L'articolo si riallaccia alla Prima Parte, dallo stesso titolo, già pubblicata su questo stesso sito.
Itinerario
4° giorno: 19/3/2003
TREKKING GOLA DI GORROPU
Durata: 4 ore circa a/r
Segnaletica: non necessaria, percorso tutto su strada sterrata senza possibilità di errore.
Caratteristiche: sali e scendi continuo senza particolare dislivello su strada sterrata. Nessun problema di orientamento, si costeggiano le pareti del Monte Oddeu sulla destra fino alle pareti della gola. Per addentrarsi all'interno occorre l'uso delle mani, attenzione e capacità di districarsi tra i grandi massi.
E’ una splendida giornata di primavera, e così io e Ste decidiamo di andare finalmente a vedere l’imponente gola di Gorropu, percorrendo il trekking che parte nei pressi del ponte Sa Barva, raggiungibile da una strada alla fine di Dorgali o da una deviazione della S.S. 125 dopo Cala Gonone verso Baunei la quale scende ripidamente sulla destra della vallata. Imbocchiamo quest’ultima, che una volta a valle diventa sterrata e non sempre in buone condizioni. Attraversiamo il piccolo suggestivo ponte sul Flumineddu e svoltiamo a sinistra, seguendo i cartelli che indicano Gorropu; lo stesso bivio sulla destra invece porta al parcheggio per il trekking di Tiscali.
Dopo un centinaio di metri la sterrata continua a peggiorare, e parcheggiamo l’auto in una piazzola. Iniziamo da qua il trekking alle 12, sapendo che ad un passo medio parliamo di un passeggiata di quattro ore per andata e ritorno. Poco più avanti i cartelli segnalano un vero e proprio ampio parcheggio, creato evidentemente per i periodi più “affollati” estivi: oggi invece pare non esserci nessuno! (del resto siamo solo a metà marzo ed in genere qua la stagione turistica inizia da Pasqua in poi).
Una sbarra alzata ma con divieto di accesso ai non addetti impedisce comunque di entrare con la vettura nella sterrata che dà ufficialmente inizio al trekking, e sale costeggiando le alte impressionanti pareti verticali sulla sinistra del Monte Oddeu.
Tra vari sali e scendi, il sentiero rimane lineare senza presentare alcuna difficoltà tecnica o di orientamento, dal momento che non presenta neanche bivi. Si fa giusto sentire l’affaticamento dovuto al caldo di una giornata quasi estiva.
Il panorama spazia sulla sinistra su tutta la vallata, fino alla catena di monti opposta e parallela dove scorre in alto la S.S. 125, in alcuni tratti visibile anche ad occhio nudo. Sostiamo nei pressi di un tornante che mostra un bel colpo d’occhio sul Flumineddu, di cui si intuisce il percorso a serpentina tra la verde vallata giusto per il particolare colore grigio-marrone del filare di alberi che cresce ai lati.
Verso le 13,40 sostiamo una mezz’oretta per il pranzo al sacco, cominciando ad intravedere sullo sfondo le alte pareti che delimitano l’ingresso alla gola. Terminato lo spuntino proseguiamo ancora per una ventina di minuti, arrivando finalmente nei pressi della gola di Gorropu, che diventa ad ogni passo sempre più gigantesca.
La sterrata termina in un ripido sentierino in discesa che obbliga all’appoggio delle mani, dove incontriamo una coppia di simpatici signori inglesi (le uniche persone in tutto il trekking!) dall’apparenza piuttosto provata. Il marito ha ben sessant’anni e confessa che per la sua età queste esperienze iniziano ad essere troppo impegnative… in realtà con una certa invidia mi auguro di arrivare alla sua età potendo fare ancora trekking del genere!
Nonostante i suggerimenti del mio amico e collega Stefano, che ha raccomandato in questo punto di non sbagliare strada stando sulla destra anziché scendere sulla sinistra, commettiamo proprio l’errore di andare dritti giù per i primi laghetti della gola, in quanto le bolle di vernice rossa che passano sulla destra sopra i massi non sono per niente evidenti ed è molto più intuitivo seguire il sentiero che porta giù alle pozze d’acqua.
