Islanda: winter expedition 4x4

Il fascino dell’Islanda d’inverno!

 

L'Islanda… un luogo atemporale dove si è conservato un frammento di paesaggio di un tempo che fu.
Un viaggio in questi arcani scenari naturali lo sognavo da sempre e sapevo che un giorno sarebbe arrivato il momento in cui sarei partito, mai però immaginavo di andarci in inverno. L'occasione si presenta quando si aggregano, a me e Mavi, altri "due pazzi" come noi. Paola, socia dell'azienda responsabile del nostro sito internet, la quale si dimostra fin da subito decisa e convinta a partecipare all'avventura. Nel corso del viaggio si contraddistinguerà per la sua "verve" di bevitrice tanto da essere soprannominata "grappa Piave". Cristiano, esuberante e brioso collega di lavoro di Mavi, un tipo sciolto, sarà, invece, il re indiscusso delle nostre serate islandesi per via dei succulenti pasti che amerà prepararci.

Alcuni mesi prima della partenza inizio a preparare scrupolosamente il difficoltoso progetto di viaggio. In questo periodo mi resi conto di conoscere l'Islanda in modo superficiale, più per i luoghi comuni che la identificano che non per le sue reali caratteristiche. Mi documentai, innanzi tutto, sulle ore di luce e le condizioni delle strade. Verificato che il sole sorgeva alle 8.30 e tramontava alle 19.00, concedendoci ben undici ore di chiaro, e che la "Ring Road", salvo improvvise bufere di neve, era percorribile, non rimaneva che preparare l'itinerario. Il viaggio era fattibile! Obiettivo: compiere il periplo dell'isola percorrendo la Strada Circolare che l'attraversa - la statale 1 - (la "Ring Road" appunto), la quale fu completata soltanto nel 1970.
Le informazioni acquisite sulle guide e quelle prese dai resoconti dei vari reportage di viaggio non mi sono servite a molto essendo, per lo più, inerenti a descrizioni di viaggi estivi. Durante le letture una domanda, in particolare, mi aveva colpito, quella che uno, tra i tanti autori, rivolge a se stesso, il quale testualmente scriveva: "… tutti ci chiediamo come sarà l'inverno, ma non credo che ci sia mai dato scoprirlo, non di persona almeno! Abbiamo trovato strade chiuse, brutto tempo e freddo ad agosto… figuriamoci a febbraio!"

L'Islanda in qualsiasi modo si avvicini rappresenta di per sé una sfida, tanto più d'inverno. Questo è vero, ma oggi con l'aiuto delle super-jeep, speciali veicoli equipaggiati in modo particolare e in grado così di percorrere anche le calotte glaciali, sono possibili spedizioni anche in inverno, così i tour vanno diffondendosi anche in questo periodo dell'anno. Un buon fuoristrada, come nel nostro caso, è sufficiente per percorrere la "Ring Road". Un Gran Vitara 4x4, dotato di pneumatici larghi e nuovi, ma soprattutto con delle gomme ben chiodate, è il mezzo di trasporto da noi utilizzato.

L'inverno aggiunto alla naturale bellezza dell'isola rende il viaggio ancor più speciale. Il paesaggio regna solitario, remoto e selvaggio com'è in questa stagione. Tutto ciò, oltre a dare la sensazione di stare veramente facendo un'impresa, offre l'occasione unica di assaporare le bellezze islandesi, nella più assoluta solitudine. Un tour, quindi, ben diverso da quelli estivi, ci sono meno ore di luce, ma tanti, tanti meno turisti, anzi proprio non se ne incontrano e così i luoghi da visitare sono deserti. Rammento, ancora, l'impegno messo nello scattare le fotografie come se dovessi immortalare le meraviglie Islandesi per l'ultima volta, prima che diventasse troppo tardi farlo. Nelle foto scattate alla laguna di Jökulsárlón e come se nessun'increspatura avesse mai mosso la superficie dell'acqua e nella penisola di Reykianes nessun piede avesse mai calpestato i campi di lava ricoperti di muschi. Questa è l'emozione che si prova e vive visitando l'Islanda in inverno. La sensazione di essere degli esploratori e, per una volta tanto, non turisti. Un viaggio d'altri tempi con tutto ciò che un'avventura del genere comporta in termini d'imprevisti.

