Patagonia, terra estrema

Gli spettacolari scenari del sud dell’Argentina

La nostra avventura in Patagonia somiglia probabilmente, per molti aspetti, a molti altri viaggi effettuati dalla maggior parte dei visitatori, almeno per buona parte delle destinazioni. Abbiamo cercato tuttavia di dare più spazio possibile alla natura e alla visita in libertà di questo immenso territorio, ragion per cui abbiamo scelto, anche a costo di una spesa maggiore, di avere un mezzo proprio. La scelta ci ha comunque ripagato con enormi soddisfazioni soprattutto per quel che riguarda l’avvistamento di animali, di cui il sud dell’Argentina è ricchissimo. Essendo noi (io e mia moglie) grandi appassionati di natura, abbiamo indugiato per molto tempo nelle sterminate steppe patagoniche, cercando la solitudine e il completo isolamento, condizione che non si è poi rilevata così difficile da trovare. L’isolamento dai grossi flussi turistici, che in questa sterminata regione tendono a concentrarsi solo nei punti più conosciuti (e ai quali ci siamo ovviamente uniti per le visite delle località più importanti) ha fatto sì che i nostri incontri ravvicinati con gli animali fossero frequenti e soddisfacenti. Proprio per questo mi soffermerò molto più del normale nel descrivere la fauna avvistata: se le notizie riportate interesseranno o aiuteranno qualcuno ad avvistare anche un solo animale in più, ne sarò ben felice!
In questa ottica di caccia fotografica agli animali, è per esempio poco comune la tappa a San Julian, inserita appositamente per andare ad osservare i meravigliosi delfini di Commerson: sembrano delle piccole orche e si possono ammirare solo in queste acque e in quelle delle vicine Falkland, che in Argentina è consigliabile chiamare Malvinas!

Grazie al fatto che avevamo una auto nostra abbiamo anche potuto approfittare di orari un po estremi per visitare alcuni luoghi normalmente affollati come il ghiacciaio del Perito Moreno, un posto che da solo vale la visita in Patagonia: un’esperienza emozionante restare ad ammirarlo nel tardo pomeriggio, quando quasi tutti se ne sono andati via, aspettando che cali la notte sul lago, con il silenzio rotto solo da sinistri scricchiolii del ghiaccio.
Dunque una Patagonia vissuta in libertà, assaporando la soddisfazione di fermare l’auto nel bel mezzo di una pista, senza anima viva intorno a noi, e sedersi a godere del silenzio assordante della natura, rotto solo dal vento sferzante che sempre ci ha accompagnato: se qualcuno ci avesse visto, seduti sul bordo di una strada polverosa, con lo sguardo apparentemente perso nel nulla, ci avrebbe probabilmente dato dei pazzi, ma cosa c’è di male a sedersi per terra senza parlare ed ascoltare la natura?20 dicembre 2007
partenza per Buenos Aires con Aerolineas Argentinas e arrivo di prima mattina, il giorno 21 dicembre.

21-22 -23 dicembre 2007
Giornate dedicate alla visita di Buenos Aires.
Non mi soffermo molto sulla visita a Buenos Aires, dato che è ovviamente al di fuori della regione di cui tratta questo diario.
Tuttavia costituisce il punto di arrivo abituale in Argentina per coloro che vogliono andare in Patagonia e se si ha la possibilità di dedicarci qualche giorno io direi che ne vale assolutamente la pena.
In questi tre giorni abbiamo visitato il quartiere la Boca, adiacente all’hotel dove abbiamo soggiornato: in particolare la zona di Caminito, dalle caratteristiche case colorate è senza dubbio la parte più caratteristica. La Boca è estremamente interessante, ma bisogna fare una certa attenzione perché non è un quartiere tranquillissimo. Se non ci si allontana comunque dalla zona del lungofiume e da Caminito, non ci sono grossi problemi per visitarlo durante il giorno.
Altri due quartieri interessanti sono San Telmo, con i suoi viottoli acciotolati e parecchie costruzioni in stile coloniale e Palermo, con la parte vecchia ideale per trascorrere la serata tra ristoranti multietnici: questa zona è il cuore pulsante della vita notturna, mentre il paradiso dello shopping è senza dubbio la zona denominata Microcentro, con la strada Florida, zona pedonale, zeppa di negozi di abbigliamento e soprattutto pelletteria.
Adiacente a questa zona si trova plaza De Mayo con la famosa Casa Rosada, la versione argentina della Casa Bianca Statunitense, che evoca l’epopea di Peron ed Evita: esiste un museo dedicato a lei, che noi non abbiamo visitato, ma abbiamo invece visitato l’interessantissimo Cementerio de La Recoleta: un enorme cimitero dove si trova anche la tomba della famiglia di Evita, assieme ad altre personalità Argentine a noi per la verità sconosciute nella maggior parte dei casi. E’ interessante però vedere come il luogo alterni delle tombe tenute in modo impeccabile con altre letteralmente abbandonate, da dove spuntano sinistramente sarcofaghi in legno sbrecciati che sembrano pronti ad aprirsi e cadere a pezzi da un momento all’altro: decisamente un posto suggestivo e particolare, ma da visitare in pieno giorno!!
Attorno al cimitero, un piccolo parco dove si raccoglie varia umanità: la domenica è senza dubbio il giorno migliore per trovare interessanti mercatini improvvisati e spettacoli di saltimbanchi.
In generale Buenos Aires merita una visita di due o tre giorni: certamente è un bel sacrificio sottrarli alla Patagonia, ma onestamente siamo contenti di non averla saltata: è giusto visitarla, anche se per il nostro prossimo viaggio in Patagonia, magari nella Patagonia Cilena, utilizzeremo certamente tutti i giorni a disposizione per questa regione.
Pernottamento: Mansion Dandy Royal, nel quartiere San Telmo ma molto vicino a Boca e Caminito. E’ un caratteristico hotel ricavato da una vecchia scuola di tango (dunque carico di atmosfera) www.mansiondandiroyal.com , in una costruzione storica di inizio 900. Le pareti sono decorate con immagini d’epoca che evocano il mondo del ballo. Possibilità anche di avere lezioni di tango nella piccola scuola annessa all’hotel.
Prezzo: 130 USD a notte per doppia con colazione. Voto: 9 rapporto qualità/prezzo 7
Sulla stessa strada, che porta verso il centro, consiglio per mangiare una bettola che non ha neppure un nome: è facile trovarla, sta nello stesso marciapiede dell’hotel, a circa 150/200 metri di distanza. E’ gestita da vecchietti di origine Italiana, all’interno pochi tavoli. Frequentato soprattutto da impiegati locali, il posto propone per pochi Euro appetitosissime specialità locali messe in bella mostra generalmente su teglie in alluminio di epoca direi preistorica, più nere che color argento! Ma il cibo è una vera delizia per il palato! Il conto, invece, è una delizia per il portafoglio, si pagano pochi spiccioli!

24 dicembre BUENOS AIRES – TRELEW
Partenza dall’aereoporto voli nazionali alle 7.10.
Da Trelew partiamo subito per Puerto Madryn con una Chevrolet corsa versione 4 porte noleggiata all’aereoporto. Ha solo 22.000 km ma ne dimostra almeno il triplo. Conferma che le strade sono tutt’altro che facili. Non c’è una sola gomma che sia della stessa marca e le gomme saranno infatti il nostro problema maggiore durante il viaggio. Dopo una rapida spesa al supermercato decidiamo di cambiare di nuovo (primo cambio era stato fatto a Buenos Aires) a Puerto Madryn per non avere pensieri. Mi attende in banca una coda chilometrica e dopo 20 minuti mi sento dire che non hanno abbastanza soldi! Una banca in città che non può cambiare 1.500 dollari! Riprovo in un’altra banca, altra fila di 20 minuti ma alla fine cambio. Dollaro a 3,19 Euro a 4,46.
Ripartiamo e arriviamo in un’ora alla penisola di Valdez, sono circa le 12.00.
Paghiamo l’ingresso e subito cominciano gli avvistamenti di animali: Guanachi e Choiques, che già sappiamo essere i più facili da scovare. Entriamo a Puerto Pyramides, un ammasso di casette raggruppate intorno ad una baia abbastanza bella, ma niente di entusiasmante. Tuttavia entriamo per far benzina, proprio qui c’è l’unico distributore della penisola. Ne approfittiamo per vedere se c’è movimento nelle agenzie che organizzano uscite per avvistare le balene: si tratta della balena franca Australe (Eubalaena australe), che vedremmo davvero volentieri. Sembra però che sia tutto chiuso, del resto siamo a fine stagione, dunque decidiamo di proseguire. Più tardi verremmo a sapere che qualcuno è uscito quel pomeriggio avvistandone due.
Da Puerto Pyramides comincia la strada sterrata, che ci accompagnerà per tutta la penisola. Prima tappa il faro di Punta Delgada. Non si può accedere direttamente al faro (riservato agli ospiti dell’annesso hotel) se non con saltuarie visite guidate alla spiaggia, ma una strada parallela ci porta ad un belvedere dove osserviamo i primi leoni marini (maschi e femmine) e elefanti marini ( solo femmine: i maschi se ne sono andati a novembre, dopo essersi accoppiati).
Il leone marino sudamericano (otaria flavescens) deve il suo nome al fatto che il maschio è fornito di una criniera che ricorda molto il leone. Siamo abituati molto di più a vedere le femmine, dato che i maschi tendono a stare per la maggior parte del tempo in mare, ma in questa stagione si vedono ancora diversi maschi in spiaggia.
Il miglior sistema per riconoscere una otaria da una foca (si tende ancora a fare molta confusione) è controllare le orecchie: quelle delle otarie sono ben visibili, a differenza delle foche.
Per quel che riguarda invece gli elefanti di mare del sud (Mirounga leonina), devono il loro nome all’escrescenza sul muso dei maschi, che ricorda vagamente una proboscide, oltre al fatto che possono raggiungere taglie ragguardevoli, con pesi fino a 800 kg.. I maschi sono purtroppo in questo periodo già in alto mare, mentre le femmine, che hanno già partorito, sono in questa stagione nella fase della muta: dunque, benche le colonie siano spesso miste, ci riesce facile riconoscerle dalle femmine di otaria anche da lontano, perché hanno la pelle a chiazze. E’ un peccato che non ci siano i maschi, perché quella della penisola di Valdez è l’unica colonia continentale al mondo di elefanti marini, tutte le altre si trovano in isole in mezzo al mare e spesso non così facili da raggiungere.
Nei prati circostanti avvistiamo invece i Marà della Patagonia (dolichotis patagonum): sono dei roditori che possono essere facilmente scambiati per lepri, tanto è vero che il loro nome italiano è proprio lepre della Patagonia. In realtà sono più grossi e più tozzi delle lepri, oltre che meno veloci. E’ la prima volta che le vediamo da vicino e conveniamo che non hanno certamente l’eleganza della lepre!
Proseguiamo verso la estancia Elvira, il solo albergo della penisola, assieme al faro di Punta Delgada. Prezzo altissimo, ma è la sola alternativa al pernottamento lontano da Puerto Pyramides, assieme al faro di Punta Delgada, ancora più caro: il posto è bello, con una gestione e una accoglienza familiare: tutto sommato oggi è il 24 dicembre, quindi ci siamo scelti un bel posto dove passare la notte di Natale! Ceniamo con gli altri pochi ospiti e a mezzanotte la famiglia ci fa un piccolo regalo di Natale. Voto al luogo 9, rapporto qualità prezzo 5. ESTANCIA LA ELVIRA laelvira@laelvira.com.ar USD 225 PER DOPPIA INCLUSO COLAZIONE E CENA. Per fortuna il dollaro in questo periodo è debolissimo, comunque questo sarà il posto più caro!
Totale km. 285 di cui sterrati 112.

