Tunisia 2006: pensieri in libertà

Un diario “di sensazioni” tra le incomparabili suggestioni del deserto

Tutto verde qui, e umido. Un po’ troppo umido per essere metà maggio. Anche azzurro, oltre che verde: oggi è una bella giornata, ma piove un po’ troppo spesso per i miei gusti, qui. In ogni modo l’azzurro non guasta mai… il cielo azzurro va bene (quasi) sempre, ma quello che mi manca è il giallo, migliaia di sfumature di giallo: da quello della terra delle piantagioni di olivi, a quello degli chott, a quello delle dune. Così dalla finestra dell’ufficio, in pausa pranzo vedo verde e azzurro, ma penso al giallo. Ho appena ricaricato il cellulare, e finalmente posso chiamare. “Bonjour mon amì… sa va? Je suì votr ami de italì… moment… sgè pass mon ami che parl fransè…” (e passo il telefonino al mio capo, che gentilmente mi fa da interprete). Così col mio amico ci parla sempre lui alla fin fine. Ma va bene anche così. Ma di questo parleremo dopo. Ora dobbiamo tornare in ordine cronologico.
La notte prima della partenza abbiamo dormito poco, ma specialmente abbiamo dormito senza nostro figlio, che era già stato sistemato dai nonni la sera prima. C'era il gatto con noi, il nostro amato Gattinalto, che nulla sapeva del periodo di solitudine che lo avrebbe aspettato, come nulla sapeva mio figlio. La nostra partenza li lasciava soli. Meritava? Non lo so. Ma oramai era tardi per i ripensamenti.
Siamo partiti di notte, in mostruoso anticipo, sia perché il mio amico aveva forse poca fiducia nella velocità del suo mezzo, forse perché mi era rimasta l’idea della Land Rover 88: 80 km/h (forse) in autostrada. Così arriviamo all’imbarco con 5 ore di anticipo. Ma il tempo passa in fretta… tra la sistemazione di “silent blocks” di camera d’aria sulla bagagliera arrivata e montata troppo tardi, ed i ricordi di antichi viaggio che si affollano nella mente.
Quante cose sono cambiate: l’altra volta ero in Tunisia con una Land diversa, vivevo in una casa diversa, facevo un lavoro diverso, avevo un gatto diverso (che ora sta nel paradiso dei gatti), e non avevo ancora il mio amato e piccolo figlio, nè Gattinalto. Avevamo però, come tre anni fa, i nostri cagnolini: Biba e Neri. Neri era già stata in Tunisia con noi, per Biba era la prima volta. Ma la novità più importante era certo nostro figlio di pochi mesi: Io e mia moglie da quanto era nato ci eravamo allontanati al massimo 24-48 ore e la sua mancanza si sentiva da subito, e ci avrebbe accompagnato in tutto il viaggio. Senza di lui tutto era “logisticamente” molto più facile, ma anche molto più vuoto, era come essere partiti avendo lasciato metà di se stessi a casa. Che senso avrebbe avuto rivedere il Sahara, rivedere gli amici tunisini, se lui non era con noi a godere dello stesso spettacolo? E come sarebbe stato due settimane senza la mamma? E senza il papà?Una volta sbarcati, in Dogana la Land mi fa subito uno scherzo (altrimenti che Land sarebbe?). Provo ad aprire il cofano motore... ma niente. L’antenna del CB nascosta all’interno del cofano (per meglio dire in quel “territorio di nessuno” tra vano motore e paratia abitacolo) tra le mille posizioni disponibili, si è sistemata in modo da alterare la geometria di uno dei due braccetti su cui si impernia il cofano. Risultato: il cofano non si apre, in nessun modo. Pensate a che casino se mi chiedono di aprirlo… ma guarda te che sfiga. Ovviamente l’antenna l’ho chiusa dentro la sera prima, all’imbarco, quindi al momento non collego le due cose.
Mentre i miei amici sono alle prese con le pratiche doganali (vorrei dare una mano per quel poco che so) io sono sotto la Land che cerco di capire perché il cofano non si apre, mentre dalla fila vicino gli altri fuoristradisti e/o viaggiatori mi guardano come a voler dire “ma guarda queste Land… manco sbarcano che fanno già dannare i proprietari…”. Vedo presto che è impossibile agire da sotto verso l’alto… l’apertura è "blindata". Non posso lavorare in pace: ogni 2 minuti devo saltare in auto, metterla in moto e/o spingerla avanti di 10 metri. Poi spegnerla e saltarci sotto. Un gentile amico che conoscevo di vista (non ricordo da dove, forse altri viaggi, forse "Bambini nel Deserto", forse dal traghetto) mi aiuta, e alla fin fine (vi giuro che non ricordo come) sblocchiamo il malefico cofano, trovando la malefica antenna in una posizione che se avessi voluto metterla così apposta non ci sarei mai riuscito in 1000 anni.
La Dogana comunque passa con zero controlli (anche perché a causa di questa storia ero tra gli ultimi ed erano stufi di vedermi) e così il nostro carico di materiale per BnD passa indisturbato.
Usciamo da Tunisi la sera, e al pedaggio autostradale ci fanno una bella sorpresa. Allungo loro una carta da 30 dinari (non avevo tagli più piccoli) e mi ritornano pochi spiccioli. Qualche secondo per rendermi conto del bidone, metto la freccia e mi fermo qualche cento metri dopo i gabbiotti del pedaggio.
Torno indietro a piedi, saltellando tra camion carichi all’inverosimile e tunisini indispettiti dal fatto che faccio perdere loro del tempo intervistando i casellanti. Infatti, complice la mia pessima capacità di riconoscere in volto persone viste per un attimo… non riesco a capire chi mi ha rifilato la fregatura. Ero alla 5° o alla 6° fila? Boh! Torno verso l’auto con l'intenzione di chiedere aiuto alla moglie, che invece è molto fisionomista: lei avrebbe di certo individuato il "furbetto" senza possibilità di errore. Ma prima che io giunga alla Land Rover salta fuori un esemplare di mitico poliziotto tunisino, che mi domanda qual è il problema. Dopo una veloce spiegazione a gesti ed in francese maccheronico… salta fuori alla velocità di un topo del deserto il capo-reparto dei casellanti… con in mano il “resto” che un suo dipendente aveva “per sbaglio” intascato… Per la cronaca: 1,2 dinari di pedaggio erano diventati 28 e passa…

La notte arriviamo nei pressi di Kairouan, dove facciamo campo. Ci fermiamo vicino a quattro umili case di pastori (o cose simili, contadini… non so) e ovviamente saltano fuori un bel po’ di ragazzi, e poi qualche adulto. Chiediamo gentilmente se possiamo dormire nella “piazza” del paese… ovviamente non c’è problema. Oddio… dormire è un termine grosso… tra i cani della zona allertati dalla nostra presenza (o abbaieranno sempre?), galline mattutine, galli notturni e altri animali assortiti (dindi), personalmente non chiudo occhio.

