La stupenda Malaysia, a cavallo fra tradizione e progresso

Splendori e contraddizioni di uno dei Paesi più affascinanti dell’Asia

E’ impagabile l’emozione che si prova nel nuotare pochi metri sopra uno squalo, o nel vedere affiorare di fianco alla propria canoa la testa di una tartaruga marina.
Questi sono solo parte dei momenti e delle immagini che ci ha regalato la Malaysia nel mio secondo viaggio con Cristina.
Come mio solito l’ho preparato da mesi, scovando libri di storia, politica, romanzi, favole e racconti di viaggio, tra i quali abbiamo assunto il diario di Cerruti come nostro motivo ispiratore (G.B. Cerruti: Tra i tagliatori di teste, ed. Ecig).
Sono state tre settimane per immergersi nella cultura malese tra città coloniali, foreste pluviali e immacolate spiagge.Siamo atterrati a Kuala Lumpur di mattina stralunati dal fuso orario, decidendo per questo motivo di prendere un taxi fino all’albergo (per due persone costa poco più del trenino veloce), l’Impiana, molto comodo oltre che pulito, scelto per la vicinanza alla strategica, brulicante e asfissiante stazione degli autobus di Puduraya.
L’impatto con KL non è stato dei migliori e questo non solo per via del fuso.
E’ molto caotica, anche se non è nulla in confronto a Bangkok, e tranne che per poche attrattive, secondo noi non merita grandi attenzioni, visto che in Malesia peninsulare ci sono città con molta più storia e atmosfera.
Come prima cosa abbiamo cercato di organizzarci per visitare il Taman Negara (da più parti indicata come la foresta pluviale più antica al mondo), dato che dall’Italia diversi resort e tour operator locali non hanno mai risposto alle mie e-mail o fax, scoprendo, anzi confermando alcune lacune dal punto di vista organizzativo da parte dei malesi.
Dopo inutili peregrinazioni siamo arrivati al Matic, dove un disponibile impiegato ci ha trovato posto al Nusa Camp (una soluzione rivelatasi ottimale) purtroppo però solo in camerata, perché a suo dire era tutto pieno.
Un po’ delusi dall’idea di dividere la stanza con altre persone, e il bagno con gli insetti del parco, abbiamo concluso la serata al Kaptain Club con Beatrice e Ivo, due amici di Monza che come noi hanno scelto questo paese per trascorrere le proprie ferie.
La mattina seguente, con gli effetti residui del jet-lag ci dirigiamo di buon ora al KLCC per salire sulle Petronas, accorgendoci però che ciò non era abbastanza, visto che ci toccano due ore di coda per prendere il tagliando di ingresso per le 12.30, e meno male che erano le 8 di un giorno infrasettimanale.
Approfittiamo del tempo a disposizione per girovagare per il centro commerciale e i giardini antistanti, da dove si colgono bellissime vedute delle torri. Al terzo piano scoviamo Chocz, l’unico luogo al mondo (per quanto mi riguarda) fuori dall’Italia dove sanno fare un vero caffè espresso. Al quarto, dedicato ai ristoranti, decidiamo di provare il sushi bar, attratti dai cibi che girano sul nastro trasportatore, buoni e molto a buon mercato rispetto agli standard nipponici.
Il resto della giornata lo trascorriamo per i luoghi classici della città: la sopravvalutata vecchia stazione e il Bird Park, che nonostante sia reclamizzato come la più grande voliera al mondo, è costoso e la maggior parte degli uccelli è rinchiusa in piccole gabbie.
Concludiamo il pomeriggio visitando Masjid Jamek, una moschea che dà il meglio di sé vista da lontano, dato che a differenza di quelle dei paesi arabi non ha al suo interno arazzi o mosaici, e soprattutto è priva di quella spiritualità tipica dei luoghi di culto.
E’ possibile entrare a qualsiasi ora, eccetto ovviamente durante le preghiere, con l’unica accortezza, per le donne, di coprirsi braccia e capelli.

