Finale e l'Altopiano

Una collana di perle, una più preziosa dell’altra, che sfilano dal Mar Ligure a un entroterra di profonde suggestioni

 

Un turista che, per la prima volta in visita nella Riviera Ligure di Ponente, fosse bendato e paracadutato nel cuore dell'altopiano di Finale, potrebbe rimanere sconcertato nell'apprendere che quel calcare abbagliante che lo circonda non fa parte di uno scenario dolomitico: non tarderebbe invece ad accorgersi che la spiaggia sulla quale fino a poco prima stava crogiolandosi al sole dista in linea d'aria pochi chilometri.
La roccia che costituisce l'altopiano ha una sua spiccata individualità ed è ben nota ai geologi appunto come "pietra di (o del) Finale". Su una base di calcari dolomitici misti a scisti cristallini si sovrapposero, nel corso delle ere geologiche, calcari miocenici ricchi di resti fossili. Lungo le linee di contatto dei vari strati si produssero fessurazioni che, unite alla permeabilità del terreno, determinarono un diffuso carsismo sotterraneo, testimoniato dalle oltre cento grotte presenti nel Finalese, dialettalmente note come "arme".
Arene Candide, Arma delle Fate, Pollera, Strapatente, Arma delle Mànie (alcune classificate monumento nazionale) sono nomi che non suonano nuovi a chi abbia una conoscenza anche superficiale dell'argomento. Poi ci sono le grotte meno note, quelle raggiungibili solo dagli speleologi con attrezzature specifiche e chissà quante ancora da scoprire.
Questo tipo di vocazione ha però segnato il passo negli ultimi decenni, da quando cioè la spinta prevalente che porta qui gli sportivi è gradualmente diventata quella del free-climbing. Basta uno sguardo sulle pareti verticali di Monte Cucco, della Rocca di Corno o della Rocca di Perti per vedere le macchie colorate degli arrampicatori, che giungono qui da mezza Europa per cimentarsi su una roccia ideale che offre vie di salita fino ai massimi gradi di difficoltà. Con in più il vantaggio di godere del clima della Riviera.
Alla fine degli anni Sessanta nessuno però aveva sentore dell'imminente arrivo dalla California di quell'estremizzazione in senso atletico dell'alpinismo classico né tantomeno dell'esistenza del vocabolo free-climbing: così, l'appuntamento della domenica al treno in partenza da Genova alle 6,45, ultima carrozza di coda, era tra comitive di escursionisti e un più ridotto ma assiduo gruppo di speleologi.
Furono proprio mie velleità in quella direzione a farmi conoscere quei testardi personaggi muniti di dotazioni approssimative e di passione incrollabile, in particolare Gianni, che purtroppo ci sarebbe stato portato via di lì a una decina d'anni da una malattia senza scampo.
Punto focale della mia prima gita fu Pian Marino, meraviglioso e verdissimo pianoro che si adagia ai piedi dell'altopiano come un sagrato davanti a una chiesa. Ricordo che da lì una risalita da brividi lungo placche di roccia inclinate (me la facevo addosso ma riuscii a non darlo a vedere) ci portò a un piccolo terrazzino sul quale si apriva una cavità individuata dagli amici pochi giorni prima: il progetto era adesso di allargare il buco d'ingresso per scoprire se portasse a una grotta ancora inesplorata. Fu infine proprio Gianni, magrissimo anche se tutto muscoli e nervi, a infilarsi in quel budello e a riferire poi di un'ampia camera ricca di concrezioni cristalline e tracce di un'antica occupazione umana: parecchie grotte del Finalese furono infatti dimora dell'Uomo dell'Età del Ferro, spesso in competizione con l'Orso Speleo.
Riferendosi a un cespuglio che la precludeva parzialmente alla vista, fu battezzata Grotta del Capelvenere e credo che negli annali del Gruppo Speleologico esista ancora la relazione che ne cita la scoperta.
Francamente non saprei oggi come rintracciarla, anche perché la mia attività di speleologo fu di breve durata e limitata alla visita di grotte già conosciute e di facile accesso. Rimase però, ed è tuttora viva, la mia predilezione per questa parte di Liguria, nella quale amo recarmi per frequenti escursioni. Aspetto non trascurabile è la mitezza del clima, che ne fa meta ideale nell'arco dell'intero anno.