25 dicembre GIRO PENISOLA VALDEZ
Partiamo verso le 9.00 (è Natale, un po’ più tardi!) e ci dirigiamo verso nord. Subito ci attraversa la strada una volpe grigia: ci affrettiamo a raggiungerla, tiro fuori la macchina fotografica ma la volpe si è già volatilizzata, non riusciamo a capire come, visto che la steppa patagonica offre un’ampia visuale: ma abbiamo a che fare con una volpe, mica con un asino! Prima delusione.
Poco dopo il bar “ La Elvira” ci fermiamo ad un belvedere e avvistiamo i primi pinguini di Magellano (Spheniscus magellanicus). Ne vedremo a migliaia durante il viaggio ma come sempre i primi accendono il maggiore entusiasmo. Alcuni sono vicinissimi visto che il dolce pendio tra il parcheggio e il mare è stato colonizzato per intero. In questa stagione i piccoli sono paffuttelli e sempre affamati. Quasi ogni coppia ne ha due, ma notiamo la differenza di taglia dei due fratellini. Uno è sempre più grosso ed infatti i genitori tendono a nutrire di più uno dei due in modo che abbia più possibilità di sopravvivere. Può sembrare crudele ma anche da queste parti la lotta per la sopravvivenza è durissima, sia per le prede che per i predatori. Tuttavia, se andrà bene sopravviveranno entrambi.
Dopo una bella sosta e tante foto proseguiamo verso Punta Norte, il punto più distante della penisola.
Anche qui godiamo di uno stupendo panorama da un punto rialzato su una spiaggia gremita di leoni e elefanti marini con i piccoli. A volte vengono attaccati dalle orche che si spingono fino alla spiaggia con l’alta marea ma, come immaginavamo, non siamo così fortunati da assistere a cotanto spettacolo. Il ranger della stazione locale ci informa che l’ultimo avvistamento è stato 3 giorni prima, mentre l’ultimo attacco è stato 10 giorni prima. La migliore stagione per gli avvistamenti- attacchi è aprile-maggio, ma non c’è una regola precisa, si possono verificare lungo tutto l’arco dell’anno. Dopo 3 ore di sosta nella parte più remota della penisola di Valdez e avere a lungo scrutato il mare con il binocolo, consumiamo un frugale pasto nel bar del parcheggio e ripartiamo per Puerto Pyramides , non prima però di aver avvistato il nostro primo armadillo. E’ un “peludos” (Chaetophractus villosus), una delle 4 specie che si trovano in Argentina di cui 3 in Patagonia, e si aggira per il parcheggio noncurante della presenza umana. Passeggio con lui, dato che ovviamente non è spaventato: è uno scavatore talmente straordinario che se decidesse di sparire ci impiegherebbe pochi secondi a scavare una buca e gettarvisi dentro! Le altre due specie Patagoniche, per la cronaca, sono il Piche e il Mulita, mentre il Tatù, il più grande, si vede più a nord. Ritorniamo per la strada interna, meno entusiasmante, a Puerto Pyramides, dove pernottiamo alla Posada Pyramides Voto: 6 rapporto qualità prezzo 7.
Camere semplicissime, pasto ottimo.
Posada Pyramides reservas@posadapiramides.com USD 74 per doppia
Km percorsi: 285 di cui sterrati 167

26 dicembre PENISOLA VALDEZ – CAMARONES
P artiamo da P.P. di buon mattino nonostante le giornate siano lunghissime ( qui c’è luce fino alle 22.00, più giù addirittura fino alle 23.00). Siamo comunque abituati ad alzarci presto, visto che gli avvistamenti di animali sono più facili di buon mattino. Avvistiamo infatti diversi guanachi (Lama Guanicoe) e choiques (Rhea pennata) , specie più piccola dei Nandù, uccelli non volatori molto simili che vivono più a nord. Molto interessante è il fatto che i choiques che si avvistano con i piccoli sono tutti maschi, perché sono i maschi che si occupano della incubazione e della crescita dei pulcini. La femmina, dopo aver deposto anche oltre 40 uova se ne va e lascia che sia il maschio ad occuparsi della prole! Per una volta tanto i ruoli sono rovesciati!
La destinazione finale di oggi, passando per Puerto Madryn, è Punta Tombo, che ospita la più numerosa colonia di pinguini di Magellano al di fuori dell’Antartico. Contiamo di arrivare nel tardo pomeriggio per evitare le orde schiamazzanti di turisti vomitati dai pullmann, visto che Punta Tombo è una meta d’obbligo per tutti i tour organizzati. Così ce la prendiamo comoda, cercando di avvistare più animali possibili lungo la polverosa strada sterrata che ci porta verso sud. Polvere e il vento ci accompagneranno per tutto il viaggio!
La Patagonia è spazzata praticamente per tutta l’estate da venti impetuosi che in alcune zone di montagna possono raggiungere anche i 150 km. orari. Qui le raffiche sono certamente più modeste, ma obbligano, anche nelle giornate di sole, a vestire una felpa antivento quando si scende dall’auto. L’unico lato positivo è che spazza via completamente la polvere che il nostro mezzo e i pochissimi che incrociamo sollevano. Nella nostra lenta marcia verso Punta Tombo incrociamo il nostro primo armadillo morto: gli armadilli amano molto il calore e i sassi delle strade sono un piccolo paradiso per loro, paradiso che si trasforma in inferno quando sopraggiungono camion e auto che li travolgono senza pietà.
Per fortuna dopo un po’ ne appare anche uno vivo! E’ proprio sul ciglio della strada, sta passeggiando, e quando freniamo si blocca e comincia a guardarci con un misto di curiosità e paura. Quest’ultima ha il sopravvento quando ci vede avanzare verso di lui. Comincia l’inseguimento!
Sappiamo che come amanti della natura non dovremmo farlo, ma la tentazione di vederlo da vicino è troppo forte!
Le sue zampette si muovono veloci, ma, fortunatamente per noi, sono troppo corte per distanziarci!
Dopo una breve corsa a zig-zag il piccolo animale si ferma, forse per elaborare una nuova strategia di fuga. A noi basta questa sosta per ammirarlo e immortalarlo con il teleobiettivo: è un Piche (Zaedyus pichyi), la specie più piccola tra gli armadilli Patagonici, grande all’incirca come un cane bastardino. E’ un animaletto fantastico oltre che stranissimo: ha la faccia che ricorda vagamente propria quella del cane, con una piccola corazza in testa che gli fa da cappello; corazza lungo tutto il corpo, coda compresa, orecchie da topo e occhietti vispi e sempre vigili.
Dopo aver meditato sul da farsi, visto che non riesce a sganciarsi, decide infine per una nuova strategia, infilando la testa dentro un cespuglio. Sembra un velleitario tentativo tipo struzzo di nascondersi, destinato a fallire visto che siamo a non più di 3 metri! In realtà l’armadillo si comporta così perché è spesso cacciato dal puma: dato che la sua corazza è troppo dura e indigesta, il punto debole è la testa: il puma spesso lo prende per la testa e lo rovescia mettendo allo scoperto lo stomaco non protetto dalla corazza e quindi commestibile. Nascondendo la testa tra i cespugli spinosi, spesso il puma deve rinunciare alla preda perché non riesce ad afferrarla e rovesciare l’animale.
Lusingati del fatto che ci abbia associato alla figura elegante del puma, decidiamo di illuderlo di averci ingannato e lo lasciamo stare, lo abbiamo spaventato abbastanza!
Molti amici che sono stati in Patagonia non sono riusciti ad avvistare nessun armadillo, bollando la nostra come mera fortuna. In realtà non è così, l’armadillo è un animale abbastanza comune e, benchè serva anche l’aiuto della dea bendata per vederlo, bisogna anche darsi da fare e prestare molta attenzione. Spesso ci si passa a pochi metri senza vederlo, l’armadillo è bravissimo, come molti altri animali, a mimetizzarsi. Una foto allegata al presente diario riesce ad essere esplicativa, l’armadillo è nascosto in alto a destra, in mezzo ai sassi. Non è facile vederlo mentre si transita in auto, soprattutto se si sta chiacchierando o si è distratti! Dunque chi vuole avvistarlo deve prestare attenzione e scrutare tra i sassi lungo il ciglio della strada, specialmente nelle ore più calde 8forse dovrei dire meno fredde, viste le temperature dell’estate patagonica??) della giornata.
Arriviamo a destinazione verso le 16.00,dopo innumerevoli soste per osservare gli animali. Punta Tombo è ancora affollata ma molti turisti se ne stanno andando, sono rimasti solo due pullmann che stanno caricando i turisti di ritorno dalla passeggiata, e una decina di automobili. Ce la prendiamo comoda e restiamo ben 4 ore, che, letteralmente, volano.
Siamo in compagnia di circa 175.000 coppie: questo significa che nel periodo in cui ci sono i piccoli, si arriva a superare le 600.000 unità! Molti sono a pochi metri da noi, in un terreno bucato come un groviera. Non hanno alcuna paura, anzi, se osassimo importunarli, saprebbero difendersi con il loro becco acuminato. Ovviamente è d’obbligo lasciarli in pace, ma spesso sono loro che, abituati alle persone, si avvicinano. Infatti uno è irrimediabilmente attratto dai lunghi lacci delle mie scarpe da ginnastica e continua a rincorrermi, tra l’ilarità dei visitatori rimasti. Bisogna resistere alla tentazione di toccarli perché i becchi sono taglienti come rasoi, quindi non so davvero come liberarmene: mi sembra poco ortodosso allontanarlo con il piede e non vorrei davvero fargli male, dunque mi rassegno e lascio che torturi un po’ le mie scarpe, fino a quando decide che non c’è nulla di commestibile e lascia perdere!
In questa stagione le coppie sono già tutte formate e i piccoli sono già nati. Il primo ad arrivare è di solito il maschio, che tende sempre a tornare dove è nato ed arriva di solito verso la fine di settembre. I pinguini, come la maggioranza degli uccelli, formano la coppia per tutta la vita, dunque, se la coppia si è già formata, il maschio torna alla tana dell’anno precedente e la risistema, in attesa dell’arrivo della femmina. Quando i piccoli sono nati, i due genitori si alternano nella cura dei piccoli: mentre uno è a pesca l’altro vigila sui piccoli perché sono tanti i predatori da cui difenderli: volpi, skua, puzzole, etc…
Proprio per questo motivo la vita dei piccoli nei primi mesi è sempre appesa ad un filo: se solo uno dei genitori verrà predato in mare da foche o orche, il loro destino sarà segnato: l’altro genitore, dopo aver atteso invano il ritorno del partner sarà costretto, spinto dalla fame, ad allontanarsi e lasciare la tana incustodita. A quel punto per i predatori sarà un gioco da ragazzi andarsi a prendere i cuccioli indifesi.
Dopo aver assaporato il frenetico via vai dei pinguini, ripartiamo alle 8.00 verso Camarones, lungo la strada sterrata costiera piuttosto accidentata e completamente deserta. Dopo pochi km veniamo avvolti dalla nebbia: il luogo ci ricorda la skeleton Coast Namibiana! L’atmosfera è magica e si ha la sensazione che la strada si addentri in un deserto senza nessuna destinazione precisa.
Ci fermiamo più volte ad assaporare il silenzio e il rumore del mare che si trova a poche centinaia di metri.
Arriviamo alle 22.00 all’Indalo Inn, un sorprendentemente motel molto bello, in un Paese insignificante, nel bel mezzo del nulla. Giusto in tempo per una ottima cena.
Cena e pernottamento 328 pesos. Posto 7, rapporto qualità prezzo: 9
HOTEL INDALO INN USD 60 per doppia con colazione info@indaloinn.com.ar
Km. 400 di cui sterrati 155