La mattina seguente ci troviamo all’Istana Hotel alle 8 con il nostro voucher per il Taman Negara, con il quale ci presentiamo nel tardo pomeriggio dopo un lungo, estenuante ma a tratti affascinante viaggio, tra pullman e barca, alla reception del Nusa Camp.
Ora a mente lucida posso analizzare le offerte e le disponibilità di questo parco nazionale: il Mutiara o Taman Negara Resort è sicuramente il più bello, ma i pacchetti per tre giorni costano 300 dollari, e una struttura così lussuosa stona in mezzo ad una foresta.
Un altro resort ufficiale è il Nusa Camp, sicuramente con meno impatto ambientale (da verificare dopo la costruzione del ristorante a due piani), dove, lontani dal villaggio di Kuala Tahan, ci si può addormentare tra i rumori notturni della foresta, che si materializzano in tutte le possibili forme e colori, se si passa una notte nelle scomode e sporche camerate con bagno all’aperto!
Questo ci è capitato perché da Kuala Lumpur ci hanno venduto solo questi posti letto, e nonostante il Camp non fosse al completo, abbiamo dovuto insistere parecchio per richiedere che ci fosse assegnato uno dei tanti cottage ancora liberi.
Le altre strutture private si trovano nel paese di Kuala Tahan, che però essendo disboscato risulta molto afoso e anche poco attraente.
La maggior parte dei turisti, noi compresi, arriva al Taman Negara con pacchetti completi di pernotto, pasti e tour con guide, cosa che abbiamo apprezzato tantissimo, partecipando ad escursioni con non più di sei persone.
Chi si aspetta di incrociare felini o grossi mammiferi non può che rimanere deluso, anche se noi abbiamo avuto la fortuna di osservare un branco di scimmie, tranquillamente intente a rovistare tra gli avanzi di qualche pasto umano.
Credo superficiale anche fermarsi solo per due notti, considerato che il viaggio da KL occupa mezza giornata.

Su tutti i depliant compare l’emozionante camminata sospesa nel vuoto sul Canopy Walkway.
Sono sicuramente dei passaggi in sicurezza, ma devo ammettere che più di una volta ci siamo chiesti per quali motivo fossimo saliti su quei ponti dondolanti, mentre con il respiro pesante e i piedi incollati alla passerella, cercavamo in tutti i modi di non guardare sotto.
Di altro genere è stato il tubing pomeridiano: mentre scivolavamo dolcemente sul fiume, abbiamo assistito al riappacificante spettacolo della natura che ci circondava e a tratti sembrava avvolgerci, tanto eravamo piccoli, al confronto, all’interno dei nostri gommoncini.
L’eventuale giornata successiva prevede un trekking di qualche ora, che solitamente si conclude nei pressi di una cascata con un ristoratore bagno e l’escursione in una grotta.
Tra le tante, Gua Telinga rappresenta un’emozionante esperienza, ma è indispensabile non soffrire di claustrofobia o aracnofobia (sono giganteschi!) e soprattutto non si deve urlare spaventati dal volo radente dei pipistrelli, altrimenti si potrebbero svegliare tutti…
Queste sono tutte escursioni tra sentieri ben segnalati, per cui teoricamente si potrebbero fare in maniera autonoma, ma da un lato la convenienza economica e dall’altra il fatto che con una guida locale si possono apprezzare piccoli e grossi particolare naturalistici, ci fa propendere per la seconda scelta.
A dir la verità il programma prevede anche un tour notturno alla ricerca degli insetti, o piccoli animali nella boscaglia, ma noi non vi abbiamo partecipato, visto che eravamo stanchissimi e comunque ci era bastata "l’escursione" della prima sera nei bagni all’aperto del Camp.

Il ritorno a Kuala Lumpur è stato traumatico, tanto eravamo abituati ai suoni piacevoli della foresta, specialmente perché ho deciso di affrontare subito gli urlatori della stazione Puduraya.
Il nostro itinerario improvvisato prevede ancora due notti a KL, punto di appoggio per una gita a Melacka; intanto ci riposiamo con una buona cena all’Old China Cafè, un locale ben recensito, curato e in cui si mangia davvero bene (il dolce di riso è stata l’ultima delizia del nostro pasto).
Tornando verso l’albergo veniamo attratti da una vetrina che all’apparenza si nasconde tra le luci serali di Chinatown: già varcando la porta si entra in un’altra dimensione, con la rilassante musica di sottofondo che allontana il fastidioso frastuono del traffico.
E’ un locale per massaggi, si chiama Reborn. Si ispira allo stile di Taiwan e per questo è molto più energico di quelli thailandesi o cambogiani che avevo già provato, però si è rivelato comunque un favoloso toccasana per i nostri piedi.

