anatre, i cigni e i fiori ovunque, risulta molto gradevole e romantica. Passeggiamo un po’ per il centro e poi raggiungiamo la maestosa cattedrale. Talmente grande e alta (la guglia è 123 metri) che già dalla campagna circostante si vedeva in lontananza. Un richiamo per tutte le popolazioni del circondario.
Diamo una occhiata al chiostro senza entrare propriamente nella cattedrale perché abbiamo poco tempo a disposizione e non vale la pena spendere soldi visto che l’ingresso non è compreso nella tessera dell’Heritage. Vista la giornata abbastanza soleggiata, ci stendiamo per qualche minuto sul prato antistante la cattedrale. Mi piace molto stendermi ed ammirare una piazza o una chiesa. Facciamo qualche foto e leggiamo la descrizione dell’interno e dell’esterno cercando di immaginare il più possibile.
Tira un po’ di vento e la Manu ha freddo a dispetto delle ragazze locali in canottiera e maglietta.
Facciamo un po’ di strada e verso sera prendiamo alloggio in un b&b nel paese di Winterborn Kingsdome. Praticamente una casa in mezzo la campagna. A piedi raggiungiamo il paese in modo da sgranchirci un po’ le gambe e apprezzare maggiormente la tranquillità di questi paesini. Cena nel pub del paese. Molto abbondante, soprattutto il piatto di costine ricoperte di una salsa agrodolce nemmeno malvagia.
Rientriamo al b&b nel buio della notte della campagna inglese.

14/8/2007 (martedì)
sveglia sotto la pioggia e un forte vento. La signora di casa si rivela molto gentile. E’ stata in Italia a Misano Adriatico da alcuni amici di recente e gli è piaciuta molto. Sfido io, da noi c’è anche il sole.
Durante la chiacchierata, scopriamo che per effettuare le telefonate con cellulare italiano in Inghilterra verso numeri fissi inglesi, bisogna fare +44, il prefisso del paese (senza lo 0 iniziale) e poi il numero di telefono. Potrebbe rivelarsi utile.
La signora ci consiglia, quando saremo in Cornovaglia, di andare a visitare l’Eden Garden, vicino a St. Austell, giardino botanico di cui lei è rimasta entusiasta e di cui ci fa vedere anche un libro illustrato. Era originariamente una cava di materiale usato per fare le ceramiche, rilevato da un tale patito per i fiori, che ne ha ricavato delle serre per piante tropicali. Le serre sono una sorta di tetraedi, tipo il pallone da calcio tagliato a metà) dall’aspetto molto spaziale. Le visiteremo solo se avremo tempo. Siamo un po’ preoccupati della difficoltà di trovare alloggio in Cornovaglia, così, anche su consiglio della signora che ci è già stata, andiamo all’ufficio TIC (ufficio turistico) di Blandford Forum per farci trovare un alloggio nella zona dove contiamo di arrivare in serata. Si rivelano molto gentili e dopo un po’ di attesa, durante la quale approfittiamo per fare una passeggiata per il paese, otteniamo quanto volevamo.
Approfittiamo del fatto che piove per fare un bel po’ di strada. Dopo un po’ di chilometri e una deviazione in mezzo a deliziosi paesini a causa del traffico sulla statale, ci fermiamo in una specie di autogrill-motel per mangiare qualche cosa e un caffè. Alcune miglia ed arriviamo al b&b vicino a St. Austell. Non male e come prezzo nella media. Decidiamo di farne il nostro campo base per l’esplorazione della Cornovaglia e così fissiamo la prenotazioni per 3 notti ed evitiamo di sbatterci ogni giorno a cercare una nuova sistemazione.
Raggiungiamo un paesino sul mare chiamato Looe, in modo da sfruttare anche le ultime ore di luce. In un take away provo il famigerato fish and chips. Ordino patatine fritte ed una fishcake. Molto unto, molto male al fegato ma abbastanza buono. Consiglio una assunzione saltuaria. Facciamo un giro sul molo e vediamo in lontananza dei fuochi d’artificio per la serata di ferragosto. Siamo affacciati sull’atlantico e l’atmosfera raccolta del paesino con davanti il mare aperto, è molto bella.
Riceviamo un sms del cicetti per gli auguri di ferragosto in cui tenta di farci invidiare loro che sono rimasti in Italia. Siccome è dalla mattina che non riesco a mandare sms mentre la Manu è riuscita a rispondere all’ sms, cerco di capire che cosa c’è che non va al mio telefono. Dopo una attenta analisi e sfiorando la derisione da parte della Manu, mi accorgo che mi ostinavo ad inviare l’sms ad un telefono fisso. Abbastanza difficile. Al ritorno al b&b ci aspetta un bellissimo film in dvd “Seven”. Essendo in inglese sono giustificato per essermi addormentato.