27 dicembre CAMARONES – SARMIENTO
Partiamo di nuovo al mattino presto per la vicina Cabo dos Bahias. Dei locali ci hanno detto che c’è una colonia più piccola (“solo” 300.000 pinguini) ma molto meno frequentata dai visitatori. Ci avviamo dunque pieni di aspettative verso quella che sarà una piacevolissima conferma. A Cabo Dos Bahias, complice anche l’ora, visto che sono le 7.30 del mattino, quando arriviamo siamo i soli visitatori! Sul luogo solo un simpatico anziano ranger e due ricercatrici statunitensi che si aggirano tra i nidi. Il ranger, in cerca di qualcuno con cui chiacchierare,ci indica un piccolo raro roditore, chiamato dai locali tuco tuco (Ctenomys Haigi) che, nonostante il nostro allenamento nel cercare gli animali, non avremmo mai avvistato da soli: fa capolino dalla tana, nascosta da un cespuglio, ma appena si sente osservato ripiomba nell’oscurita del suo buco. E’ un roditore difficile da osservare perché esce dalla tana solo di notte e la mattina presto. Tuttavia lo si può facilmente sentire, quando il maschio, con un inconfondibile “tuc-tuc” vuole attirare l’attenzione delle femmine.
La colonia di pinguini è molto più bella di quella di Punta Tombo, perché più vicina al mare. Una bellissima spiaggia rossa piena di ciottoli si rivela affollata di pinguini che vanno a farsi il bagno. Per noi è un ottimo spunto fotografico. Ci stiamo gustando appieno questa spettacolo quando ecco apparire un predatore: è il zorrino, ovvero la puzzola (Conepatus humboldtii). Benchè appartenga alla stessa famiglia della nostra puzzola Europea, questa è leggermente diversa e si trova solo in queste regioni del Sudamerica: la caratteristica principale che la diversifica è il naso, che sembra quello di un maialino. L’animale avanza rapidamente tra i nidi in cerca di qualche uovo abbandonato o qualche piccolo indifeso, suscitando grande allarme tra i pinguini di guardia ai nidi: quelli che si erano allontanati di qualche metro, corrono a presidiare l’ingresso del nido, in un fuggi fuggi generale! La seguo con una certa fatica nei suoi spostamenti, anche commettendo senza volerlo una imprudenza perché ad un certo punto le taglio la strada: mi ritrovo a 5 metri da lei e sono alla sua mercè: se volesse potrebbe spruzzarmi con il suo famigerato liquido puzzolente, che esce da un condotto vicino all’ano, la ghiandola perianale, e può arrivare anche a 15 metri di distanza, ma per mia fortuna si limita a spalancare la bocca e mostrarmi i denti per intimarmi di stare indietro. Non me lo faccio ripetere due volte!
Rientriamo in albergo alla 10.00 già soddisfatti per le emozioni che che questa giornata appena iniziata ci ha riservato. Prendiamo poi la strada per Sarmiento, solo in parte asfaltata. Ma la giornata ci riserva un altro avvistamento fuori dal comune: un’aquila che sta banchettando sul corpo di una lepre (le lepri sono un’altra costante della steppa patagonica). E’ a pochi metri dalla strada, sembra essere un giovane di aquila pettonero (geranoaetus melanoleucus): non ne vuol sapere di lasciare la preda e dunque non vola via, ma cerca anzi di trascinare via la carcassa, che si rivela però troppo pesante. Grazie alla sua testardaggine, riusciamo ad avvicinarci ad una distanza insperata: certamente è un giovane, non una femmina come avevamo ipotizzato ad un certo punto, perché un adulto non correrebbe un rischio così grande! Resosi conto che non riesce a trascinare via la preda, allarga le ali, quasi a volerla difendere dal nostro eventuale tentativo di rubarla. Non sa che a noi non risulta molto appetibile e gliela lasciamo volentieri! Arriviamo a Sarmiento prima delle 17.00 e, visto che il paesino non offre nulla, decidiamo di visitare con il tramonto il bosco pietrificato, a soli 30 km. di distanza. Ci aspetta una delusione: a 1 km dall’arrivo troviamo una sbarra inesorabilmente chiusa: un cartello ci dice che il sito è aperto dalle 10.00 alle 18.00: sono le 17. 40 e non capiamo perché è chiusa…
Tuttavia il paesaggio circostante è davvero pittoresco, con ripide pareti montagnose percorse in tutta la loro lunghezza da striature di colore che vanno dal viola, al rosso, all’arancione.
Torniamo indietro, con l’intenzione di riprovare domani alle 10.00 in punto. Dormiamo all’ estancia “del Labrador”, una azienda agricola gestita da una coppia di olandesi. La signora è gentilissima, ceniamo con lei e con il suo magnifico gatto e chiacchierando ci rivela che negli 80 ettari della tenuta coltivano ciliegie. Le ciliegie di Sarmiento hanno la fama di essere le migliori di tutta l’Argentina! Constatiamo che è una fama meritata e ne acquistiamo due kili per il giorno dopo. (2 € al kilo)
Estancia del Labrador, voto: 7 rapporto qualità prezzo 8
ESTANCIA DEL LABRADOR USD 60 per doppia agna@coopsar.com.ar
Km percorsi 522 di cui sterrato 105

28 dicembre SARMIENTO – PERITO MORENO (estancia Telken)
Alle 6.00 sono già in piedi, e mentre mia moglie si scambia coccole e complimenti con il gatto di casa, io vado a spasso per i campi della Estancia. Ammiro gli splendidi montoni da competizione (i proprietari della estancia ne vanno fieri) e avvisto per la prima volta gli ibis faccianera (Theristicus melanopis). Sono un po’ lontani ma li rivedrò presto da vicino.
Dopo colazione partiamo per il bosco pietrificato. Arriviamo alle 9.55 ma la sbarra è ancora inesorabilmente chiusa. Aspettiamo oltre 20 minuti, arrivano altre 2 auto, ma sono visitatori come noi. Alle 10.20 decidiamo di lasciare la macchina lì e di scavalcare, non vogliamo attendere oltre anche perché la bella luce se ne sta andando: Scopriamo presto che avremmo potuto farlo prima (addirittura la sera prima!) perché dopo 3-400 metri di salita arriviamo alla casa del ranger dove c’è un cartello affisso che dice che lui non c’è perché impegnato in non meglio precisate “ricerche”… mettere il cartello sulla sbarra di accesso proprio no?? Ok, i visitatori non sono molti, ma forse sarebbe stato meglio avvisarli!.
Il bosco pietrificato di Sarmiento è meno famoso di quello che si trova a circa un centinaio di Km più a sud: i locali dicono che ci sono meno tronchi qui, ma il contesto è molto più spettacolare: non sappiamo se è vero ma certamente qui il panorama spettacolare lo è di certo! Si vedono ancora tronchi “immersi” in quello che 65 milioni di anni fa era fango ed ora è durissima roccia. I tronchi sono quasi tutti spezzati, evidentemente trascinati dalla corrente impetuosa di un fiume preistorico. E’ possibile che ci sia stato sul luogo un enorme cataclisma, dato che il periodo di formazione coincide con quello della scomparsa dei dinosauri, e questo avvallerebbe la teoria della caduta della meteorite, proprio in america centro-meridionale come causa dello sconvolgimento climatico e conseguente scomparsa dei grandi rettili preistorici. Lo spettacolo è impressionante, perché, anche visti da vicino, sembra davvero che i tronchi siano ancora di legno, non di pietra: tutto sembra congelato in una istantanea, rimasta tale e quale per milioni di anni. Un luogo che rapisce e fa riflettere (complice anche la totale assenza di persone!) sulla inconsistenza e la brevità della nostra esistenza.
Camminando tra le rocce, non ci è difficile immaginare la marea nera di fango che travolge tutto e tutti: la sensazione di pace e tranquillità contrasta fortemente con il messaggio che il luogo trasmette: è evidente che la zona è stata teatro di una terrificante apocalisse i cui segni sono ancora evidenti dopo ben 65 milioni di anni!
Usciamo dal “bosco” verso le 13.00, sotto un sole che sarebbe cocente se il vento non ci costringesse a vestire le felpe.. In compenso è proprio il vento che mantiene l’aria tersa, il cielo è fantastico e questo permette di fare belle foto anche ad orari impossibili, come questo. Ritorniamo alla sbarra, ancora inesorabilmente abbassata: non sono arrivati altri visitatori, le auto sono ancora tre, e gli occupanti delle altre evidentemente dopo un po’ devono aver seguito il nostro esempio, scavalcando la sbarra. Non li abbiamo incrociati perché abbiamo compiuto un percorso ad anello.
Ripartiamo verso est, pronti ad incrociare la mitica Ruta 40, la strada più famosa d’Argentina, fama ingigantita dal fatto che fu percorsa parecchi decenni fa da un giovane Ernesto Guevara, il “Che”, ma snobbata dalla maggior parte degli Argentini che preferiscono guidare lungo la parallela Ruta 3, completamente asfaltata e che si snoda lungo la costa, anche se più lunga. Ne consegue che ormai sono quasi tutti stranieri coloro che preferiscono questa polverosa Ruta, rapiti dal fascino dei tempi passati.
Le insidie della Ruta 40, come quelle delle altre numerose strade sterrate di Argentina, non vanno sottovalutate. Molti girano con due ruote di scorta, perché le forature sono frequenti e magari anche con alcuni pezzi di ricambio, perché le stazioni di servizio sono spesso distanti tra loro parecchie centinaia di kilometri: nel mezzo, niente altro che la steppa Patagonica. Gli incidenti sono frequenti, dovuti a colpi di sonno, eccessiva velocità, imprudenza. In particolare guidare a velocità superiori a 70 km/ora è molto pericoloso e può essere causa di uscite di strada. Quasi a volerci intimorire, il nostro primo incontro che ci riserva la Ruta 40, dopo oltre un’ora di guida, è con un mezzo in panne. Scorgiamo a distanza un grosso 4x4 con i lampeggianti accesi e non ci vuole molto a capire sia che sono in difficoltà, sia che sono probabilmente stranieri, perché i lampeggianti su una strada del genere, con traffico inesistente e visibilità di kilometri sono totalmente superflui!
La legge non scritta delle strade Patagoniche impone di fermarsi quando si incrocia qualcuno in difficoltà: solo con la solidarietà tra i pochi automobilisti si può evitare che anche una banale foratura possa diventare un dramma.
Ancora prima di formulare la classica domanda “todo bien?” capiamo che suonerebbe ridicola, perché si vede la ruota posteriore sventrata. Appena ci avviciniamo percepiamo un “… se vuoi dirgli qualcosa..” che ci fa capire subito la provenienza dei sfortunati passeggeri. Sono una famiglia di Milano, che ha avuto la sfortuna di accorgersi in piena Ruta 40 di aver noleggiato un costoso 4x4 senza la chiave per svitare i bulloni della ruota!! Sono inviperiti con la compagnia di noleggio e non riusciamo davvero a dargli torto. Ci raccontano che hanno aspettato oltre 2 ore il passaggio di un altro mezzo e solo 10 minuti prima è passata un’auto di Australiani che sono andati a cercare aiuto in una estancia vicina abitata da pastori. Dopo alcuni minuti li vediamo ritornare, senza nessuna buona nuova. Ovviamente non c’è nessun segnale per i cellulari, e, dopo aver appurato che né la nostra chiave, né quella degli australiani va bene per i loro bulloni, decidiamo insieme che l’unica soluzione è andare a cercare aiuto nella cittadina di Perito Moreno, fortunatamente a soli 40 km di distanza (che comunque equivalgono con questa strada a 40 minuti di auto). Gli australiani caricano la mamma in macchina, noi una delle due figlie, mentre il padre e la figlia più giovane rimangono a presidiare l’auto. Arrivati al villaggio lasciamo le due donne ad un locutorio ( posto di telefono pubblico), non prima di aver aiutato gli australiani, tre donne e un ragazzo, a cambiare una gomma che anche loro hanno forato, proprio in Paese!
Ci assicuriamo che le donne abbiano trovato un gommista e dopodichè proseguiamo per altri 27 kilometri (incredibile, asfaltati!), fino all’estancia Telken, gestito da due anziani di origine olandese. All’ora di cena, inclusa nel prezzo del pernottamento, scopriamo che anche gli Australiani hanno prenotato lì. Del resto la recettività alberghiera nelle zone interne della Patagonia è tutt’altro che abbondante, dunque non è una grande sorpresa! E’ stata una giornata ricca di emozioni e interminabile, andiamo a dormire che è mezzanotte, dopo una piacevole chiacchierata con i nostri commensali ( i 4 australiani, 2 tedeschi, una giovane coppia di Buenos Aires in viaggio di nozze, i proprietari e il loro figlio venuto dalla Nuova Zelanda con la sua compagna: davvero una compagnia molto variegata.
Estancia telken 8 rapporto qualità prezzo 7 .
ESTANCIA TELKEN USD 100 per doppia con colazione + a richiesta USD 30 per l’ottima cena telkenpatagonia@yahoo.com.ar
Km percorsi: 303 di cui sterrato: 266