Arriviamo dunque ai meravigliosi laghetti proprio all’ingresso della gola, che toglie completamente la luce del sole con le sue immense pareti e che in questo primo tratto è ancora molto ampia e non dà l’idea del canyon che segue dopo. Fa parecchio freddo qui, al contrario del soleggiato sentiero sulla sterrata, e anche l’acqua è ovviamente gelida, ma splendidamente trasparente e calma con tonalità di verde che lasciano vedere nitidamente il fondo di qualche metro di altezza. Il luogo è totalmente immerso in una natura incontaminata e sprofonda in un silenzio abissale quasi tetro. Non si può negare in effetti che le mastodontiche pareti verticali che nascondono i raggi del sole, dando un suggestivo effetto di controluce, incutano un certo senso di timore e oppressione di fronte ad un evento naturale così imponente.
Dopo aver scattato qualche foto, cominciamo a ingegnarci per trovare il modo di andare avanti, dal momento che i laghetti impediscono il passaggio e l’unica alternativa è districarsi tra i grandi massi levigati e bianchi. Lascio come prima cosa lo zaino nei pressi del laghetto e mi avventuro con Stefania in mezzo a dei rami di alberi, per poi proseguire cercando i punti migliori per arrampicarci e scavalcare i grossi massi.
Più avanti l’acqua scompare del tutto e la gola comincia a restringersi: adesso si intravede bene l’imboccatura del vero e proprio canyon, ma data l’ora e i massi che diventano più difficoltosi torniamo indietro. E’ qui che ci rendiamo conto, risalendo il sentierino di cui parlavo prima, che sulla destra probabilmente esiste una sorta di percorso ben più facile tra i massi. Le guide parlano del canyon della gola, che comunque termina nei pressi di altri laghetti che obbligano l’uso di corde doppie e di un salto di venti metri. In ogni caso, ormai è troppo tardi anche per arrivare fino là: pazienza, sarà per la prossima volta!
Riprendiamo dunque la sterrata che, dopo due ore, ci riporta al parcheggio e quindi alla piazzola dove abbiamo lasciato l’auto.
5° Giorno: 20/3/2003
S.S. 125 VERSO NORD: MARINA DI OROSEI; CALA LIBEROTTO; CALA GINEPRO; CAPO COMINO; LA CALETTA; POSADA
Dopo la lunga camminata di ieri, oggi optiamo per una giornata più rilassante da trascorrere a mare. Il tempo è splendido e usciamo a fare un po’ di spesa al market (compresa la crema solare!) per poi lasciare Cala Gonone verso le 12, con l’intento di visitare qualche spiaggia sulla costa settentrionale del Golfo facilmente raggiungibile con l’auto.
Al termine dei soliti tornanti e sbucati dalla galleria svoltiamo dunque sulla destra verso Dorgali, continuando la S.S. 125 verso Orosei dove giungiamo in una ventina di minuti. Dal paese si seguono i cartelli e si arriva alla Marina di Orosei, una lunghissima e bella spiaggia di sabbia bianca e pulita. Nonostante in effetti ci sia un vento frescolino, mi riesce difficile credere che in una giornata di sole come questa non si veda una sola persona in spiaggia, anche per fare semplicemente una passeggiata! Camminiamo un po’ tra la sabbia deserta, lasciando le orme come se fossimo i primi ad atterrare sulla luna, scattiamo qualche foto e riprendiamo la marcia sulla S.S. 125 verso una caletta più riparata per pranzare.
Sopra Orosei il paesaggio cambia nettamente dai supramonte: spariscono i massicci rilievi lasciando spazio a modeste colline più dolci ed alla pianura. Dopo una mezz’ora arriviamo a Cala Liberotto, una località tipicamente turistica di villette, hotel e villaggi, la maggior parte ancora chiusi visto che la stagione inizia a Pasqua. Parcheggiamo l’auto alla fine della strada asfaltata che conduce dritti di fronte ad una cala e facciamo un giro di perlustrazione.
