Il Campanile di Val Montanaia, un "urlo di pietra"!

Al cospetto di uno straordinario monolite, simbolo delle Dolomiti Friulane

Alpi Orientali, Cadore, località Domegge di Cadore.
Qui ha inizio l’escursione più dura affrontata fino ad oggi.
Dopo tante ore di pullman (purtroppo per noi piangiani tutto l’arco alpino è lontano), arriviamo in questo paesino addobbato a festa con i colori bianco e giallo dello Stato Vaticano per la presenza a Lorenzago del Papa in vacanza.21 - 22 Luglio 2007
Il gruppo parte: meta il Rifugio Padova.
Un ponte ci porta dalla parte opposta del lago di Pieve di Cadore, da dove imbocchiamo un tratto di strada asfaltata sempre costeggiando un torrente con le acque limpidissime. Ci addentriamo lungo un sentiero e tranquillamente percorriamo la distanza che ci porta al Rifugio. Il dislivello è di circa 600 mt., ma è tutto molto piacevole circondati da svariate specie di fiori che catturano la nostra attenzione e le nostre fotografie. Incontriamo una gentile signora che ci mostra il frutto della sua passeggiata: un cesto pieno di meravigliosi funghi.
Il Rifugio Padova è molto carino ed ha il privilegio di trovarsi in luogo incantevole: un vasto pratone circondato da boschi di abeti e faggi mescolati ad aceri di monte, ontani e betulle, il tutto sovrastato dalla imponente catena dei Monfalconi, Spalti di Toro.
Guglie e pinnacoli si ergono verso il cielo, brulli, selvaggi, ma tremendamente affascinanti e ci raccontano di condizioni climatiche estreme, dove vento, pioggia e neve lavorano giorno dopo giorno questo duro calcare scolpendolo come farebbe uno scultore, ma con una fantasia ineguagliabile. Quando la luce del giorno svanisce e la luna lancia i suoi riflessi argentati, la massa scura che sovrasta questo catino naturale diventa inquietante, le sue torri sembrano dita scheletriche di immaginarie streghe.
Un nuvolone fa capolino all’improvviso e dopo aver girovagato un po’ sopra le valli, decide di scaricare un po’ di pioggia per rinfrescare l’aria (peraltro già abbastanza piccantina).

E’ l’alba e ci prepariamo ad affrontare la salita alla Forcella Montanaia che ci condurrà alla presenza del Campanile di Val Montanaia.
Il primo tratto è semplice, dentro ad un bel bosco pieno di azalee (o rododendri) selvatiche e di piccoli e coloratissimi ciclamini. Il sole che sta salendo dona alle rocce un colore ambrato che le fa sembrare ancora più belle.
Il bosco finisce e davanti a noi si presenta un lungo e ripido canalone di sfasciume che, volenti o nolenti, dovremo superare per arrivare alla Forcella.
Il passo rallenta e dobbiamo combattere contro i detriti. Facciamo un passo e arretriamo di due.
Non c’è vegetazione, solo roccia sfaldata. Piano piano, passo dopo passo, affondando nello sfasciume, superiamo il primo pezzo del canalone aperto e ci addossiamo alla parete rocciosa per poter trovare un qualche appiglio che ci possa aiutare nella salita.
Un bel camoscio si fa beffe di noi scendendo di corsa la scarpata con agilità e grazia.
Non c’è cavo di protezione e in alcuni tratti anche noi andiamo a quattro zampe. E’ meglio non guardare a valle, altrimenti oltre alle forze, perdiamo anche il coraggio.
Cerchiamo di tenere alto il morale con qualche stupidaggine, ma è solo grazie al prezioso aiuto di alcuni del gruppo che tutti arrivano finalmente alla Forcella. Prima di raggiungere la sommità incontriamo un residuo ammasso nevoso dietro al quale è stata scavato un passaggio che a me, in quel momento, sembra il luogo più sicuro del mondo. Mi rinfresco sfregando la neve deliziosamente fresca su faccia, gambe e braccia. E’ stata dura e le gambe tremano per lo sforzo e per la tensione nervosa.
Dislivello superato 1200 mt. e in condizioni precarie. Ci sentiamo un po’ eroi (o incoscienti).
Ma come sempre accade andando per montagne, arrivati alla cima ci si presenta un panorama di tale bellezza, che tutto il pregresso sfuma.
Davanti a noi si apre un semicerchio di rocce bellissime ed imponenti con al centro il “Campanile”, cioè una formazione rocciosa che è rimasta isolata dal resto della catena e si erge solitario, come un guardiano o una vedetta che “urla” verso valle, o meglio un attore che recita il suo monologo da un palcoscenico composto dal Monte Toro, dalla Cima Monfalcon di Montanaia ecc.
Dopo una ripida discesa (sempre in mezzo al pietrisco) la meritata sosta nel prato dell’anfiteatro. L’allegria ritorna, la fatica è dimenticata e le foto si sprecano.
Un colpo di scena degno delle migliori rappresentazioni teatrali: arriva l’elicottero del 118. Assistiamo al salvataggio di un alpinista svenuto durante la scalata al Campanile. Come già osservato in precedenza, questi salvataggi sono impressionanti.
Un soccorritore appeso ad un cavo lungo diversi metri che penzola nel vuoto per potersi tuffare contro la roccia e salvare il malcapitato.
Non contenti di quanto fatto fino ad ora, saliamo un breve sentiero che ci porta a ridosso del Campanile per avere la soddisfazione di sfiorare la roccia del monolite.
Si comincia a scendere. Ora saranno 1000 mt. di discesa e naturalmente tutto su ghiaie, sassini e sassoni.
In pratica seguiamo, dopo un brevissimo tratto di bassi arbusti di mugo, il greto di un torrente che si precipita a valle.
Diamo un ultimo saluto al Campanile che ad una curva del sentiero ci si presenta come un obelisco egizio tra le pareti a V delle montagne. Non lo vedremo più.
Ora davanti a noi c’è solo un paesaggio lunare con il sole che picchia e che in certi punti, riparati dalla brezza, si trasforma in una specie di angolo cottura.
Ogni tanto le scarse acque del torrente si fanno vedere e ne approfittiamo per bagnare mani, braccia, testa e quando possibile bere un po’ di acqua fresca.
Dopo circa due ore di discesa si incomincia ad intravedere il piazzale antistante
il rifugio Pordenone e cerchiamo di accelerare il passo ordinando già a gran voce le birre al gestore. Si ritorna a scherzare, buon segno, vuol dire che la meta è vicina.
L’ultimo tratto per raggiungere il Rifugio è in un fresco (finalmente) bosco con il terreno solido, quasi piano e soprattutto… senza sassi.
Un ultimo meritato riposo in attesa che il gruppo si ricompatti e che anche gli ultimi ad arrivare possano rilassarsi.
Oggi abbiamo messo davvero alla prova noi stessi e possiamo dire con orgoglio che anche chi tra di noi non è un provetto ed esperto escursionista, ha superato con onore l’esame. Sulla forcella ci siamo scambiati applausi e complimenti, ma ce li siamo proprio meritati!

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