29 dicembre Estancia telken- Cueva de las manos e ritorno
Oggi non dobbiamo per fortuna lasciare le camere. Dormiremo qui 2 notti.
Durante la colazione, consumata in una sala con arredamenti di altri tempi, guardando fuori vediamo issate diverse bandiere, tra cui quella italiana: la simpatica signora olandese che gestisce la estancia, ci spiega che ha l’abitudine di issare le bandiere delle nazioni degli ospiti: ora garriscono al vento, che non manca mai, quella italiana, tedesca, australiana, neo zelandese e argentina. Le chiediamo quante bandiere ha, ci risponde un armadio pieno!
Dopo colazione partiamo per la Cueva de Las Manos, sito archeologico protetto dall’Unesco. Percorriamo un tratto di strada asfaltata (in tutto sono circa 40 i Km asfaltati, prima e dopo perito Moreno) e dopo circa 20 km c’è un bivio sulla sinistra che prendiamo: la strada prosegue tra radi alberi e cespugli e si ferma al margine del lato opposto del canyon dove si trova la Cueva. Per raggiungerla dobbiamo lasciare la macchina e fare un trekking di circa 90 minuti, scendendo a valle e risalendo per l’altro pendio. Per evitare questa camminata ed arrivare direttamente dall’altro lato con l’auto, avremmo dovuto fare 120 km in più: No, grazie. Il trekking è bello anche se a tratti faticoso, e arriviamo alla cueva verso le 13.00. La visita è solo guidata visto che in passato ci sono stati atti di vandalismo e partiamo poco dopo con altre 7 persone, tra cui la coppia di giovani di Buenos Aires che era con noi all’estancia. La grotta, così come le pareti del canyon circostante, si rivela essere una grande galleria d’arte preistorica all’aperto, con alcune delle opere vecchie di oltre 7.000 anni. Prevalgono le sagome di mani sinistre, ottenute appoggiando le mani stesse alla parete e sputandoci sopra una miscela impastata di terra e sterco (pensa cosa mettevano in bocca questi “artisti”) in modo da far risaltare la forma della mano. Ma assieme ci sono scene di caccia, guanachi, riproduzioni di orme di armadillo, disegni più o meno geometrici, tutti di epoche successive alle impronte delle mani, fino a circa 600 anni fa. Un luogo affascinante abbellito ulteriormente dal contesto in cui si trova. Siamo quasi tentati di ripetere la visita! Ci avviamo invece lentamente sui nostri passi assaporando la pace della piccola valle che dobbiamo attraversare prima di arrampicarci sull’altro versante per raggiungere l’auto. Sulla via del ritorno avvistamento di altri animali, soprattutto rapaci e le immancabili lepri. Spicca tra tutti uno splendido gheppio americano (falco sparvierus) che ci osserva pigramente e disinteressato da un ramo di albero isolato. Arrivati alla estancia osserviamo da vicino anche le numerose oche Cauquenes (chloephaga picta), onnipresenti in Patagonia, uno dei simboli di questa terra selvaggia e affascinante. Ovviamente, essendo uno dei simboli della Patagonia, il nome Italiano di questa oca non poteva che essere Oca di magellano! Ovviamente.
All’estancia Telken consumiamo una piacevole cena in compagnia ancora dei nostri giovani amici di Buenos Aires (scopriamo che lei è psicologa, lui cardiologo) e dei proprietari con il loro figlio “neozelandese”. Gli altri sono partiti. La serata trascorre piacevole e, complice la luce fino a tardi ed il fatto che ora ci conosciamo tutti molto meglio, le chiacchiere in un misto di divertente spagnolo-italiano e Inglese ci fanno fare di nuovo tardissimo.
Km percorsi: 115 di cui sterrato: 75

30 dicembre ESTANCIA TELKEN – EL CHALTEN
Ci aspetta oggi una tappa di trasferimento, quasi tutta sulla lunga e polverosa Ruta 40. Dopo circa 100 km arriviamo a Baja Caracoles, una manciata di casupole in lamiera che qualcuno ha anche il coraggio di chiamare Paese. Cerchiamo la stazione di servizio, perché non ce ne saranno altre per i prossimi 350 km. La troviamo, due scalcagnate pompe che si ergono davanti all’hotel come dei totem metallici consunti dal tempo e dalle intemperie. D’altra parte anche definire hotel quella baracca di lamiera è davvero un azzardo. Non trovando nessuno entro nell’ “hotel” e da dietro al banco del bar uno scontroso gestore mi informa che non c’è più benzina. Benissimo ! Dopo un rapido consulto con mia moglie, controlliamo la benzina rimasta e decidiamo di proseguire: dovrebbe bastare fino a Tres Lagos e quindi non serve tornare a Perito Moreno. Lasciamo quel postaccio senza perdere ulteriore tempo e affrontiamo i 350 km della Ruta 40 con una certa inquietudine: basterà davvero la benzina? Andrà tutto bene? Le nostre preoccupazioni si dileguano lentamente, cancellate da altri entusiasmanti avvistamenti: altri armadilli, rapaci, uccellini multicolore, che ci fermiamo ad osservare e fotografare.
Scopriamo addirittura che c’è un tratto di strada di 25 km, nel bel mezzo del nulla, asfaltato. Sembra che il progetto in corso sia quello di asfaltare gran parte della Ruta 40: ce la faranno? Sarà un bene o un male? Sarà la fine del fascino di questa faticosissima strada? Il fascino si dissolverà, questo è certo, ma è altrettanto certo che dopo 200 km di sobbalzi salutiamo con sollievo 25 km di fondo liscio come l’olio, anzi, liscio come l’asfalto! Arriviamo a Tres Lagos, dove lo sterrato la fa ancora da padrone, e la pompa di benzina è per noi una apparizione: urge il pieno. Ma, anche qui, una brutta sorpresa: la benzina senza piombo è finita! Cominciamo a percepire che c’è qualche cosa che non va. Fortunatamente ne hanno ancora di normale e acquistiamo quella che ci serve per arrivare fino a destinazione. Per la scalcagnata auto che ci hanno dato riteniamo che usare benzina normale sia il male minore! Ancora una manciata di kilometri e arriviamo al bivio per El Chalten : secondo la mappa e le nostre informazioni, la strada dovrebbe essere sterrata ed invece è quasi tutta asfaltata, anche se si vede comunque che l’asfalto è recente. La via corre lungo il lago Viedma nel quale si specchiano le montagne andine. E’ il nostro primo incontro con le Ande patagoniche e il bel tempo (non certo scontato da queste parti!) ne aumenta il fascino e la spettacolarità. Il tempo per una sosta davanti ad un laghetto popolato di fenicotteri ed eccoci arrivati a El Chalten, un paesino incastonato tra splendide montagne. Tanto è bello il luogo quanto è brutto il Paese! El Chalten è un lampante esempio di come si possa perdere l’occasione di costruire un incantevole paesino al servizio dei numerosi escursionisti attirati da tutto il mondo dalla nomea di questi luoghi. Anziché seguire un minimo di piano regolatore, tutti stanno costruendo dappertutto, senza logica, senza regole, con una accozzaglia di stili (anzi di non-stili) architettonici e senza nessun limite. Davvero un brutto Paese. In compenso l’unico distributore di benzina ha benzina senza piombo ed è davvero un sollievo fare il pieno. Il tempo è molto bello e la cima del Fitzroy si staglia maestosa nella luce della sera. Notiamo che, con i suoi tre picchi principali, somiglia vagamente alle tre cime di Lavaredo. Pernottiamo al Nothofagus bed & breakfast, piuttosto mediocre. Nothofagus è il nome di un albero locale.
In compenso per la cena troviamo un ristorante dove ci servono delle enormi bistecche argentine, una pacchia, visti anche i prezzi moderati (circa 20 Euro per la cena per due)
Bed & Breakfast: Voto 6 rapporto qualità prezzo: 4
Nothofagus USD 60 per doppia con colazione nothofagus@infovia.com.ar
Km percorsi 575 di cui sterrato: 420.
Nota: visto che abbiamo incontrato la prima auto quasi tre ore dopo la partenza, oggi mia moglie si è divertita a contare le auto incrociate nel corso della giornata. Nei 575 chilometri fino a El Chalten abbiamo incrociato 19 auto, di cui 7 negli ultimi 40 chilometri di strada asfaltata nei pressi di El Chalten.

