“Oh se tu mi portassi via, sui monti dell'Andalusia...” Esmeralda “Zingara” Notre Dame De Paris
Scegliere un volo Ryanair significa accettare di partire in un giorno che non scegli tu, con il rischio di una levataccia. Bisogna poi stare attenti al peso della valigia che imbarchi e che non può superare i 15 chili, altrimenti c'è una multa salata. Se hai solo il bagaglio a mano, puoi portare un massimo di 10 chili. Tutto sommato, con il senno di poi, si potrebbe anche partire con la valigia praticamente vuota, in Spagna costa tutto molto meno che qua in Italia e si possono acquistare scarpe, cinture, magliette e sciarpe a prezzi davvero molto bassi. Sì, finalmente Spagna, precisamente Andalusia, la terra cantata con nostalgia da Esmeralda in “Notre Dame de Paris”. L'alba accoglie un volo lento e denso di attesa, da Bologna a Siviglia nemmeno tre ore e, all'arrivo, l'applauso di approvazione saluta il comandante e lo ringrazia con il sottofondo di una melodia spagnola, che è già promessa di allegria.Mercoledì 27 aprile 2011: Italia - Spagna
Siviglia è attiva alle 10 del mattino, il sole già ti abbaglia, oltre il vento che soffia intenso di profumi nuovi. Le case bianche hanno porte azzurre e, oltre la soglia, intravedi giardini fioriti e fontane. L'architettura araba conosceva il senso della bellezza e la dolcezza dei sensi esaltata da spazi lenti, dove soffermare lo sguardo e coinvolgere le sensazioni.
L'albergo, dedicato ad uno dei Re Ferdinando della Storia spagnola, è comodo, in centro, dietro la Cattedrale, che emerge, dalle viuzze strette e antiche, intatte di fascino e mistero. Un rapido cambio di abbigliamento, per alleggerirmi un po’ e l'avventura può avere inizio.
Una breve colazione però ci vuole. Lenta, come il cameriere che impiega una buona mezzora a servirti un caffè lungo e pane abbrustolito con marmellata di mele cotogne. Calma, ci vuole calma, ora, la vacanza è negazione dei soliti ritmi e abbandono all'imprevisto, compresi i lunghi tempi d'attesa. Viaggio con Anna, un'amica con la quale ho già avuto occasione di fare un bellissimo viaggio a Cipro, qualche anno fa.
Ci mettiamo in fila per l’Alcazar, la dimora reale. Questo enorme complesso fu costruito, a tappe successive, a partire dal X secolo. E' un capolavoro dell'arte mudéjar. Mi piace molto questo stile sia nell'architettura, sia nella musica, ne avevo già incontrato espressioni quando, anni fa, andai a Toledo. I Reales Alcazares, o Alcazar, poggiano su resti arabi del secolo IX. Pedro I, detto il Crudele (secolo XIV) vi aggiunse la decorazione mudéjar. La muraglia dell’Alcázar racchiude numerose stanze, eleganti saloni, romantici patii e grandi giardini, con elementi arabi e rinascentisti.
Entriamo nell’Alcazar dalla Porta del leone, una porta araba, che sta di fronte alla Cattedrale. É piacevole, durante la fila, ammirare quanto turismo approda a Siviglia, di tutte le nazionalità, a giudicare dal colore della pelle, dei capelli e dall'abbigliamento dei visitatori. Turisti desiderosi di immergersi, come noi, come me, nel cuore dell'Andalusia, per capire la Storia, la musica, l'architettura, la vita di questi luoghi.
Il Palazzo Reale di Siviglia è un tripudio di ricami, archi, archetti, volte e colori. Architetture che intrecciano, come pizzi decorati, le pareti delle stanze, abbracciate da cortili e giardini, tutti brillanti e sfavillanti di fiori, dai mille colori e aromi. Dopo un inverno freddo e una primavera piena di grigio e pioggia, come abbiamo avuto nel Nord Italia, ammirare questi colori e questo cielo fa bene al cuore e nutre la mente. Mi viene voglia di scrivere, ma intanto guardo e memorizzo le emozioni nella mente. Scriverò al mio ritorno. La stanchezza si fa sentire e anche il caldo, dopo tutto sono quasi le due del pomeriggio e lo sbalzo climatico (oltre alla levataccia) sono notevoli.
Usciamo dal Real Alcazar e facciamo un giro nel Barrio de Santa Cruz, l'antico quartiere medievale ebraico, poi occupato dai Cristiani, che scacciarono gli Ebrei alla fine del XIV secolo. E' un dedalo di stradine strette e tortuose, dove ci passano solo i taxi, costeggiando le pareti con abilità tutta loro.
Una tapas è d'obbligo. Qua bisogna subito capirsi con gli orari, si mangia qualcosa verso le ore 15 o 16, poi la sera se proprio non ce la fai a resistere, fai una tapas alle 20, ma la cena è dalle 22 in poi. D'altra parte, già alle 13 ti augurano “Buenas tardes”, che ti dà già l'idea e la prospettiva di tirare tardi... Decidiamo di mangiare qualcosa in un bel localino, dove conosciamo una ragazza italiana, di nome Alessandra. Non so perché, ma dopo due chiacchiere con lei, Alessandra dice che le sembra di conoscermi da sempre, me lo scrive anche sul quaderno azzurro che ho con me per scriverci il diario di viaggio. Il problema è ordinare da mangiare, il cibo è molto elaborato e, per me, abituata a piatti semplici e poco conditi, è un vero problema scegliere qulcosa di adatto al mio stomaco. Mi lascio consigliare da Alessandra. Almeno la cerveza (la birra) è buona e non artefatta. Per il resto, ogni porzione di qualsivoglia cibo, è sormontata da salse, salsine, intingoli, di ogni colore e consistenza, come se il piatto diventasse la tavolozza del pittore e le salse i colori, tutti quanti mescolati tra di loro.
Dopo la tapas del pomeriggio, la siesta è d'obbligo, anche perché la sveglia ha suonato alle 4 stamane, per essere all'aeroporto di Bologna e procedere con le formalità varie dell'imbarco. Nella terrazza dell'hotel sivigliano c'è la piscina e si può anche fare una siesta lassù. Ci sono, come al solito, turisti nordici che si stanno ustionando e stanno diventando rossi, come i fiori di geranio che abbelliscono la terrazza della piscina. Dall'alto, appare già la magnificenza di questa città, così araba nell'architettura e nell'organizzazione degli spazi urbani. Tetti bianchi, ornati di fiori, con tende a proteggere dalla calura e pareti dipinte d'azzurro, patii fioriti che si intravedono appena e piazzette raccolte. Un dipinto dolce e sognante.
