Che grande regalo di nozze: l’Australia! - 2

La seconda parte di un magnifico viaggio nella “land of Oz”

Il resoconto è il seguito dell’articolo dallo stesso titolo nel quale è narrata la prima parte, riguardante gli Stati meridionali, del nostro viaggio di un mese attraverso l’Australia.DIARIO DI VIAGGIO

Giovedì 18 settembre
VOLO DA ADELAIDE AD AYERS ROCK VIA ALICE SPRINGS
Lasciamo la macchina all’aeroporto di Adelaide, il contachilometri segna 1830 km in più rispetto a quando l’abbiamo presa.
Ci imbarchiamo sul volo per Alice Springs, per ripartire subito verso Ayers Rock. Un piccolo problema all’impianto di condizionamento dell’aereo ci farà ritardare la coincidenza di un paio d’ore. Dimentichiamo il disguido appena dal finestrino scorgiamo il monolito che si avvicina nel pieno del suo splendore! Si eleva dalla boscaglia arida del deserto con i suoi 348 metri d’altezza e il suo colore rosso che lo ha reso famoso, le cui gradazioni variano nell’arco della giornata al variare dell’intensità dei raggi del sole.
In aeroporto ritiriamo la nuova auto, che è esattamente identica alla precedente. Finalmente sentiamo il sole e il caldo sulla pelle e possiamo eliminare giubbotti e felpe, sostituendoli con T-shirt e sandali.
Andiamo direttamente verso Uluru (così si chiama Ayers Rock in lingua aborigena) senza neppure sistemare le nostre cose in albergo. Paghiamo l’ingresso al parco: con 16.25$ a testa abbiamo diritto di entrare per tre giorni, dall’alba al tramonto.
Per prima cosa visitiamo il Centro culturale aborigeno: una galleria di immagini racconta le ragioni per cui il luogo è sacro per la gente del posto e spiega alcuni dei loro principi fondamentali di vita. Uluru è il “luogo sacro dei sogni”, dove il “Tempo del sogno” è il tempo dei primordi della creazione, in cui dalla terra emersero gli Esseri Ancestrali per popolarla e modellarla. Loro crearono piante, animali e tribù. Al Tempo del sogno Uluru era solo una collina di sabbia, ma dopo la creazione assunse la forma attuale. Le pieghe verticali, i pozzi d’acqua alla base, le macchie di licheni non sono che la testimonianza della presenza a quel tempo di animali mitici.
Annessa al centro culturale si trova una rivendita di oggetti di artigianato aborigeno e approfittiamo per acquistare un paio di boomerang del tipo però che non ritorna.
Sono già le 16.30 e decidiamo di rimanere fino al tramonto rimandando l’arrivo in hotel.
Percorriamo un paio di volte l’intero percorso alla base della montagna, ammirando ogni sua sfaccettatura, da tutti i possibili punti di vista. Rinunciamo alla salita per rispetto alla volontà di chi lo considera un luogo sacro e chiede di evitare quella che per loro sarebbe una profanazione. Lo spettacolo è meraviglioso, la roccia ha colori e forme davvero unici, bisogna vederla per capire ciò che a parole è difficile descrivere.
Verso le 18 raggiungiamo il punto dedicato all’osservazione di Uluru al momento del tramonto, il Sunset Lookout.
Il parcheggio è già colmo di macchine, furgoni, camper, station wagon pittoresche e ricolme dei bagagli e delle attrezzature più svariate, per non parlare della quantità di pullman, ai quali è riservata un’apposita aerea del piazzale, venuti qui ad ammirare lo spettacolo della montagna che cambia colore.
E’ già fantastico vedere questa moltitudine di gente di tutto il mondo qui radunata, fa un effetto strano! In questo momento mi sento veramente partecipe di qualcosa di grandioso. Ci sono anch’io in mezzo ad australiani, giapponesi, europei, aborigeni. Siamo partiti da ogni angolo del pianeta e dopo aver percorso migliaia di chilometri ci ritroviamo tutti qui desiderosi di assistere allo stesso tramonto.
Il sole si abbassa e il monolito comincia a cambiare colore. Passa attraverso tutte le sfumature del rosso, dell’arancio, del viola proprio sotto i nostri occhi. Siamo talmente appagati da quest’esperienza da convincerci ad alzarci all’alba e ripeterla al sorgere del sole.
Adesso possiamo recarci all’Ayers Rock Resort, l’unica struttura ricettiva del posto, che offre al suo interno diversi tipi di sistemazione: un campeggio, un lussuoso residence, due hotel, due piscine e negozi di vario genere.
Noi siamo sistemati all’Outback Pioneer Hotel. Prima di fare qualsiasi altra cosa vogliamo cenare! Diamo un’occhiata in giro e scegliamo di farci il nostro barbecue. Compriamo la carne al banco, possiamo scegliere tra emu, coccodrillo, canguro, pesce, ma preferiamo andare sul sicuro con un bel filetto e una T-bone steak. Nel prezzo della carne è compreso anche il libero accesso al buffet delle insalate. Ci cuociamo la carne sulla piastra a nostro gradimento e il risultato è davvero ottimo!