La mattina però la voglia di continuare l’avvicinamento a Sud (o meglio a Ovest per ora) ha la meglio, e siamo presto in marcia verso il Passo Rommel (almeno quello che penso sia il passo Rommel, comunque intendo il passo che inizia in pratica a Redeyef, puntando poi a sudest). Seguiamo comunque le tracce presenti sulla mappa “Garmin” della Tunisia, mappa veramente spettacolare. Il Passo è molto bello, devo ammetterlo, ma quello che mi manca sono ancora gli spazi aperti e pianeggianti del Chott… non vedo l’ora di rivederli. Ci sono delle indicazioni di un sentiero che porta a delle grotte, ed una persona che evidentemente passa lì le sue giornate come "lavoro" ci invita a fare la passeggiata alle grotte, e a comprare dei souvenir di minerali, se ricordo bene. Non visitiamo le grotte, ma mentre io scendo pian piano gli altri del gruppo rallentano un attimo per le foto di rito.
Superato il passo si vede una vasta pianura, che in pratica va fino a Tozeur e ovviamente anche più a sud… lo spettacolo è molto impressionante perché dall’alto si vede uno strato di cielo (sopra la pianura) giallo/arancione, dovuto penso al pulviscolo portato dal vento (un forte vento che ci accompagnerà tutta la notte, seconda notte insonne) e sopra di esso tutto il resto è un blu.

Il pomeriggio, fatto il passo, mentre gli altri si accingono a fare campo e/o manutenzione, io e mia moglie decidiamo di sfruttare le restanti ore di luce per vedere i dintorni. Dirigendoci verso Tamerza, pochi km dopo aver lasciato il campo, incontriamo in questa vasta “steppa” due contadini. Ci fermiamo ed andiamo a salutarli. Parlano solo arabo, ci invitano a sederci con loro. La conversazione è… piuttosto difficoltosa. Gli diamo alcune buste di cibo da cucinare con l’acqua (minestre, risotti…) e cerchiamo di spiegare il procedimento di cottura. Il giorno dopo andando via con tutto il gruppo ripasseremo a salutarli.

Saliamo a Tamerza, e lì facciamo conoscenza con una coppia di persone di una certa età che vendono fossili, minerali e altri oggetti. Acquistiamo alcune “pietre” per fare i mercatini per BnD, e visto che è il compleanno di mia moglie, le regalo una bella collana, barattandola con un paio di stivali da “cowboy” in vero “serpente”… che qui sono un po’ difficilmente portabili…

Prima di salire all’Oasi, ci fermiamo un attimo lungo la strada (non ricordo per cosa…) e subito da un paio di casette poste lì vicino, saltano fuori dei ragazzini e delle bambine. Diamo loro alcuni kit di indumenti e di materiale didattico di BnD, barattandoli con altri minerali, e spiegando che gli indumenti non sono nostri ma sono di una Organizzazione di “cooperazione” (non è il nome ufficiale ma mi piace di più che “umanitaria”) la quale si occupa di cooperazione tra Italia e Tunisia (beh, non solo ma a loro importa la parte… tunisina) e che noi venderemo i loro “regali” in Italia e con quei soldi prenderemo altro materiale da portare loro e ai loro amici del Sud. A dire il vero non diamo molto, ma dobbiamo tenere la maggior parte delle cose per il Sud in effetti. Ad ogni modo ci offrono il classico e sempre buono tè alla menta (buono ma… tra le altre cose che tre anni fa non c’erano… c’è il diabete di mia moglie, sigh!) e ci promettono che per domattina ci prepareranno il pane.
La mattina dopo quindi noi ed i nostri amici non manchiamo all’appuntamento. Gustiamo il pane, il tè e prendiamo punto gps e nome della famiglia e della frazione, in modo che altri amici di BnD possano passare e portare i nostri saluti.

Dimenticavo… la sera quanto siamo tornati dall’Oasi di Montagna, siamo stati fermati dalla sempre gentilissima Guardia Nazionale. Ma in Tunisia dove li mandano “a scuola” militari e poliziotti? Non ne ho trovato uno che fosse meno che gentilissimo… con rispetto parlando le nostre Forze dell’Ordine dovrebbero talvolta imparare da loro (senza offesa). Non volevano più lasciarci andare… noi a mostrar loro le foto di nostro figlio, loro dei loro figli, e poi a parlare di com’è l’Italia, che a loro non danno il visto perché sono militari, che costa troppo, che la Tunisia è bella, dico io, troppo bella.
C’è chi di loro prima di entrare nella Garde è stato in Italia a raccogliere pomodori, chi non è mai stato da noi… e chissà cosa spera di trovare. Passiamo quasi un’ora con loro, offrendo sigarette e birra, ridendo e scherzando. Sarei stato lì tutta la notte, ma dovevamo andare. Raggiungiamo il campo degli altri… e ridono perché di notte, nel deserto ho messo la freccia per uscire dalla pista e raggiungere le tende! Forza delle abitudini cittadine!

Il giorno dopo visitiamo Chebika e poi puntiamo a Tozeur (che non mi piace tanto, troppo casino), ed infine a Nefta, dove facciamo il pieno di diesel. Io a dire il vero avevo già riempito alcune taniche sul tetto prima del Passo, per vedere come si comportavano le molle del Disco, troppo morbide temevo (ed infatti il mio timore si rivelò giusto). Comunque con quasi 100 kg di diesel e taniche sul tetto non andava male, e non si soffriva il baricentro un po’ più alto.