Vediamo un po' cosa avevamo programmato di vedere nel pomeriggio... Ah una bella passeggiata lungo il fiume. Bene, ci vestiamo con abiti leggeri, perché si è alzata ancora la temperatura e la passeggiata del pomeriggio è accompagnata da un vento più lieve di quello della mattina. Fa caldo, ma ne abbiamo bisogno. Ci dirigiamo verso la sponda del fiume Guadalquivir, per ammirare il lungofiume. Il traffico è intenso, ma la passeggiata per raggiungere il fiume si snoda attraverso un parco costeggiato da palme e giardini fioriti. Mi chiedo come mai nelle nostre grigie città non si abbia la concezione di abbellire, con parchi e giardini, le passeggiate che costeggiano il centro abitato; sarebbe bello, dopo il lavoro, fare un bel tragitto a piedi tra piante e fiori, magari prendendo l'aperitivo con gli amici all'aperto, senza essere circondati dal nero cemento e dallo smog.
Lungo il fiume incontriamo la Torre dell’oro, costruzione d'origine araba (secolo XIII), che faceva parte dell'antica muraglia. Dopo la scoperta dell'America venivano custodite in questa torre l'oro e le altre ricchezze provenienti dalle colonie, da qui il suo nome. Oggi è sede del Museo Navale.
Sempre lungo il fiume, scatto una foto alla facciata della Plaza de Toros della Real Maestranza De Caballeria de Sevilla. Dentro non ci sono entrata, ma c’è un museo e c’è l’arena, dove si svolgono le corride. L’idea di questo spettacolo mi atterrisce. Me lo fecero vedere anni fa, in un viaggio a Madrid, ne ho avuto abbastanza. Lo so che la Tauromachia è un’arte antica e gli spagnoli l’hanno nel sangue, ma a me la lotta del toro con l’uomo non piace, trovo sia uno spettacolo molto violento, anche perché il toro arriva già ferito nell’arena in quanto, data la sua forza immane, la lotta con l’uomo sarebbe già persa per il torero. Ciò non toglie, tuttavia, che le scuole per imparare questa arte e questa tecnica siano molto vive qua in Spagna, così come gli allevamenti di toro, dato che poi la carne viene cucinata e mangiata. E anche il sangue del toro viene usato per preparare alcuni dolci, che ho accuratamente evitato.
“E c'è in Andalusia, un fiume che mi tocca il cuore!”. Così canta il personaggio di Esmeralda, zingara di origini andaluse, in “Notre Dame de Paris”. In effetti il Guadalquivir è un lungo fiume lento, che ti fa sostare senza tempo e ti restituisce tranquillità. Ma l'umidità è più intensa lungo il fiume, quasi quasi si sta meglio passeggiando in centro storico. Forse perché le case sono refrigerate da questo costante gioco di fontane e giardini interni, forse questo è il segreto per mantenere il fresco anche in città. Mi perdo ad ammirare la bellezza delle facciate delle case e dei balconi fioriti e i colori che dipingono i muri e le finestre rendono questa città un acquerello vivo e gioioso per gli occhi. Siviglia è una lirica che decora le strade, è una musica che suona lungo le architetture bianche e colorate.
Scende la sera, in realtà abbiamo camminato molto e una bella doccia fresca ci prepara ad affrontare la serata. Le distanze di Siviglia non sono terribili, è una città comoda e, se si ha l'albergo in centro, come abbiamo scelto noi, è consentito anche godersi un po' di relax in più. Dopo tutto siamo in vacanza... La notte è calda e il vento si è totalmente fermato. Ci sono sempre molti turisti in centro, abbiamo invece notato che la zona della movida, con locali e popolazione di giovanissimi, si snoda più lungo il fiume. Ma noi questa sera decidiamo di rimanere in centro e precisamente nel Barrio de Santa Cruz, per ammirare le luci dei lampioni nelle stradine e nei locali. Non c'è molta gente, è la settimana successiva alla Semana Santa, la settimana santa che attira molto turismo a Siviglia per le processioni e le cerimonie religiose. Direi quindi che il periodo scelto per la visita a Siviglia è ottimo. Trovato un bel ristorante accogliente, ordiniamo un piatto di paella valenciana, così almeno io non ho problemi di salse e intingoli vari. Anche il vino rosso (vino tinto come lo chiamano qua) è dolce e mi fa venire voglia di ridere.
Ancora una passeggiata ad ammirare il profilo della Cattedrale e della Torre della Giralda di notte. La Torre illuminata di luce sembra un sogno dorato di luci e pizzi, che dall'alto scendono sulla piazza, come un tappeto di pietra ricamata. Non mi sembra ancora vero, sono a Siviglia, mi addormento e il silenzio della notte andalusa accompagna i miei sogni.
Giovedì 28 aprile 2011: Siviglia, la bella
Nella sala colazione dell'albergo c'è una coppia di Modena, precisamente della Bassa modenese. Dicono che sono otto anni che vengono a Siviglia, ogni anno, nella stessa stagione. Con tutto il mondo che c'è da vedere, sempre la stessa città per anni, non lo capisco. A me piace l'idea del viaggio e mi piace cambiare, mi annoierei ad andare nello stesso posto due volte e poi, è inutile, l'emozione della prima volta non ci sarebbe più. Quando rivedi un monumento, una città, un luogo, la seconda volta, non provi lo stesso stupore della prima volta. La mia amica comincia a fare congetture. Forse sono una coppia di amanti clandestini, che si sono conosciuti qua a Siviglia e, ogni anno, vogliono rivivere l'emozione del loro primo incontro. O forse sono marito e moglie che hanno passato qua la luna di miele e siccome sono molto romantici, ogni anno vengono a festeggiare l'anniversario di matrimonio. In ogni caso, questi signori, ormai esperti di Siviglia, ci consigliano il teatro, dove andare a prenotare lo spettacolo di flamenco, che intendiamo vedere. E così, dopo la colazione, mentre io vado a mettermi in fila per fare i biglietti ed entrare nella Cattedrale, Anna va a cercare il teatro per la prenotazione. La coppia della Bassa ci ha detto che non dovrebbe essere molto lontano dalla Cattedrale.