Itinerario

Arriviamo a Keflavik e subito l'Islanda si presenta: tempo cupo, una leggera fastidiosa pioggia e l'incessante ululare del vento, in aperta contraddizione con l'insegna di benvenuto dell'aeroporto che all'incirca pubblicizzava: - teniamo il sole accesso sulle vostre vacanze 24 ore su 24. -
Eppure proprio queste condizioni sono le più adatte per immergersi nelle calde acque della Blue Lagoon, di per sé già molto suggestiva, lo è ancor di più con il cattivo tempo. La Laguna Blu è un'enorme pozza d'acqua alimentata dalla centrale idroelettrica di Svartsengi e riscaldata dal sottosuolo lavico. L'acqua ha un colore celeste per via del fango di silice, bianco e limaccioso, che è depositato sul fondo della laguna. A causa del freddo le nuvole di vapore che s'innalzano dalla vasca sono particolarmente maestose, tanto da non far intravedere neppure l'adiacente struttura. La Blue Lagoon è un'esperienza unica, assolutamente da non perdere! In quale altro posto potrete tranquillamente sguazzare, in una scenografica piscina da "saga", interamente circondata da campi lavici, in costume da bagno, con una temperatura di zero gradi e sotto la pioggia?
Lasciamo la prima delle tante meraviglie naturali per andarne a vedere altre raccolte in quello che è chiamato "il circuito d'oro" A Grindavik imbocchiamo prima la strada 427 e, poi, la 42 che attraversano la penisola di Reykianes. Si tratta di strade sterrate e nerissime per via del suolo vulcanico. Serpeggiano, infatti, tra distese di lava ricoperte da un irreale manto verde di soffice muschio e spessi licheni.
Arrivati a Hverageroi la strada ritorna asfaltata e c'immettiamo nel "circuito d'oro". La prima attrazione che incontriamo, ovviamente naturale, è il cratere di Kerið, profondo una cinquantina di metri e con un diametro di cento. All'interno il lago è completamente ghiacciato, le pareti hanno tonalità nere, rosse, verdi, marroni e gialle. Superiamo la diocesi di Skalholt e giungiamo poco prima che tramonti il sole alle cascate di Gullfoss, la maggior attrazione turistica di tutta l'Islanda. La caratteristica, oltre all'enorme massa d'acqua, è un doppio salto, il secondo dei quali si getta in uno spaventoso canyon profondo 70 metri.
Sette chilometri più a sud c'è Geysir un territorio pieno di sorgenti da cui sgorga acqua calda. Qui si può assistere, all'incirca ogni dieci minuti, all'eruzione dello Strokkur che spara getti di vapore fino ad un'altezza di 30 metri. Lo spettacolo è visibile già da lontano lungo la strada, ma quando arriviamo è ormai buio, visiteremo il campo geo-termico di Geysir, da cui ha origine la parola internazionale "geyser", l'indomani. All'alba, ossia alle 08:30, assistiamo a tre eruzioni di vapore dello Strokkur e osserviamo da vicino delle pozze in cui l'acqua bolle a tal punto da creare piccoli zampilli alti dieci, venti centimetri come nel caso del geyser di Litli. Lasciamo Geysir diretti a Pingvellir. La strada n° 365 è sbarrata da una transenna con un indicativo ed emblematico cartello: "closed". Indifferenti dell'avvertimento proseguiamo, ma dopo alcuni chilometri siamo costretti a ricrederci e fare marcia indietro. Cumuli di neve c'impediscono di continuare. Siamo allora costretti, per arrivare a Pingvellir, a prendere la statale n° 36, che volevamo evitare, in quanto la deviazione comporta un notevole allungamento. Pingvellir, un po' deludente, è un luogo roccioso di primaria importanza per gli Islandesi. Qui fu istituito nel lontano 930 d.C. l'Alping, il primo parlamento islandese. Vale la pena percorrere il sentiero che si sviluppa nella gola dell'Almannagjà, se non altro per avere la suggestione di camminare lungo la fossa tettonica che annualmente separa di pochi millimetri il continente americano da quello europeo.
Continua a piovere in maniera imperterrita e lasciata la zona del "circuito d'oro" ora, lungo la strada, non incontriamo nessun mezzo e la metafora di cui spesso s'abusa "non c'è anima viva" nel nostro caso non è assolutamente un eccesso! Lo scroscio della pioggia insieme al rumore del motore del nostro 4x4 è interrotto, per ben due volte e nel breve tratto di qualche chilometro, dal frastuono di due potenze della natura, la cascata di Seljalandsfoss e Skógafoss, visibili già dalla Ring Road. Alla prima ci avviciniamo andandoci ben sotto incuranti degli spruzzi d'acqua essendo già bagnati fradici. In quella di Skógafoss risaliamo il ripido e breve sentiero che la costeggia per osservare il getto dall'alto. Se l'altezza delle cascate non è rilevante, la più alta, quella di Skógafoss, misura 60 metri, la portata d'acqua è, invece, impressionante. Si capisce il significato d'energia inesauribile della natura e forza della natura. Prima di giungere a Vik una deviazione sulla strada 218 ci conduce, dopo una decina di chilometri, alle scogliere di Dyrhðlaey le cui pareti precipitano per più di 100 metri a picco sul mare. Stiamo in silenzio ad osservare il pauroso mare in burrasca le cui onde arrivano a lambire le scogliere. L'acqua ritraendosi dalla spiaggia nera lascia una schiuma bianca presentando una scena che sembra irreale. A Vik, il paese più meridionale dell'Islanda, siamo avvolti dalla nebbia cosicché dobbiamo rinunciare alla camminata che conduce al belvedere dei tre faraglioni.
La monotonia è rappresentata dalla solitudine e dall'isolamento, la strada continua ad essere una nostra esclusiva e dire che è come se stessimo percorrendo l'autostrada Milano - Roma, tuttavia il paesaggio cambia continuamente. Ora stiamo attraversando una vasta area piana caratterizzata da sabbia, ghiaia e sassi il "Sandur", che sarà la caratteristica paesaggistica fino oltre la laguna di Jökulsárlón.

