Sull'Appia antica, tra mausolei e sepolcri.

Alla scoperta dei monumenti funerari dell’antica Roma.

Tra i numerosi monumenti funerari che caratterizzano l’immagine della strada, con le poco comprensibili sagome di calcestruzzo spogliato ormai di ogni rivestimento, con le forme a tempietto di laterizio policromo, con le affascinanti quinte erette da Luigi Canina, quelli selezionati per i recenti interventi, situati al IV e V miglio, offrono una esemplificazione delle principali tipologie funerarie.
Gli interventi di restauro, necessari per la loro conservazione (danneggiati da fattori naturali ma anche dai ripetuti atti vandalici) e le indagini archeologiche, sono mirati al recupero e alla comprensione sia dell’aspetto originario, sia dell’idea progettuale del Canina. Lo studioso, anticipando metodologie oggi affermate, ha realizzato un programma di lavoro nel pieno rispetto del rigore scientifico. I reperti mobili, pertinenti ai singoli monumenti furono recuperati nell’unico modo possibile, ossia inserendoli in una struttura dichiaratamente nuova, limitata all’essenziale, che doveva suggerire la forma del monumento funerario romano solo nella facciata.

I MAUSOLEI DI SECONDO E DEI RABIRII.
Gli studi hanno riportato l’attenzione su questi reperti, fonte di immensa conoscenza delle tipologie architettoniche dall’età repubblicana al pieno impero, degli usi e dei rituali funerari, dei personaggi e della società romana.
Spiccano per il ritrovato candore dei marmi che decoravano il mausoleo di famiglia di Tiberio Claudio Secondo, liberto imperiale, esattore di banca, copista e messo, che accolse le spoglie della moglie, della figlia e del figlio morto all’età di 9 anni, 9 mesi e 18 giorni.
Del momunento detto dei Rabirii si possono ancora identificare i volti, malgrado i deturpamenti dovuti a svariati gesti vandalici, del noto rilievo con i tratti dei defunti (l’originale che è stato sostituito da un calco, si trova ora nel Museo di Palazzo Massimo alle Terme). Il Canina decise di ricostruirlo secondo lo schema di una grande ara, utilizzando tutti frammenti ritrovati tra le rovine. Si tratta del monumento funerario di Caio Rabirio Ermodoro, liberto di Postumo, di Rabiria Demaride e di Ursia Prima, sacerdotessa della divinità egizia Iside, raffigurata tra il sistro (strumento musicale a corde caratteristico delle seguaci di questa dea) e la coppa delle libagioni sacre. Il volto della sacerdotessa, discendente di Ermodoro e Demaride, chiaramente rilavorato, è stato aggiunto in un secondo momento, forse circa ottanta anni più tardi, sostituendo probabilmente l’immagine di un altro componente della famiglia.

IL SEPOLCRO DI CECILIA METELLA.
Uno degli interventi più rilevanti ha interessato l’interno del complesso monumentale che include il mausoleo di Cecilia Metella ed il Palazzo Caetani.
Una lapide di marmo ricorda che l’imponente tomba circolare fu costruita negli ultimi 25 anni del I sec a.C. per la nobile romana Cecila Metella, figlia di Quinto Metello Cretico (conquistatore di Creta) e moglie di Crasso (figlio del triumviro e generale di Cesare in Gallia), membro di una delle più illustri famiglie della città. La costruzione viene descritta ancora integra nel XV secolo. Successivamente, iniziarono le spoliazioni alle quali si deve l’asportazione di tutte le lastre di rivestimento del grande basamento; nel 1588 viene salvato dall’ordine di demolizione di Sisto V solo grazie all’intervento del popolo romano in Campidoglio.
Il sepolcro cilindrico di Cecilia Metella, che ha un diametro di m. 29.5 ed un’altezza di m. 11, svetta biancheggiante sulla campagna romana elevandosi per circa 30 metri dai livelli ipogei ed è ornato alla sommità di un fregio a rilievo, su marmo pentelico con scudi gallici, festoni e bucrani (da quest’ultimi deriva il nome di Capo di Bove alla zona); inoltre, risulta essere perfettamente inscritto sopra un basamento quadrato costituito da un nucleo cementizio in selce e blocchi di travertino. Il tamburo a cilindro forse, era chiuso da una cupola i cui rinfianchi, oggi ridotti a rudere, lasciavano penetrare all’interno la luce solare del solstizio d’estate che illuminava l’unica nicchia posta in basso, nella parete opposta all’ingresso. A parte quel cammino fusiforme, foderato da una cortina di mattoni che va a restringersi verso l’alto fino alla cerchiatura in sommità (usata in età medievale per i collegamenti con il castello), rimane a tutt’oggi sconosciuta la reale consistenza fisica e geometrica delle parti interne al nucleo, in cui forse trovavano posto corridoi per l’ispezione alla sommità assieme ad un sofisticato sistema infrastrutturale per lo smaltimento delle acque. L’interno racchiude la cella sepolcrale a forma di cilindro assai rastremato verso l’alto, le cui pareti sono uno dei più antichi esempi di questo tipo di tecnica muraria.
Il mausoleo, inglobato all’inizio del XIV secolo nel castrum dei Castani, può essere considerato l’edificio più simbolico della Via Appia, oggetto di particolare attenzione da parte di studiosi, architetti e disegnatori, attratti dalla sua imponenza, dalla sua forma, ma probabilmente e soprattutto dall’impenetrabilità della sua struttura, che essendo unica nel suo genere, sembra quasi celare un mistero. Del castrum che includeva il palazzo, alcune case e la chiesa parrocchiale di S. Nicola, si conserva quasi tutto il recinto, attualmente inglobato all’interno di proprietà private ed una parte del palazzo signorile, costruito proprio a ridosso della tomba. Gli scavi condotti in tutto il settore nord-orientale del palazzo e nelle immediate vicinanze del basamento del mausoleo hanno rivelato una stratigrafia intatta delle fasi di utilizzazione della residenza-fortezza. Alcuni oggetti ritrovati sono pertinenti, con ogni probabilità, alla proprietà di Erode Attico –un ricchissimo ateniese che nel II sec d.C. costruì nella zona, più tardi parzialmente occupata dal complesso di Massenzio, numerosi edifici in onore della moglie Annia Regilla.
Del complesso, distrutto in parte dal Papa Sisto V, rimangono resti pittoreschi con torri, bifore, merlature e sul lato opposto della strada, la chiesa scoperchiata di S.Nicola a Capo di Bove, unica superstite delle tante presenti all’epoca nella zona, che costituisce un raro esempio di architettura gotica romana.

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