La visita alla Cattedrale di Siviglia ti uccide. E' una costruzione enorme e visitarla tutta richiede circa tre ore. Leggo nella guida questa citazione tratta dal decreto del 1401 del Capitolo della Cattedrale che ordinò la demolizione della precedente Moschea, per costruire la Cattedrale cristiana: “Costruiamo una chiesa così grande, che quelli che la vedranno ci prenderanno per pazzi...”. E, in effetti, ti gira davvero la testa, per tutto quello che c'è dentro: dipinti, ori, argenti, sculture, altari, cappelle, gioielli, corone, arazzi... sembra un complesso museale, più che una chiesa. E poi le navate sono sontuosissime e le cancellate sembra che ti portino sulle nuvole. E' un gotico molto ricco, troppo, io preferisco il romanico più scuro e più spoglio. Dentro, sfarzoso e grandioso, c'è il sepolcro di Cristoforo Colombo. Se rifletto sulle conseguenze della scoperta dell'America, soffro, perché penso ai massacri delle popolazioni dalle origini e dalla lingua antica, sterminati dai conquistatori spagnoli. La Storia è densa di lacrime e sangue e lutti e soprusi, tutto per il potere, prendendo sempre come scusa la religione, strumento di potere. Ma la fede non ha nulla a che vedere con tutto questo e più incontro e studio la Storia, più soffro per la miseria umana, che ancora e sempre continua a ripetere errori e massacri, come se la Storia non fosse esistita, come se non si fosse imparato nulla.
E così nell'architettura. Una costruzione legata ad un'epoca e ad una ideologia, poi viene annientata dalla nuova costruzione, quando la politica e la religione cambiano. Così la Giralda, la torre di Siviglia, costruita verso la fine del XII secolo, era il minareto della Moschea distrutta. Però nella Giralda, le architetture arabe si leggono ancora molto bene e così i colori e i ricami. E' altissima, ben 96 metri e termina con il “girardello” che dà il nome alla torre. Dall'interno della Cattedrale, c'è la possibilità di salire sulla Torre, è meno faticoso di quanto mi aspettassi e ne vale assolutamente la pena, perché mentre si sale, ci sono aperture che fanno apprezzare le meraviglie dell'architettura gotica della Cattedrale molto da vicino e vedi doccioni, pennacchi, contrafforti, un gioco perfetto di intarsi che sembrano scendere dal cielo. E poi dall'alto della Giralda, senza lasciarsi prendere dagli attacchi di vertigine, è una meraviglia godere del panorama della città. E' uno sguardo bianco, che fa scoprire terrazze e piscine e giardini interni alle abitazioni. Vedi persino la sponda del fiume Guadalquivir e anche lo splendido ponte di Santiago Calatrava, costruito in occasione dell'Expo 92, che emerge nella sua leggera purezza bianca. Sembra di essere su un mondo sospeso, tra la terra e la fiaba, tra le nuvole e il disegno.
All'uscita dalla Cattedrale, la fame si fa sentire. Tapas in una trattoria di fronte all'albergo, in centro. Il locale è delizioso e carini sono anche i gestori, ma purtroppo non ordiniamo nulla di digeribile, per cui passiamo poi il pomemiggio con la bocca impastata. Per fortuna che io non ho assaggiato le melanzane fritte, dice la mia amica che le ha digerite il giorno dopo... Così decidiamo di saltare la cena, per far riposare lo stomaco stressato da questi errori alimentari. Ci nutriremo d'arte e di musica.
Ma intanto, dopo una breve siesta nell'ora più calda, nel pomeriggio abbiamo programmato una visita ad un sito originale: il Museo Palacio de la Contesa De Lebrija. Si tratta della casa privata di una nobildonna molto ricca (ora non più in vita), che ha voluto realizzare, nel suo palazzo, un'abitazione originale, con tante stanze a tema: una stanza araba, una con decori cinesi, una portoghese, una fornitissima biblioteca di libri antichi di storia e letteratura e, soprattutto, i pavimenti della villa sono realizzati recuperando alcuni splendidi mosaici, che facevano parte di sontuose domus romane della città monumentale di Italica, la città vicino a Siviglia, dove nacquero gli imperatori romani Traiano e Adriano.
Arrivare a questo palazzo richiede una bella passeggiata che si snoda in una zona di Siviglia piena di negozi eleganti e pittoreschi. I più originali sono i negozi di abiti e accessori per il flamenco. Ci sono abiti coloratissimi, pieni di frappe e fronzoli, con le scarpe abbinate di colore e gli scialli. In uno di questi, una bella signora (di nome Carmen) si sta provando un bellissimo abito sui toni del rosa, accuratamente aiutata da due commesse. Le chiedo l'autorizzazione a scattarle le foto e, in uno spagnolo un po' precario, oso chiederle per quale occasione sta acquistando un abito così prezioso. Capisco che lo indosserà per la Feria, la festa che comincia due settimane dopo la settimana santa e dove si potrà sfilare in costume e ballare il flamenco per le strade e bere e fare le tapas, insomma un divertimento collettivo.
Ci sta anche la visita almeno alla facciata di un altro palazzo interessante di Siviglia: la Casa De Pilatos. La fece costruire alla fine del secolo XV Don Fadrique de Ribera, un marchese che era stato a Gerusalemme e volle ispirarsi al Pretorio di Ponzio Pilato, per questo la casa prende il suo nome. Ma sono oramai le ore 19 e non si può entrare, mi accontento di scattare foto da fuori e con lo zoom anche da lontano. E' davvero una abitazione grandiosa e magnifica. Ma d'altra parte qua a Sivigla e in Spagna in generale, è tutto grande, sontuoso, ricco e pieno di abbellimenti.
Ecco, siamo in albergo a preparaci per il teatro, niente cena, come da programma, stasera vivremo d'arte e di musica. Il teatro Los Gallos è molto piccolo e si riempie subito, la cosa meno piacevole è che sparano un'aria condizionata, che fa rabbrividire tutti. Tranne i nordici che sono abituati al gelo, per cui non si scompongono neppure. Peccato, perché non è una serata afosa e non ci sarebbe bisogno di abbassare tanto la temperatura, forse lo fanno per i dodici ballerini che danzano sopra il palco con tutti quei vestiti e quegli scialli e le acconciature e i cappelli. La musica dal vivo della chitarra di tre artisti denota il loro profondo talento e anche le ballerine sono fantastiche e molto impostate. Arrivano in scena con il dolore stampato sul volto e lo sguardo cupo di angoscia e disperazione. Anche il canto degli uomini, che sembra un lamento lento, ti riporta a tempi di attesa e di devastazione, di guerra e dolore, di lutti e disperazione.
All'uscita dal teatro, una triste sorpresa. Piove e la temperatura si è abbassata parecchio e improvvisamente. E' quasi l'una di notte e fa freddo. In effetti alla televisione avevano annunciato l'arrivo di una perturbazione che avrebbe interessato anche il Sud della Spagna. Speriamo non faccia troppo freddo, domani partiamo alla volta di Granada, la seconda tappa del nostro viaggio in Andalusia.
