Ancora emozionati per questi incontri ravvicinati, ci mettiamo in marcia verso Opuwo, principale centro abitato del Kaokoveld, descritto da molti come ultima vera wilderness e ultimo baluardo delle tradizioni di alcune delle popolazioni indigene africane.
Quando giungiamo a destinazione, abbiamo davvero la sensazione di essere d'un tratto catapultati nella vera Africa. Definire Opuwo una cittadina nel senso che comunemente attribuiamo a questo termine, ne falserebbe l'essenza. Siamo piuttosto di fronte ad un piccolo spaccato di multicolore caos africano: ci sono le donne Herero con i loro ampi ed ingombranti abiti multicolore, le sinuose donne himba ricoperte di ocra rossa e vestite con pelli di animali, persone vestite come noi, capre e mucche in mezzo alla strada; bambini con la divisa da scuola accanto ad altri che lavorano o vendono piccoli oggetti di artigianato locale.
Ci troviamo nel mezzo di un melting pot tutto africano, che ci confonde e allo stesso tempo ci incuriosisce. Sulle prime veniamo assaliti dalla strana sensazione di essere per una volta noi, gli stranieri, quelli diversi, i simboli dell'alterità. Questo rende un po' difficoltoso mischiarsi alla gente del posto e mimetizzarsi nella folla: qui il colore della nostra pelle attira l'attenzione, e fa sì che - anche a causa delle distorsioni provocate dal turismo in questa regione - una persona bianca equivalga ad una possibile fonte di denaro, a cui vendere qualcosa o chiedere l'elemosina.
Ci sentiamo osservati, a volte con la semplice curiosità di vedere una persona con la pelle diversa dalla propria ed uno strano aggeggio appeso al collo - Altre con lo sguardo di chi probabilmente guadagna in un mese la cifra che a noi serve per fare il pieno dell'auto.
Il colorato e vivace viale principale di questo crogiuolo di razze africano mi appare come il simbolo delle antiche tradizioni che convivono - o più spesso cozzano - con la prepotenza della modernità e del modello occidentale, che scardina con eccessiva rapidità equilibri ancestrali.
Questo posto non può che sollevare degli interrogativi, specialmente in chi vive nel cosiddetto "primo mondo": ci si interroga sulla monetarizzazione introdotta dal turismo, che se da una parte rappresenta una salvezza per questo paese, dall'altra porta al disgregamento di alcuni meccanismi e tradizioni - Ad esempio, gli himba che fino a qualche anno fa avrebbero trascorso la giornata al villaggio, dedicandosi alla pastorizia, si trovano ora in questa cittadina a vendere pezzi di artigianato, e con il ricavato vanno a fare la spesa al supermercato. Modernizzazione e sviluppo? Oppure perdita di tradizioni e smarrimento di un patrimonio che non tornerà più?