La musica dal vivo ci coinvolge in un’atmosfera decisamente particolare: siamo in mezzo a persone di tutte le nazionalità, tra cui spicca un originale giapponese rasta, che cenano allo stesso tavolo in mezzo al deserto!
Oggi siamo entrati nello stato del Northern Territory che occupa un sesto dell’intera superficie australiana ed è abitato da meno di 200 mila persone.
Questa è una delle poche zone della terra in cui si possono ammirare bellezze naturali tuttora intatte, che si presentano come erano prima dell’era glaciale. C’è una tale varietà di animali e piante endemiche da essere stati dichiarati dall’Unesco Patrimonio dell’umanità.
Tutto lo stato offre paesaggi di una bellezza unica, ricchi di contrasti: si passa dal bush al deserto, alla vegetazione tropicale.
E gli australiani sanno bene quale è il valore di ciò che li circonda e sono estremamente rispettosi del loro ambiente e impongono anche a chi viene da fuori le loro regole di tutela e salvaguardia dell’ambiente, pur non privandolo della possibilità di viverlo pienamente.

Venerdì 19 settembre
AYERS ROCK – OLGAS – KINGS CANYON (Km 310)
Come programmato, ci alziamo prima dell’alba per avere il tempo di raggiungere il Sunrise Lookout. La sveglia suona alle 5.30, il tempo di vestirci e incolonnarci alle altre auto che lasciano il resort per la stessa destinazione.
Lo spettacolo di ieri sera si ripete, questa volta dalla parte opposta della roccia. I colori sono più rosa rispetto al tramonto, ma una piccola parte di poesia viene a mancare quando una marea di gente, in prevalenza giapponesi scende dagli autobus, dotata di seggioline da campeggio e scatole-kit per la colazione e “invade” l’area di osservazione.
Certo la mattina fa freschino e la felpa non è certo di troppo!
Restiamo qui finché il sole è alto nel cielo, quindi torniamo al resort per prendere le valigie e procurarci il necessario per la colazione e il pranzo.
Al supermarket troviamo muffin, succhi di frutta, pane, frutta, formaggio e l’indispensabile acqua. I prezzi non sono esattamente bassi, ma considerato che siamo in mezzo al deserto non possiamo di certo lamentarci!
Torniamo all’interno del parco diretti questa volta ai Monti Olgas (Kata Tjuta in aborigeno) a circa 50 chilometri dall’ingresso del parco. Il significato della parola Kata Tjuta è “tante teste” e proprio a tante teste che emergono dall’acqua assomiglia questa roccia formata da 36 cupole risultato dell’erosione del vento e della sabbia di un monolito simile a Uluru. Ci limitiamo ad ammirare il posto dal punto panoramico che si trova lungo la strada, per poi avvicinarci fino ai piedi della montagna.
Non percorriamo a piedi il percorso ad anello alla base della montagna consigliato, preferendo metterci subito in cammino attraverso il deserto per raggiungere Kings Canyon nel pomeriggio.
Percorriamo la Luritja Road e 30 km circa prima di Kings Canyon, in corrispondenza di King’s Creek, un cartello ci segnala la possibilità di effettuare voli panoramici in elicottero a 35$. Visto che stranamente sto guidando io decido di fermarmi a dare un’occhiatina.
Il volo da 35$ dura circa tre minuti e si limita a sorvolare l’area sovrastante. Per compiere il giro completo sul canyon ne occorrono 175. Visto che come al solito in questi casi l’unica interessata alla cosa sono io, decido di rimandare la decisione a domani, quando ripasseremo di qui per dirigerci ad Alice Springs.
Intanto per oggi prendiamo possesso della stanza al Kings Canyon Resort, il fratello quasi gemello dell’Ayers Rock Resort, solo un po’ più piccolo e meno fornito di negozi e trascorriamo il resto del pomeriggio sul bordo della piscina. L’unica attività di rilievo sarà caricare la lavatrice!
L’acqua gelida della piscina ci ha un po’ rinfrescati dopo la calura del giorno e siamo pronti per la cena.
Il clima qui è decisamente diverso da quello dei giorni scorsi: il sole è sempre presente e la temperatura si aggira intono ai 35°C. L’aria è secca e il caldo si sopporta abbastanza bene, basta rifornirsi a sufficienza di acqua durante tutta la giornata.
Le possibilità per la cena non sono molte e non avendo prenotato il ristorante non ci resta che dirigerci verso l’unica alternativa: l’outback BBQ. Non troviamo il divertimento di ieri sera: qui la carne la portano in tavola già cotta. La qualità non è delle migliori, ma il simpatico spettacolo offerto da una coppia di cantanti-intrattenitori che coinvolge tutta la sala nel loro show riesce a farci trascorrere proprio una bella serata!.
Certo lì per lì non ci si fa caso, ma a rifletterci un momento in questo posto si è proprio isolati dal resto del mondo. In mezzo a tanta gente non ci si pensa, ma basta fermarsi un momento a pensare e ci si accorge che a parte il resort non esiste un centro abitato nel raggio di 350 km, non c’è aeroporto né tantomeno un taxi e i cellulari non prendono. Non si può scappare facilmente! E’ davvero una sensazione strana per noi che siamo abituati a vivere in un paese così densamente popolato.