In cucina: un paio di consigli testati

OSTERIA DEL CASTEL GAVONE, situata a Perti, tel. 019-6898118
È un rustico ristrutturato su due livelli, mantenendo sull'esterno la pietra a vista. Si mangia in sala, ma anche su una terrazza a sbalzo dalla quale si gode un panorama magnifico che va dal mare a tutto l'altopiano, con paesini, uliveti e vigneti.
La trattoria è, dai primi mesi del 2007, a gestione romano-sarda, simpatici. Il menù cambia ogni settimana, punta molto sugli spuntini (crostini, bruschette, farinata di vari tipi), 4-5 primi, altrettanti secondi, alternando piatti di diverse regioni.
Chiusura il lunedì, nella stagione autunno-invernale aperto solo ven-sab-dom.
Molto consigliato per il rapporto qualità-prezzo e l'ambientazione impareggiabile.

OSTERIA AI QUATTRU CANTI, Via Torcelli 22, Tel. 019-680540 - Finalborgo
Locale piccolo, capita spesso di dover attendere; atmosfera alla buona da trattoria di paese, buoni piatti della tradizione ligure. E' composto da due piccole salette affiancate, in quella d'ingresso, al di là del bancone, si trova il forno a legna dove vengono cotte la farinata e le torte di verdure; a fianco la sala da pranzo vera e propria con tavolini che possono ospitare non più di 20-25 persone.

IL TERRITORIO

Anche percorrendo solo brevi tratti della fitta rete di sentieri che si sviluppano nel Finalese, balzano subito agli occhi i caratteri salienti del territorio: tra i primi, la tecnica sapiente con la quale, a dispetto dei limitati mezzi a disposizione, queste valli furono antropizzate e rese fertili. Non si può che rimanere ammirati al pensiero degli enormi sacrifici grazie ai quali terreni aspri e scoscesi divennero coltivabili grazie all'innalzamento dei muretti a secco e ai successivi riempimenti a gradinata; si tratta delle fasce terrazzate tipiche del paesaggio ligure, collegate da stradine acciottolate, quelle creuze de mä mirabilmente cantate da Fabrizio De André. In quelle aree un tempo inospitali trovarono il loro habitat soprattutto la vite e l'ulivo e tutt'ora, se pur a patto di ricerche non facili, si possono scovare produzioni artigianali, limitate ma eccellenti, di olio e di vino.
L'aspetto delle case tradizionali rivela l'esigenza di adattarsi, talvolta prodigiosamente, alla morfologia e alle risorse del territorio: ecco così l'utilizzo prevalente della pietra, l'edificio spesso appoggiato a una roccia sfruttata come parete di fondo, lo sfalsamento dei livelli delle varie parti, i sottopassi e le rampe di collegamento, l'asimmetria delle porte e delle finestre. Un disordine architettonico obbligato che si è però concretizzato in un paesaggio irripetibile.
Come ho detto, il Finalese è percorso da numerosi itinerari escursionistici, per uno sviluppo complessivo che supera i 120 chilometri. A parte rare eccezioni, si tratta di passeggiate alla portata di tutti, su mulattiera o agevole sentiero, con limitati dislivelli in salita e discesa, visto che l'altezza massima dell'altopiano supera di poco i 400 metri; la capillare segnaletica consente poi di combinare a piacere i vari itinerari. Raccomando al proposito la bella pubblicazione (guida + mappa 1:10.000) "I sentieri del Finale", reperibile nelle librerie della zona.
Senza volermi sostituire a questa, voglio completare l'articolo con il suggerimento di tre escursioni, esemplificative ciascuna di un tema differente. Se ne potrà ricavare uno stimolo per approfondimenti nella direzione che ciascuno preferirà.