31 dicembre Trekking verso il Cerro torre
Per l’ultimo dell’anno abbiamo previsto un trekking verso il Cerro Torre. Il Cerro Torre è una delle cime più famose e spettacolari delle Ande del sud. Chiamato anche “l’urlo di pietra” è un picco vertiginoso, con l’ultima parete quasi verticale lunga 800 metri: una sfida per qualsiasi scalatore esperto. Partiamo alle 8.30: il tempo è bello anche se c’è qualche nuvola sparsa e sappiamo che non possiamo fidarci.
Il sentiero è ben segnato e non particolarmente difficile. Benchè ci troviamo in uno dei sentieri più famosi della Patagonia non incontriamo molti altri escursionisti, certamente non la folla a cui siamo abituati noi sulle nostre montagne d’estate. Dopo circa 90 minuti di cammino tra i boschi arriviamo al “mirador laguna Torre” che si apre sul massiccio del cerro Torre: sulla sinistra il ghiacciaio del monte Solo, baciato dal sole, ma davanti a noi il Cerro Torre è purtroppo l’unica cima coperta dalle nuvole. Andiamo avanti verso la laguna Torre (in realtà un lago) ma la nuvola fantozziana ci nasconde ancora tutta la cima. C’è un vento fortissimo, ma decidiamo di proseguire verso il Mirador Maestri (altri 50 minuti lungo la sponda rialzata del lago) nella speranza che cambi qualcosa. Decisione che si rivelerà poco saggia, non solo perché non cambierà nulla, ma anche perché il vento impetuoso rischierà di gettare a terra più volte soprattutto mia moglie, più piccola e minuta di me. Sulla via del ritorno, raffiche sicuramente al di sopra dei 100 km/h costringeranno anche il sottoscritto ad inginocchiarsi più volte ed aggrapparsi alle rocce per non essere trascinato via. Rientriamo con molta difficoltà nel sentiero più riparato e torniamo indietro. Sono quasi le 20.00 quando rientriamo al b&b, dopo oltre 11 ore di escursione, esausti ma soddisfatti, nonostante non siamo riusciti a vedere il Cerro Torre. Ci attende però una sgradita sorpresa: l’auto ha una gomma a terra e sono costretto a cambiarla e ripararla alla locale gomeria. Per fortuna qui si lavora tutti i giorni, incluso l’ultimo dell’anno e l’operazione non mi fa perdere più di un’ora. Ceniamo allo stesso ristorante della sera prima che ci propone un ridicolo cenone di fine anno a 15 Euro a testa: le bistecche che ci siamo gustati la sera prima erano di gran lunga migliori! Ce ne andiamo prima delle 23.00, davanti ad un cameriere perplesso che non riesce a capire perché non aspettiamo mezzanotte: a mezzanotte noi saremo già addormentati da un pezzo, visto che siamo stanchissimi, provati non tanto dal trakking quanto dagli sforzi fatti per resistere alle folate del vento…l’anno nuovo arriverà ugualmente, non ci dispiace affatto non attenderlo svegli!
Chilometri in auto: 0

1 Gennaio 2008 EL CHALTEN – ST. JULIAN
Il giorno di capodanno ci riserva purtroppo brutto tempo. Piove e siamo costretti a rinunciare alla prevista escursione verso i piedi del Fitzroy. Tuttavia non tutti i mali vengono per nuocere e ne approfittiamo per integrare il programma del viaggio con un’altra tappa, che era stata fino ad allora in sospeso: sappiamo che l’Argentina è l’unico Paese al mondo dove si possono avvistare i delfini di Commerson (Cephalorhynchus commersonii),dalle caratteristiche e inusuali macchie bianche e nere. Per farlo però dobbiamo fare un trasferimento di 500 kilometri, fino a San Julian, sulla costa. Considerato che qui è previsto bruttissimo oggi e domani e che possiamo tranquillamente togliere un giorno da El Calafate (dove avevamo previsto sei giorni pieni) ecco saltar fuori i tre giorni che ci servono. Dunque partiamo in mattinata. Basta allontanarci dalla catena montuosa ed il tempo migliora già sensibilmente… Imbocchiamo la strada 288, sterrata ma tutto sommato non peggiore della Ruta 40, come temevamo: non è assolutamente frequentata, quasi 300 km e incroceremo una sola automobile! Arriviamo a San Julian alle 18.00 e, vista la bella giornata, lasciamo tutto nel primo albergo che troviamo ed andiamo subito al porto per vedere se possiamo già fare una prima uscita. Nel minuscolo ufficio in spiaggia della pinocho excursiones ci accoglie la gentilissima Natalie che, con ottimo Inglese, ci dice che non è un problema: usciremo alle 20.00 assieme ad altre 4 persone. L’escursione, che costa 80 pesos (meno di 20 Euro), prevede lo sbarco all’isola dei pinguini e l’approccio ad una seconda isola dove nidificano cormorani reali ed imperiali. Nel tragitto, avvistamento dei delfini quasi certo, ci assicura Natalie. www.pinochoexcursiones.com.ar
Natalie aveva ragione: come spesso fanno i delfini, sono loro ad approcciare la barca: sono rapidissimi, oltre che particolarmente piccoli (circa 1,20 metri) e fotografarli non è molto facile. Sono bianchi e neri e sembrano proprio delle orche in miniatura. La cosa interessante e che si vedono solo lungo questa costa e al largo delle isole Falkland il che li rende molto rari: per meglio dire, qui sono molto comuni, ma il fatto che si trovino solo in zone ristrette, fa si che si stimi che non ne esistano più di 5/7.000 esemplari. La visita all’isola non è particolarmente interessante per noi (ne abbiamo visti a migliaia di pinguini…), mentre lo è di più l’isola dei cormorani. Non possiamo purtroppo avvicinarci molto, ma avvistiamo anche colombe artiche, ostricai neri e bianchi e neri, piovanelli, pittime. Un paradiso ornitologico.
Al ritorno altri delfini ci accompagnano verso riva: l’emozione di vederli così da vicino è sempre fortissima e ci deliziano con varie acrobazie, tra cui il nuoto a pancia in su, una delle loro specialità!
Soddisfattissimi per l’esito dell’escursione, ne prenotiamo un’altra, la prima del giorno seguente, e cerchiamo un ristorante: ce ne consigliano uno proprio lì al porto, ma il cameriere, una volta arrivati, ci dice che è tutto occupato. Stiamo riflettendo sul da farsi, quando notiamo una donna che ci fa ampi cenni: è la mamma della famiglia di Milano che avevamo trovato in difficoltà sulla Ruta 40 alcuni giorni prima: la Patagonia è grande, ma il mondo è piccolo! Dopo un fitto scambio di informazioni, scopriamo che, malgrado i tempi stretti, sono riusciti a rispettare più o meno il loro programma ed ora stanno dirigendosi a nord per vedere i pinguini. Vogliono partire il giorno dopo al mattino presto ma noi li informiamo che se vogliono qui hanno la possibilità di avvistare oltre ai pinguini anche i delfini, di cui loro ignorano totalmente l’esistenza: Decidono dunque di restare e uscire con noi l’indomani con la prima escursione delle 8.00. Chiacchierare con loro ci ha portato fortuna, perché nel frattempo si libera un tavolo e possiamo cenare anche noi in quel bel ristorante in riva al mare.
chilometri percorsi: 500 di cui sterrato 323

2 Gennaio 2008 – ST. JULIAN
alle 8.00 siamo tutti puntuali al porto, pronti per l’uscita. Il giro è lo stesso, il tempo purtroppo no. E’ nuvoloso, non ci sono più i bei colori della sera prima. Avvistiamo ancora i delfini, quasi subito, anche se in numero minore.
Il numero minore di avvistamenti è però compensato da diversi balzi acrobatici quando il motoscafo si allontana rapidamente. Peccato però che siano abbastanza lontani, non riusciamo a godere appieno dello spettacolo. Rientriamo verso le 10.00, salutiamo i nostri amici milanesi, e partiamo per la panoramica strada costiera, dove avvisteremo altri uccelli marini, fossili e spiagge di conchiglie. Nei pressi del paese c’è anche in piccolo laghetto dove sono numerosi i fenicotteri. Benchè somiglino ai fenicotteri che noi vediamo qui in Europa, questi sono di una specie diversa: sono fenicotteri cileni (phoenicopterus chilensis) e fenicotteri delle ande (phoenicopterus andinus): tuttavia ad un occhio non esperto le differenze non sono rimarcabili. Nel laghetto notiamo anche due tipi di svasso, il meraviglioso e timido svasso maggiore del Sudamerica (podiceps major) ed un altro, più piccolo, al quale non riusciamo a dare un nome. Al ritorno, altra foratura: in realtà è la stessa gomma di due giorni prima, probabilmente riparata male. Fortunatamente anche questa in città, e non è difficile trovare una gomeria. Facciamo riparare la gomma da un simpatico e fischiettante gommista che ci fa pagare solo un paio di dollari e decidiamo di controllare nuovamente al porto per vedere se è il caso di un fare un terzo giro. Il tempo è però ancora brutto e decidiamo invece di prenotare un tour personalizzato per il giorno dopo, mare permettendo. Andremo fino alle scogliere dei cormorani grigi, un giro più lungo e costoso, ma siamo lì per questo! Il capitano ci telefonerà il mattino presto in albergo per confermare l’eventuale giro, nel caso tempo e mare ce lo permettano…
Ci soffermiamo infine davanti al monumento dedicato ai caduti della guerra nelle Falkland o Malvine, come le chiamano da queste parti. St. Julian è la città di una certa importanza più vicina a queste isole e proprio per questo fungeva da base logistica ai tempi della guerra. Fa una certa impressione leggere i nomi dei caduti, almeno un 20% sono di chiara origine italiana: il tenente Volponi, il capitano Manzotti, il soldato Guadagnini….tutti vittime di una guerra rovinosa ed inutile per l’Argentina, caduti davvero per niente.
Tutto ciò ci ricorda l’apporto dell’emigrazione Italiana a questa nazione: a Buenos Aires non c’era persona che abbiamo incontrato che non avesse un parente, un amico, una fidanzata di origine italiana, per non parlare di quelli che ci dicevano di essere essi stessi di origine Italiana. Il giorno dopo scopriremo per caso che anche il nonno del proprietario e capitano della nostra barca era un emigrato italiano, partito con la sua valigia di stracci da una cittadina distante appena 20 chilometri da dove abitiamo noi!
Km percorsi: 80 di cui sterrato: 30