Sabato 20 settembre
KINGS CANYON – ALICE SPRINGS (km. 450)
La mattinata di oggi è dedicata alla camminata che porta in cima alla cresta di Kings Canyon. Partiamo piuttosto presto, per evitare le ore più calde della giornata.
Kings Canyon è il più grande e spettacolare canyon d’Australia, caratterizzato da una profonda gola e da pareti di roccia stratificata ed erosa dal colore rosso fuoco alte più di 300 metri che si affacciano su un panorama mozzafiato!
Alle 8.15 siamo già ai piedi della montagna. L’escursione inizia con una scalinata molto ripida ma non molto lunga scavata nella roccia che conduce fino in cima alla cresta del canyon. Dopo di che il sentiero prosegue praticamente in piano con qualche saliscendi per sei chilometri. Per tutto il tempo costeggiamo lo strapiombo che cade a picco sul deserto e sulla foresta sottostanti con pareti verticali colorate di rosso, bianco e nero a seconda della storia che hanno subito. La vista è assicurata… almeno per chi non soffre di vertigini.
Il sentiero che ci ha portati qui attraverso roccia e vegetazione seccata dal sole e dal vento prosegue per un tratto con una scalinata di legno che scende fino ad un’oasi, formata da un ruscello e da fitta vegetazione, dove un simpatico uccellino ci allieta con un buffissimo canto, la attraversa e risale sull’altra sponda. Quindi comincia la discesa che ci riporta al parcheggio.
Per compiere tutto il percorso abbiamo impiegato due ore e 40, avanzando con estrema calma; forse le guide esagerano un po’ a indicare come tempo di percorrenza tra le tre e le quattro ore. Purtroppo non abbiamo avuto incontri con animali locali. Mi sarebbe piaciuto incontrare un bel varano: abbiamo sentito dai racconti che è molto facile avvistarli quassù, ma forse Fabio è più contento così!
Se decidete di intraprendere questa camminata non dimenticate di portare molta acqua, un berretto e un buon paio di scarpe. In alternativa potete dedicarvi al percorso di un chilometro che gira attorno alla base del canyon, ma a parere mio non si fa tanta strada per perdersi uno spettacolo simile!
Alle 11.30 siamo pronti per affrontare i 450 km che ci separano da Alice Springs. Cominciamo davvero ora il viaggio attraverso il deserto, che andando avanti diventa sempre più arido e secco.
Non potendo affrontare la strada sterrata che ci risparmierebbe un bel po’ di chilometri a causa delle condizioni con cui abbiamo noleggiato l’auto, torniamo sulla Lasseter Highway e proseguiamo verso est per 110 km fino ad immetterci sulla famosissima Stuart Highway, la principale direttrice che congiunge Adelaide a Darwin attraversando in linea quasi retta chilometri di arido deserto ricoperto di terra rossa e bassa vegetazione che ci fanno provare il senso dell’immensità senza confini!
A questo proposito se potete noleggiate in questa parte dell'Australia un veicolo a quattro ruote motrici: vi divertirete sicuramente un sacco senza rischiare di incorrere in problemi con l’assicurazione!
Appena svoltato ecco i primi road train, gli enormi camion merci che si trascinano tre o quattro rimorchi attraverso il deserto, e che costituiscono una delle caratteristiche del posto.
Passiamo dritti anche in prossimità dei voli in elicottero… ho deciso che mi limiterò all’esperienza della mongolfiera ad Alice Springs.
La radio non riceve alcuna frequenza e i telefoni continuano a non avere segnale! Per fortuna sono molte le auto che percorrono la nostra strada in entrambe le direzioni.
All’incrocio tra la Lasseter e la Stuart incontriamo la Erldunda Roadhouse, dove ci fermiamo qualche minuto. E’ una roadhouse molto grande, possiede molte pompe di benzina, una postazione internet e un recinto con moltissimi emu. Noi approfittiamo per mangiarci un gelato, tanto per combattere la temperatura infuocata che ci ha accolti scendendo dall’auto.
Finalmente vediamo qualcosa che ci ricorda la civiltà: un cartello sulla strada segnala che da questo punto in poi è possibile ricevere frequenze radio, comincia anche la linea elettrica, poi la ferrovia, finché nei pressi della città ritroviamo case, negozi, parcheggi.
Visto anche che in molti tratti nel deserto non esistono limiti di velocità arriviamo ad Alice Springs piuttosto presto e alle 16 entriamo già nella nostra camera all’Aurora Alice Springs.
Purtroppo un forte mal di testa mi mette KO fino al tardo pomeriggio, quando usciamo in esplorazione della città, ma è tardi e come in tutta l’Australia i negozi sono già chiusi.
Abbiamo il tempo per una passeggiata sul Todd Mall e per cercare un posto dove cenare. Casualmente ci imbattiamo nel famoso Bojangles, un saloon ristorante segnalato in altri diari di viaggio e su molte guide. L’atmosfera è davvero coinvolgente: quasi un museo dell’outback, pieno di pelli di animali, tra cui quella di un coccodrillo di 4 metri e suppellettili varie appartenenti alla storia dei pionieri d’Australia. Dalle 21 all’una viene persino realizzato un programma in diretta radiofonica.
Il cibo è davvero ottimo e il personale molto carino. Per non parlare della fantastica idea di mettere nel centro della sala una botte piena di noccioline a cui si può liberamente attingere in attesa della cena. D’obbligo gettare le bucce delle arachidi sul pavimento!