Abbiamo deciso di visitare Melacka solo in giornata viaggiando con i bus locali, risparmiando tantissimo (8 RM a tratta, mezzi fino alle 22.30), ma scoprendo che chissà per quali motivi non è possibile acquistare il biglietto di andata e ritorno, cosa che ha leggermente scombinato i nostri tempi.
Certo non possiamo dire che abbiamo gustato appieno la città, però in un giorno si riescono a visitare tutti i luoghi di maggior interesse, nonostante il caldo asfissiante nelle ore centrali.
Noi abbiamo seguito quasi alla lettera il percorso ben segnalato anche dalla Lonely Planet, scoprendo e valorizzando una cittadina molto gradevole (anche se la nostra preferita resterà Penang), in cui si può respirare la sua millenaria storia, composta a più riprese da invasioni e colonizzazioni di quasi tutte le potenze mondiali.
A questo proposito abbiamo ritenuto veramente valido il museo (probabilmente il migliore della Malaysia) allestito all’interno dello Stadthuys, mentre non siamo rimasti entusiasti di Harper’s, uno dei migliori ristoranti della città: per la verità, è in ottima posizione e il cibo è buono, ma oltre ad essere costoso non ha nulla a che vedere con la cucina baba nyonya.

Il giorno successivo abbandoniamo finalmente KL, speranzosi di un po’ di sollievo dall’afa e dal rumore per le colline delle Cameron Highlands.
Abbiamo incontrato un po’ di difficoltà a salire sull’autobus, in quanto una sola compagnia viaggia senza scali per le Cameron, la Kurma Bistari sita al counter 39. Siccome questa linea è usata prevalentemente da turisti con lo zaino, e ha solo 4 corse giornaliere, l’impiegato apre la biglietteria a suo piacimento e a volte espone un cartello indicante di rivolgersi al counter adiacente.
Tanah Rata, la tranquilla cittadina più caratteristica delle Highlands, è tutta raccolta attorno alla via principale, costellata di edifici straordinariamente in stile alpino, tanto che se non fosse per gli ideogrammi cinesi, avremmo pensato di essere arrivati in Val d’Aosta.
Anche per la gradevole temperatura di questo periodo, la zona attrae un buon numero di turisti (italiani pochissimi), tanto che ovviamente i prezzi lievitano e noi ci troviamo a strapagare una stanza al Jurina, erroneamente inserito tra la categoria media dalla Lonely Planet, classico esempio di sfruttamento di pubblicità gratuita.
Ci sono diversi ristorantini all’aperto sulla JL Besar, dove la pietanza più gettonata è rappresentata da una pentola a gas, in cui i cibi vengono cucinati e conditi dagli stessi clienti a loro a piacimento, per stare in tema, a mo' di bourguignonne.
Noi ne abbiamo molto apprezzato uno al chiuso, l’Orient, annesso all’omonimo hotel ben poco attraente, in cui le abbondanti e buone portate vanno da 6 a 10 RM.
Chi arriva fin qui è attirato dalla possibilità di visitare le piantagioni di tea o per le passeggiate, ma nella maggior parte dei casi non ci si ferma più di una o due notti.
Una buona soluzione perciò consiste nel partecipare ad un’escursione con una delle tante agenzie in paese che offrono gli stessi servizi allo stesso prezzo.
Per 15 Ringitt si partecipa ad una gita di mezza giornata per visitare le attrattive principali della zona, tra cui meritano una menzione il Sam Poh Temple, che nonostante le piccole dimensioni conserva una sua spiritualità, e ovviamente una delle diverse Tea Farm, sebbene la cosa che ci ha fatto più impressione è stato il rettilario con i più giganteschi insetti e ragni che si possano immaginare.
Sono molto interessanti anche i classici sentieri della zona, noi abbiamo percorso in autonomia il 9 e 9A che ci hanno fatto spuntare dopo più di un’ora di trekking nella foresta nel mezzo di un campo di ortaggi durante l’innaffiamento.
Da Tanah Rata con la solita e unica compagnia ci sono dei collegamenti giornalieri con KL e Penang via Ipoh, attraverso due strade, la nuova e più breve delle quali permette di raggiungerla in 5 ore.