3 Gennaio 2008 – ST. JULIAN – EL CALAFATE
Alle 6.30 ci sveglia puntuale la telefonata del capitano: tutto ok, si esce! Mezz’ora dopo siamo al porto e incontriamo una coppia di Svizzeri che chiede se può unirsi a noi per l’escursione personalizzazta: a noi va benissimo, divideremo la spesa e spenderemo la metà, quasi come una escursione normale e due persone in più non danno certo fastidio nella grossa barca. Impieghiamo oltre mezz’ora per arrivare a ridosso di una scogliera davvero imponente e spettacolare: circa 600 coppie di cormorani grigi hanno colonizzato l’intera parete a picco sul mare. Una chiassosa comunità che ci accoglie con grida di allarme e sguardi attenti. A dispetto del nome i cormorani grigi (Phalacrocorax gaimardi) sono invece molto colorati: zampe e becco sono di un colore arancione brillante, infatti sono conosciuti in Italia anche con il nome di cormorano zamperosse. Si trovano solo in Argentina e Cile ed è considerata specie a rischio di estinzione.
Sostiamo oltre 40 minuti per osservarli (sotto di loro c’è anche una colonia di leoni marini) e torniamo indietro inseguiti da una coppia di delfini di Commerson. Rientriamo alle 10.00, rapida colazione e partenza per El Calafate.
Il primo tratto di strada è asfaltato, fino a Piedra Buena. Ci fermiamo all’ultima stazione di rifornimento per il pieno, ma anche qui amara sorpresa: non c’è più benzina, neppure normale! Avevamo letto su di un giornale del mattino che i problemi ai distributori si sarebbero normalizzati entro oggi, invece non è evidentemente così. Chiedo informazioni ai gestori della pompa e mi dicono che la benzina arriverà forse per le 19.00: ora sono le 11.30! Che fare? Una rapida occhiata al contenuto del serbatoio e decidiamo di nuovo di proseguire. Ci attendono oltre 300 km di strada sterrata e gli ultimi 41 di strada asfaltata. Ci rendiamo conto che rimanere a secco sulla strada sterrata sarebbe un problema, visto lo scarsissimo traffico, ma non abbiamo alcuna intenzione di passare la giornata fermi davanti al distributore. Lo sterrato non consente di viaggiare a più di 60/70 km/ora ma per noi va benissimo, bisogna risparmiare carburante. A circa 2/3 della strada ci rendiamo conto che la lancetta scende più rapidamente del previsto: non ce la faremo ad arrivare a El Calafate!Cerco di ottimizzare ulteriormente il consumo, mantenendo una velocità il più possibile costante. A 40 km dalla fine dello sterrato vediamo davanti a noi una jeep ferma con le luci di emergenza: ci aveva superato a tutta velocità mezz’ora prima riempiendoci di polvere e sassi. Immaginando qualche danno rallentiamo (ahimè benzina in più che se ne va!) ci fermiamo chiedendo se c’è qualcosa che non va. Niente di grave, si sono solo fermati a mangiare e lo fanno a bordo, visto il vento forte. Ci guardano come fossimo dei rompiscatole e ho la forte impressione che siano italiani. Mi sembra di consumare tantissimo per ritornare alla velocità di crociera di 60 km/h e la lancetta del carburante scende inesorabilmente. Prego, visto gli scarsissimi incontri, di arrivare almeno all’ incrocio con la strada asfaltata proveniente da Rio Gallego. La luce della riserva sembra un faro abbagliante e gli ultimi 10 km sembrano interminabili. Scopro così che sulla Chevrolet l’ultimo litro è segnalato dalla luce intermittente, ma comincia a lampeggiare proprio a 5 km dall’incrocio. L’asfalto, finalmente! Parcheggio la macchina all’incrocio, prima che rimanga a secco completamente e decidiamo che io chiederò un passaggio fino a El calafate, in cerca di benzina, sperando che ci sia. Mia moglie mi aspetterà.
Dopo pochi minuti ecco apparire la jeep alla quale avevamo offerto il nostro aiuto: bene, penso, non serve neppure aspettare un’auto nella più frequentata strada asfaltata. Vana speranza: la jeep mi supera ignorandomi completamente, nonostante i miei cenni, riempendomi anche di polvere: emeriti imbecilli, soprattutto se penso che io mi sono fermato quando sembrava fossero loro in difficoltà!
Per fortuna dall’altra strada spunta un’auto di Argentini che, ovviamente, si fermano immediatamente e mi danno un passaggio fino a El calafate. Lì acquisto 2 contenitori da 5 litri e li riempio di benzina normale, perché anche qui la super e la senza piombo è finita e c’è una fila interminabile di auto. Torno indietro in autostop e questa volta mi carica, dopo circa 15 minuti, la coppia di tedeschi che avevamo conosciuto all’estancia Telken. Il mondo è davvero piccolo!
Sarà il nostro ultimo problema con la benzina, ma non l’ultimo con le forature: ancora quella sera troveremo una gomma a terra! Degna chiusura di una giornata movimentata.
Per pernottare abbiamo scelto un albergo lontano dal centro, dato che siamo automuniti. In realtà non è neppure così lontano, ma il posto è a ridosso della riserva Cauquenes de Nimes, un meraviglioso stagno popolato da uccelli, in particolar modo fenicotteri rosa e ibis faccianera. La scelta si rivelerà indovinata: un piccolo albergo in legno, a gestione familiare, con una straordinaria sala colazioni al primo piano, dove le ampie superficie vetrate danno una incomparabile vista sul laghetto e la sua avifauna. Non ci sembra neppure di essere a solo un paio di chilometri dal movimentato centro di El calafate!
www.cauquenesdenimez.com
Camera doppia con colazione 70 USD. Voto 9 rapporto qualità prezzo: 9
Km percorsi: 391 di cui sterrato: 193

4 Gennaio 2008 – EL CALAFATE
la giornata di oggi è dedicata ad una gita sul lago Argentino. Sul lago è possibile fare gite su modernissime barche per una cifra che si aggira intorno ai 100 Euro a testa. È un vero business per l’unico operatore, perché ogni giorno arrivano centinaia di turisti che riempiono le enormi barche, che in realtà sono delle vere e proprie piccole navi. Nel lago galleggiano parecchi iceberg e proprio per questo le crociere che vi si effettuano possono subire variazioni di rotta a discrezione del capitano. Prenotare una escursione è facile, basta rivolgersi ad una delle numerose agenzie di El Calafate, che provvedono a prelevarvi dall’albergo e portarvi fino al punto di attracco, Punta Bandera, e viceversa. Ovviamente stavolta non possiamo esimerci dalla gita di gruppo, anche perché non c’è possibilità di avere orari o alternative diverse per la navigazione sul lago.
Dunque ci facciamo prelevare dal bus in albergo, una volta arrivati paghiamo l’ingresso di circa 30 Euro per il parco de Los glaciares e ci imbarchiamo.
La giornata è nuvolosa, ma sappiamo per esperienza che non è un grosso problema quando si ha a che fare con icebergs: a fronte dell’acqua del lago che sarà inevitabilmente marroncina, i colori del ghiaccio degli iceberg saranno invece più carichi e con tonalità blu più intenso, dato che i raggi del sole tendono a far percepire di più le tonalità bianche del ghiaccio. Mancando il sole la luce fa meglio risaltare le tonalità azzurro-blu.
Dopo una prima parte dove galleggiano degli Iceberg relativamente piccoli, avvicinandoci al ghiacciaio chiamato Uppsala le montagne di ghiaccio galleggianti diventano sempre più grandi e spettacolari: ma lo spettacolo più bello lo riserva il ghiacciaio stesso al quale ci si avvicina entro i limiti dettati dalla sicurezza. La nave descrive ampi cerchi davanti al fronte del ghiacciaio per dar modo a tutti di godersi il meraviglioso spettacolo che la natura offre in questo lago. Non è da meno il ghiacciaio Spegazzini, che si trova sull’altro ramo del lago: pur essendo più piccolo è molto più alto e imponente. Mi incuriosisce il nome del ghiacciaio che suona assolutamente Italiano. Al mio ritorno in Patria scoprirò una cosa che mi farà pure vergognare un pochino: Carlo Luigi Spegazzini, non solo era italiano ma era addirittura mio compaesano. Come se non bastasse ha studiato alla mia stessa scuola e dunque era pure un collega! Che vergogna, io non lo avevo mai sentito nominare fino ad allora, ma scoprirò che molti altri amici e colleghi, a dimostrazione che riesce difficile essere profeti in Patria, non ne aveva sentito parlare! In breve, Spegazzini, dopo aver studiato alla più vecchia scuola di enologia d’Europa, si specializzò dapprima nei funghi parassiti dell’uva e , trasferitosi in Argentina, divenne uno dei più famosi e stimati micologi del tempo (siamo intorno agli inizi del secolo XX). In suo onore, l’Argentina gli ha dedicato questo spettacolare ghiacciaio e pure una cittadina!
Dopo la spettacolare vista di questi due ghiacciai che, ahimè, portano ben visibili i segni della contrazione, attracchiamo alla baia Onelli, per andare a vedere, dopo una breve passeggiata di circa 800 metri, un meraviglioso laghetto dove confluiscono tre ghiacciai: Agassiz, Bolado e, appunto, l’Onelli. Le acque cristalline sono zeppe di iceberg di varie dimensioni, che arrivano fino a riva.
Visto che ci è stato dato un bel po’ di tempo ne approfittiamo per trovare un angolo appartato dove consumiamo il nostro pranzo al sacco davanti ad un ineguagliabile quanto insolito panorama. Purtroppo dopo un po’ comincia a piovigginare e siamo costretti a cercare riparo tra gli alberi. Peccato, ma il panorama resta comunque incomparabile anche se , come spesso succede, qualche stupido continua a schiamazzare per tutto il tempo a dimostrazione di una cronica insensibilità nei confronti dell’incomparabile bellezza che la natura offre (e a dimostrazione di una buona dose di maleducazione!).
Rientriamo un po’ bagnati ed infreddoliti verso le 17.30 e, dopo una doccia e un mate caldo, usciamo a farci un giro per El calafate e per fare un po’ di shopping. El calafate, a differenza di El Chalten, è una cittadina costruita con un minimo di criterio: non la si può certamente definire una bella cittadina, ma girare per i negozi disposti con cura lungo la via principale può essere molto piacevole. Tra varie sciocchezze più o meno kitch per turisti si riescono a trovare anche delle cose interessanti, come ad esempio indumenti pesanti di indubbia qualità e qualche oggetto di pregevole fattura.
Cena al ristorante Casimiro Biguà dove gustiamo della ottima carne, tanto per cambiare!
Una ottima cioccolata locale, per la quale El calafate è famosa, ci fornisce la nostra dose quotidiana di endorfine, anche se in un posto del genere non ci servono davvero!
Km circa 80, non con nostri mezzi