Alice Springs si trova presso il Tropico del Capricorno, al centro del continente e del deserto ed è l’unica città nel raggio di centinaia di chilometri. Nacque nel 1872 come deposito sulla nuova linea telegrafica e divenne in breve tempo centro commerciale. Qui arrivavano le carovane di dromedari che portavano cibo e materiali dal sud-est.
Con i suoi 27 mila abitanti è la seconda città del Northern Territory e rappresenta il punto di partenza ideale per la visita del Red Centre.
Il cuore della città è rappresentato dal Todd Mall, la zona pedonale ricca di negozi e ristoranti e di tantissime agenzie che organizzano i tour nel Red Centre.
Questa è anche la più famosa città dell’outback, pervasa dalla storia dei pionieri, dalla cultura aborigena e da colori vibranti e arido paesaggio.
Da Alice Springs parte anche il Ghan, il mitico treno che percorre il tragitto fino ad Adelaide sulla nuova linea ferroviaria ricostruita sul tracciato che risale all’epoca dei pionieri. Ora ci stiamo un po’ pentendo di non essere arrivati qui da Adelaide con il treno, ma tutto sommato qualcosa ci deve pur rimanere per la prossima volta!

Domenica 21 settembre
ALICE SPRINGS
Finalmente una mattina senza sveglia! Ciò nonostante alle 7.30 siamo già in piedi. E’ domenica e molti esercizi sono chiusi, mentre i restanti fanno orario ridotto. Usciamo sul Todd Mall per fare colazione e con grande sorpresa troviamo il mercato. Le guide riportano come data di riferimento per il mercato cittadino la seconda domenica mattina del mese. Questa è in effetti la terza, meglio così, non si sa se le indicazioni siano sbagliate o solo non aggiornate, fatto sta che possiamo fare un giro tra le bancarelle che propongono cibo, artigianato aborigeno, abbigliamento, dischi e oggetti di ogni genere. Troviamo un banco che vende cappelli originali australiani e ne compriamo subito due in pelle di canguro, visto che il prezzo è molto conveniente (circa il 40% in meno) rispetto a quanto abbiamo visto fino a ora nei negozi.
Dopo aver fatto colazione ci mettiamo in macchina alla volta del Desert Park, un parco pochi chilometri a sud della città, al cui interno sono ricostruiti tre ambienti tipici del deserto: la riva dei fiumi (da queste parti quasi sempre asciutti!), l’ambiente sabbioso e l’ambiente delle foreste, oltre ad un acquario, alla “nocturnal house” e a vari teatri, aree di presentazione dove vengono proposti, ad orari stabiliti, spettacoli con gli animali.
All’ingresso ci consegnano la mappa del parco corredata dagli orari delle presentazioni e degli spettacoli: tra dieci minuti comincia una rappresentazione nel Nature Theatre. Ci rechiamo sul posto dove ci fanno accomodare ordinatamente sugli spalti di un piccolo teatro all’aperto sovrastato da un tendone bianco che ci ripara dal sole. Un ranger ci racconta la vita e le abitudini delle specie di uccelli che popolano questa zona. Mentre lui parla una civetta, un falco e tre aquile compaiono a turno dal cielo e vengono ad esibirsi proprio sopra le nostre teste, rispondendo alle istruzioni del ranger. E’ davvero bello!
Proseguiamo attraverso il parco per le prossime due ore. Il percorso a piedi di circa 1600 metri ci porta tra canguri ed emu in libertà, decine di uccelli, alcuni all’interno della Nocturnal house. Il caldo si fa sempre più insistente, non so quanta acqua stiamo bevendo in questi giorni! Chiudiamo la visita al parco con il film “A changing heart”: su uno schermo gigante viene ripercorsa l’evoluzione dei deserti australiani e il conseguente cambiamento dei panorami nel corso degli ultimi 4500 anni.
Usciti dal parco ci troviamo già di strada per il National Road Hall of Fame, un museo-collezione di auto, autobus e camion d’epoca. Alcuni esemplari sono ancora in attesa di ristrutturazione, mentre altri sono perfettamente rimessi a nuovo. Ci sono anche alcuni tra i primi esemplari di road train, la principale ragione per la nostra visita al museo, ai quali non manchiamo di scattare le dovute foto!
E’ ora di pranzo e il caldo è diventato insopportabile, torniamo sul Todd Mall in cerca di un posto dove mangiare qualcosa, possibilmente dotato di aria condizionata.
Prima di sederci ai tavolini di un “Eat in or take away” per un hamburger facciamo un giretto in un paio di negozi di souvenir mentre le ultime bancarelle del mercato fanno su la loro roba.
Da quando siamo partiti uno dei desideri più forti è quello di fare il giro in mongolfiera sul deserto. E questa è l’occasione giusta: entriamo in una delle tante agenzie e prenotiamo il volo per domani mattina. A essere precisi volerò solo io, mentre Fabio mi accompagnerà e parteciperà alla colazione. Per il prezzo speciale (ci dicono valido solo per domani) di 200$ avremo un volo e due colazioni nel deserto!
