Mal d’Africa

Dalle emozioni dei Parchi tanzaniani al relax di Zanzibar

L’Africa per me è sempre stata una meta agognata, a lungo accarezzata e sfiorata ma mai concretizzata in un viaggio.
Nel 2008 la grande decisione: quest’anno si va in Africa, quella vera!
Presa dalla smania ho cominciato, come al solito, a cercare un’agenzia o un contatto in loco che ci facesse risparmiare, in considerazione del fatto che i nostri viaggi, purtroppo, devono essere sempre fatti nel periodo peggiore dell’anno e cioè Natale e Capodanno, causa figli in età scolastica.
E poi, oramai l’ho ripetuto mille volte, detesto l’intruppamento dei viaggi organizzati con bandierina e gioco aperitivo…
Navigando in vari siti e utilizzando decine di mailing list e forum di viaggi ai quali sono iscritta, mi sono imbattuta in un agenzia, la Rift Safari, il cui nome ricorreva in varie recensioni, tutte positive.
Ho studiato il loro sito in lungo e in largo, mi sono fatta un itinerario di massima e li ho contattati per un preventivo.
L’agenzia è gestita da una giovane coppia di Treviso che, innamorata dell’Africa, ha deciso di mollare tutto (il sogno della mia vita) e aprire un’attività turistica in Tanzania e più precisamente ad Arusha, in questo seguita dai genitori di lei, che hanno aperto un gustoso ristorantino italiano a Stone Town, la capitale di Zanzibar e dal fratello di lei che ha aperto un bellissimo mini resort sulle bianche spiagge di Zanzibar, il Paje by night!
Questa circostanza mi piaceva e dopo qualche aggiustamento, abbiamo disegnato 8 giorni di safari e una settimana di relax a Zanzibar per una cifra veramente ottima.
Partenza il 14 dicembre e ritorno il 28 dicembre 2008, i soliti 7 di tutti i miei viaggi!
Avevo definito tutto il viaggio a fine agosto e far arrivare dicembre è stata dura, il tempo non passava mai…

Itinerario

Il volo è stato regolare, partenza da Verona, stop a Roma, volo fino ad Addis Abeba, e da li ad Arusha.
Il primo incontro con l’Africa è stato con una bouganville rossa dalle dimensioni di una quercia subito fuori dall’aeroporto e con una collana di fiori a testa con la quale siamo stati omaggiati dai nostri driver che ci aspettavano con le loro jeep panoramiche.
Senza nemmeno il tempo di una rinfrescata ci siamo subito diretti al Parco di Arusha, con le jeep aperte sulla sommità e tutti noi in piedi pronti a cogliere l’attimo con videocamera e macchina fotografica.
Per i primi 10-15 minuti non abbiamo visto nulla se non un babbuino solitario… poi all’improvviso, dietro una curva, una famiglia di giraffe a due metri… e da lì in poi è stata un apoteosi di animali: gazzelle, elefanti, giraffe, gnu, ippopotami, scimmie, impala, zebre, struzzi, facoceri a centinaia e tutti a pochi metri dalla nostra jeep.
Credevo di impazzire dalla felicità!
Oltretutto, essendo partiti la settimana prima di Natale e quindi in pieno periodo lavorativo e scolastico, non c’erano praticamente altri turisti sulle piste per cui il silenzio e la pace regnavano sovrani!
La sera siamo andati a riposarci al River Trees Country Lodge, un resort bellissimo immerso in un parco, veramente suggestivo, come del resto lo sono stati tutti i lodge e i campi tendati in cui ci siamo trovati.
Una nicchia di lusso “naturale“ nella natura selvaggia.
Dopo una doverosa notte di relax e una ricca colazione in solitaria (nel lodge c’eravamo solo noi), siamo partiti per il Lake Manyara, santuario dei fenicotteri rosa e di tutte le specie animali che si possano desiderare, compresa un’aquila reale.
Qualcosa però mancava!