Ma andiamo avanti col percorso: poco dopo Nefta, alla baracchetta dei souvenir, iniziamo la discesa del Chott el Djerid. Mamma mia quanti ricordi… nell’inverno del 2003 ero arrivato da solo lì provenendo da Sud, ed in particolare da un dedalo di piste che bypassavano la principale, che avevo dovuto lasciare tanti km a sud per via del terreno troppo fangoso. Quando arrivai a Nefta il fondo della pista era viscido come DAS (ve lo ricordate il DAS?), era quasi buio e c’era nebbia. Forse era il posto più incredibile che avessi visto in quelle condizioni. Oggi era tutto diverso: il DAS era dura terra giallina, il Sole era al suo posto, la pista ben segnata, il gps non era più un piccolo eTrex senza wp (ora il dedalo di piste che seguii i punti li ha, e stanno su un libro… che onore!) ma era un cartografico coi wp di 3 anni prima registrati.

Ero felice di vedere che il DAS era indurito… passare quella pista con il camion, nelle condizioni in cui l’avevo passata in inverno, sarebbe stata una avventura con tutte le lettere maiuscole. E (come ebbi a scrivere da qualche parte…) chi ha un bambino di 7 mesi a casa le avventure le vuole… ma piccine picciò.
Comunque la vista del piatto a 360° suscita su di me sempre una grandissima emozione, ancor più che le viste dei cordoni di dune. Il grande piatto è incredibile, ed un mio sogno sarebbe viaggiare per giorni in un deserto piatto. Salato o sassoso, ma piatto. Mi sa che per questo bisogna andare in Libia o Algeria. Beh… non divaghiamo ora.

Ancora sull’asfalto di Nefta avevo avvisato i miei amici: al 90% sarebbe stata una passeggiata, al 10% sarebbe stata una traversata da “uomini duri”… per fortuna la statistica ci dà ragione… anche se poi qualcuno si lamenta che il tutto era troppo facile. Facile o non facile, la pista è lunga, più lunga di quello che ricordavo. E anche quando pare di essere arrivati a Sud, in realtà è ancora lunga… bella, bella, e lunga. E un po’ sconnessa. Ma il Disco andava veramente bene, ero molto felice. Poi ad un certo punto si arriva (sigh) sull’asfalto. Chi preferisce punta a Douz, all’albergo, chi preferisce (o “deve”) punta verso il confine con l’Algeria: lungo quella strada ci sono vari villaggi in cui distribuire il materiale didattico ed i kit di vestiario di BnD.

Inoltre io e mia moglie poi abbiamo una “missione speciale” da compiere: ritrovare la famiglia che anni fa ci ospitò a casa propria, e dei quali restammo grandi amici. Quella famiglia che avevamo conosciuto dando un passaggio, 70 km prima, ad un loro parente, di notte. Purtroppo col calar delle tenebre dopo aver cercato in uno o due villaggi questa famiglia (eravamo dotati di foto ma non di… wp) abbiamo dovuto arrenderci, con le lacrime agli occhi. Mia moglie aveva spedito un grande pacco pieno di cose a loro, e mesi e mesi dopo era arrivata una lettera di ringraziamento. Avevamo risposto promettendo di passare da loro e dai loro bimbi la prossima volta che saremmo tornati nell'amata Tunisia. Dopo tanto tempo eravamo a pochi km da loro e non eravamo capaci di trovarli… dannazione a quando non presi il punto gps! In quella zona ci sono alcuni villaggi costruiti “a tavolino” e tutti uguali, identici… forse il prossimo sarebbe stato quello giusto… ma era notte oramai e non avevamo tempo. La traversata del Chott col camion aveva preso più tempo del previsto, ma la piacevolezza della compagnia dei suoi occupanti non aveva fatto pesare la cosa, anzi.

Nei villaggi attraversati a sud del Chott, abbiamo avuto comunque la possibilità di consegnare a due scuole elementari del materiale di BnD, questa volta prendendo wp, foto dei maestri e note sulle necessità materiali delle scuole, per quel poco che si può fare.

Il ritorno verso Douz fu comunque molto lungo, e faticoso. Viaggiare di notte non è piacevole, ma talvolta è da fare. Abbaglianti fissi, velocità bassa, occhi aperti e via, pian piano. Tanto incontro non veniva anima viva. Presso la Caserma della Guardia Nazionale veniamo fermati e un soldato in licenza ci chiede un passaggio per tornare a casa. Dargli il passaggio ci costerà qualche decina di km di deviazione… ma cosa potevamo fare? dire di no? Arriviamo a Douz a notte fonda, sulle prime dunette a sud della città facciamo campo, una veloce cena e si è a dormire.

La mattina dopo una scoperta molto brutta ci attende. Biba, uno dei due cagnolini che viaggia con noi, non c’è più. Non posso crederci… ha 18 anni, una età quindi avanzatissima. Dov’è andata? Non poteva dormire nella cesta, a fianco dell’auto, con sua figlia Neri?

Mia moglie è distrutta, è certa che non la ritroveremo mai. Anni prima, tra quelle dunette, Neri – inseguita per gioco da un gruppo di ragazzini – presa dal panico aveva puntato dritta alle dune ed era scomparsa. Fu ritrovata grazie ad un inseguimento-on-sand con il Land Rover di alcuni milanesi che erano anche loro in zona (la 88 era “bloccata” con l’air-camping sul tetto e la scaletta a terra…) e coi quali viaggiammo poi per le dune quel giorno.
Convinti (più io che mia moglie) che Biba sia nelle immediate vicinanze dell’auto, iniziamo a seguire le tracce. Gli altri equipaggi che hanno fatto campo con noi dormono, anche se il sole è quasi sorto. Seguiamo le tracce, che dopo poche centinaia di metri si perdono, nelle vicinanze di una piccolissima “oasi” (quattro palme e un po’ di umido, come nelle cartoline). I soldati che hanno passato la notte lì ci dicono che non hanno visto nulla. Niente “scen” (cane) niente tracce. Mia moglie torna verso l’auto, distrutta. Era il cane del suo amato padre, del mio amato suocero, una persona straordinaria. Ora del suo padre restano solo questi due cagnolini, esile filo di vita che la collega a chi non c’è più, filo che testimonia che il ricordo non è solo ricordo, ma che era ed è realtà.