Nel pomeriggio ci dedichiamo alla visita della vecchia stazione telegrafica. A soli 2 km. dal centro di Alice Springs si può visitare la stazione del telegrafo, costruita nel 1871 e restaurata di recente.
Sulla via del ritorno ci fermiamo alla School of the Air. Essendo domenica non sono in programma lezioni, ma attraverso un filmato, la registrazione di una lezione e la visita alla postazione di trasmissione ci facciamo un’idea di come possono seguire le lezioni scolastiche i bambini che abitano le case più isolate del deserto. E’ chiamata la classe più grande del mondo: dal lunedì al venerdì le lezioni raggiungono migliaia di bambini sparsi su un territorio di 1.3 milioni di kmq. Per molti di loro è l’unico contatto con il mondo esterno e gli insegnanti si alternano alla radio e insegnano i bambini a leggere e a scrivere, conversando con loro e correggendo i compiti via radio!
Verso sera saliamo ad ammirare il tramonto su Anzac Hill. Dalla cima di questa collina raggiungibile a piedi o in auto si può godere di un bel panorama sulla città che appare molto verde e ordinata ed è resa ancora più bella dalla luce del sole che cala.
Unica nota negativa del posto è stata vedere lo stato in cui si trovano a vivere gli aborigeni della zona. Fino ad ora ne avevamo incontrato qualcuno solo ad Ayers Rock. Qui ce ne sono molti e per lo più vagano scalzi e mal vestiti giorno e notte, quando molti di loro si riducono a girovagare completamente annebbiati dall’alcol.
Non abbiamo avuto modo di approfondire la loro conoscenza, possiamo però dire sulla base di un paio di episodi che ci sono sembrati alquanto cortesi e carini. In fondo è dalle piccole cose che si vede la grandezza del cuore delle persone.

Lunedì 22 settembre
ALICE SPRINGS – TENNANT CREEK (Km. 504)
La sveglia suona alle quattro stamattina, mentre alle 4.30 arriverà a prenderci il pulmino per la gita in mongolfiera.
Puntuali ci dirigiamo a sud della città percorrendo qualche chilometro sulla Stuart per poi deviare su una strada non asfaltata che ci conduce in mezzo al deserto. E’ ancora notte fonda quando, dopo un consulto tecnico tra i driver delle mongolfiere che voleranno questa mattina in merito a venti e condizioni meteo, i membri dell’equipaggio con l’aiuto di tutti i partecipanti scaricano dai carrelli i cesti e dispiegano sul terreno il pallone.
La cesta viene abbattuta su un fianco e il pallone disteso sulla sabbia. Un compressore inizia a soffiare aria nel pallone fino a riempirlo circa per metà, quindi il pilota comincia a dare fuoco: l’aria si scalda e piano piano il pallone comincia ad alzarsi riportando il cesto in posizione verticale.
Possiamo salire. Un breve briefing sulle posizioni da mantenere durante l’atterraggio e uno alla volta ci infiliamo nella cesta. La mongolfiera comincia ad alzarsi da terra. E’ una sensazione diversa da quella che si prova a volare con i mezzi più tradizionali: sembra di essere immersi nell’ovatta, non si avverte alcun movimento, nessun sobbalzo o turbolenza. Stiamo letteralmente fluttuando nell’aria, saliamo e scendiamo lentamente con tanta dolcezza da dover guardare in basso per rendersi conto che ci si sta muovendo... se non fosse per il forte calore che emana la fiamma!
Dall'alto il territorio sottostante, fitto di bassa vegetazione, è solcato da piste di terra che corrono dritte e si incrociano tra loro, dirette non si sa dove.
La luce comincia a rischiarare il cielo da dietro le montagne e dall’alto possiamo vedere la meravigliosa alba in mezzo al deserto, mentre sotto di noi sfila un branco di dromedari. Il volo dura circa mezz’ora, quindi atterriamo a qualche chilometro di distanza dal punto di partenza. Ad attenderci c’è il resto dell’equipaggio che ci ha seguiti da terra con i pullmini. Fabio è con loro e mi ha confessato di aver avuto più paura andando a 100 all’ora con loro in mezzo agli arbusti che se fosse venuto in mongolfiera! Secondo me si è un po’ pentito, ma tanto non lo ammetterà mai!
Al termine del volo è di nuovo richiesta la collaborazione di tutti per sgonfiare, ripiegare e riporre il pallone, cosa che comporta una gran sudata e un bagno nella sabbia rossa!
E’ proprio ora di fare colazione. Sono le sette e ci viene offerta la champagne breakfast calda: champagne locale, buono anche se molto più leggero e aromatizzato del nostro, cosce di pollo arrosto, quiche di verdure, formaggio, frutta, torta al cioccolato, succo d’arancia e caffè. Proprio niente male! E’ l’equipaggio stesso a servirci dopo aver sistemato una serie di sgabelli tutti intorno alla tavola imbandita. Un modo davvero originale per iniziare la giornata!
Alle nove siamo di ritorno in albergo, abbiamo il tempo sufficiente per una doccia e un ultimo giro a caccia di souvenir prima di intraprendere i 504 km che ci separano da Tennant Creek, dove pernotteremo stanotte.