Venerdì 29 aprile 2011: da Siviglia a Granada.
Questo venerdì mattina Siviglia si sveglia sotto una pioggia scrosciante. C'è un forte calo termico rispetto ai due assolati giorni appena trascorsi in questa splendida città. Ci alziamo con calma e prolunghiamo la colazione, mangiando anche molto. La lentezza ci consente di salutare la simpatica coppia della Bassa Modenese, che ci svela il motivo dei continui viaggi primaverili a Siviglia. No, nulla di quanto avevamo immaginato, nulla di romantico insomma. Hanno una macelleria e vengono in Spagna per lavoro, oltre che per diletto. Di certo vengono anche ad acquistare partite di carne di toro, qua con la mania delle corride, ce ne sono molti di tori uccisi e così la carne viene venduta e cucinata. Insomma è sempre il lavoro che muove le ciurme, o il vil danaro. Anche se a me l'idea di mangiare carne di toro fa inorridire. Ma non la pensano così gli amici macellai, che ci lucrano sopra alla compravendita di carne di toro. D'altra parte come diceva il famoso imperatore romano: “Pecunia non olet...”.
Bene, risistemiamo la valigia e chiamiamo un taxi per farci accompagnare alla stazione dei treni di Siviglia. Proprio dentro agli uffici della stazione, c'è l’ufficio dove dobbiamo recarci per le formalità necessarie a ritirare l'auto che ci porterà a Granada. Fanno un'assicurazione e devi indicare se c'è solo un guidatore o due. In questo secondo caso, bisogna pagare di più. Decidiamo che guida la mia amica e io faccio da navigatore. Mi consegnano la cartina delle strade e perlomeno, sulla carta, la strada per Granada sembra facile. Speriamo di non perderci. Ma intanto dobbiamo andare a recuperare l'auto in un grande parcheggio. Non c'è nessuno che ti aiuta, hai la targa e le devi passare in rassegna tutte, finché eccola là. Una bella Seat Ibiza grigio-metallizzata moderna e superaccessoriata. La radio comincia a cantare, musica spagnola ovviamente. Partiamo! Olè.
Intanto uscire dal traffico di Siviglia non è impresa da poco e poi, appena cinque minuti dopo, mi accorgo che siamo nella strada giusta sì, ma nella direzione opposta. Bisogna cercare di girarsi o rischiamo di arrivare a Gibilterra, non a Granada. Va beh, Anna è una guidatrice provetta e dopo un quarto d'ora siamo sulla diritta via. Sì proprio diritta, poi è interessante perché l'autostrada in Spagna non si paga, così almeno questa spesa non la sopporti.
Il viaggio da Siviglia a Granada dura quasi tre ore, si attraversa la campagna andalusa e vedi le distese di terra rossa e il verde delle colline. La terra è rigogliosa. A mano a mano che ci si avvicina a Granada, le montagne appaiono sempre più evidenti, un panorama spettacolare. Tra una gola e l'altra, ci sono paesini dalle case bianche, sopra le quali spicca in certi casi la chiesa e il campanile, mi sembra di scorgere a volte il minareto. Siamo in una terra che fu occupata per molti secoli dalla popolazione araba e l'architettura mantiene le sue evidenti reminescenze. Accidenti comincia a piovere forte, sempre più forte, il tergicristallo balla come da noi nei temporali di novembre. Che peccato, vengo in Costa del Sol per trovare il sole e mi insegue la pioggia.
Arriviamo a Granada e le indicazioni sono sempre più confuse. Il traffico è immane, là in alto si vedono le indicazioni del centro storico, ma ti fanno sempre girare intorno e non ci sono accessi. Dopo quasi un'ora di ritornello senza tregua attorno alla città, ci fermiamo e cerco di prendere informazioni alla reception di un albergo. Intanto apprendo che l'albergo che abbiamo prenotato è proprio sotto la cattedrale di Granada, per cui arrivarci in auto è impossibile. Consigliano di parcheggiare l'auto in un parcheggio e di chiamare un taxi per farsi portare all'hotel prenotato. É l'unica cosa da fare, oltretutto abbiamo il bagaglio e piove forte. Se sapevamo così, potevamo evitare anche di prendere a nolo l'auto per questi due giorni, dato che da Siviglia a Granada c'è un comodo treno che parte alle 12 e dopo tre ore ti fa arrivare a destinazione. Ma gli imprevisti del viaggio fanno parte del gioco. L'albergo è in un bellissimo edificio liberty, tutto bianco, arredato in stile modernissimo con colori sul nero, arancio e bianco. L'unica cosa è che la finestra dà su un salottino interno dell'hotel, per cui non c'è ricambio d'aria, se non climatizzando. Preferisco le stanze con la finestra che dà sulla strada...
Un riposino e poi ci si indossa tutto quello che si ha, perché a Granada fa freddo, molto anche, le ragazze per strada hanno gli stivali e le giacche imbottite addosso e tutte, al collo, hanno splendide sciarpe colorate. Me ne voglio comprare una così pure io.
Facciamo un giro attorno alla Cattedrale e ci rendiamo conto che la città è molto bella e più sobria di Siviglia, piena di giovani e con piazze e palazzi molto raffinati. Anna è appassionata del poeta Federico Garcia Lorca, che ha abitato a Granada, per cui cerchiamo l'autobus 32 per arrivare alla sua casa-museo. Fa freddo e il vento è pungente. L'autobus non arriva, così per non prendere troppo freddo, fermiamo un taxi. Arriviamo alla casa, che è tutta attorniata da uno splendido parco, impantanato dalla pioggia. Peccato, sarebbe stato molto bello farci una passeggiata... Ma ora mi godo la casa del poeta e della sua famiglia. L'uomo che ci fa i biglietti annuncia che sta nevicando sulla Sierra Nevada e che una perturbazione così fredda era un po' che non si vedeva in Spagna. Affronteremo anche questa nuova avventura La visita guidata comincia alle 18: ci conduce nelle stanze della casa una signora dai capelli rossi che parla solo spagnolo. La cosa è buffa: quando mi parlano in spagnolo, se lentamente, un po' capisco, se invece leggo frasi e parole, non capisco nulla. Anche loro se noi parliamo in italiano capiscono. Si vede che le nostre lingue, avendo una base d'origine simile, rendono comprensibile il senso del discorso. La casa del poeta è piena di cimeli, intatta nel mobilio e nei tappeti (era un famiglia benestante) e c'è ancora il pianoforte che suonava la sorella e locandine delle rappresentazioni teatrali scritte e messe in scena da Federico. Anna conosce la storia della sua vita e ha letto tutte le sue opere, io sto conoscendo un artista di cui avevo solo sentito parlare.