Sappiamo che Biba è vecchia, molto vecchia, ma un conto è vederla morire nel sonno, dormendo con sua figlia nella loro cesta con la loro coperta, un conto è immaginare le sue sofferenze, cotta dal sole tra le dune del deserto, come il peggiore (nel senso di sofferenza) film sui dispersi nel Sahara. E di certo l’idea che il mio cagnolino sperimentasse quella fine non mi rendeva allegro. Oltre a ciò vedere mia moglie in quello stato di disperazione non era molto confortante. Decido quindi di proseguire le ricerche. Mi dirigo verso la zona dove i "cammerlieri" prelevano i turisti per far vedere loro l'alba a cavallo di un cammello. Chiedo in giro... nessuno ha visto il cagnolino. Inizio a parlare di una ricompensa in "argent" per chi lo trovasse, ed allora l'interesse diviene un po' maggiore, ma nulla.

Mia moglie pensa che io stia venendo dietro di lei verso l'auto, invece una volta tornato all' "oasi" inizio a girarci intorno, seguendo questo ragionamento: se l'oasi è circondata da sabbie "vergini" e se il cane non è lì, dovrò per forza trovare delle tracce di "uscita cane". E così fu. Trovai delle esili tracce che puntavano verso sud. Mia moglie era oramai lontana e non potevo avvisarla, dovevo seguire le tracce. In certi punti era facile individuarle, in altri no. Talvolta arrivavo in una "spianata" tra le dunette, e lì le tracce sulla terra dura erano invisibili. Allora percorrevo tutto il perimetro delle piccole spianate, fino a trovare le tracce d'uscita. E proseguivo. Talvolta arrivavo in un catino, e vedevo le tracce girare in tondo, facendo delle curve "paraboliche" atte a saggiare la pendenza delle pareti del catino stesso. Poi una volta individuata la pendenza migliore, le tracce scavalcavano la cresta e il gioco ricominciava. Ma fino a quando?

Quanto aveva camminato quel cagnolino quella notte? Come aveva fatto? La faccenda stava durando più del previsto, e anche le ultime palme dell'oasi di Douz stavano scomparendo nel mare di dunette, e io mi stavo allontanando sempre di più. Ad un certo punto anche il minareto (?) che era la cosa più alta che potevo vedere, diventò sempre meno visibile e ad un certo punto mi trovai circondato da dunette a 360° senza riferimenti. Iniziai a tenere d'occhio quindi la direzione del sole, per sapere da che parte tornare (ok, avevo anche le tracce dei miei piedi... ma due riferimenti is meglio che uan). Ero senza colazione e senza acqua, e iniziavo ad avere sete. Poca, ma sempre sete. Iniziavo a capire al 2% come dovesse sentirsi il povero cane, e non era una cosa piacevole. E dovevo andare avanti, perché le tracce erano ancora visibili, anzi iniziavano a sembrare più "fresche".

Mentre stavo aumentando l’andatura dei miei passi, stavo pensando: forse veramente riuscirò a ritrovare il cagnolino… non potevo ancora crederci… ma l’avrei trovato vivo? o morto? Stavo immerso in questi pensieri, quando tra le dune a qualche centinaio di metri da me vidi due ragazzi su un carretto con un asino, che faticosamente salivano su e giù per le dunette. Iniziarono a sbracciarsi facendomi segno di andare da loro. Sembravano felici. Non sapevo cosa fare… forse il cane era a 10, 50 metri da me… forse 100… forse 1000… se avessi lasciato quelle tracce e avessi raggiunto i ragazzi sul carretto… le avrei poi ritrovate? Che fare? OK, decisi di andare da loro pensando che al limite avrei potuto seguire le mie tracce al contrario per arrivare a quelle (comunque molto labili) del cagnolino. Quando arrivai lì, però, non trovai il cagnolino, semplicemente mi invitarono a salire con loro e partirono. A quel punto mi prese un nodo alla gola (anzi era il terzo o il quarto nodo…): probabilmente non avrei più trovato le mie tracce… chissà dove stavano andando… mi portarono verso una “carovana” di turisti che stavano tornando, sui dromedari. Pare che sapessero tutti chi fossi e cosa stessi cercando. Una volta “attraversata” la piccola carovana, in una “portantina” sull’ultimo dromedario, stava la povera Biba, stremata, ma viva!

Non potevo crederci… iniziai a piangere come un bambino, e ad abbracciarla. La gioia era sia per averla ritrovata, sia perché già immaginavo la gioia di mia moglie, e questo mi rendeva l’uomo più felice del mondo. Con Biba salii sul carretto con l’asino e dopo un breve viaggio per quanto possibile “diretto” (senza seguire il triste ed insensato tracciato delle orme della povera Biba) tornammo abbastanza velocemente all’auto. Quando mia moglie mi vide arrivare, all’inizio non sapeva cosa pensare… poi non ricordo bene, mi pare che presi Biba e la sollevai in alto per mostrargliela. Lei iniziò a correre, ridendo e piangendo come poche volte l’avevo vista fare. Non saprei come descrivere la gioia che io provavo per lei e per Biba, e la gioia che lei provava, ringraziandomi per non essermi arreso quando le tracce erano diventate invisibili. Che mattinata incredibile! Che gioia! Quanto vale la vita di un essere vivente, e quanto poco vale tutto il resto!

Ma nel frattempo era divenuto tardi. Erano le 8:30 e a quell’ora avevamo promesso agli amici che saremmo stati davanti al negozio dove avevamo prenotato la guida. Arrivammo un po’ in ritardo, ma per un valido motivo! Poi ci raggiunse un altro amico, già in Tunisia da qualche giorno, e tutti insieme con la guida all’ora di pranzo partimmo verso Tembaine. La pista che da Douz porta a Tembaine è molto carina e priva di difficoltà. Bei panorami, grandi spazi aperti. Ma il bello inizia quando il terreno duro inizia ad essere ricoperto di dunette, e poi quando finalmente lo spazio tra le dunette diviene anch’esso coperto di sabbia… allora la marcia diviene soffice e silenziosa, ed inizia il divertimento. Poi le dune si fanno più grandicelle, ed i panorami ancora più belli. Alcuni passaggi richiedono un po’ di tecnica, e visto che siamo quasi al tramonto, un paio di insabbiamenti ci consigliano di fermarci per la notte e rimandare l’arrivo a destinazione la mattina dopo.