La spiaggia di fronte a noi è ancora piena di alghe (sicuramente verrà ripulita con l’arrivo dell’estate), ma sulla sinistra, passando in mezzo ad un bel prato verde con diversi ginepri, si giunge ad un’altra cala, molto più bella della prima e ben riparata, dove decidiamo immediatamente senza indugi di sostare per il pranzo. Scegliamo un piccolo promontorio coperto di macchia mediterranea e qualche ginepro per ristorare, di fronte ad un classico e sempre meraviglioso panorama usuale in Sardegna: l’azzurro del limpido e trasparente mare sottostante, la piccola spiaggia bianca deserta e qualche bella villetta alle spalle. Quale migliore vista per rilassarsi?!
Dopo circa un’ora prendiamo coraggio per lasciare Cala Liberotto e proseguiamo ancora più a Nord, trovando appena un paio di chilometri dopo, praticamente a fianco, Cala Ginepro, che altro non è che la prosecuzione della prima. Questa appare ancora più bella anche se un po’ più esposta al vento. Si arriva passando a lato di un acquitrino e parcheggiando sotto una splendida pineta all’ombra (che in estate col caldo atroce non deve essere davvero niente male!).
Attraversata la pineta a piedi si giunge alla spiaggia di sabbia fine e di un bianco accecante, costellata alle spalle da splendidi esemplari di ginepri dai quali ovviamente prende il nome la stessa cala. Il fondale è bassissimo per parecchie decine di metri oltre la riva ed il mare cristallino, e ancora una volta il posto è del tutto deserto: quale superba idea girare la Sardegna in bassa stagione!
Tornati all’auto prendiamo qualche strada interna, notando diversi splendidi alberghi, qualche campeggio e un’infinità di villette, che fanno ben intendere che in estate questa zona è senz’altro molto vitale ed offre ai turisti una vasta scelta per un indimenticabile soggiorno.
I connotati tipici del Golfo di Orosei sono completamente svaniti, e ormai alle cale aspre e selvagge, circondate da alte pareti e difficili da raggiungere, si sostituiscono ampie spiagge perfettamente organizzate dal punto di vista turistico, ed immerse in un paesaggio già molto simile a quello della più settentrionale Costa Smeralda.
Sbuchiamo nuovamente a Cala Liberotto, riprendiamo la S.S. 125 e proseguiamo ancora a Nord verso la prossima meta che è Capo Comino. La strada passa per l’interno, la costa non si vede più per diversi chilometri ed il panorama è comunque sempre bello e particolare.
Seguiamo i cartelli che indicano la deviazione verso il mare, e ci ritroviamo in una strada secondaria che percorriamo tutta, costeggiando il mare fino alla fine di un piazzale. Siamo decisamente andati troppo avanti, così torniamo indietro dove abbiamo visto delle alte dune di sabbia sullo sfondo: la spiaggia di Capo Comino è proprio qua, anche se nessun cartello in particolare ne indica l’ingresso, e a differenza delle precedenti viste non sembrano esserci alberghi o villaggi turistici nei dintorni.
Lasciamo l’auto in uno spiazzo dove termina la strada asfaltata, di fronte ad una delle entrate della enorme spiaggia. La particolarità è costituita da belle ed alte dune di sabbia e da un litorale lunghissimo, dove finalmente si vede qualcuno che sfrutta questa bellezza e si adopera per una romantica ideale passeggiata prima del tramonto.
Dopo una breve sosta, percorriamo ancora un tratto della S.S. 125 sino a La Caletta, vero e proprio centro abitato e non solo luogo turistico, raggiungendo il mare e l’ennesima splendida spiaggia, dove due uomini scorrazzano liberamente a cavallo mentre scattiamo qualche foto.
L’ultima tappa è Posada, dove siamo appena in tempo per fare un giro nella sorridente cittadina prima di imboccare la S.S. 131, principale via di comunicazione dell’isola che riporta velocemente a Nuoro.
Svoltiamo prima di arrivarci per il bivio di Dorgali e torniamo ai supramonte, fino a Cala Gonone. Prima di arrivare in paese, tentiamo di trovare la strada che porta all’ovile Buchi Arta, dal quale inizia il trekking più corto che raggiunge la codula di Luna e quindi la bellissima cala. La guida di Stefano Ardito parla di una deviazione a mezza costa senza dare nessuna indicazione, probabilmente non è stata ancora aggiornata, ma noi intuiamo che la strada che lui nomina è quella con un bel cartello visibile che porta al Nuraghe Mannu, dove oggi è stato costruito anche un rinomato agriturismo. La imbocchiamo e percorriamo qualche centinaio di metri, fino ad arrivare alla Codula di Fuili, dopodiché torniamo indietro quasi intimoriti da questa strada stretta al calar della luce con uno strapiombo sul lato sinistro da far venire i brividi!