Dei big five promessi (leone, elefante, rinoceronte, bufalo, leopardo ), non avevamo ancora visto i miei preferiti in assoluto, ovvero i felini…
All’improvviso, il nostro driver, eccitato per la nostra stessa aspettativa, ci ha indicato un grosso albero con un leopardo accovacciato su un ramo che divorava una gazzella.
Uno spettacolo davvero unico, quasi surreale; non riuscivo a staccare gli occhi e il binocolo dal muso dell’animale che, avendo avvertito la nostra presenza, discreta ma ovviamente “rumorosa“, si era messo in posizione di guardinga attesa.
A malincuore abbiamo proseguito il safari; io non mi sarei più mossa dall’osservazione di quell’albero.
Il Lake Manyara Wildlife Lodge era in sintonia con l’ambiente circostante; baobab , scimmie e la natura selvaggia tutt’intorno…
La mattina dopo, il 16 dicembre, ci siamo avviati verso il Serengeti e qui, dietro una curva (come sempre quando meno te l’aspetti…), l’incontro della mia vita di amante dei felini…
Un enorme leone accovacciato alla nostra sinistra in placida attesa.
Non trovo quasi le parole per descrivere l’emozione che ho provato: era a 4 metri dalla jeep, noncurante della nostra presenza. Ci siamo fermati a fotografarlo e filmarlo da tutte le angolature possibili, in tutti i suoi movimenti. Era semplicemente regale. Il re della foresta.
Poi all’improvviso si è alzato e… zoppicando ci ha attraversato la strada e si è andato a sdraiare dalla parte opposta, come se fosse leggermente infastidito dalla nostra insistenza nell’osservarlo.
Non riuscivo a staccare gli occhi da questa bestia magnifica pur se zoppicante, tristezza e orgoglio al tempo stesso nei suoi occhi.
A malincuore siamo ripartiti, ma non scorderò quegli occhi dorati che “mi guardavano“.
Tutto il resto della giornata è passato in secondo piano dopo quell’incontro.
La sera abbiamo raggiunto il primo dei due campi tendati che avevo messo nel programma, l’Olakira Camp.
All’inizio, qualche componente schizzinoso e fifone della compagnia aveva avanzato qualche dubbio sul dormire “in tenda“; si ipotizzavano scorpioni, tarantole, serpenti nei materassini visite notturne di leoni e “piacevolezze” varie, anche se avevo detto in lungo e in largo che i campi tendati erano caratteristici si ma confortevoli e quasi lussuosi, ma nessuno mi aveva creduto.
Posso assicurare che il campo di Olokira è stata un esperienza favolosa. Le tende in realtà erano “tendoni“ con camera matrimoniale, zona bagno e zona salotto, pavimento in stuoie e tappeti, grande tende bianche a separare i vari ambienti, arredamento completamente in legno ed un sistema per fare la doccia mitico. Acqua riscaldata versata a mano in un contenitore sul tetto che garantiva una lunga doccia a calda a tutti. Anche i particolari erano molto curati; luce dorata delle lanterne in ferro battuto, accappatoi bianchi, un bauletto in cuoio, zanzariere alle pareti e sopra tendoni verdi legati da cordoni di perline multicolori.
Ma la vera meraviglia è stata la cena…
Anche qui eravamo gli unici ospiti; tavolata apparecchiata come nei film, con tovaglie e posate ineccepibili, tripli bicchieri e servizio inappuntabile, menu delizioso e variegato. Sembrava di essere in un ristorante cittadino, ma in realtà eravamo nel Serengeti!
La stradella che andava dalla tenda al nostro tavolo era tutta illuminata da torce e nello spiazzo antistante un grosso falò rendeva l’atmosfera magica e molto, molto africana, con i colori rosso dorato del tramonto che andavano stemperandosi all’orizzonte, il cielo stellato che prendeva posizione, una luna grande come mai avevo visto.
La descrizione di quella serata non rende; le semplici parole non potranno mai rendere il silenzio, i profumi, i fruscii, gli odori e le sensazioni di quella serata e della notte successiva.