La guida ci propone, per l’indomani, di guidare con il chiaroscuro che precede l’alba, per godersi lo spettacolo dall’altura di Tembaine. Purtroppo la maggior parte dei presenti preferisce… dormire, così rinunciamo a questa proposta. Dopo aver cenato unendo i nostri tavolini e mettendo in comune le varie pietanze, si va a nanna. La mattina dopo andiamo a recuperare alcuni del gruppo (il camion ed un 4x4 non ci aveva seguito tra le dunette la sera prima) ed insieme (senza camion, solo i passeggeri) si va a Tembaine.
Alcuni inconvenienti tecnici all’intercooler di un 4x4 ci rallentano un po’, ma gli interventi del meccanico del gruppo, ottimamente assistito dal proprietario del 4x4, ci permettono di ripartire abbastanza presto. Giungiamo a destinazione, saliamo sulla “collina”, facciamo delle foto… stiamo un po’ a commentare il bellissimo panorama, poi si scende e si riparte.

A quel punto la guida mi chiede: “vi piace la petit sable o la bocù sable?” Beh… penso io… direi la “bocù”… e allora la guida inizia ad allontanarsi dal percorso fatto all’andata, e punta più a ovest, verso un bel e grande cordone di dune. All’inizio non sappiamo se l’intenzione è di riallacciarsi alla “pista” o meglio alle dune facili fatte all’andata…. Ma poi vediamo che vuole farci attraversare il cordone. Non mi dilungo… sappiate solo che la giornata era ventosa, la sabbia bella “areata” ed il vento contrario… e non è stata una passeggiata. La guida in auto con me tracciava a cenni la direzione dei passaggi, altre volte scendeva, ispezionava a piedi le dune ed i catini che ci aspettavano e poi ci indicava dove passare, tornando in auto o correndo davanti all’auto.

A seconda del carico presente nelle varie auto, a seconda della potenza dei motori e del tipo di gomme, c’è chi ha avuto la vita più facile chi più difficile. Ma è stata una traversata bellissima comunque, anche se abbastanza impegnativa per noi. Abbiamo fatto uso di verricelli, piastre, abbiamo sgonfiato per bene le gomme, abbiamo spalato sabbia con pale e mani, abbiamo scaricato del peso da alcune macchine. Insomma… proprio una bella indigestione di sabbia (anche in senso letterale, visto che col vento che c’era volava dappertutto…)

Attraversato il cordone abbiamo fatto campo, passando una tranquilla e riposante serata. La mattina dopo siamo arrivati a Ksar Ghilane, attraverso una pista e delle dune (el Bibane) che ci aspettavamo essere ben più difficili di quello che erano. Una rottura alla cerniera della sponda del cassone di un pick-up del gruppo ci costringe ad una piccola sosta, ma con la collaborazione di tutti in breve tempo si risolve il semplice problema, e si riparte. A dire il vero anche l’auto-officina del meccanico ha avuto alcuni problemi... ma anche quelli sono stati brillantemente risolti… ci mancherebbe!

A Ksar Ghilane ci facciamo una bella doccia, ci riposiamo ed andiamo a consegnare dei kit di vestiario ad alcune famiglie che vivono nel villaggio esterno all’Oasi. Stride la differenza tra l’atmosfera turistica dell’Oasi e la situazione del villaggio “esterno”.

In campeggio ho occasione di usare parte dell’attrezzatura medica che ho portato: un vicino di tenda, per la prima volta in Tunisia, ha (o meglio aveva) qualcosa nell’occhio, e ora l’ha molto irritato e gonfio. E’ ancora convinto di avere il corpo estraneo presente, ma probabilmente è solo la sensazione dovuta al trauma. Giungo a questa conclusione dopo aver fatto un abbondante lavaggio oculare con abbondante soluzione fisiologica sterile, spruzzata con decisione (con l’intento di eliminare l’oggetto contundente) con una siringa sterile senza ago. Non mi pare che ci sia alcunché nell’occhio. Lascio comunque po’ di attrezzatura medicale a questi ragazzi, in modo che possano effettuare altri lavaggi l’indomani, se necessario, e dò loro alcuni colliri monodose antinfiammatori ed antibiotici.

Il giorno dopo ci dirigiamo verso Bir Aouine, passando per il bel campeggio di Ain Essebat, dove ci fermiamo per una visita di cortesia e per vedere quali comodità offre questo piccolo, isolato ma bellissimo luogo.

Poi, assaggiando un po’ di dune (ma non troppe per via delle difficoltà tecniche del camion, i cui insabbiamenti sono molto più “difficili” da risolvere degli eventuali nostri) raggiungiamo Bir Aouine. Mi è piaciuto moltissimo il panorama per raggiungere questo luogo… ampi spazi aperti, belle piste “naturali”, niente turisti, veramente un bel posto.

La mattina dopo (anzi, iniziò la sera prima….) un inconveniente si presenta senza tanti complimenti: il camion avendo l’indicatore di livello di carburante defunto (durante il viaggio) per un errore di valutazione si ritrova senza diesel nel circuito (ma col serbatoio secondario ancora pieno). Ciò causa l’entrata di aria nel circuito di alimentazione del diesel, e presuppone che si effettui uno spurgo dell’intero circuito. Per lo stato dei filtri, della posizione del camion (pendenza) e per altri fattori (vento, sabbia ecc) l’operazione è lunga, faticosa, e il nostro abile meccanico deve fare appello ad una buona dose di energie. Ma grazie alla sua bravura e con l’appoggio psicologico e pratico degli altri, dopo varie ore di lavoro all’ora di pranzo siamo pronti a ripartire.
A questo punto viste le velocità di crociera e visti i tanti km che ci separano da Douz, chi può propende per giungere entro il pomeriggio ad Ain Essebat, dove li attende un buon letto, una piscina ed un semplice ma buon “ristorante”… mentre chi deve intraprende una lungo trasferimento via pista, con l’intendo di riportare a casa la guida entro la notte. Oramai non faremo più attraversamenti di cordoni dune, e la presenza della guida (e mia) non è più necessaria. Viste le diverse date di ritorno in traghetto prenotate dai vari equipaggi, chi può punterà al mare o ai siti archeologici, altri inizieranno la risalita verso Tunisi nei prossimi giorni.