15/8/2007 (mercoledì)
Dopo colazione, con un tempo estremamente variabile, si parte alla scoperta della Cornovaglia. Raggiungiamo Port Loe, un villaggetto di pescatori su una scogliera, la strada è molto stretta e la speranza è sempre quella di non incrociare macchine nell’opposto senso di marcia. In tal caso bisogna armarsi di pazienza e manovrare finchè non si riesce a passare. Certo che da quando si è smesso di girare con i cavalli, queste strade le potevano pure allargare.
Facciamo una passeggiata sulla scogliera da cui si gode un bel panorama e mangiamo un sacco di more. Strano che crescano su cespugli vicino al sentiero e nessuno le abbia mai raccolte. Alcune sono un po’ acerbe.
Altra strada stretta e raggiungiamo la spiaggia di Carne. Con la bassa marea la spiaggia di Carne diventa molto estesa (di lì a pochi giorni avremmo imparato che è una costante delle spiagge inglesi).
Ci sono diversi surfisti e gente che fa il bagno, nonostante l’acqua freschina. Non è tanto per l’acqua che, al limite, si può sopportare, ma per il fatto che no essendoci un gran sole, per asciugarsi e riscaldarsi dopo il bagno, mi sembra dura. Sono nordici.
Raggiungiamo Lizard. La punta più a sud dell’inghilterra, dopo una sosta di ristoro per l’ormai rituale pranzo “spuntino” spostato alle 16.00, raggiungiamo a piedi la scogliera. Prima ci rechiamo in un parte isolata dal flusso dei turisti e restiamo un po’ ad ammirare la forza e la bellezza dell’oceano. Ci stendiamo su un enorme scoglio. Peccato che ho la macchina fotografica scarica, per cui sono costretto a fare le foto con la telecamera.
Raggiungiamo il più affollato Lizard Point (quello topograficamente segnato come punta meridionale) e scendiamo all’antico scivolo di ammaraggio delle barche dei pescatori.
Ci muoviamo con l’intenzione di fare una visita a St.Ives in modo da impiegare le ultime ore di luce e poi tornare verso il b&b. Facciamo una sosta intermedia lungo la spiaggia in vista di S. Michael’s mount (da non confondere con il suo omonimo francese) per vederlo con la marea alta, visto che l’indomani dovremmo visitarlo con la bassa marea, in modo da raggiungere l’isola a piedi dalla terra ferma. Proprio come facevano i monaci nei tempi passati.
Nel fare un giro in spiaggia per sentire come è l’acqua, la Manu fa male i conti con il moto ondoso e nello “scatto felino” per evitare di mettere i piedi a mollo, incespica e a mollo ci mette pure il sedere.
Peccato non avere avuto la prontezza di riprendere anche la scena. Ovviamente con i vestiti bagnati e senza cambio al seguito, tutti i programmi sono cambiati. Dopo avere chiesto informazioni sull’orario della bassa marea per l’indomani, si torna a casa. Arrivati un po’ tardi ed essendoci attardati per cercare di aggiustare l’adattatore di corrente a cui si era bruciato un fusibile, usciamo per andare a cena sulle 22 ma i locali più vicini hanno ormai la cucina chiusa. Si digiuna: un vantaggio per la linea.