Inutile dire che non abbiamo mai avuto visite sgradevoli o altro, anche se io non ho quasi dormito tesa com’ero all’ascolto di tutto quello che sapevo e intuivo muoversi intorno a noi e l’alba, immortalata in alcune foto, è stata coinvolgente.
Questo è uno dei motivi per cui mi piace raccontare alcune mie esperienze di viaggio: scrivere è rivivere le emozioni e le sensazioni.
E poi, spero di far venire a tanti la voglia di viaggiare, di scoprire e soprattutto di andare in quel Paese meraviglioso che è l’Africa.
Dopo una ricca colazione abbiamo detto addio anche a Olokira e siamo ripartiti alla volta di un nuovo safari nel Serengeti durante il quale abbiamo visto un po’ di leonesse, anche se, dopo l’incontro con il leone, il tasso di emozione si era un po’ stabilizzato. Una di queste “signore“ però si è letteralmente strusciata addosso alla fiancata della nostra jeep, causandoci qualche brivido… i felini fanno balzi leggendari e repentini… e in un attimo avrebbe potuto saltare sulla jeep, ma per fortuna (o peccato…) non era interessata!
L’incontro più esaltante della giornata è stato con un ghepardo che sbranava a morsi un’impala a una decina di metri da noi, con un gruppo di enormi avvoltoi che aspettava il proprio turno a 3 metri da lui.
Ad un certo punto uno degli avvoltoi, presumibilmente il capobranco, si è avvicinato un po’ troppo e il ghepardo gli ha ruggito contro obbligandolo a ritrarsi e ristabilendo così le gerarchie alimentari.
La notte l’abbiamo passata al Seronera Wildlife Lodge, immersi nella natura, stanchi ma eccitati.
La mattina del 18 dicembre ci siamo inoltrati nel cratere di Ngorongoro, la caldera vulcanica situata nella pianura del Serengeti. Ha un’estensione di circa 265 km/quadrati ed è la più grande caldera intatta del mondo.
E’ una riserva naturale abitata solo da Masai, gli unici a poter vivere in quella zona e ad avere il diritto di pascolarvi le loro bestie e da circa 25.000 animali di grossa taglia ed è stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco.
Le sensazioni meravigliose ed emozionanti sono state quelle di tutto il viaggio, con l’aggiunta di un mini rally con le jeep in considerazione del fatto che tutto il Cratere era in secca, compresi i laghetti e i fiumiciattoli e il passaggio sui letti dei torrenti e dei laghi prosciugati ci ha procurato non pochi brividi, soprattutto ai ragazzi.
Abbiamo poi fatto una deviazione verso le Gole di Olduvai, importantissimo sito archeologico conosciuto come “culla della civiltà“. Qui vennero rinvenuti i resti di uomini primitivi risalenti a 3 milioni d’anni fa e svariati fossili di animali risalenti all’età della pietra.
La notte l’abbiamo passata al Ngorongoro Wildlife Lodge, caratteristico lodge letteralmente affacciato sul bordo della caldera e munito di un enorme terrazzo panoramico con potenti cannocchiali per scrutare il cratere a qualsiasi ora del giorno o della notte. Io, fatalità... alle 5 della mattina ero già sveglia perchè mi avevano detto che gli animali vanno a bere all’alba e sulle terrazze non ero la sola ad essere incollata al cannocchiale con notevole gratificazione.
Proseguito il safari nella caldera, tra iene, rinoceronti e bufali ci siamo diretti verso l’ultima tappa del nostro safari, il Crater Forest Tented Lodge, il secondo campo tendato.
Molto suggestivo e affascinante, questo campo tendato dove, al solito, eravamo gli unici occupanti, era ancora più avventuroso del primo, in quanto le “tende“ erano in realtà delle palafitte o meglio dei bungalows in legno costruiti su piattaforme di tronchi rialzate abbastanza lontani dalla zona comune e davano proprio l’impressione di essere isolati nella foresta.