Io (intendo io, mia moglie, i nostri cagnolini) ed un altro 4x4 puntiamo verso Ksar Ghilane. In questi giorni ho sempre tenuto sott’occhio Biba… e la sua situazione non mi piace per nulla. E’ sempre più debole, pare non riuscire a riprendersi dalle sofferenze di quelle lunghe ore nella sabbia. Onestamente mi stupisco non poco di vederla ancora viva, la mattina quando scendo dalla tenda a Bir Aouine (la mattina dello spurgo del camion). Mentre viaggio verso Ksar Ghilane, la tengo d’occhio sempre più spesso. Mentre guido mi giro indietro con la testa, guardo che stia respirando e poi torno a mettere gli occhi sulla pista. All’incrocio tra la pista proveniente da Bir Aouine e la Pipeline.... mi giro e vedo che Biba non respira più. Avviso mia moglie. Ci fermiamo. Siamo tutti molto tristi… ma almeno è morta stando nel cesto con sua figlia, con noi. Ora è col suo padrone di sempre, in un “mondo” di certo migliore di questo.

Si ferma un vecchio Unimog con due tedeschi dentro. Ci vedono così tristi, ci chiedono il motivo. Si offrono gentilmente di scavare al posto nostro la piccola fossa e di seppellire Biba. Ma mia moglie non vuole… non vuole lasciarla in un punto “x” della Pipeline, senza una indicazione, senza un riferimento se non delle coordinate gps nella memoria del nostro strumento. Decidiamo quindi di portare il corpo di Biba con noi fino a Douz, poi si vedrà.

A Ksar Ghilane salutiamo i nostri amici, che si fermano lì, e iniziamo il trasferimento verso Douz. Sulla Pipeline viaggiamo veloci, sugli 80 km/h. Non c’è male… anche se è un gioco un po’ pericoloso e l’attenzione dev’essere massima. Alcuni tratti sono generosamente dotati di “tolee”, e devo rallentare, altri sono invasi dalla sabbia. Ad un certo punto sento che perdo il controllo dell’auto; momento di panico, non capisco… il fondo della pista è buono. Mah… riparto, poco dopo accade di nuovo. Porca miseria! Che sia stanco? Che ha l’auto? Scendo e controllo: stavo viaggiando senza ammortizzatori posteriori! O meglio, essi c’erano ma il loro olio no… vuoti come due lattine vuote. Mi domando ancora come facevo a correre in quel modo… ora che sono a conoscenza del problema vado a 20 km/h e pare di stare su un dromedario ubriaco…. L’auto dondola, dondola e non smette mai. Douz, che prima era distante un paio d’ore di viaggio, di colpo diviene distante 4, 5 o più ore. La guida dorme, oramai è buio. Mia moglie mi fa compagnia. Neri dorme, o veglia sua madre… non lo so. Biba dorme per sempre.

Arriviamo a Douz di notte. Lasciamo la guida, che comunque rivedremo, e andiamo alla ricerca del punto gps del campo fatto a Douz qualche giorno prima, la notte che siamo arrivati da Chott el Djerid. Troviamo il campo, viaggiamo qualche metro tra le dune, ma il buio e la stanchezza e la coscienza del compito che ci aspetta rendono tutto difficile. Troviamo le palme vicino alle quali riposavano i militari a cui chiedemmo notizie di Biba. Prendo la pala della IIa guerra, scavo, poi mia moglie sistema il corpo del vecchissimo cagnolino. Prendiamo le coordinate gps esatte, e… ed è tutto. Giornata lunga, lunghissima.
Andiamo a dormire a casa di un amico, che insiste per ospitarci. Ci ha fatto preparare una stanza. Un materasso per terra, sopra dei tappeti che penso non siano mai stati “battuti”, sopra il materasso un lenzuolo, una leggera coperta e due cuscini. Da fuori proviene un odore poco piacevole, che aleggia nei dintorni della casa o meglio delle case della zona. Mi sa che il sistema di scarico delle acque nere della zona non è propriamente “a norma”… ma d’altra parte non ce l’ha prescritto il medico di venire in viaggi qua… nulla ci vietava di andare in viaggio in Svezia o in qualche Cantone svizzero…

La sera, come se la giornata non ci avesse già riservato abbastanza emozioni e fatiche, il nostro amico ci presenta sua moglie, sua madre, suo fratello (con sua moglie che aspetta un bimbo), e poi la propria figlia più grande e quella più piccola, che ha l’età del mio amato bimbo che ci aspetta in Italia.

E qui, tutte le nostre fatiche, le nostre “questioni” quotidiane, i nostri “problemi” di ammortizzatori o di incomprensioni con gli altri partecipanti al viaggio, di colpo diventano piccole piccole, perché quella bimba ha una testa grande… troppo grande. Il padre, vedendo la figlia, la bacia e l’abbraccia felice, ma mia moglie non è in grado di nascondere le lacrime per quella piccolissima bambina deforme, brutto scherzo di una Natura, di un Destino o di un Dio che fa quello che deve fare, o che lascia che accadano delle cose ai nostri occhi incomprensibili.

Io onestamente non ho coraggio di prenderla in braccio, non saprei nemmeno come fare… se prendo in braccio mio figlio, lui ora ha già la forza di tenere la testa “a posto”… e da disteso posso sollevarlo sotto le braccia e lui pensa al resto. Se facessi così con quella bimba, il peso della testa penso che le spaccherebbe il collo. Pazzesco.

La notte dormiamo quello che dormiamo, non è la prima notte insonne in Tunisia ma questa volta non sono i cani o il vento, ma è il pensiero di quella bambina che dorme a pochi metri da noi, e che non riesce nemmeno a piangere come un essere umano di 5 mesi, perché chissà che modifiche ha subito il suo corpo, forse quello che noi vediamo esteriormente non è tutto. E anche gli occhi, gli occhi… porca miseria veramente non ho risposte alla domanda che mi fa mia moglie: “perché Dio lascia che succedano certe cose? Che colpa ha questo esserino innocente?” E le mie spiegazioni sul fatto che il buon Dio abbia progettato il tutto ma che il tutto ogni tanto faccia degli errori (mi riferisco al DNA o all’embriogenesi…) che fanno parte del “gioco”… non convince me e nemmeno lei.

