Magica Caral, la più antica città delle Americhe

Con Gabriele alla scoperta di un luogo prezioso!

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Le cinque del mattino.
E’ ancora buio fitto; abbiamo dormito solo tre ore, ma non c’è tempo per poltrire. Angelica è già fuori che ci aspetta; in strada attende l’auto di suo padre (è venuto pure lui per conoscerci) con tanto di autista.
A quest’ora di domenica mattina, Lima è semideserta: solo pochi venditori ambulanti intenti a preparare la propria mercanzia e qualche nottambulo ubriaco reduce da feste a base di birra e liquore animano - se così si può dire - le vie del centro.
Di qui al porto di Supe e poi a Caral sono circa 180 chilometri di buona strada asfaltata (la Panamericana Nord): solo gli ultimi venti sono un poco difficili da percorrere e servirebbe un fuoristrada, ma l’auto di Angelica non teme qualche buca e il guado del fiume, così, pur smarrendo un paio di volte la via, fra coltivazioni di canna e misere capanne, giungiamo alla magica Caral, la più antica città delle Americhe.
Ma cos’era Caral?
Rappresenta la prima civiltà americana sinora scoperta, contemporanea alla mesopotamica, all’egiziana, all’indiana e alla cinese e risale perlomeno al 2900 a.C., anticipando di 1500 anni le culture mesoamericane.
La Città Sacra di Caral comprende un’area centrale con edifici pubblici e residenziali distribuiti in due settori, uno alto e uno basso, e un’area periferica con le abitazioni del popolo.
Si tratta di qualcosa di davvero eccezionale, riportata alla luce solo nel 1997 dall’archeologa Ruth Shady Solìs che avremo il piacere di conoscere.
Il mio amico Bortolo che mi accompagna sgrana gli occhi di fronte a tanta meraviglia, ma non è il solo: pure Yolanda, Angelica ed io stesso siamo affascinati. Piramidi scalonate, templi, piazze, anfiteatri si susseguono per ogni dove e fatichiamo a comprendere come una città tanto grande e importante sia rimasta sino ad ora offuscata dal tempo e dimenticata dall’uomo.
Eppure anche oggi, che è domenica, i visitatori si contano facilmente: perlopiù studenti peruviani di archeologia e pochissimi curiosi come noi.
Certo, questi venti chilometri di sterrato non invogliano la visita, tuttavia non vi è dubbio che chiunque decidesse di avventurarsi per queste lande rimarrebbe appagato dal mistico splendore della città santa.
Incontriamo la dottoressa Shady quando la visita sta per terminare; l’accompagna il cane fedele che segue i suoi passi senza allontanarsi di un metro. Ruth avanza lenta verso di noi e già dal suo incedere si intuisce l’orgoglio che la pervade; un orgoglio assolutamente giustificato. Parla piano, con un sorriso grazioso e lo sguardo schivo, ma è disponibile e pronta a chiarire i nostri dubbi. Racconta la sua scoperta, spiega le difficoltà incontrate e che ancora rallentano gli scavi, ci accompagna con la fantasia nella notte dei tempi, a cinquemila anni fa e ci sentiamo avvolti dal suono dei flauti, mentre una processione risale la spianata diretta al tempio principale: una nenia sale al cielo e con questa per un momento pure noi ci eleviamo, volteggiando lassù, incontro a Choquechinchay, il Giaguaro Dorato.
E’ solo suggestione, ma è bello immaginare.
Riprendiamo la strada, incamminandoci verso Lima e proponendoci di tornare il prossimo anno quando gli scavi avranno riportato alla luce altre meraviglie.
Ci guardiamo l’un l’altro e siamo tutti convinti che il Perù riserverà ancora moltissime sorprese all’umanità.

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