16/8/2007 (giovedì)
Raggiungiamo Land’s End. Il punto più a ovest dell’isola. Niente di eccezionale. Meglio Lizard Point. Lo spettacolo naturale non è male, ma è troppo sistemato per il business turistico. L’unico nota di rilievo è l’avvistamento in mare, a pochi metri dalla costa, di un gruppo di squali di cui, con il binocolo che mi porto fedelmente dietro nella mia attrezzatura da turista, si vedevano benissimo le sagome e, soprattutto, le pinne. Tento una ripresa con la telecamera che non dà risultati eccezionali. Vedremo a casa come sarà venuta.
Raggiungiamo Portchurno (non so se si scrive così). Ovviamente parcheggio a pagamento. I parcheggi diventano una delle voci importanti nel capitolo delle spese. Raggiungiamo, lungo un sentiero, il promontorio che sovrasta le spiagge. C’è la bassa marea e lo spettacolo non è male. Una spiaggia, quella più accessibile, è molto affollata. Dominiamo dall’alto, come osservatori di tutte quelle formichine che animano la spiaggia. Sembra quasi di poterne stabilire i destini. Forse è per questo che i nobili di una volta si posizionavano in alto con le loro dimore, dominando i sudditi dall’alto. Sensazione di dominio, oltre che per scopi difensivi. Mangiamo un “ottimo” panino con formaggio brie e marmellata di mirtilli.
Raggiungiamo Marazion da cui si vede S. Michael’s mount che in questo momento è ancora raggiungibile a piedi per effetto della bassa marea. Ci dobbiamo affrettare perché l’acqua sta salendo rapidamente. All’inizio del sentiero di pietra usato dai monaci per raggiungere la terra ferma durante la bassa marea, ci dobbiamo togliere le scarpe e mettere i sandali perché l’acqua è già oltre la caviglia. Bagnandomi abbastanza i pantaloni, riesco a raggiungere l’altra parte, mentre la Manu torna indietro.
Il rientro è immediato per non trovarmi inguaiato, soprattutto per lo zaino e il resto che mi porto appresso. In realtà esiste anche un servizio di imbarcazioni che quando il passaggio a piedi non è più possibile, fa la spola con la terraferma per riportare i turisti. Meglio evitare questa spesa aggiuntiva. Attendiamo al bar sopra il bastione che l’alta marea faccia il suo corso, per vedere la spiaggia sparire sotto i nostri occhi. La stessa spiaggia in cui ieri la Manu aveva messo il sedere in ammollo.
Arriviamo a Penzance e facciamo un breve giro a piedi approfittando anche per fare un prelievo bancomat per pagare il b&b che accetta solo contanti. Come città non è un granchè, a differenza di St.Ives che raggiungiamo subito dopo.
Un po’ difficile trovare da parcheggiare vicino al centro ma ne vale la pena.
Molto carina, sul mare con tutte le viuzze strette, i negozietti e i ristorantini. Ceniamo e poi passeggiamo fino in fondo al paese in una atmosfera molto vacanziera e arriviamo ad una piazzetta in cui è montato un palco dove c’è un gruppo che suona. La Manu ovviamente è entusiasta; musica e inglese, cosa desiderare di più. Debbo confessare che il contesto e l’atmosfera è piacevole e colpisce anche me. Mi colpisce anche il caffè bollente da asporto che ho difficoltà a sorseggiare vista la temperatura da fusione nucleare.

17/8/2007 (venerdì)
Partenza in direzione nord.
Propongo di vedere una zona della costa che la guida descrive come molto bella. Sembrerebbe che gli scogli formino delle specie di torri di roccia, ma abbiamo difficoltà a trovarla e per non andare troppo fuori rispetto al percorso di massima che ci eravamo dati, decidiamo di rinunciare. Forse il mio “sistema di navigazione “ è ancora addormentato o sta cercando di riprendersi dall’ennesima colazione inglese “all inclusive” che mette ha dura prova il mio fegato. Uova, bacon, fagioli, salsiccia e altro, per una settimana di seguito tutte le mattine…
Arriviamo a Tintagel Castle, il presunto castello natale di Re Artù. Storicamente non è documentato nulla ma comunque serve a fare accorrere flotte di turisti. Lungo la strada abbiamo superato il fiume Camel da cui, presumo, sia nata la leggenda della Camelot di Artù.
Il castello sorge su una scogliera a picco sul mare ma parlare di castello è un po’ esagerato in quanto sono rimaste soprattutto rovine delle mura. Dopo i castelli in ottimo stato che abbiamo incontrato un po’ ovunque, qui bisogna usare la fantasia per immaginare come doveva essere. Per tale motivo quello che rende interessante questo luogo è l’alone di leggenda creata e il paesaggio bellissimo.
Il posto è suggestivo e si rende necessaria una bella camminata per raggiungere le rovine. Camminata e salita di una bella scalinata. Certo che se li sceglievano proprio comodi i luoghi di residenza.
Tornati in paese mangiamo qualche cosa e fotografiamo da fuori l’antico ufficio postale (non dei tempi di Artù) tutto in pietra.
Facciamo un bel tratto di strada in macchina e raggiungiamo la regione del Somerset che, a sentire la guida, è una regione sonnachiosa abitata da agricoltori. Prendiamo alloggio in una spartana camera sopra un pub a Huntspill. Il timore è che gli avventori facciano rumore fino a tardi non lasciandoci dormire. Ci riproponiamo di stare più attenti la prossima volta, ma la nostra paura è infondata in quanto comunque i locali chiudono presto. Tanto presto che quando usciamo per andare a cena dopo avere sistemato le nostre cose, abbiamo serie difficoltà a trovare un posto che ci dia da mangiare. Finiamo in un Mc Donald in un paese vicino.