Avevo letto molto su Penang, non fosse altro che è stata la città che ha accolto le gesta del nostro eroe Cerruti, ma non mi sarei mai aspettato che l’avremmo trovata così interessante.
E’ indubbiamente quella a più influenza cinese, con i templi e palazzi più curati della Malaysia.
L’esempio secondo noi più rappresentativo è stata la Cheong Tze Fatt Mansion, non fosse altro perché ci abbiamo alloggiato.
L’ambiente, sebbene restaurato, cosa che gli ha permesso di ricevere un premio UNESCO, mantiene un fascino particolare e tutte le stanze sono curate nei minimi particolari, spaziose ed accoglienti, e cosa di non poco conto rappresentano un affare dal punto di vista economico (232 RM con colazione), comparate con alberghi di livello di molto inferiore in questa e in altre città.
La casa, che fornisce un bel colpo d’occhio tanto è circondata e assediata da moderni alberghi e grattacieli, è stata realizzata da un facoltoso uomo d’affari nato 150 anni fa, passato alla storia come il primo capitalista cinese, che ne ha fatto la sua residenza principale.
Tutto ha un preciso disegno, anche la sua posizione, che non è parallela alla strada, ma segue la direzione del flusso dell’energia vitale.
La tenuta molto ampia, che comprendeva anche il bar e il ristorante indiano ora sorti sulla strada di fronte, è stato salvata dal degrado dopo la morte dell’ultimo nipote del 1989 e riportata agli antichi splendori.
E’ stata anche teatro nel 1993 del film premio Oscar “Indochina”, durante le cui riprese è stata dipinta di rosso, costringendo i restauratori ad un ulteriore sforzo per riportarla al suo originale colore, che le ha valso il soprannome di China Blue o The Blue Mansion.
In generale comunque Penang è una cittadina molto piacevole, nella quale la cosa che più colpisce, è l’armonia. Offre notevoli spunti di interesse storico, figlia di un crocevia di culture e religioni millenarie.
Bastano pochissimi passi in una strada, la Jalad Masjid Kaptain Keling per rendersene conto: mentre un delicato profumo si leva dai bastoncini di incenso che bruciano nel tempio della Misericordia e il grido del muezzin risuona nell’adiacente moschea Kaptain Keling, le note di un inno sacro escono dalla St George Church, in cima all’incrocio.
Tutto questo quando dall’altra parte del marciapiede un risciò è fermo davanti al tempio hindù di Sri Mariamman, adornato da coloratissime ghirlande di fiori.
Fosse tutto il mondo come questa Strada dell’Armonia…

Abbiamo deciso di fermarci solo una notte a Penang sfruttando il bus notturno per Kota Bharu direzione spiagge e in questo momento siamo nel cortile interno del Cheng Fatt Tze a gustarci una buona colazione organizzando la giornata.
Impegniamo la mattinata tra i dintorni di Georgetown, visitando il Tempio dei Serpenti e l’immenso e spirituale Kek Lok Si Temple, probabilmente il più bello di tutta la Malaysia, accompagnati da un taxi pagato la bellezza di 60 RM per l’intera gita.
Il pomeriggio ci regala un acquazzone tropicale che ci fa sostare più del necessario nel deludente Penang Museum, di molto inferiore rispetto ad esempio all’analogo di Melacka.
Abbiamo notato, purtroppo, che in questi musei viene completamente cancellata la storia pre-coloniale, quasi che si voglia dimenticare la cultura aborigena dei proto-malesi.
Un peccato per Capitan Cerruti che nei suoi diari ha mirabilmente (e spassosamente) narrato lo stile di vita dei temutissimi tagliatori di teste e esperti di veleni quali erano i Sakai.
Tra le cose che vogliamo segnalare di questa città è l’ottimo ristorante che serve le tipiche specialità della cucina Nyonya: è il Mama’s in Abu Siti Lane 31D, ad est del centro, nella zona residenziale e delle multinazionali tecnologiche.
Eravamo gli unici stranieri del locale, per lo più frequentato da malesi benestanti, per cui ci siamo fatti consigliare dalla cameriera, grazie alla quale abbiamo potuto assaggiare il TAU YU BAK (pezzi di maiale arrosto in salsa scurissima), il JIU HU CHAR (varie verdure speziate da avvolgere in una foglia di insalata), oltre al classicissimo CURRY CAPTAIN, non spendendo comunque più di 10 RM a portata.

Stanchissimi e assonnati affrontiamo l’ultima parte del viaggio sul freddissimo, ma comodo, autobus della Etika Express che serve la tratta notturna per Kota Bharu e Kuala Terennganu.
Il risveglio nel Kelantan ci riserva però l’unico evento spiacevole, in quanto siamo stati partecipi della solita querelle spilla-soldi.
L’autista dell’autobus si era offerto di portarci, con pagamento in nero, al molo del jetty per 10 ringitt a testa, ma al capolinea siamo stati costretti a scendere da sedicenti tassisti che ci hanno condotti per la stessa cifra al molo dove avevano la commissione, sicuri del fatto che alle 5.30 del mattino si ha poco potere per contrattare.
Siamo così arrivai a Tok Bali al molo della Simphony Tour, da dove si parte per le Perhentian allo stesso prezzo delle società concorrenti (60 RM a/r), ma la cosa che ha dato a me più fastidio è stato appunto il fatto di non avere alternative a questo sistema mafioso.