Lungo la strada ci fermiamo a curiosare in due roadhouses. La prima, Barrow Creek, da fuori non sembra niente di particolare. All’interno invece tutte le pareti sono rivestite di banconote, fotografie, biglietti da visita e messaggi di chi è passato di qui. Ovviamente anche noi lasciamo un segno: non avendo biglietti da visita attacchiamo alla parete la tessera associativa della S.M.S. di Gavazzana con le nostre firme!
La seconda, Wycliffe Well, è famosa per essersi autoeletta “la capitale australiana dell’avvistamento UFO”. Fuori è completamente ricoperta di murales sul tema degli extraterrestri, addirittura è riprodotta un’intera famigliola verde vicino alla sua astronave. Altri extraterrestri si affacciano dal tetto. All’interno una delle pareti è ricoperta da ritagli di giornale che parlano di presunti avvistamenti e sono in vendita magliette con disegni di omini verdi. Da notare anche una vetrina contenente un’intera collezione di bambole provenienti da tutto il mondo: davvero kitsch!
A un centinaio di km da Tennant Creek ci fermiamo alla Devil’s Marbles Conservation Reserve: incredibili massi granitici dalla forma tondeggiante giacciono sul terreno o in bilico uno sopra all’altro. E’ un fenomeno naturale davvero unico, che i geologi spiegano come il risultato dell’erosione e delle condizioni climatiche, ma che la popolazione aborigena è più propensa a considerare come le uova fossilizzate del Serpente Arcobaleno.
Arriviamo a Tennant Creek, il posto più caldo di tutta l’Australia! Come Alice Springs anche Tennant Creek è stata fondata nel 1872 come stazione del telegrafo. La scoperta dell’oro nel 1932 ha trasformato questa cittadina in uno degli avamposti per i cercatori del prezioso metallo, come testimoniato dalle vecchie miniere ancora oggi visitabili.
Ci sistemiamo all’Eldorado Motor Inn e non troviamo il coraggio di uscire dalla stanza fino alle 17.30, anche se sappiamo bene che a quest’ora tutti i negozi saranno chiusi. La città in ogni caso non sembrava molto vitale neppure qualche ora fa al nostro arrivo.
Facciamo un giro sulla via principale, che non è altro che la Stuart che in questo tratto prende il nome di Paterson Street. Vediamo un paio di hotel, due take away, un bottle shop drive through e un supermarket. A parte il bottle shop è tutto chiuso. In giro solo qualche gruppetto di aborigeni e di cani randagi.
Decidiamo di fare il pieno di benzina e tornare in hotel per cena. Questa deve essere di certo la bassa stagione, visto che anche l’albergo è poco frequentato. Il ristorante oggi ha abolito il menu alla carta e ci offre solo un buffet da due portate per 20$ a testa. Ci accontenteremo di un pezzo di pollo arrosto, verdura e immancabili patatine.
Alle nove siamo già a letto… in fondo questa mattina ci siamo alzati prima dell’alba!
Ci avvantaggeremo domani, quando dovremo percorrere altri 550 km.

Martedì 23 settembre
TENNANT CREEK – MATARANKA (Km. 550)
Non proviamo neppure a cercare di fare colazione fuori dall’albergo, ci dirigiamo direttamente al ristorante interno dove faremo colazione con 8$ a testa.
Alle 8.15 siamo già in marcia. Prima di arrivare a Mataranka, meta di questa sera, vorremo fare un giro al Battery Hill mining centre, le antiche miniere d’oro, antico cuore di Tennant Creek, ma il cielo coperto minaccia pioggia e quindi decidiamo di proseguire subito verso nord per arrivare in tutta calma.
Dopo pochi km incontriamo la pioggia che ci scenderà insistente per una buona mezz’ora. A rallentare ulteriormente il cammino c’è anche una carovana di decine e decine di mezzi militari diretti verso nord che ci accompagna lungo la strada per tutto il tragitto, costringendoci a numerosi sorpassi.
Il paesaggio cambia lentamente via via che ci allontaniamo dal centro dell’Australia e da Tennant Creek, che è considerato il punto di frontiera tra Red Centre e Top End: al rosso della terra di affianca dapprima il verde degli alberi che divengono sempre più alti e fitti, fino a lasciare definitivamente il posto alla vegetazione tipica delle zone tropicali.
Il Top End è la parte più settentrionale del Northern Territory, caratterizzato da un clima prettamente tropicale, da una vegetazione rigogliosa e da numerose specie di animali acquatici, in grande contrasto con il Red Centre, il vero e proprio cuore dell’Australia dove il clima è desertico, la terra rossa e il cielo blu intenso, il paese dei canguri e delle incredibili formazioni rocciose.
Il caldo è sempre soffocante e sempre meno secco.
Ci fermiamo a sgranchirci le gambe nei pressi di Daly Waters, in una road house costituita da diversi edifici, un ufficio postale, un supermarket e un campeggio. Questa volta non troviamo niente di particolare, anche perché all’ingresso campeggia un cartello con la scritta FOR SALE: evidentemente i proprietari hanno deciso di abbandonale la zona e trasferirsi altrove!
Nonostante tutti ci avessero sconsigliato, prima di partire, di attraversare il deserto in auto, siamo contenti della scelta fatta, che ci ha consentito di capire e vivere le realtà meno turistiche e più autentiche dell’Australia.