6° Giorno: 21/3/2003
CODULA DI FUILI; ORUNE E SU TEMPIESU
Visto il graditissimo perdurare del bel tempo, ininterrotto dal primo giorno che siamo venuti, partiamo con l’idea di andare a Cala Luna, raggiungendo l’ovile Buchi Arta tramite la strada intravista ieri.
Salendo dal paese, dopo il primo tornante ad “U”, compare la deviazione col cartello Nuraghe Mannu, e dopo qualche centinaio di metri la strada diventa enormemente suggestiva: il manto è appena asfaltato e la larghezza è quella di una sola corsia anche se si percorre a doppio senso. Sulla destra c’è la parete montuosa, con diverse pietre sul fondo stradale che fanno pensare ad una facile erosione e friabilità, e sulla sinistra, senza nessun parapetto, un altissimo burrone strapiomba nella colossale ed impressionante Codula di Fuili. Si vede in lontananza, alla fine della codula, proprio la caletta bianca di Fuili che abbraccia l’azzurro mare: è questo il punto più spettacolare che merita senz’altro qualche scatto fotografico!
Proseguiamo per qualche centinaio di metri, mentre il canyon scompare e la strada diventa sterrata, a tratti parecchio sconnessa. Troviamo dei lavori in corso con operai e ruspe, e chiediamo informazioni. Scopriamo di aver già passato il bivio per l’ovile, che rimane sulla sinistra appena terminata la strada asfaltata, ma purtroppo adesso quel tratto è chiuso proprio per lavori di sistemazione.
Torniamo indietro un po’ delusi e lasciamo Cala Luna optando per un’altra meta che ci incuriosisce: la fonte sacra di Su Tempiesu, descritta molto bene come uno straordinario esemplare dell’archeologia sarda, rimasta intatta e scoperta da poco.
Seguendo le direttive della nostra guida “A piedi in Sardegna Vol.1” e quelle della cartina archeologica sarda dell’ESIT, ci dirigiamo verso la S.S. 131, seguendo però il vecchio ramo parallelo (le due strade sono indifferenti ma scopriamo successivamente che risulta molto più veloce prendere la S.S. 131). Svoltiamo al bivio per Orune, percorrendo una strada piena di curve ma estremamente panoramica che porta al paese dopo una decina di chilometri.
Da lontano il centro abitato pare letteralmente arroccato sulla cima del monte, con una vista dai terrazzi delle case che deve essere a dir poco spettacolare.
Non sappiamo se esista una strada asfaltata che porti dritti alla fonte, dal momento che una guida parla di un bel trekking non segnato per raggiungerla, mentre un’altra nomina una sterrata bianca in condizioni dissestate, che vuol dire, essendo in Sardegna, sicuramente non percorribile senza fuoristrada, mentre nomina in fase di costruzione una nuova strada ancora non finita. In realtà quest’ultima esiste ed è terminata eccome!
Troviamo subito i cartelli per Su Tempiesu all’inizio del paese, che portano ad una strada che scende di quota ancora con parecchie curve, e arriva proprio di fronte ad un caseggiato, ancora in costruzione, sede della cooperativa che gestisce il prezioso monumento.
Lasciamo l’auto e chiediamo informazioni ad un simpatico signore, di nome Peppino, il quale spiega che per giungere alla fonte sacra bisogna percorrere un sentiero di circa 800 metri in discesa (e quindi al ritorno in salita, con questo caldo!). La guida è ancora giù con dei turisti e, vista l’ora (sono le 13), si presume che al ritorno sosti per il pranzo. “Nessun problema” pensiamo, “abbiamo anche noi fame e i nostri bei panini pronti”, ma Peppino insiste per partecipare ad un piccolo banchetto organizzato per la signora tedesca che sta visitando adesso la fonte: mai rifiutare l’ospitalità da queste parti! Così accettiamo volentieri questo cordiale e succulento invito sapendo già di dover gustare le meraviglie culinarie tipiche di queste zone.