Il giorno dopo lo passiamo alla ricerca infruttuosa di una coppia di ammortizzatori, poi risolveremo il problema facendo riadattare due ammortizzatori esausti di Toyota. Oltre a questo, io e mia moglie decidiamo che dobbiamo per forza fare qualcosa per quella bimba, che potrebbe essere nostra figlia, prima che la pressione del liquor intracranico le spappoli completamente il cervello. Insieme al padre andiamo alla ricerca del medico di famiglia, lo andiamo a cercare due volte all’Ospedale di Douz… poi dopo un po’ di telefonate in arabo si presenta lui a casa della bimba.

Mi spiega che l’operazione per salvare questa bimba non viene fatta dalla sanità pubblica in Tunisia e che bisogna rivolgersi alle cliniche private (ce ne sono 3 o 4 nelle zone turistiche, alcune fanno anche un po’ di neurochirurgia). E chiaramente la famiglia non ha i soldi necessari. Sento per telefono il Presidente di una nota Organizzazione Umanitaria con cui collaboro da anni, ma purtroppo mi dice che loro per delle decisioni prese non molto tempo fa, si sono impegnati ad interagire “solo” con strutture tipo enti, scuole o altro e non direttamente coi singoli. OK, capisco, è una scelta condivisibile ma qua il problema rimane, e va risolto in fretta! Allora per questa volta (e magari anche per la prossima!) cercheremo di fare noi qualcosa… io, mia moglie ed i miei amici. Ma per ora siamo qua a Douz, siamo solo, con contanti che non bastano nemmeno per la nafta per tornare in Italia. Così passiamo la restante parte del giorno a discutere col dottore, con la famiglia, con un ipotetico specialista da contattare per telefono… e con troppe variabili di cui non ho la risposta, ancora. Ma per questo vi lascio un indirizzo… http://www.granellodisabbia.it, così noi possiamo tornare al diario.

Quello che mi piace sottolineare, è l’estrema (anche esagerata) dignità di queste persone; nessuno mi ha chiesto nemmeno un dinaro per questa bimba… sono io che mi sono offerto di dare una mano. Nemmeno i datori di lavoro (saltuario) del padre sapevano del problema, e nemmeno a loro egli aveva chiesto aiuto. Mah, non so… forse avrebbero fatto bene a chiedere aiuto prima! Chissà noi “turisti” o “viaggiatori” cosa avremmo risposto se ci avesse chiesto dei soldi… mah. Chissà cosa avrei risposto io… forse devo ringraziare il mio piccolo figlio, forse se non fosse stato per lui mi sarei girato dall’altra parte e avrei lasciato morire lentamente questa piccola bimba. Veramente avere un figlio fa vedere le cose in modo diverso!

Il tardo pomeriggio partimmo in direzione di Matmata, dove avremmo dovuto riunirci con alcuni altri del gruppo, lasciati a Ain Essebat. All’ora prestabilita ci fermammo per un contatto telefonico: gli accordi erano che ci saremmo sentiti alle 20. Loro dovevano essere in una zona oramai “coperta” dal segnale. Dalle 20 alle 21 provai a chiamare i numeri in mio possesso, e a restare in attesa col satellitare, ma nulla.

Porca miseria! Nulla. OK, loro erano almeno in due macchine… ero io ad essere solo… ma io ad essere solo sono abituato. Non ero per nulla tranquillo per loro. Se l’accordo era che la sera ci saremmo sentiti = sarebbero dovuti essere in zona “servita”, allora forse era successo qualcosa. Chiamai chi mi aveva fornito la guida, poi chiamai direttamente il campeggio dove dovevano aver dormito. Per fortuna ebbi una buona notizia: erano arrivati al campeggio, si erano divertiti ed erano ripartiti con comodo il giorno dopo. Il campeggio è poco distante da Ksar Ghilane e il percorso non presenta difficoltà, ero quindi abbastanza tranquillo. A questo punto, finita la sosta per in “contatto radio” (durante la quale abbiano fatto una frugale cenetta) ripartiamo, a questo punto puntando a nord.

Arriviamo a Sfax che è notte fonda, per comodità puntiamo ad un albergo “internazionale” a 4 stelle. Ci spelleranno (ma ho la carta di credito, i contanti sono finiti) ma non abbiamo le forze di iniziare a cercare alberghetti in giro… incredibilmente è pieno (o sarà il mio aspetto a renderlo tale?). Altri due alberghi a 4 stelle sono “pieni”… puntiamo allora sul primo 3 stelle che troviamo, e verso le 2 o 3 di notte siamo a nanna.

Il giorno dopo puntiamo ancora a nord... ma qualcosa non va. Sarà stata l’acqua offertaci in bottiglia dal nostro amico a Douz (ma era di bottiglia? C’ho fatto il tè e non mi sono accorto del gusto…?) Sarà stata la minestra che ci ha offerto? O altro? Fatto sta che ne io né mia moglie siamo in grado di guidare. Stiamo malissimo. Dobbiamo fermarci lungo un triste sterrato che seguendo la spiaggia (? bleah) punta da Sfax a… nord. Siamo a non più di 50 km da Sfax e dobbiamo fermarci. Vi risparmio i dettagli, sappiate solo che alle almeno fino alle 14 siamo stesi come due stracci a lato della Land Rover. Cerchiamo di dormire un po’, ma stomaco e intestino la pensano diversamente. Ci mancherebbe che inizi a piovere. E inizia a piovere. Io proprio non ce la faccio, non posso guidare, non posso stare nemmeno in piedi. Mia moglie per fortuna sta un po’ meglio di me, prova a guidare lei lungo lo sterrato. Non so come diavolo abbia fatto. Appena possibile cerchiamo di tornare sull’asfalto. Comunque siamo messi malaccio. Al primo paese ci fermiamo e prendiamo acqua e limoni). Passano le ore, e la situazione leggermente migliora, ma siamo sempre molto provati fisicamente.