18/8/2007 (sabato)
Appena partiti in direzione di Bath, visto che piove, ci fermiamo in un centro commerciale chiamato “Clarks”. Facciamo diversi acquisti interessanti fra cui alcune magliette. Di vantaggioso ci sono le attrezzature e abbigliamento per il tempo libero e lo sport. Tuttavia non avendo paragoni con i prezzi italiani non acquisto nulla, anche se al mio rientro quando ho modo di effettuare una comparazione, mi pento di non avere acquistato una giacca da trekking.
Nel pomeriggio raggiungiamo Bath. Visitiamo la cattedrale in cui è in corso una funzione religiosa. Ottima occasione per farci un idea di come si svolgono le loro funzioni. Mi dà l’idea che ci sia molto spazio e attenzione per i canti e per la parte di predica, limitando il momento liturgico rituale all’essenziale.
In giro per la città non visitiamo quello che dovrebbe essere il pezzo forte e cioè le terme romane. La decisione è dovuta a diversi fattori: siamo stanchi, di roba romana siamo pieni anche in Italia e, soprattutto, si paga. Questa è una zona di acque termali già apprezzata dai romani al tempo della loro dominazione che vi avevano, appunto, costruito un insediamento da cui è nata Bath.
Ripartiamo in direzione di Oxford che ci riproponiamo di visitare all’indomani. Stavolta facciamo molta fatica a trovare un alloggio, visto che preferiremmo rimanere fuori dal centro della città. Sistematici nuovamente sopra un pub, ma in una camera migliore della precedente, usciamo e andiamo a cena in un ristorante indiano molto carino. Ovviamente ordiniamo abbastanza a caso. Già è difficile capire un menu normale in inglese, figurarsi quello di un ristorante indiano. Tutto molto buono anche se le salse varie che accompagnano i vari piatti, risultano un po’ pesanti da digerire.

19/8/2007 (domenica)
Sveglia e giro velocissimo per Oxford. Facciamo ancora qualche compera. Tipo una bellissima felpa nera per me con l’immancabile scritta Oxford University. Ci rechiamo nei pressi di quello che dovrebbe esser uno dei più antichi e rinomati fra i tanti college che ci sono in città. Il Christ Church College. Vediamo un po’ di esterno e una parte dei cortili e prati interni. La visita accurata si rivelerebbe troppo lunga e dobbiamo rinunciare.
Ripartiamo in direzione Stansted (l’aeroporto) e nonostante dobbiamo affrontare l’anello stradale che circonda Londra, le indicazioni del mio esperto copilota, ci fanno arrivare a destinazione senza problema. Abbiamo chiuso il cerchio del nostro viaggio. Tornando da dove eravamo partiti dieci giorni prima. Quando arrivo con la macchina all’autonoleggio e supero la sbarra di accesso ho proprio questa sensazione… di avere chiuso un cerchio.
Visto il lungo tempo di attesa per imbarcarci, circa 5 ore, giriamo per l’aeroporto, mangiamo e spendiamo gli ultimi soldi per non portarci sterline in Italia. Diamo una sistemata ai bagagli in termini di dimensioni e pesi, visto che sappiamo che i controlli sono molto rigidi. Al chek in c’è comunque un problema che ci costringe ad un travaso di materiale dalla mia valigia a quella della Manu per rispettare i pesi d’imbarco. Ci fanno buttare le bottiglie d’acqua, togliere le scarpe ed altro, ma alla fine riusciamo ad imbarcarci e alle dieci siamo a Forlì.

 

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