5 gennaio EL CALAFATE – TORRES DEL PAINE E RITORNO
Noleggiare un mezzo in Argentina può comportare dei problemi se si vuole andare in Cile. Per questo abbiamo dovuto prenotare un mezzo con autista per una escursione a Torres del Paine, Chile: non volevamo perdere quello che è molto probabilmente il più bel parco nazionale di montagna in tutto il Sudamerica.
Va detto che la zona di Torres del Paine merita da sola un viaggio e farla in una giornata è stato un po’ un azzardo: tuttavia forte era la tentazione di avere almeno un assaggio della zona e, benchè sapessimo benissimo che il rischio di trovare cattivo tempo fosse altissimo abbiamo voluto provare lo stesso. Come spesso succede, la fortuna aiuta gli audaci e abbiamo trovato una giornata meravigliosa. Partiamo alle 7.00, carichi di aspettative sperando di essere almeno parzialmente ripagati dalla delusione patita con il Cerro torre. Appena usciti da El calafate avvistiamo subito una volpe grigia: sarà la prima di ben 5 avvistamenti oggi. Non sembra aver paura, anzi, quando Gustav, il nostro autista, suona il clacson lei si volta incuriosita a guardare, posando incosciamente per le nostre foto. La volpe grigia o volpe della Patagonia, (Pseudalopex griseus) è diffusa in tutta la Patagonia sia cilena che argentina ed è abbastanza diffusa nelle steppe Patagoniche: noi le abbiamo avvistate soprattutto la mattina presto e verso sera in diverse aree: solo a Torres del Paine le vedremo anche nelle ore centrali del giorno. Alla frontiera va tutto liscio. Gustav ci racconta che a volte si perdono anche un paio d’ore, ma nel giro di mezz’ora le passiamo entrambe. Siamo partiti da 3 ore e i nostri occhi già si riempiono della maestosa e imponente sagoma del massiccio del Torres del Paine. Ci giriamo lentamente intorno, percorrendo una parte della bella strada panoramica, fermandoci ad ogni angolo per ammirarlo e fotografarlo. Non occorre essere degli appassionati di montagna per apprezzare un simile spettacolo. Gustav, un veterano della zona, visto che ci ha lavorato per parecchie stagioni e la moglie lavora tuttora in un albergo del posto, ci dice che siamo particolarmente fortunati, perché giornate così limpide capitano solo 1 o 2 giorni ogni 10. La giornata passa in un batter d’occhio, tra avvistamenti di aquile, volpi, e qualche breve passeggiata che è tutto ciò che ci è concesso, vista la mancanza di tempo. Alle 17.00 prendiamo la via del ritorno. Arriviamo alle 21.00 passate. Abbiamo percorso 640 Km con un 4x4 (fortunatamente in gran parte su strada asfaltata) e non ce ne siamo accorti.
Giornata memorabile anche se troppo corta! Tuttavia siamo contenti di esserci stati e ci siamo imposti di tornare in futuro, dedicando a questa meraviglioso parco nazionale almeno una settimana di trekking ed escursioni.
Km 640, non con nostri mezzi.

6 gennaio ATTORNO A EL CALAFATE
L’autista locale che ci ha portato a Torres del Paine ci ha indicato un laghetto dove spesso si vedono i Maca Tobiano, dei rarissimi e colorati svassi in via d’estinzione. Sappiamo che è quasi una “mission impossible” vederli, ma chi non risica non rosica. Per raggiungere il laghetto dobbiamo percorrere alcuni chilometri a piedi nella sconfinata steppa. Parcheggiamo l’auto lungo la strada che porta verso ovest e ci incamminiamo. Sappiamo che è difficilissimo prendere dei punti di riferimento nella pianura tutta uguale (e soprattutto senza alberi) quindi cerchiamo di orientarci con il sole. Ci vogliono ben 2 ore per arrivare al laghetto anche perché le distanze sono appiattite: il laghetto si vedeva dalla strada, non sembrava così distante. Del Maco Tobiano purtroppo non c’è traccia, in compenso avvistiamo fenicotteri, altri svassi, cigni, cauquenes, ostricai. Purtroppo non sono abituati alla presenza umana, noi non possiamo nasconderci e quindi tendono ad allontanarsi verso l’altro lato del lago. Consumiamo il binocolo a forza di guardare, ma non ci sembra di scorgere il maco. Ci accontentiamo di osservare il resto, compresi alcuni piovanelli che ci girano intorno senza paura. Verso le 12.00 decidiamo di tornare e subito avvistiamo una volpe su una carcassa di pecora: non è stata certamente lei ad ucciderla e ci chiediamo se può essere stato un puma… Dopo 2 ore non abbiamo ancora avvistato la strada e la macchina e ci prende una certa inquietudine: possibile che abbiamo sbagliato strada? Il sole non dovrebbe tradire e anche la direzione dal lago sembra quella giusta…. D’altra parte basta prendere una piccola piega da una parte o dall’altra e si rischia di camminare paralleli alla strada e di non arrivare mai. La preoccupazione di mia moglie aumenta e già comincia ad immaginare la sua faccia nei manifesti delle “missing persons”, che abbiamo visto da più parti.
Fortunatamente, ad un certo punto, lungo la strada transita un enorme autobus e, grazie alla sua altezza, riesco a scorgerlo in lontananza tra i sassi e i cespugli: e’ ovviamente sulla strada, invisibile ai nostri occhi. Avevamo proprio piegato leggermente e stavamo camminando più o meno parallelamente alla strada. Prendiamo dunque la direzione verso la quale abbiamo visto apparire l’autobus, a costo di sbucare in un punto lontano dalla nostra auto: l’importante è uscire dal pericolosissimo paesaggio senza punti di riferimento della pianura cespugliosa!
Avvistiamo finalmente la strada con un certo sollievo e notiamo che la nostra auto non è neppure così lontana.
Torniamo a El Calafate e ci dirigiamo subito verso il pezzo forte della zona, il Perito Moreno, che vogliamo osservare con la luce della sera. Il ghiacciaio dista 80 km. Da El Calafate e gli ultimi 20 sono davvero molto belli: offrono panorami ineguagliabili, non solo sul ghiacciaio ma anche sui laghi circostanti. Lasciamo la macchina nel parcheggio e scendiamo verso le passarelle posizionate sulla piccola penisola antistante il ghiacciaio: la vista è davvero all’altezza della fama, il ghiacciaio si apre in tutta la sua imponenza dei 4 kilometri di fronte e 60 metri di altezza sull’acqua. Siamo talmente rapiti che restiamo lì 4 ore, senza accorgerci che il tempo passa. Non solo, maturiamo la ferma intenzione di tornare l’indomani con la luce del mattino. Risaliamo in macchina alle 21.00 (qui c’è luce fino alle 23.00) e sulla via del ritorno un altro fantastico avvistamento: il carpintero gigante! Il carpintero (campephilus magellanicus), picchio di Magellano, è il picchio più grande del mondo: 45 cm di pura bellezza, con il corpo nero lucido e la testa color rosso fiammante. Si trova su di un tronco a non più di 1 metro da terra, proprio lungo la strada. Con una manovra spericolata faccio marcia indietro (lo avevamo superato) e parcheggio l’auto a circa 10 metri di distanza. Scendiamo con calma e ci avviciniamo con circospezione per non farlo spaventare. Mentre lo sto fotografando mia moglie avvista anche la femmina poco lontano, della stessa grandezza ma con il capo nero come il resto del corpo, provvisto solo di piccole macchie rosse. Una vera fortuna. Qualche decina di secondi e la coppia prende il volo. Peccato, sarebbe stato bello gustarceli un po’ di più, ma siamo comunque entusiasti, anche perché non avremo più l’occasione di vederne altri, nonostante i nostri sforzi per avvistarli.
Km 300 di cui 0 sterrato

7 gennaio EL CALAFATE – PERITO MORENO E RITORNO
Giornata dedicata interamente al Perito Moreno. Arriviamo alle 7.30 in modo di essere sul posto quando non c’è troppa gente. Fino alle 11.00 infatti non arrivano grossi gruppi e il silenzio, rotto solo dai crepitii del ghiaccio che si rompe, è davvero magico. Verso le 10.30 il flusso aumenta e alle 11.00 arrivano i chiassosissimi gruppi.
Battiamo in ritirata e passiamo la parte centrale del giorno esplorando i dintorni, anche se verso le 14.00 comincia a cadere una fastidiosa pioggia. Torniamo in zona Perito Moreno verso le 16.00, sotto una pioggia battente. Ma, come spesso accade da queste parti, il tempo cambia in continuazione e infatti nel giro di mezz’ora la pioggia cessa e comincia a far pure capolino il sole, da una spessa coltre di nubi. Nel frattempo ci siamo riparati nel bar-ristorante del parcheggio, a scrivere cartoline, ma appena rischiara decido di lasciar tutto e uscire: mia moglie mi dice che si fermerà ancora qualche minuto e mi raggiungerà entro breve: scelta fatalmente sbagliata, che servirà a farle perdere uno degli spettacoli più belli di tutto il viaggio!| Scendo verso le passarelle con il silenzio rotto solo dai crepitii del ghiaccio che mi sembrano più forti e frequenti: le passerelle sono pressochè deserte, perché la pioggia ha fatto scappare quasi tutti. Da un punto del ghiacciaio noto frequenti piccoli crolli ed ho la sensazione di vedere una crepa che prima non c’era. Penso che forse è tutta una impressione, ma decido di tenere la macchina fotografica pronta, giusto in caso…. non passano neppure cinque minuti che d’improvviso, preceduto da solo alcuni crepitii leggermente più forti, un fronte di 60-70 metri della parete cede: un blocco enorme di ghiaccio cade in acqua con un fragore colossale. Non riesco quasi a crederci, sono prontissimo con la mia macchina fotografica ed immortalo il crollo con lo scatto a ripetizione! Non si è ancora spenta l’eco del crollo e il moto ondoso generato nel lago che arriva mia moglie trafelata: ha udito il frastuono mentre usciva dal ristorante e ha perso lo spettacolo per pochi minuti. Dire che è contrariata è poco, quasi si mette a piangere!
Restiamo fino alle 20.00 nella vana speranza che lo spettacolo si ripeta, ma ovviamente non c’è nulla da fare. I crolli importanti non sono molto frequenti e quello al quale ho assistito io non è comunque uno di quelli molto importanti, tanto è vero che non verrà certo ricordato. Resta il fatto che vedere cedere un fronte di una settantina di metri non capita certo tutti i giorni e posso assicurare che è uno spettacolo impressionante, soprattutto per il fragore e il moto ondoso che genera. Immagino che cosa possano essere i crolli considerati davvero importanti! I continui cedimenti delle pareti, più o meno importanti, non devono comunque trarre in inganno, perché il Perito Moreno è uno dei pochi ghiacciai al mondo che non stanno retrocedendo, anzi, sta avanzando. Propria questa avanzata lo porta molto spesso a raggiungere e toccare la riva sulla quale ci sono le passarelle di osservazione. L’attrito esercitato dal ghiaccio sulla terraferma, unitamente alla forza dell’acqua che spesso si ritrova intrappolata da una parte del lago porta ogni 2-3 anni a crolli ben più spettacolari di quello a cui ho assistito io. Ovviamente non possono essere previsti ed è solo la fortuna che premierà alcuni visitatori donando il privilegio di assistere ad uno spettacolo difficilmente ripetibile. Io mi accontento comunque della “prova generale” a cui ho assistito.
Km percorsi 180 di cui sterrato 40