Oramai abbiamo capito la strada, così torniamo all’albergo con un autobus. Il ragazzo della reception ci consiglia un ristorante per la serata, è proprio vicino all'hotel, così non facciamo nemmeno molta strada. Piove sempre. Il ristorante è delizioso, ma i tavoli sono già tutti occupati. Un cameriere gentile ci fa scendere di sotto e scopriamo una sorta di cantina, dove i tavoli sono apparecchiati in modo più elegante. Ci sediamo e ci portano il menù. Non capisco nulla, ma il cameriere gentile mi sente parlare italiano e dice di capire, perché la sua mamma è di origine sarda e conosce l'italiano. Siccome ho freddo, mi consiglia una zuppa calda. Un zuppetta di pollo, che sembra acqua sporca, dove navigano gamberetti e pezzi di prosciutto crudo compatti. Ma cos'è? Va bene, almeno è calda. Però per il secondo, mi faccio portare della carne, ho fame e la zuppetta non mi ha saziato. Il cameriere si chiama Alvaro e, alla fine della cena, ci porta il dolce tipico di Granada, che si chiama Piononos: si tratta di un dolce fatto di panna e crema e mandorle, che pare sia stato inventato per onorare la visita che fece il papa Pio IX in Spagna, non so in che anno. Poi Alvaro vuole che assaggiamo un liquore al miele, anche questo tipico di Granada. Se non mi abbuffo questa sera non lo faccio più, ma in effetti non abbiamo nemmeno pranzato e la fame è tanta. Chiedo ad Alvaro la dedica sul diario di viaggio, ovviamente in spagnolo. Tremo pensando al conto, invece è molto meno di quanto avremmo pagato in un ristorante in Italia per una cena così.
Granada è magica! Uscite dal ristorante, ci facciamo un giro e, anche se piove, l'atmosfera è sublime. La cattedrale è rotonda e giri attorno a questa strana costruzione scoprendo piazzette piene di localini, affollati da giovani tranquilli e sobri, poi le vetrine dei negozi sono illuminate e vedi abiti e scarpe dai colori e dalle forme originali e i prezzi molto bassi. E' una città speciale, i palazzi sono alti ed eleganti e le vie di notte sono illuminate con lampioni ottocenteschi. Che spettacolo, mi piace molto Granada, peccato faccia così freddo. Ma è tempo di andare a dormire, l'indomani ci aspetta la visita all'Alhambra, la meraviglia che, sola, vale il viaggio in Andalusia.
Sabato 30 aprile 2011: L’Alhambra
Bisogna ascoltare la Storia di Granada, per capire l’Alhambra. E’ un capolavoro dell’arte araba, il “castello rosso” (qalat-al-hamrà) pare sia l’unico esempio di complesso medievale musulmano giunto intatto (o quasi) fino a noi. Edificata su una collina di forma allungata, la più elevata della città, nota nel medioevo come “Sabika”, l’Alhambra viene evocata dal poeta Ibn Zamrak (1333-1393) in questi termini “La sabika è una corona che cinge la fronte di Granada e l’Alhambra (che Dio la protegga) è il suo rubino”.
La raffinatezza dell’Alhambra e la sua architettura in perfetta armonia con i giardini e gli specchi d’acqua celebrano a meraviglia la tradizione musulmana dell’Eden coranico. Tuttavia questo capolavoro ha molte contraddizioni, il lusso e la sontuosità delle decorazioni contrastano con la povertà dei materiali utilizzati. Nel Trecento Granada contava circa quarantamila abitanti e l’Alhambra, che era la cittadella reale fortificata, sulla cima della collina che dominava la città da circa 150 metri, ne ospitava 1500, tra membri della corte, soldati della guardia e personale di servizio. La fortezza venne costruita con materiale di rimpiego iberico e romano. Verso il 1240, Muhammad Ibn al-Abhmar I, fondatore della Dinastia dei Nasridi e alleato di Ferdinando III, riedificò l’Alcazaba e la cinta muraria. I successori Yusuf I e Muhammad V, nel Trecento, eressero i Palazzi e le Torri. Il sovrano musulmano di Granada era un vassallo del Re cristiano di Spagna e tra i due Regni intercorrevano continui rapporti, per cui, in quest’epoca, non si parla di scontro tra le due culture che convivono (più o meno). La stessa Alhambra, costruzione araba, presenta contaminazioni architettoniche cristiane. Dopo la “Reconquista”, ad opera dei Re Cattolici Ferdinando D’Aragona e Isabella di Castiglia (1492), gli Arabi vengono sconfitti e cacciati. Carlo V, figlio di Giovanna la Pazza (figlia di Ferdinando e Isabella) e di Filippo I detto “il bello”, scelse l’Alhambra come sua dimora, vi fece costruire anche un suo proprio Palazzo, nel 1526, che però non abitò mai, ma venne inaugurato in occasione del suo matrimonio con Isabella del Portogallo, la più bella principessa dell’Europa. Con la morte di Carlo V, cominciò il degrado dell’Alhambra, culminato nel tentativo dei Francesi di distruggerla, facendola saltare in alto (1812). Grazie allo scrittore americano Washington Irving, che vi abitò, e al suo libro “Racconti dell’Alhambra” (1832), questo magnifico complesso ritornò all’attenzione dei potenti e la regina Isabella II nel 1862 ne ordinò il restauro.
Oggi noi che entriamo nell’Alhambra, abbiamo la sensazione magica di entrare dentro ad un libro di fiabe che si materializza. Così almeno ho provato io, che mi sono lasciata trasportare dai racconti e dalle descrizioni di Marco, il professore che ci ha accompagnato e che ci ha fatto da guida, lungo un tragitto che ha disegnato emozioni assolutamente irripetibili nella mia mente e nel mio cuore.
“Fagli la carità, o donna, perché non c’è nulla di più triste nella vita che esser cieco a Granada”. Questo è un detto popolare iscritto su uno dei muri dell’Alhambra. Si narra che, dopo aver riconsegnato le chiavi della città, Boabdil, ultimo Sovrano nasride, prende la strada dell’esilio. Fermatosi lungo il cammino per lanciare un ultimo sguardo alla sua amata Granada, non riesca a trattenere le lacrime. Sua madre esclama “Piangi come una donna per ciò che non hai saputo conservare come un uomo!” Ma chi non avrebbe pianto al momento di lasciare tanta meraviglia?