Puntiamo a Mahdia, cittadina a me sconosciuta, ma tant’è. Mentre mia moglie guida, tra una sosta e l’altra per le incombenze di cui potete immaginare, prendo in mano la Lonely Planet e guardo qual è il miglior albergo di Mahdia, che comunque è una famosa località turistica. Non me ne frega niente del costo… dopo le nottate degli ultimi giorni voglio una sistemazione da re! Se devo stare male come una bestia, almeno che stia male in un posto di lusso e non al bordo di una strada come un cane. A Mahdia per uno scherzo del destino… o almeno di alcuni cartelli, ci troviamo “incastrati” con Discovery nelle stradine della Medina… un incubo. Che giornata! Non so ancora come mia moglie sia uscita da quel casino… le darei la medaglia d’oro!

Arriviamo poi al “Noir Palace – Vincci Resort” di Mahdia, ex Mahdia-Palace. Non ho coraggio di entrare: barba lunga, t-shirt sporca, pantaloni “da deserto” non proprio… lindi, sandali e sguardo da beduino incavolato e stanco. Posteggio il Discovery orrendamente sporco (stavano “calcinando” una zona della pipeline e avevo il Disco pitturato di bianco/marrone fin sopra il tetto) fuori dall’entrata trionfale del Resort, in modo che non possano vederlo, e mando in avanscoperta Antonela, che come tutte le donne a parità di condizioni difficili è sempre meglio vestita che l’uomo.

Tremo al pensiero che sia tutto “occupato” come gli alberghi a Sfax. Ma invece 5 minuti dopo torna, dicendo che abbiamo la camera! Non sarei riuscito a fare un metro in più… probabilmente avrei dormito sotto l’auto sul marciapiede davanti al Resort… finché non mi avessero portato via. Invece ingraniamo la prima, e portiamo il muso minaccioso del Disco davanti al grande portone, dove un allibito inserviente della Security esce dal gabbiotto e con aria poco convinta apre il grande portone al fuoristrada più lercio che sia mai entrato lì. Anzi… penso che nessun fuoristrada sia mai entrato lì prima del nostro… visto che i clienti arrivano tutti coi voli charter dall’Italia.

Arriviamo alla Reception, in un salone immenso e altissimo dalle cui vetrate giganti si ammirano le onde del Mediterraneo. Due cocktail compaiono prima che io possa parlare… e con l’aria di chi non è abituato a queste gentilezze domando se sono per noi. Certo Signore, mi risponde in italiano una bella e ovviamente patinata signorina di 20 anni o poco più… Signore? C’è un Signore qua? Se l’abito non fa il monaco… speriamo!

Con estremo sprezzo del pericolo e dello stato del mio stomaco, bevo metà cocktail… sperando che non nascano disgrazie. Nel frattempo due belle signorine (tedesche? Svedesi?) non mi staccano gli occhi di dosso… faccio notare la cosa a mia moglie, che senza scomporsi troppo mi dice: “ovvio, non ti sei visto?? Fai schifo…” ma io intimamente cerco di pensare se esiste una possibilità remota per la quale le due patatone mi stiano guardando perché sembro un rude esploratore giunto da un pericoloso mondo lontano… che so, magari uno che è arrivato lì partendo da Tamanrasset… invece sono solo un reduce da una battaglia tra batteri e microrganismi vari all’interno del mio povero apparato digerente. Mi sa che ha ragione mia moglie… ma non voglio convincermene del tutto! Lasciatemi una piccola speranza!

Passiamo due giorni al Resort, dove pian piano la nostra situazione sanitaria migliora. E per due giorni vediamo (per la prima volta) come passano le vacanze i “ricchi”… Mangiano come maiali (non so come facciano tutte quelle belle ragazze che ho visto a mantenere la linea… ma molte over30 erano comunque dei veri ippopotami), prendono il sole, gironzolano per il Resort a far niente… tra piscina e campi da tennis, bagno turco e massaggi.
E così passano due settimane. E noi dopo due giorni eravamo stufi nonostante il lusso e le troppe gentilezze interessate, e forse proprio per quello. Il prezzo pagato comunque si è rivelato veramente mooooooolto buono, da tenere a mente, poco più che il misero albergo a Sfax.

E si riparte, in direzione di Tunisi. Arriviamo al traghetto in anticipo, facciamo un salto a vedere la residenza del Presidente, e poi ci imbarchiamo, tra 1000 pensieri: la bimba a Douz, nostro figlio a Trieste e tante altre cose.

Sbarchiamo alle 7 di sera circa. Siamo stanchi, ma abbiamo tanta voglia di rivedere nostro figlio, e anche gli altri del gruppo desiderano arrivare a casa. Alcuni abitano vicino, ma noi ed il meccanico abbiamo circa 600 km di strada. Dobbiamo andare piano, perché il suo mezzo ha ancora problemi ai freni. Arrivano le 20, le 22, mezzanotte. Ci fermiamo per un caffè, poi continuiamo. L’una di notte, le 2, le 3… ricomincio a vedere luoghi che frequento… il Veneto, il Friuli Venezia Giulia. Alle cinque di mattina, con chiaro che è arrivato, arriviamo anche noi, a casa. Il gatto, il nostro amato gatto, ci corre incontro! Quanto aspettavo quel momento!

Ci buttiamo in letto, distrutti. Nostro figlio è dai nonni, lo vedremo… domattina. Anzi, è già mattina. Dormiamo qualche ora, verso l’ora di pranzo ci rimettiamo in moto e andiamo dai miei. Mio figlio sta dormendo, non resisto e lo sveglio. Penso che agiterà le braccia come matto facendo le smorfie di felicità come fa ogni giorno quando torno dal lavoro. Invece niente… l’ho svegliato, mi guarda con aria interrogativa.

Mamma mia… quanto sono due settimane per un bimbo di 7 mesi? Poi pian piano esce dal sonno, poi arriva la mamma… sì sì è proprio mia mamma sì lei me la ricordo bene… ora ricordo anche quel furbo di mio papà che mi ha mollato qua tutti ‘sti giorni… gli voglio ancora bene? Ma sì… sì… gli voglio bene, sorrido un po’, sorrido tanto, rido… sono felice! E anche noi, tanto, tanto, tantissimo.

Franz, Antonela e Olivo

PS: i punti gps del viaggio ed altre informazioni tecniche sono liberamente disponibili su richiesta.
19 maggio 2006

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