8 gennaio: EL CALAFATE – USHUAIA VOLO
Oggi ci attende il volo per Ushuaia nel primo pomeriggio. Passiamo la mattina alla laguna di Nimez dove ferve la vita animale. Osserviamo assieme alle solite oche di cauquenes, fenicotteri, ibis faccia nera, vari rapaci, il raro gobbo rugginoso americano, le rumorosissime pavoncelle cilene, sempre pronte a dare l’allarme, e un’anatra dal becco blu che non riesco a battezzare con il proprio nome. Poco lontano vediamo finalmente anche un esemplare, questa volta adulto, della splendida aquila pettonero. Il tempo vola e dobbiamo sbrigarci per arrivare in tempo all’aereoporto e lasciare l’auto. Tanta fretta per nulla, una volta arrivati scopriamo che il volo è in ritardo di 3 ore. Arriviamo comunque ad Ushuaia in tempo per la cena. Sono le 21.00 quando arriviamo: affittiamo l’auto prenotata e per le 22.00 siamo già al b&b, il “Tierra de Lejendas”. Un po’ costoso, ma decisamente molto, molto bello. Il gestore è un ottimo cuoco e la cena è davvero eccellente, consumata in una saletta con vista sul canale del Beagle
Hotel Tierra de Leyendas USD 130 doppia con colazione www.tierradeleyendas.com.ar
Nota: La piccola guesthouse era aperta da poco. Ora le tariffe, già altine allora, benchè l’hotel sia bellissimo, sono molto più alte.
Km percorsi 23 di cui sterrato 0

9 gennaio – USHUAIA
Abbiamo deciso di dedicare il primo dei due giorni interi a Ushuaia al parco nazionale della Tierra del Fuego. Dato che è molto vicino (12 km), per una volta non partiamo prestissimo. Approfittiamo invece della ottima colazione (stessa saletta, bellissima veduta) e chiacchieriamo un po’ con i gestori. Sono giovanissimi, non più di 30 anni, e hanno da poco aperto il posto. Lui ha fatto anche il cuoco al Marriott (ecco spiegata la sua cura nel preparare i piatti), lei è estremamente carina e gentile, dimostra davvero di saperci fare con le persone. Partiamo per il parco: la giornata non è molto buona: è nuvoloso, a tratti pioviggina ma ogni tanto appare anche il sole. E’ molto bello, ma non si vedono molti animali, forse anche a causa del vento: si vede qualche anatra negli stagni, ma dopo le scorpacciate di animali dei giorni precedenti, non ci colpiscono più di tanto. Rientriamo per il pranzo e visitiamo un po’ Ushuaia: è un bel paesotto, con una ubicazione dal punto di vista paesaggistico davvero invidiabile: circondato da vette innevate da un lato e con il canale del Beagle dall’altro. Le zone residenziali nuove sono curate, con belle casette colorate. Insomma, la sensazione è che la ricchezza sia di casa, complice forse il fatto che la zona è ancora porto franco, una misura che era stata presa diversi decenni fa proprio per attirare soldi e popolazione da queste parti, dopo che aveva smesso di essere una colonia penale. Mangiamo discretamente in un “all you can eat” e torniamo al parco fino a sera. Vediamo le dighe dei castori, introdotti dal Canada, che ovviamente hanno procurato disastri all’ambiente, ma non siamo molto fortunati con gli avvistamenti degli animali e ci divertiamo invece a fare salutari passeggiate tra la natura.
Cena al b&b, anche questa ottima.
Km percorsi 115 di cui sterrato 90

10 gennaio: USHUAIA – ESTANCIA HARBERTON
Il giorno dopo il tempo è ancora bruttino. Abbiamo sentito che c’è una escursione in barca che parte dalla Estancia Harberton, a parecchie decine di km di distanza, che permette di andare a vedere i pinguini Papua: quelli non li abbiamo ancora visti e., considerato che non sono molto comuni, ci piacerebbe davvero vederli! I proprietari del b&b telefonano ma ci dicono che i tour sono già prenotati: loro ci consigliano di andare lo stesso perché, dicono, c’è sempre qualcuno che non si presenta , e noi seguiamo il loro consiglio, anche perché è una scusa per visitare la parte est della tierra del fuego. L’alternativa sarebbe una crociera sul canale del Beagle, ma sinceramente siamo più attirati da questo programma alternativo. Il tragitto per arrivare si rivela infatti molto interessante. Le strade sono quasi deserte e, usciti dalla città, corriamo tra i boschi e le montagne. Lasciamo ad un certo punto la strada principale asfaltata per seguirne una di sterrata, tanto per cambiare. Ci imbattiamo in un’altra volpe, attraversiamo crinali con isolati alberi piegati in maniera impressionante dal vento. I panorami sono un po’ rovinati dal tempo brutto ma rimangono comunque spettacolari. Arriviamo all’estancia poco prima delle 12.00, (lì finisce la strada) per apprendere che forse c’è una speranza: mancano pochi minuti alle 12.00 e tre persone che avevano prenotato per un tour non si sono presentate: la barca raccoglie al massimo 20 persone e capiamo subito che non vengono fatte eccezioni. Il capitano ci consiglia di aspettare in una piccola sala che fa anche da bar. Neanche il tempo di sorseggiare il te sperando che non arrivi nessuno, che ci fa chiamare. Si parte! Paghiamo i 60 dollari a testa e ci imbarchiamo
La traversata del canale del Beagle (lo stesso che si trova davanti a Ushuaia, dunque alla fine abbiamo navigato nel canale!) richiede 10 minuti e sbarchiamo in una isola privata: il freddo è pungente, la spiaggia è piena di pinguini di Magellano, ma quelli non ci interessano, ne abbiamo già visti tanti. La colonia di Papua è piccola, un po’ isolata e lontana dal sentiero… una piccola isola di pinguini dal becco e zampette rosse, in mezzo ad un oceano di pinguini dalle zampette e becco nero! I pinguini di Papua (pygoscelis papua) sono tra le specie più grandi di pinguini e raggiungono anche i 90 cm. di altezza, ma soprattutto sono i nuotatori più veloci tra i pinguini. Anche questa specie è considerata minacciata e questa è una delle poche colonie al di fuori dell’Antartico.
Chiediamo e otteniamo di restare ad osservarli, mentre gli altri passeggiano dall’altro lato dell’isola alla ricerca dei Magellano. Tutt’intorno a noi solo mare, montagne in lontananza e una frenetica attività di pinguini, skua e gabbiani. L’escursione non riserva molto altro ma noi siamo più che contenti così, non avevamo mai visto i Papua e ci rendiamo conto che è difficilissimo vederli in libertà, se non aggregandosi a rare e costosissime escursioni in Antartico.Il tempo continua ad essere freddo e nuvoloso, quindi decidiamo di pranzare all’estancia in una bella sala rialzata e panoramica che funge da ristorante rustico con tanto di stufa a legna accesa: del resto, siamo in piena estate! L’estancia è ancora attiva, di proprietà dei discendenti degli Harberton, ma appare chiaro che i pur pochi turisti che arrivano da queste parti, in maggioranza Argentini, sono una risorsa ben più cospicua dell’allevamento degli ovini.
Ritorniamo guidando piano, fermandoci spesso ad osservare cascate e boschi tra valli incantate, assaporando con calma questa ultima giornata trascorsa in una terra ancora selvaggia, dove l’uomo ha lasciato ben pochi segni della sua presenza. La speranza è che continui ad essere così anche negli anni a venire.
Km percorsi 230 di cui sterrato 130
Il nostro viaggio è concluso: il giorno dopo, 11 gennaio, rientriamo a Buenos Aires ed il 12 ci aspetta il volo Intercontinentale che ci riporta a casa.

Note finali:
Noleggio auto Hertz fino a El calafate, incluso drop off: 2420 USD
Noleggio Tierra del Fuego 207 Euro per 3 giorni.
Chilometri percorsi: con nostra auto: 4.304 di cui 2076 sterrato. Con mezzi non nostri: 720 (sterrato non rilevato, comunque non più di un centinaio di chilometri)
Nota: I 5.000 chilometri percorsi, di cui quasi la metà di ripio, come viene chiamato lo sterrato, sono certamente molti.
Tuttavia va rilevato che il traffico è scarsissimo e che dunque è una guida riposante, senza stress e senza ingorghi. D’altra parte la Patagonia è una regione estesa, in gran parte desertica, e i punti di interesse sono molto distanti tra loro.
Le forature sono all’ordine del giorno e consiglio di non fare l’errore che ho fatto io: la prossima volta che andrò in Patagonia mi rifiuterò di prendere un mezzo con pneumatici in cattive condizioni come quello che mi è stato dato (pur da una nota compagnia di noleggio). Il mezzo era ok dal punto di vista della meccanica, ma aveva pneumatici davvero vecchi e malconci. Due delle forature sono infatti secondo me da attribuire alla cattiva qualità delle ruote e della relativa riparazione. L’episodio del costoso 4X4 che abbiamo incrociato bloccato perché mancava la chiave per svitare i bulloni dimostra che non bisogna temere di controllare tutto prima di prendere in carico il mezzo, incluse le condizioni della ruota di scorta, che spesso è peggiore di tutte le altre. Consiglio di fare come ormai ho imparato a fare io quando prenoto un mezzo in paesi del Sudamerica o dell’Africa, ovvero spedire una mail nei quali si avvisa la società che controllerete lo stato dei pneumatici al momento dell’affitto. L’unica volta che non l’ho fatto sono rimasto fregato, non si finisce mai di imparare!
Magari non serve a molto, ma è possibile che tra due mezzi malconci, vi diano il meno malconcio…

Un commento in “Patagonia, terra estrema
  1. Avatar commento
    MQEWoLBy
    23/10/2012 02:28

    luca / Ciao Stefano complimenti per il tuo larvoo,sono alle prime armi,sto facendo prova con metatrader4,ma c'e'un dubbio che mi tormenta,forse tu che sei esperto mi puoi chiarire al riguardo e' il seguente.Quando da demo si passa alla modalita'reale,si apre di fatto un conto corrente con la banca e di conseguenza si stipula un contratto con la stessa con tanto di documenti,passaporto o altro,firma ecc.E'possibile che io possa perdere di piu'(anche molto di piu')di quello che ho versato sul conto corrente e che la banca(nel caso io non voglia pagare) tramite qualche postilla oscura possa agire contro di me per via legale?Grazie

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