La visita parte dal Generalife, ci danno un pass con un numero, piove forte, ma non bisogna bagnarlo, perché ci faranno molti controlli e solo se saremo in possesso di questo pass, potremo passare da un palazzo all’altro. La nostra guida, Marco, ci spiega che l’Alhambra è sotto l’amministrazione e la gestione della soprintendenza di Siviglia e i controlli sono molto acuti. Il nome Generalife deriva da Yannat-al-Arif, che significa “Il giardino dell’architetto”. Questa era la residenza estiva del Sovrano, immersa nei giardini e nei fiori. Venne costruito nel 1319 ed era indipendente dall’Alhambra, era molto vasto e si estendeva sulle colline vicine. In questa residenza, il re moro non esercitava nessuna funzione ufficiale, ma di certo si riposava e si divertiva, in un ambiente paradisiaco, un’oasi di refrigerio e di bellezza assoluta.
Le costruzioni si articolano attorno al Patio de la Acequia (Cortile del Canale). Diviso in quattro zone, da una stretta vasca con gettiti d’acqua e costeggiata da piante, il patio è incorniciato da due padiglioni, collegati da una Galleria, il cui belvedere offre una splendida vista sull’Alhambra.
Il Palazzo di Carlo quinto stona molto nel contesto architettonico dell'Alhambra, pur essendo uno splendido edificio, in realtà rompe la linearità di un complesso di tutt'altro periodo storico e stile. La sua funzione è solo celebrativa, per far vedere al mondo che qua è passato l'imperatore. Infatti nel 1526 l’imperatore Carlo V ordinò di costruire questo palazzo, a fianco dei palazzi Nasridi. Il palazzo venne realizzato da Pedro Machuca, un architetto allievo di Michelangelo e la lezione del Maestro è tutta leggibile. Il cortile interno di questo palazzo, di evidente sobrietà classica, non venne mai completato, manca la cupola a chiusura del cortile. D’altra parte Carlo non abitò mai in questo sontuoso palazzo, che oggi è sede di un Museo.
Granada è l'Alhambra e questo complesso è grandioso, ma urla di dolore. Le lacrime della storia di violenza, guerre, distruzioni,e sottomissioni, si fondono con la pioggia che oggi scende copiosa. E' sabato e se fossi a casa, con una giornata così, me ne resterei in casa al riparo. E invece sono a Granada, all'Alhambra, e nemmeno mi accorgo che piove, tanto mi sembra di essere dentro una fiaba. Fa molto freddo però, la catena della Sierra Nevada è piena di neve, anche se siamo alla fine di aprile. La colonnina segna 12 gradi, praticamente un clima da inverno. Ma il freddo non è pungente come da noi, bisogna essere coperti, ma si resiste.
Marco racconta la storia degli Arabi che hanno conquistato il sud della Spagna, poi sono stati sottomessi dai Cristiani. Ci narra anche dell'amore di Giovanna per Filippo D'Asburgo, definito Il Bello, e della follia per i tradimenti continui del marito. Loca de amor, insomma sarebbe impazzita d'amore. Si sposarono quando lei aveva 17 anni e lui 18, ma il matrimonio durò 10 anni, perché lui a 28 anni mori, dicono di sifilide, dato che aveva avuto una marea di donne e si era ammalato. Non si sa se la povera Giovanna fosse stata o meno contagiata, la Storia non dice nulla, ma in fondo nessuno saprà mai la verità. Neppure della reale, o presunta, pazzia della regina Giovanna. La rinchiusero dentro un castello, dato che sia il padre Ferdinando, sia il consorte Filippo, sia il figlio Carlo V che aveva ambizioni imperiali, avevano tutto l'interesse a dire in giro che Giovanna era pazza, così le avrebbero tolto il potere, dato che la Castiglia era un suo Regno, un lascito della madre Isabella. Se questa era la mira di questi maschi assetati solo di potere, l'alternativa poteva essere solo quella di eliminare Giovanna, di metterla fuori dai giochi, di ucciderla insomma. A mio avviso, dunque, la nostra Giovanna potrebbe anche aver fatto finta di essere pazza, in questo modo nessuno l'ha ammazzata e lei, in fondo, in un qualche modo ha vissuto. Ma sì, mi piace pensare che sia andata così, d'altra parte, nel mondo, dove il potere e l'ambizione accecano le menti e i cuori, anche l'inganno è ammesso, là dove la vita è il solo scopo possibile. Devo vedere la tomba di questa regina, passata alla Storia con questa assurda nomea di ”pazza”. Ma io pregherò per lei, che in fondo ha più fama di tutti coloro che hanno voluto annientarla. In fondo la Storia mi insegna che i soprusi degli uomini sulle donne sono tremendi, non solo fisici, ma anche psicologici.
Nella sala del sultano dell'Alhambra, c'è un meraviglioso soffitto in legno, che simboleggia i sette cieli del paradiso coranico. Si salgono i cieli e quando sei al settimo cielo, sei felice, perché sei vicino a Dio. E in effetti c'è proprio questo detto: “sono al settimo cielo”, per dire che sono felice.
Quando arriviamo alla zona riservata alla Sultana, il nostro professor Marco ci racconta storie davvero macabre e inquietanti. Intanto i musicisti non potevano vedere le donne, per cui dovevano imparare la musica a memoria, poi venivano accecati. Inoltre pare che la Sultana non fosse necessariamente la prima moglie del Sultano, neppure la più bella, ma era colei che aveva partorito il figlio maschio che doveva essere il discendente che avrebbe portato avanti la dinastia. Non è difficile immaginare gli intrighi e le angherie tra le donne stesse, pur di accaparrarsi il privilegio di giacere col Sultano e magari anche storie di aborti procurati e bimbi ammazzati... in fondo là dove vige la regola del potere, purtroppo è ammessa ogni forma di violenza. Anche quella di evirare i maschi destinati a diventare le guardie di questa parte del palazzo. In sintesi, solo il Sultano aveva il diritto di essere e di sentirsi maschio in questa marea, anzi e qui va proprio detto perché il nome viene proprio da qui, in questo “Harem” di donne. La legittimazione era proprio dettata dalla legge e dalla religione. Nella religione cattolica e nel nostro diritto civile, invece, la bigamia costituisce un reato. Anche se la natura umana, senza eccezioni, ha progettato il maschio con velleità poligame e non valgono leggi a vietare siffatta natura. E scusate la dissertazione!