Nel frattempo rientra la guida, una giovane e simpatica ragazza che si presenta subito col nome di Maria Grazia. Visitiamo l’interno della cooperativa, appena nata, che prenderà in gestione il monumento per altri due anni. E’ in corso di allestimento una mostra dedicata ai pozzi sacri, dove una ricostruzione in miniatura riprende quello di Santa Cristina e questo appunto di Su Tempiesu, del quale ci anticipa i connotati del tetto in parte scoperchiato. Esiste anche un perfetto calco di un massiccio complesso nuragico, trovato recentemente tra Nuoro e Orani, e che purtroppo è crollato del tutto per cause non proprio naturali…
Si fanno le 14 e siamo pronti per pranzare tutti insieme rimandando la visita alla fonte; conosciamo anche gli altri componenti della cooperativa, e dopo pochi minuti ci ritroviamo tutti seduti allegramente a tavola a chiacchierare del più e del meno, insieme alla signora tedesca (che altro non è che un tour operator intenzionata a portare un po’ di turismo da queste parti) e un cordiale signore che fa da traduttore simultaneo.
L’ospitalità che riceviamo è senza eguali: ci viene offerto a tavola un buonissimo vino rosso (e forte!), prosciutto crudo e salsiccia, nonché l’immancabile pecorino sardo. Tutti i prodotti sono di una bontà esagerata e genuina, esclusivamente fatti in casa e non reperibili in vendita da nessuna parte. La simpatia di Peppino e di tutti i soci della cooperativa lasciano pensare per un attimo di essere proprio come a casa propria, come se ci si conoscesse già da tempo, escludendo ogni remora di imbarazzo o timidezza nel trovarsi in un posto nuovo con gente mai vista prima. Questa è quello che in Sardegna chiamano ospitalità, ed è uno dei valori giustamente riconosciuti che la rendono più fiera e orgogliosa agli occhi del mondo intero: sapori veri e valori genuini, di una terra capace di stupire e sorprendere chiunque abbia la fortuna di visitarla a fondo.
Dopo aver gustato un pranzo come pochi nella mia vita (altro che spuntino, Peppino!), nonché bevuto una dose per me insolita di vino rosso della casa che fa sentire i suoi effetti, possiamo finalmente andare a visitare Su Tempiesu, scendendo con Maria Grazia il piacevole sentiero che riporta un vero e proprio itinerario botanico con la descrizione della flora del posto.
Arriviamo di fronte alla fonte sacra, dove ci viene spiegata la storia di questo prezioso monumento sardo, che presenta soluzioni architettoniche uniche nell’ambito dei templi a pozzo. Fu scoperto per caso nel 1953 dai proprietari del terreno e restaurato negli anni ottanta, ricostruendone il tetto rimasto in parte scoperchiato da una frana. Quest’ultima ha permesso la conservazione della fonte, ricoprendola nell’Età del Ferro e nascondendola all’uomo fino ai giorni nostri. Il tempio è costruito con pietre vulcaniche trasportate da lontano, presenta due singolari archetti monolitici che abbelliscono e rinforzano la pareti interne, e la base ha un lastricato con una fossetta di decantazione che raccoglie le impurità mantenendo l’acqua sempre limpidissima.
Restiamo sbalorditi e attenti da queste preziose delucidazioni di Maria Grazia, dopodiché torniamo indietro, risalendo con non poca fatica il sentiero, appesantiti come non mai dallo squisito pranzo. Scattiamo qualche foto anche alla cooperativa con tutto il simpatico gruppo, per ricordare questa bella e istruttiva giornata ad Orune, per poi salire in auto e rientrare a Cala Gonone.
7° Giorno: 22/3/2003
TREKKING GOLGO - CALA GOLORITZÈ
Accesso: Da Baunei, si sale per l'altopiano del Golgo, si segue la strada e si svolta ad un quadrivio verso destra, seguendo i cartelli per Goloritzè. Si parcheggia l'auto alla fine della sterrata, in prossimità del tabellone in legno che indica l'inizio del trekking.