L’interno, tutto in legno, con bagno separato, era realmente elegante pur trovandosi, nel vero senso del termine, in mezzo alla foresta, collegato con la zona centrale del campo per mezzo di una stradella costantemente segnalata da torce accese .
La cena, all’altezza delle aspettative, servita in un tendone affiancato da bouganville, con i suoni della foresta in sottofondo.
La notte l’ho passata in bianco a pensare che era l’ultima notte in Africa, l’ultima notte del safari e l’ultima notte in Tanzania e solo il “timore “di imbattermi in un leone alla ricerca dello spuntino di mezzanotte mi ha impedito di trascorrere il resto della nottata su una delle poltroncine del terrazzino antistante il bungalow.
La mattina dopo, tristi, abbiamo preso l’aereo per Stone Town, la capitale di Zanzibar, consci che, malgrado ci aspettasse un’altra settimana di vacanza, qualcosa di magico era comunque finito.

Stone Town è la capitale dell’isoletta di Zanzibar, dichiarata patrimonio dell’Umanità dall’Unesco per la sua importanza storica e la sua architettura veramente originale e graziosa.
Svolse un ruolo fondamentale nel commercio degli schiavi e le tracce di questo triste e disperato commercio si vedono ancora in qualche monumento e nelle prigioni sotterranee visitabili vicino alla Chiesa di Cristo.
Prima della cenetta, molto gustosa, nel ristorante dei genitori della nostra corrispondente tanzaniana, abbiamo visitato tutta la parte vecchia della città ed io, in particolar modo sono rimasta affascinata dalle decine di portoni di abitazioni, in legno decorato in molteplici forme, sbalzati, cesellati, con intarsi in ottone e decorazioni a foglie e fiori.
La mattina dopo, fatta la colazione nel mirador del Dhow Palace, siamo andate, io e la mia amica, a fare un giro per i mercati della città vecchia, gentilmente accompagnate in questo tour insolito, dal papà di Claudia, la proprietaria della Rift Safari.
Bancarelle di spezie profumate e multicolori si alternavano al mercato del pesce e della carne dagli odori e dalle viste veramente “pesanti“ a sopportare, alle ceste di paglia piene di galline, alle bancherelle dei tessuti, dei cibi e di oggettistica in legno.
E qui devo aprire una parentesi commerciale.
Devo ammettere di essere una turista spendacciona e la mia casa è piena o forse dovrei dire strapiena di oggetti provenienti dai mie viaggi: oggettistica più o meno grande, tende, gioielli , abbigliamento, servizi da caffè e piatti e tutto quello che è umanamente trasportabile in aereo.
Ogni angolo della mia casa mi ricorda un viaggio, un momento particolare…
A Zanzibar mi sono innamorata di un bauletto in legno lavorato con profili in ottone dalle proporzioni abbastanza notevoli, assolutamente intrasportabile in aereo… ma assolutamente da portare a casa!
Dopo trattative abbastanza lunghe sul prezzo io e la mia amica ce lo siamo fatte spedire a domicilio ed ora troneggia nel mio salotto.
La settimana a Zanzibar è stata di assoluto riposo, se si escludono un paio di escursioni a caccia di delfini e tartarughe giganti e il villaggio, un mini villaggio direttamente sulla spiaggia, con bungalows in legno era veramente grazioso.
Si mangiava divinamente ma il servizio era di una lentezza esasperante, veramente incomprensibile considerato che eravamo praticamente gli unici ospiti… in compenso la pace e la tranquillità erano garantite, anche troppo per i nostri ragazzi adolescenti…
La particolarità che mi è piaciuta della nostra spiaggia era il gioco delle maree; due o tre volte al giorno la spiaggia si ritirava di quasi 300 metri consentendo lunghe passeggiate tra conchiglie, pesciolini, alghe e allevamenti di cozze veramente suggestive, soprattutto verso il tardo pomeriggio.
Dopo due settimane il ritorno a casa è stato traumatico e ho veramente capito il significato del mal d’Africa.
Ma ci tornerò.

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