1° ITINERARIO: FINALBORGO - PERTI - PIAN MARINO
Punto di partenza per buona parte delle gite è ovviamente Finale Ligure, raggiungibile per ferrovia o dall'omonimo svincolo autostradale. Dalla stazione una passeggiata di dieci minuti porta a Finalborgo, nucleo originario della cittadina, molto ben conservato e meritevole di una visita accurata. La sua fondazione risale agli ultimi anni del Millecento ad opera dei marchesi Del Carretto, che, tra vicende alterne legate alla storica rivalità con i Genovesi e alle lotte contro le mire espansionistiche spagnole, tennero per secoli l'influenza sulla zona fino alla definitiva annessione a Genova nel 1713. La parte monumentale del Borgo ha le sue principali emergenze nella cinta muraria, nella chiesa di San Biagio con l'originale campanile a pianta ottagonale e nel Convento di Santa Caterina, ma è di grande suggestione anche l'architettura cosiddetta minore, con le stradine e le piazzette che periodicamente si animano in un frequentato mercatino dell'antiquariato.
Esattamente dal Borgo parte uno degli itinerari più classici, che consente di raggiungere in un paio d'ore il già citato Pian Marino, luogo ideale di sosta per un pranzo al sacco.
Nella parte iniziale ci si imbatte in successione in due opere militari che hanno avuto un ruolo di rilievo nella storia di Finale: dapprima si fiancheggia il muro esterno dell'imponente Castel San Giovanni, costruito nel 1600 come avamposto del più elevato Castel Gavone a difesa delle sottostanti Valli del Pora e dell'Aquila. Proprio al duecentesco Castel Gavone, che dominava la dorsale del Becchignolo, si giunge con un ulteriore quarto d'ora di mulattiera in salita. Le poche rovine sopravvissute alla devastazione del 1713 rendono tuttora l'idea dell'importanza e grandiosità della fortificazione, di cui è rimasta in piedi solo la cosiddetta "torre dei diamanti", esempio unico in Liguria di mura a sfaccettature appuntite, influenza dell'architettura militare emiliana (l'esempio più eminente è il Palazzo dei Diamanti di Ferrara).
Poche centinaia di metri ed eccoci alla caratteristica frazione di Perti, alla quale giunge anche la carrozzabile. Su una bella piazzetta panoramica immersa tra cipressi secolari sorge la chiesa di Sant'Eusebio, che ha la sua principale attrattiva nella cripta dell'XI secolo: campagne di scavi hanno portato alla luce reperti risalenti al periodo romano e al medioevo. Sopra l'abside spicca il campanile a vela, che è considerato il più bello di tutta la Liguria.
Altri trecento metri portano a una breve deviazione che conduce alla minuscola chiesetta quattrocentesca di Nostra Signora di Loreto, meglio nota come "Chiesa dei Cinque Campanili". Di pianta quadrata, è caratterizzata dai quattro slanciati pilastri che si elevano agli angoli dell'edificio; il rivestimento in laterizi decorati, il verde degli ulivi circostanti e la tranquillità del luogo formano un quadro di rara bellezza.
Un paio di chilometri consentono di raggiungere Montesordo, antico villaggio di impianto medioevale, e di lì la cappelletta di San Carlo: il luogo offre una vista d'insieme su tutta la valle e con facilità si scorgono all'intorno numerose cavità naturali che furono riparo per l'uomo preistorico.
Rimane ancora l'attraversamento del Rio della Valle, dopodiché un ultimo tratto in salita porta a Pian Marino, ampio prato circondato da castagneti alla base di imponenti pareti calcaree.
Chi abbia ancora voglia di camminare, può spingersi, con due deviazioni di circa un'ora ciascuna rispettivamente da Montesordo e da Pian Marino, fino alla sommità della Rocca di Perti (m.397) e del Bric del Frate (m.387), che offrono magnifici panorami su tutto l'altopiano e i piccoli borghi del fondovalle.

2° ITINERARIO: LA VAL PONCI (O DEI PONTI ROMANI)
Un'altra escursione di grande interesse geologico e storico è quella della Val Ponci (Ponci è deformazione dialettale per ponti). In partenza da Calvisio (bus dalla stazione di Finale) si segue il segnavia a forma di cerchio rosso pieno immettendosi ben presto nel tracciato di quella che era l'antica Via Julia Augusta, costruita sotto l'impero di Augusto nel 13 d.C. quale via di collegamento tra la litoranea Via Aurelia e la Val Padana passando per Vado Ligure, il Colle di Cadibona, Acqui Terme e Piacenza. L'attuale mulattiera coincide in parte con il percorso originario e sono ancora visibili tratti di mura e di selciato.
Ma di grande rilievo storico e architettonico sono soprattutto i cinque ponti eretti per scavalcare i torrenti che percorrevano la vallata: dalla mole dei manufatti si può dedurre quanto la portata dei corsi d'acqua, oggi poco più che rigagnoli spesso asciutti, dovesse all'epoca essere consistente. Mentre del Ponte Sordo e del Ponte di Magnone, vale a dire il secondo e il quinto nel senso di marcia, rimangono solo pochi resti, impressiona il perfetto stato di conservazione del primo, il Ponte delle Fate. Un'attenta osservazione dall'alto e dal basso fa apprezzare la tecnica raffinata nell'incastro dei massi e la perfetta conoscenza dell'arco a tutto sesto da parte dei costruttori. In ottime condizioni si trovano anche il Ponte delle Voze o Ponte Muto e il "Ponte dell'Acqua, quest'ultimo parzialmente interrato. Una deviazione (segnavia blu) di un centinaio di metri prima di esso porta alle tre Cave Romane dalle quali fu ricavata la pietra per la costruzione, che meritano di essere visitate per avere un'idea delle precarie condizioni in cui si svolgeva l'attività estrattiva.
Ritornati a Calvisio, è raccomandabile spingersi fino Verzi, borgo medioevale dall'impianto urbano rimasto praticamente intatto da diversi secoli.