A Larrimah ci fermiamo nuovamente a fare benzina, quindi proseguiamo senza soste fino a Mataranka, un piccolo centro ben fornito (rispetto a quanto c’è nei dintorni, si intende), dotato di biblioteca, di un paio di take away, di un centro culturale e persino della scuola.
La città sorge nella regione del never-never, che trae il nome dalla novella di Jeannie Gunn “We of the never never”, che descrive la vita incredibilmente dura di una pioniera che, nonostante le avversità, decise di non tornare mai più (never-never) nella propria città natale ma di rimanere in questa zona ricca di fascino.
Con una deviazione di circa 8 km arriviamo al Mataranka Homestead, il resort dove trascorreremo la notte e da dove si accede all’Elsey National Park e alle piscine termali. A prima vista il posto sembra davvero carino, ma la stanza ci delude parecchio: piccola e disadorna con la porta scorrevole del bagno che non sta chiusa in alcun modo, essendo il pavimento della stanza in discesa! Ci mettiamo il costume e ci dirigiamo alla piscina. Ci inoltriamo attraverso una foresta di palme e arriviamo alla piscina dove l’acqua azzurra è mantenuta costantemente alla temperatura di 34° da una sorgente termale che fa sgorgare ogni minuto 16 litri di acqua. La scena è resa un po’ meno gradevole da una quantità indescrivibile di enormi pipistrelli neri (Flying fox) che ricoprono completamente gli alberi, spargendo un odore poco gradevole! Pare che siano di passaggio nel loro percorso migratorio al seguito della frutta in maturazione. Ma non si tratta dei pipistrelli a cui siamo abituati noi: qui parliamo di animali che nella loro posizione di riposo appesi ai rami misurano in lunghezza almeno 25 cm! Ne avevamo già visti alcuni a Sydney nei giardini reali, ma non così tanti!
Non ci priviamo di certo di un bagno ristoratore, ma finita la nuotata preferiamo non inoltrarci nella foresta per la camminata di 1,5 km tra la vegetazione… non ci sentiamo troppo tranquilli! Facciamo invece un passeggiata per il resort, scoprendo un sacco di wallaby che popolano l’area, zampettando qua e là tra tende , caravan e boungalows e la riproduzione della casa in cui la protagonista del romanzo “We of the never-never” visse, realizzata per girare le scene dell’omonimo film che ogni giorno a mezzogiorno viene proiettato all’Homestead.
Anche qui gli ospiti non sono molto numerosi, uno dei due ristoranti resta chiuso tutto il giorno, mentre l’altro funziona da ristorante e da take away. Considerato che abbiamo saltato pranzo decidiamo che le 18.30 non è troppo presto per la cena. Prima però vogliamo vedere cosa ci offre la città. Prendiamo l’auto e torniamo in centro. Niente ci entusiasma più di quello che ci offre il resort, e torniamo indietro. Il sole è già tramontato ed è quasi buio. Il cielo si è riempito di pipistrelli che, scesi dagli alberi, si sono messi in cerca di cibo. Per la prima volta in tutto il viaggio ci rendiamo conto di persona del perché sia sconsigliato guidare tra il tramonto e l’alba: per ben due volte siamo costretti a frenare bruscamente per evitare di investire un wallaby che ci ha attraversato all’improvviso. Purtroppo anche viaggiando con gli abbaglianti accesi wallaby e canguri si confondono con il colore della terra ai margini della strada e quando, attirati dalla luce, si buttano in mezzo alla strada non danno il tempo alle auto di fermarsi prima di investirli. Ecco perché le auto da queste parti sono equipaggiate di enormi paraurti!
Ceniamo al ristorante del resort dove rimaniamo piacevolmente soddisfatti: possiamo scegliere tra bistecche, barramundi (siamo nella capitale della pesca al barra), pollo cotti sulla griglia e contornati da un’ampia scelta di verdure e insalate. Io scelgo barra con verdure miste, Fabio la solita T-bone con insalate. Le porzioni sono enormi e la qualità veramente ottima!
L’atmosfera è completata da un juke box che suona i migliori pezzi anni ’80 e da un gruppetto di allegri australiani che bevono in compagnia giocando a stecche!
Appese alla vetrata della reception ci sono (e a dire il vero non è il primo posto in cui le vediamo) le fotografie dell’inondazione del 27 ottobre 1998. E’ impressionante vedere come l’acqua avesse completamente distrutto ogni cosa in questo posto. Addirittura sul muro è tracciato il livello massimo raggiunto dall’acqua: è alto più di 3 metri!
L’inondazione non deve essere un fenomeno poco frequente in zona, infatti in prossimità di ogni corso d’acqua sono posti avvisi di possibile straripamento e i relativi indicatori di livello di acqua alta.

Mercoledì 24 settembre
MATARANKA – KATHERINE (Km. 102)
Lasciamo Mataranka dopo il solito muffin accompagnato da succo d’arancia per colazione e il pieno di benzina. Oggi abbiamo da fare poca strada in macchina visto che trascorreremo la prossima notte a Katherine, a soli 100 km da qui.