Durata: 4 ore circa a/r (di sola camminata, senza considerare la sosta alla spiaggia)
Segnaletica: non presente ma non necessaria. Si scende il sentiero di ciottolato per il canalone del Bacu Goloritzè fino al mare.
Caratteristiche: Discreto dislivello che appesantisce il rientro in salita con una forte pendenza. Richiede attenzione la camminata nel sentiero interamente con fondo pietroso che scende fino a mare. Straordinario il paesaggio e fiato sospeso alla visione della cala, sicuramente tra le più suggestive di tutta la Sardegna.
Dopo aver comprato il necessario per un comodo pranzo al sacco, saliamo in auto alle 10 e prendiamo la S.S. 125 che collega Cala Gonone a Baunei. A metà strada, in prossimità di Urzulei, ci fermiamo allo stesso caseificio visto qualche giorno fa con la scritta “Caprino fresco”, e stavolta non lo lasciamo scappare. Acquistiamo una bella forma di due chili e mezzo di squisito caprino Gorropu e lo sistemiamo nella borsa frigo portata apposta per l’occasione (e per evitare che il prezioso formaggio si squagli in una giornata calda come quella di oggi!).
Continuiamo a rimanere stupiti dalla varietà dei bei paesaggi che questa strada regala in soli 46 chilometri di marcia, fino all’arrivo di Baunei, dove saliamo sopra il Golgo, seguendo le indicazioni per Goloritzè al quadrivio dopo una decina di chilometri. Sostiamo verso le pozze di As Piscinas per dare da mangiare a qualche maialino con tutti gli avanzi di pane che abbiamo portato dietro: inizialmente sono un po’ diffidenti, ma una volta lanciati divorano tutto questi furbacchioni!
A mezzogiorno lasciamo l’auto in uno spiazzo a fianco ad un recinto, quasi dove termina la sterrata in prossimità di un cartello in legno che indica l’inizio del trekking per la famosa cala. Inizialmente il sentiero attraversa la vegetazione e tende a salire per una ventina di minuti su un lastricato di ciottoli, rendendo il cammino più faticoso e prudente del normale.
Colpisce subito questo paesaggio semi lunare creato da scorci di tutte queste pietre interminabili, una sull’altra, dove solo i ginepri riescono a crescere contrastando il loro bianco. Il sentiero è univoco e non presenta difficoltà di orientamento (la direzione da seguire è sempre verso nord); in alcuni tratti è letteralmente costruito raggruppando i ciottoli per terra creando caratteristici muretti divisori per seguire una direzione e non perdersi nelle pietraie.
Raggiunta la sommità dell’altopiano inizia la discesa per il Bacu Goloritzè, con una splendida ed ampia vista del canalone e del mare azzurro sullo sfondo. Il sentiero scende ripidamente sempre tra l’imperterrito ciottolato, che incita ad una certa attenzione nei passi e all’obbligo di indossare buone scarpe da trekking. Il mare si avvicina sempre più e si incontrano mano a mano dei suggestivi rifugi di pastori, usati anche per accamparsi la notte, nonché rami e tronchi di alberi secolari in mezzo alla strada che rendono divertente e singolare il trekking.
Il paesaggio intorno è maestoso, superbo, aspro e selvaggio, incredibilmente solitario, con le possenti pareti calcaree del canalone che sovrastano il luogo, piene di grotte, alberi isolati che crescono in posti impossibili, e nel modo più assoluto si riscontra un solo segno di civiltà, esclusi i rifugi dei pastori costruiti nella roccia stessa in modo del tutto naturale.
Attraversiamo ad un certo punto un caratteristico arco di roccia naturale, e proseguendo per una ventina di minuti scorgiamo finalmente la punta dell’Aguglia, un torrione di roccia calcareo alto 120 metri, meta ambita e prediletta dei climbers più sfegatati. Continuiamo a scendere mentre l’Aguglia diventa sempre più alta di fronte a noi; notiamo un’area di sosta con tavolini in legno in prossimità di alcune pareti rientranti, e poco più giù, a fianco dell’Aguglia, rimaniamo estasiati da una bellissima visione della cala di fronte a noi. Purtroppo il tempo si è guastato e in soli dieci minuti si è tutto annuvolato, ma i colori del mare sono parecchio belli anche così.