Ma anche questo passa velocemente nel dimenticatoio quando all’orizzonte si intravedono le sagome delle meravigliose Perhentian, una coppia di isole che non fatico a riconoscere come quelle con il mare più bello che abbia mai visto.
Secondo noi è uno dei quei luoghi al mondo ancora non completamente fagocitati dal turismo di massa, anche se corrono un serio pericolo, visto il sovraffollato tratto di spiaggia del Perhentian Island Resort e del Coral View.
Noi abbiamo scelto il Tunabay, prenotato dall’Italia senza agenzie, cosa che consiglio di fare nei periodi di massimo afflusso, dato che l’isola è frequentata anche dalla popolazione locale e da chi proviene da Singapore.
Il Tuna è un grazioso resort molto curato di fronte ad una vivacissima barriera corallina, dove, come accade in tutta l’isola, abbiamo abbandonato felicemente le scarpe e le infradito nella valigia per una settimana, essendo vietato usarle nelle zone comuni.
Le attrazioni principali dell’isola, oltre che il riposo con un libro all’ombra delle palme, sono le escursioni in mare; chi come noi non possiede il brevetto per le immersioni, può partecipare a gite di qualche ora che permettono di tuffarsi in uno splendido mare cristallino dove non è raro incontrare pesci napoleone, testuggini, barracuda e squali.
Incontrarne uno è stato per me il coronamento di un piccolo sogno, un desiderio che avevo fin da ragazzo, quando guardavo gli irraggiungibili documentari di D. Attenborough.
Questo magnifico animale mi ha regalato una breve ma maestosa danza prima di allontanarsi, diventando un piccolo puntino, nel blu cobalto dei miei ricordi.
Purtroppo l’isola offre anche la sua immagine peggiore, quella del dio denaro che la sta neanche tanto lentamente portando alla rovina: la sede del parco marino, in un palazzo di 3 piani in cemento (!!) desolatamente vuoto, non controlla i motoscafi che attraversano il reef con l’elica del motore accesa.
Alcuni turisti non sono da meno quando rincorrono le tartarughe per dare loro una pacca sulla corazza, o quando ordinano carne di squalo al ristorante o peggio quando da ignoranti incivili camminano con le pinne sui coralli… veramente un peccato distruggere questo paradiso.
Sono state comunque delle rilassanti giornate che ci siamo piacevolmente dedicati, passeggiando sulla sabbia al tramonto, o cercando le stelle cadenti in un mare di scintillanti luci nel cielo, o semplicemente scegliendo il pesce, fresco, che ci avrebbero servito per cena.

Voglio concludere raccontando la particolare scena cui abbiamo assistito l’ultimo giorno all’aeroporto di Kota Bharu,il cui gigantesco hub è fin troppo esagerato rispetto alla minuscola, tranquilla e rurale cittadina.
L’interno del terminal era addobbato, e un lungo tappeto giallo steso a mo' di passerella divideva nettamente un numero considerevole di funzionari pubblici elegantissimi, dalle loro mogli, anche loro ben vestite; tutto preannunciava chissà quale evento.
Ciò era confermato dall’arrivo di pattuglie della polizia su ogni mezzo motorizzato, tanto che credo che in quei momenti i criminali abbiano potuto scorazzare impunemente per la città.
L’aria non era grave e pesante, quasi che si stesse assistendo ad una festa.
Questa, passatemi il termine, pantomima si è scoperta essere un’uscita pubblica del figlio del Sultano del Kelantan che, tra inchini e salamelecchi degli astanti, accompagnava sua madre a prendere un aereo…
Tutta questa situazione mi ha dato l’impressione di profusione di sfarzo e di spreco di denaro da parte di una nazione che probabilmente ostenta più di quanto si possa permettere (la crisi finanziaria di qualche anno fa ne è un esempio), sebbene insieme a Singapore rappresenti un’isola felice in una zona depressa del mondo.
Sicuramente le enormi riserve naturali sono di aiuto per un Paese che aspira ad entrare nella cerchia dei più ricchi della Terra, ma è indubbio che una politica spregiudicata verso il territorio non può avere grande futuro.
La discussione può diventare molto complessa, d’altra parte ha ragione anche l’ex primo ministro Mathair Mohammed, il padre padrone della Malaysia moderna per oltre un ventennio.
In una delle sue memorabili filippiche puntava il dito contro l’Occidente, reo di accusare nazioni povere di disboscare foreste per creare reddito, quando comunque questi stati che coprono il 20% del pianeta utilizzano l’80% delle risorse.
Anche questo è Malesia, terra di avventurieri veri ed inventati, un paese pieno di contraddizioni abitato pacificamente da un miscuglio di razze e di culture apparentemente incompatibili.
Selamat Jalan Malaysia, Terima Kasih.

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