Però una cosa interessante ci ha chiarito il nostro Marco. Nell'Harem le donne non erano solo deputate ai piaceri del sesso, ma dovevano anche essere esperte musiciste, danzatrici, avere doti di buona conversazione e molta fantasia ed ironia. Insomma, il momento in cui il Sultano si dedicava al suo trastullo comprendeva il massimo piacere dell'anima, della mente, dei sensi e del corpo. Molto lontani dai giorni nostri, dove la società di oggi e soprattutto l'abitudine a fare tutto subito e in fretta, hanno fatto dimenticare che amare è un'arte, che richiede perizia e che si pratica con tempo a disposizione e lentezza. E anche qui scusate la mia osservazione!
Una bella riflessione ci viene poi offerta da Marco, il concetto dell'ostentazione, anche qui un concetto arabo antico, tutto opposto al modo di essere di oggi, dove la società è assolutamente di facciata e ci viene richiesto di apparire tutti belli, scattanti, sani e perfetti. Il concetto arabo dell'ostentazione dice che i palazzi fuori sono sobri, semplici, non devono essere abbelliti da fronzoli e ricchezze, ma devono essere puliti e semplici. Dentro però sono ricchi, sontuosi, con decorazioni splendide, spettacolari. E poi non si devono mai rappresentare immagini, mai, neppure l'immagine di Dio. In fondo questo concetto, calato sulla persona, significa che fuori devi mostrarti semplice, ma dentro sei ricco e profondo. In fondo solo Dio ti conosce e solo nel tuo cuore ti devi mostrare ricco di bellezza e d'amore. Questo è un concetto molto bello che, da Granada, mi porto a casa.
Durante la visita guidata all'Alhambra abbiamo conosciuto due magistrati romani in vacanza. Non sapevo che mestiere facessero, così quando mi hanno detto di essere romani, ho fatto una gaffe, ma in buona fede. Ho detto che quando telefono agli uffici pubblici di Roma, non trovo mai nessuno prima di mezzogiorno! Ma non volevo dire che i romani non lavorano, era una battuta, ma loro due sono già in tribunale alle 7 di mattina, una per i processi penali, l'altro a scrivere le sentenze, dato che è magistrato della Corte di Cassazione! Va bene, ci mangiamo qualcosa con loro, che ci raccontano di cosa hanno già visto, dal momento che stanno facendo il giro dell'Andalusia, come noi, ma sono in viaggio da più tempo e sono stati persino a Gibilterra! Poi ci accompagnano al nostro albergo, dove noi ci ritiriamo, un riposino è doveroso, dopo la mattinata in giro per l'Alhambra e dopo tutte le emozioni vissute!
Al pomeriggio visitiamo la cattedrale e poi la cappella reale. Eccoli, sono tutti lì, che giacciono immobili, sotto monumenti grandiosi e opulenti, di marmo bianco di Carrara. I Re cattolici, Ferdinando e Isabella, che hanno dettato le sorti del Mondo, che hanno finanziato la scoperta del nuovo mondo, che hanno inventato la Santa Inquisizione, che hanno fatto massacrare popoli dell'America, che hanno trucidato gli arabi di Granada. In nome della Religione Cattolica. Ma quanto spesso si usa il pretesto della Fede per avere la scusa di sottomettere i popoli? Non spetta a me giudicare, io studio la Storia e a me non resta che piangere, se penso alle guerre e ai soprusi, in nome della religione, ma la religione e la fede non hanno mai previsto la guerra! Guardo il dipinto che ritrae Isabella, era bellissima, con quei capelli lunghi e biondi e ondulati, che tanto assomigliano ai capelli di Lucrezia Borgia. La figlia Giovanna non era bella come la madre. Ma poi ho letto che Isabella muore di cancro all'utero. Vedi come la vita la punisce? Lei ha tanto ucciso con la sua politica e si è ammalata proprio lì dove nasce la vita... e così il bel Filippo ha tanto annullato il patto coniugale tradendo continuamente la moglie con relazioni adulterine, che si ammala di una malattia contratta sessualmente. E' la legge naturale della compensazione dei torti! Esco dalla Cappella Reale un po' sconvolta da tutte queste mie riflessioni.
Prima del tramonto, prendiamo un autobus e saliamo sulla collina che fronteggia l'Alhambra, per fotografarla al meglio. Quassù è molto bello: siamo al Mirador di San Nicolas, ci sono tanti turisti e anche i gitani, con i capelli a truccioli e le chitarre e i flauti. Ci sono tanti giovani, locali e turisti, un arcobaleno di razze, volti, colori, sorrisi. Un dipinto di emozioni. Anna mi scatta una foto con altre tre ragazze sulla terrazza, si vede tutta l'Alhambra. Ecco noi, con i nostri capelli, con i nostri colori, interpretiamo i colori di Granada: l'oro, il rosso, il mogano, il nero. La sera andiamo ancora a cena nel locale di Alvaro, ci ha trattate bene la sera prima, siamo stanche e l'ultima sera a Granada vogliamo una cena speciale, da ricordare... Il vino rosso è fantastico e non piove più.
Lunedì 1 maggio 2011: da Granada a Nerja
Lasciamo Granada, non fa più molto freddo e sta uscendo il sole. Che peccato! Fa anche un pò più caldo dei giorni addietro, ma dobbiamo andare via... La nostra nuova meta è Nerja. Ricomposte le valigie, chiamiamo un taxi che ci porta fino all'imbocco del parcheggio pubblico, dove abbiamo lasciato l'auto in custodia. Anna va a prendere l'auto, mentre io l'attendo con le due valigie. E' il primo maggio e vedo gente che si sta organizzando per i festeggiamenti, qualcuno sta componendo un banchetto con volantini e bandiere ai bordi di una strada, c'è anche un suonatore ambulante, accompagnato da una donna prosperosa, che comincia a suonare la chitarra. Poi però i vigili lo fanno spostare perchè disturba il passeggio. Granada è in festa, è domenica, meno male, la gente ancora dorme, per cui c'è poco traffico in giro.
Recuperata l'auto, Anna vuole vedere il luogo dove è stato ucciso Federico Garcia Lorca. E' in montagna questa località, che andiamo cercando e ci arrampichiamo su stradine contornate da un panorama sempre più verde e sempre più tranquillo e solitario. Siamo a pochi chilometri da Granada, ma lo scenario è antico e magico. Il luogo dove il poeta e drammaturgo Federico Garcia Lorca venne fucilato nel 1936 si trova tra Viznar e Alfacar. Siamo a più di mille metri sul livello del mare, l'aria è frizzantina e pulitissima. Si respira pace e dolore assieme.