Prima di arrivare alla ripida scaletta arrangiata nella roccia che scende alla cala, incrociamo due ragazzi che risalgono e tornano indietro, e scopriamo con immenso stupore che sono gli unici due nei dintorni! Con attenzione scendiamo la scala che termina su un pavimento roccioso ed ecco di fronte il mare, con la piccola spiaggia costituita da gioielli di ciottolato minuscoli e levigati.
La visione è straordinaria ed unica nel suo genere e fanno di questa la cala più suggestiva che io conosca qui in Sardegna: sulla sinistra un gruppo di massi delimita il confine della cala, a ridosso delle altissime pareti verticali a nord dove, subito dietro, si trova un’altra mitica spiaggia che è quella di Sisine; di fronte il mare cristallino che, appena esce nuovamente il sole, si colora incredibilmente di tutte le varietà di azzurro possibili ed immaginabili e lascia vedere tutto il fondale per la sua perfetta limpidezza; sulla destra invece si ammira il singolare arco di roccia naturale sul mare, che rende tanto famosa Cala Goloritzè ed è fotografato in tutte le salse in qualunque rivista di spiagge della Sardegna; sul retro infine impressiona notevolmente la vista dell’Aguglia che sovrasta la cala, e che appare, da una certa angolazione della spiaggia, quasi la bocca di un immenso squalo.
Tutti quelli che descrivono questo trekking o anche solo la cala, parlano giustamente di una serie di eventi naturalistici che già da soli valgono il posto, ma che uniti tutti insieme rendono questo luogo unico al mondo: non posso che concordare pienamente aggiungendo che, secondo me, un particolare importante continua ad essere quello della difficoltà nel raggiungere Cala Goloritzè, e nella immensa gioia di poterla condividere con pochi o, in casi fortunati come oggi, addirittura da soli! Se il turismo di massa arrivasse qua la magia di questo posto svanirebbe velocemente e la bellezza ne verrebbe intaccata con le solite impronte di civiltà umana, come già sta avvenendo per Cala Luna.
Dopo 1,40 ore di discesa dunque possiamo finalmente sostare per il pranzo: sistemiamo la mia solita coperta impermeabile per terra, in questo caso sui ciottoli della spiaggia che pur non essendo vera sabbia sono comodissimi, e consumiamo il nostro pranzo al sacco immersi nel pieno relax di un luogo così sorprendente ed incontaminato. Il sole esce nel frattempo nuovamente forte, le nuvole spariscono, il mare si colora magicamente: questo paradiso è tutto solo per noi!
Ci rendiamo presto conto che purtroppo il sole non durerà molto, poiché essendo la cala rivolta verso Est, le alte pareti verticali alle spalle lo oscurano non più tardi delle 15,30. Rimaniamo fin quando la spiaggia non viene coperta dall’ombra, e armati di coraggio risaliamo il sentiero per lo stesso identico percorso.
Il rientro è decisamente più faticoso, in salita con discreta pendenza, per 1,30 ore finché si arriva alla sommità del canalone per immettersi nell’altopiano del Golgo. Altri quindici minuti ci separano dall’auto, che appare in lontananza in mezzo alla piana in uno splendido ampio panorama. Da qua torniamo indietro, esausti ed appagati, a Baunei e quindi a Cala Gonone per la S.S. 125.
A cena optiamo per una classica pizza da asporto, ma l’impresa non è poi tanto facile come sembra pur essendo sabato sera, dal momento che in bassa stagione ristoranti e pizzerie si contano davvero sulle dita di una mano da queste parti. Su consiglio della Sig.ra Tendas, con la quale faccio una simpatica chiacchierata, trovo per fortuna “L’Angolo Blu” in una traversa della strada principale che attraversa il paese e ordino le desiderate pizze.
8° Giorno: 23/3/2003
RIENTRO
Il nostro viaggio termina stamattina, bisogna proprio preparare le valigie, dare una pulita al monolocale della Sig.ra Tendas e sperare di tornare il prima possibile a vedere altre meraviglie che questa zona della Sardegna regala chilometro dopo chilometro. Pranziamo con un bel piatto di penne al pesto genovese e partiamo alle15,10, arrivando dopo 260 chilometri e tre ore esatte di viaggio in auto, finalmente a Cagliari.
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