3° ITINERARIO: ALLA SCOPERTA DEI "CIAPPI"
Un ultimo aspetto, anch'esso prerogativa esclusiva del Finalese, è quello dei cosiddetti "ciappi". Nei dialetti liguri il termine "ciappa" definisce una lastra e ogni tipo di superficie piatta; si tratta infatti di lastroni di calcare del miocene sui quali sono state scolpite incisioni e canalizzazioni per l'acqua. Un percorso esemplare in tal senso ha inizio dalla frazione di San Bernardino, raggiungibile a piedi o per carrozzabile da Finalmarina. Seguendo il segnavia a forma di quadrato rosso pieno, si arriva in breve al "Ciappo dei Ceci", dove si individuano canalette, vaschette e croci incise nella roccia, oltre a evidenti incisioni sul sentiero dovute ai numerosi passaggi dei carri. Si scende brevemente tra fasce coltivate per poi risalire al "Ciappo delle Conche", il più rilevante tra i siti di questo tipo. Ci si trova a camminare su un'ampio tavolato roccioso in leggera pendenza, attraversato da un reticolato di canalizzazioni intervallate da vaschette: lo scopo era quello di convogliare l'acqua piovana per l'abbeverata del bestiame e attirare gli animali selvatici da cacciare. Spicca anche una grande quantità e varietà di incisioni rupestri di età non definibile: croci, figure umane, piante, ecc. Si può supporre che entrambi i tipi di opera siano contemporanei e che gli ignoti scalpellini, contestualmente alle canalette, abbiano inciso a scopo rituale le decorazioni in un luogo di importanza vitale, secondo le credenze del tempo probabilmente anche ritenuto magico, quale poteva essere un punto di raccolta dell'acqua.

Grotte, castelli, piccoli borghi, ponti romani, incisioni, chiesette, muretti a secco: spunti irrinunciabili di una visita non frettolosa del Finalese. Ma il Finalese non è solo questo: lascio ai lettori la scoperta dell'altopiano delle Mànie, di Capo Noli, del villaggio fantasma di Lacremà, della cappella di Sant'Antonino, della piazzetta di Verezzi.
C'è solo il forte rischio di assuefazione che questo concentrato di meraviglie può dare, ma vi suggerisco immediatamente una terapia infallibile: tornare spesso. E non ci sono controindicazioni.

 

3 commenti in “Finale e l’Altopiano
  1. Avatar commento
    Anna
    26/06/2005 11:56

    Sono capitata per caso in questo BEN NOTO SITO cercando notizie sull'Arma delle Fate. Ieri sono andata a Finalborgo nello splendido museo Archeologico, e ho saputo che la grotta in questione è stata scoperta ed esplorata da mio bisnonno! Ciao

  2. Avatar commento
    Leandro
    29/09/2004 15:50

    Ciao Donatella, il Finalese in settembre e ottobre è bellissimo! Niente affollamento, clima ancora mite, in più i colori dell'autunno. La quinta e la sesta foto sono state scattate proprio alla fine di ottobre. Vai tranquilla, vedrai che ti piacerà!

  3. Avatar commento
    donatella
    29/09/2004 13:48

    Trovo che sia una proposta molto interessante, una bella idea x un weekend... Pensate che è meglio aspettare primavera o è bello anche adesso?? Grazie, ciao!

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