Riprendiamo la Stuart e dopo 70 km ci fermiamo a visitare le Cutta Cutta Caves, grotte naturali scavate dal tempo e dall’acqua nell’arenaria. Attraversiamo un breve percorso nella vegetazione poco rigogliosa per arrivare all’ingresso delle grotte, dove ci attende la guida. Sono previste visite guidate alle 9, 10, 11 e 14, 15, 16. Per fortuna questa volta siamo arrivati in tempo per la prima visita, visto che fa già un caldo terribile... non so se più tardi avremmo resistito. Subito all’ingresso la guida ci fa vedere tre serpenti annidati negli anfratti della roccia, il posto ideale per la vita di questi rettili per temperatura e livello di umidità.
Scendiamo nella grotta attraverso varie camere ben illuminate e piene di formazioni stalagmitiche e stalattitiche, alcune ricoperte di minuscoli minerali che risplendono anche senza luce artificiale dando il nome alle grotte (cutta cutta in lingua aborigena significa tante stelle). Nell’ultima stanza la guida ci fa notare come la conformazione di alcune rocce ricordi un cane (Snoopy), un coccodrillo, un drago a testa in giù e perfino il profilo di Elvis.
La visita dura un’ora e alle 10 siamo di nuovo in macchina verso Katharine.
Ci dirigiamo al Nitmiluk National Park, dove si trovano le famose Katherine Gorge, tredici gole create dal fiume Katherine tra alte e ripide pareti di roccia solcata dal fiume a formare spettacolari scenari.
E’ possibile effettuare la visita alle gole in diversi modi: voli panoramici in aereo o elicottero, gite in canoa che possono durare da un’ora a due giorni, passeggiate a piedi da un’ora a cinque giorni o ancora gite in battello. Lungo il fiume infatti sono allestite molte aree dove è possibile campeggiare.
Noi scegliamo la gita in battello, in particolare quella che dura due ore e risale il fiume fino alla seconda gola. Le altre possibilità erano la crociera di quattro ore fino alla terza gola e quella di un giorno fino alla quinta.
La crociera partirà alle 13, quindi abbiamo il tempo per mangiare qualcosa al centro visitatori del parco.
Alle tredici puntualissima l’imbarcazione lascia il molo, sotto un sole cocente che sta mettendo a dura prova la nostra sopportazione del caldo.
Percorriamo la prima gola in cui il fiume, che ha in questo tratto la massima ampiezza, scorre tra alte pareti rocciose, fitta vegetazione e piccole spiaggette rocciose sulle quali non mancano tracce di coccodrilli passati da non molto tempo (anche se qui non c’è divieto di balneazione io ci penserei un po’ prima di tuffarmi!).
Tra la prima e la seconda gola ci trasferiamo su un’imbarcazione più piccola, più adatta alla dimensione del fiume in questo tratto. Per effettuare il trasbordo è necessaria una passeggiata ai piedi della parete rocciosa, sulla quale possiamo ammirare diversi dipinti aborigeni.
La seconda gola è più stretta della prima e presenta un panorama veramente bello, ricco di vegetazione che vive, alberi compresi, attaccata direttamente alla parete di roccia. In fondo alla gola, in una piccola grotta possiamo anche vedere i nidi in fango di piccolissimi uccellini che vivono in zona.
Lungo tutto il percorso il battelliere ci fornisce con estrema professionalità dettagliate e interessanti informazioni sull’ambiente circostante raccontandoci la storia e la natura del luogo.
Sono le tre e siamo veramente distrutti dal caldo, torniamo a Katherine percorrendo al contrario i trenta chilometri che la separano dal Nitmiluk Park e prendiamo possesso della stanza al Mercure Inn. Il posto è molto carino e ben curato: non mancano fiori, palme e prati verdi. Anche la stanza è proprio accogliente, grande e con due grandi vetrate ai lati.
Domani cominceremo la visita al Kakadu National Park… meglio rilassarci un po’!
Passiamo il resto del pomeriggio a mollo in piscina, dove l’acqua è calda. In realtà tutta l’acqua in zona è calda, compresa quella che esce dal rubinetto della fredda, spesso più calda di quella riscaldata!
Verso sera usciamo per un giretto della città e per cenare. La città si compone di una serie di edifici allineati lungo la Stuart dove si trovano anche tutti i servizi cittadini. Sul diario di Leandro abbiamo letto bene del Katherine Club e noi come al solito ci fidiamo. La formula è la solita: ordinazione alla cassa e servizio al tavolo. La carne è molto buona, come i vari e abbondanti contorni!

Domani raggiungeremo il “Top End”, la parte più settentrionale dell’Australia, con lo straordinario Kakadu National Park e altre meraviglie. Il resoconto, nella terza e ultima parte di questo viaggio.

Un commento in “Che grande regalo di nozze: l’Australia! – 2
  1. Avatar commento
    dani
    02/02/2005 04:29

    preciso,interessante,acuto e scorrevole. Un solo grande enorme appunto che mi ha rovinato la lettura: dai commenti in alcune parti del racconto sembrava che ci fosse un genuino interesse per gli animali...ma allora come si fa a comprare due cappelli di canguro????Lo sapete che li hanno ammazzati per i vostri dannati cappelli. Mi fa schifo questa cosa, al pari di chi tiene in casa un animale e si compra poi una pelliccia. Chi va in Australia deve anche essere animato da un amore per la natura e non da stupidi souvenirs .

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