Il parco è assolutamente deserto, ci sono maioliche piantate nel terreno che circondano una sorta di anfiteatro e sulle maioliche, in spagnolo, ci sono versi del poeta. Che pace, che solitudine, un luogo di morte, ma che ora è meta solo di pellegrinaggio di chi ama il silenzio e il ricordo. Infatti dopo di noi, poche persone salgono fino al parco, è tarda mattina, il sole è alto e scalda le ossa, un vero beneficio per il cuore, dopo tanta pioggia. E allora prendiamo la strada per cercare di rintracciare le indicazioni per Malaga. Ma qualcosa ci frena di nuovo. Qualcosa di sconvolgente. La catena della Sierra Nevada è lì davanti, tutta bianca e brillante di neve caduta di fresco, così fiabesca da sembrare dipinta. E sotto alla catena montuosa, si abbandonano al silenzio paesini tutti bianchi e antichi e allora pensi di essere stata catapultata dentro ad un racconto, che forse stai scrivendo o forse hai solo immaginato di scrivere, ma che dopo questa emozione, scriverai!
Quando Dio vuole, attraversata una interminabile superstrada, dove i cartelli per Nerja miracolosamente riappaiono, dopo chilometri di assenza assoluta, ecco arriviamo a Malaga, poi lungo la costa si dirotta verso Nerja. Il cielo è coperto e tira un forte vento che pela, il mare, finalmente il mare, è mosso e rumoreggia sugli scogli. A me piace Nerja, è una città araba tutta bianca, ma gli Arabi non ci sono più da un pezzo e ora invasa da Tedeschi e Francesi in vacanza, il target è da 60 anni in su, ma sono turisti pittoreschi, rilassati, ci sono molte coppie che vivono una leggiadra seconda giovinezza, magari si sono trasferiti qua, lasciando per sempre le loro rispettive nazioni grigie e piovose. Ma anche qui però il tempo non promette nulla di nuovo, insomma lasciata Siviglia, siamo un pò sfortunate, sembra che la nuvoletta di Fantozzi ci stia seguendo, o perseguitando...
Pranziamo in un delizioso bar-ristoro gestito da Italiane e finalmente ritrovo i gusti di casa, dopo tanti intingoli estranei alle mie abitudini. I ravioli al ragù. Ma un bel ragù di carne succosa. Wow! Ci serve una ragazza dagli occhi chiari piena di efelidi, di chiama Fabiana, è del nord Italia e lavorava a Milano, ha venduto tutto, si è licenziata e si è trasferita qua a fare la cameriera in un bar di Nerja. Almeno non vede più il grigio e non respira più lo smog e lo stress di Milano. Dice che non ne poteva più. Complimenti per la scelta di vita, coraggiosa ed energica!
Nerja, di sera, sembra la Milano Marittima della Spagna, piena di gente, negozi, locali e gente che esce e si muove a fiumi. Guardo i prezzi dei vestiti e degli accessori e mi accorgo che qua costa tutto molto meno rispetto all'Italia. Peccato avere già la valigia al limite del peso consentito, perchè si potrebbero comprare molte cose carine e a buon mercato! Mi faccio un appunto, se torno in Spagna, mi porto l'essenziale, il resto lo compro là, scarpe comprese.
La cena è in un bel locale andaluso, ma come al solito non capisco i nomi dei piatti, il bel cameriere moro non sa l'Italiano e così ordino a caso, affidandomi alla fortuna... Mi arriva un piatto che sembra un dipinto barocco, pieno di salse e intingoli vari rossi e persino neri, gamberetti che navigano nel sugo di pomodoro e un baccalà rovente, che è sommerso di crema rosa. Speriamo bene... il gusto è accattivante, ma forse il mio stomaco delicato stanotte protesterà. Il vino rossissimo è molto forte, ma è ottimo, anche se dopo mezzora (e ne ho bevuto solo un bicchiere) ho già una emicrania da panico. Non reggo l'alcool di certo, il vino rosso mi piace, ma non lo posso sopportare senza conseguenze. Peccato! Un volta in camera, devo prendere pure un OKI, la mia amica forse soffre di insonnia, accende la tv e si mette a guardare King Kong in spagnolo, mi metto i tappi e cerco di dormire. Ma un grande fragore risveglia l'attenzione, un forte temporale, sembra addirittura una tempesta sul mare, l'albergo in effetti è costruito a picco sul mare e gli spruzzi delle onde così alte arrivano fino alle finestre. Una tempesta vera! Piove tutta la notte.
Martedì 2 maggio 2011: da Nerja a Malaga, verso il ritorno a casa
La mattina la pioggia è cessata, ma l'aria è frizzantina. Sarebbe stato bello trascorrere in piscina, o in spiaggia, l'ultima mattina andalusa e invece non è possibile. Dopo una sontuosa colazione, risistemiamo la valigia e la portiamo in auto. Adesso siamo libere di fare l'ultima passeggiata per Nerja e magari un po' di shopping, per portarci a casa qualche colore estivo. Meglio ancora sostare sulle panchine del balcone d'Europa a guardare il mare in silenzio assaporando il nulla. Che meraviglia il dolce far niente, ti rigenera senza sforzo, ti depura dallo stress. E poi un ultimo pranzo in un bellissimo ristorantino, dove mi mangio un succoso piatto di paella.
Fuori dal locale, sostano due bulli, vestiti come i Fonzie dello stile spagnolo, sono un po' in età, ma dal fisico asciutto e dal volto abbronzato. Bevono una birra dietro l'altra e se ne stanno lì a chiacchierare e a fumare, per ore, senza fare altro. Poi arrivano le loro donne, vestite in modo vistoso, con bei visi scuri e capelli neri. Anche loro non sono giovanissime e mi immagino che sappiano danzare il flamenco, tutti in Andalusia sanno danzare il flamenco, ce l'hanno nel sangue il ritmo e il passo di danza viene loro naturale. Mi piace assistere a queste piccole storie di vita locale, non faccio nulla e la vita del posto mi passa davanti e si commenta da sola.
Ma è ora di partire verso Malaga, dove lasceremo l'auto e prenderemo l'aereo che ci riporterà a casa. Ricomincia a piovere e durante il viaggio verso l'aeroporto di Malaga, questa pioggia è come se accompagnasse una lieve tristezza per la terra che stiamo per lasciare. No, non dimenticherò l'Andalusia, un pezzo del mio cuore resta là, le foto che ho scattato e questo diario, mi riporteranno ogni volta dentro a quel sogno che ho realizzato, se pure per pochi giorni, e dentro alla magia che ho vissuto soprattutto all'Alhambra e, col mio racconto, spero di poter far sognare appena un pochino, anche chi avrà voglia di leggere questo mio resoconto di viaggio.
Daniela Ori