Trascorriamo la notte alla fattoria Efri-Vik, a Kirkjubaejarklaustur. Seguiamo con attenzione le previsioni del tempo, le quali neanche a dirlo sono brutte. - I primi giorni saranno contraddistinti da tre agenti atmosferici: cieli grigi, pioggia battente e forte vento. - Brutto tempo, quindi, tanto brutto che siamo pervasi da un senso d'incombente tragedia. Al mattino, ormai non è una novità, le nuvole basse limitano la visibilità tanto che ci accorgiamo di essere in prossimità del Vatnajökull soltanto quando vediamo sul ciglio della strada il pilastro di uno dei tre ponti della Strada Circolare distrutti dalla piena creatasi dall'eruzione del Gjálp nel 1996. Il governo islandese, a testimonianza di altri prossimi e sinistri disastri causati dalla forza della natura, ha pensato di lasciarlo qui.
Al Parco dello Skaftafell avvistiamo finalmente il ghiacciaio. Una bufera di pioggia e vento c'impedisce di compiere le due ore di marcia necessarie per raggiungere il fronte del ghiacciaio di Skaftafellsjökull e la cascata di Svartifoss decidiamo allora di andare a vedere il fronte del ghiacciaio di Svinafellsjökull, ma sarà il lago glaciale di Jökulsárlón, cosparso di iceberg provenienti da uno dei fronti del Vatnajökull, ad entusiasmarci. Assistiamo davanti a questi iceberg, che galleggiano nella parte della laguna più vicina al mare e sono, invece, imprigionati nel ghiaccio nella zona prossima al fronte del ghiacciaio, ad uno spettacolo che non sembra appartenere a questo mondo. Gli iceberg della laguna brillano di mille tonalità: bianchi, grigi, azzurri, blu e verdi. Tutti noi proviamo un'emozione vera nei confronti della natura ed entriamo in totale sintonia con essa. Posso quasi affermare che la si ascolta veramente. Superato il ponte della Ring Road che attraversa la laguna, subito dopo svoltiamo a sinistra, guadiamo un piccolo torrente e costeggiamo la laguna fin dove le condizioni del terreno lo permettono. Scendiamo dal fuoristrada e ci avventuriamo a piedi sul lago completamente ghiacciato dove sbucano come funghi gli iceberg. Come in ogni luogo straordinario che visito tiro fuori la bandiera di Culture Lontane per immortalare la scena.
Continuiamo la nostra marcia sulla Ring Road ed arriviamo a Höfn. Nell'ostello completamente a nostra disposizione, approfittiamo del pomeriggio per risistemarci i bagagli e far asciugare la roba fino ad ora utilizzata. L'idea di passare una serata fuori a bere una birra è immediatamente abbandonata dopo un breve giro. Le strade sono deserte e gli unici due pub del paese sono vuoti. Ci domandiamo in che posto siamo finiti. Il giro serale a Höfn è una delusione.
A Breiðdalsvik troviamo la Ring Road interrotta così siamo costretti a proseguire per Egilsstadir lungo la strada n° 96 e costeggiare i fiordi di Fáskrúðsfjörður e Reyðarfjörður. La strada è tortuosa, sterrata e fangosa. La deviazione, tuttavia, ci permette di assistere a scene caratteristiche dell'Islanda invernale come quelle di piccoli porti le cui acque del mare sono ancora parzialmente ghiacciate. Alla fine della giornata, dopo aver assaporato per quattro giorni nient'altro che paesaggi in ogni momento del giorno, ci riemergiamo nell'atmosfera urbana, quando arriviamo a Egilsstadir che conta circa 1.800 abitanti ed è la città più grande finora incontrata.

Asperità, masse di roccia lavica, sorgenti geotermali, licheni e muschi, ghiaccio, drammaticità del tempo e l'impetuosità delle acque. Credo che in nessun'altra parte sulla terra c'è un luogo che esprima chiaramente il sentimento per il paesaggio, come l'Islanda - luogo ideale per apprendere la natura. - Siamo soltanto a metà viaggio e già comprendiamo perché è definita "Terra del fuoco e del ghiaccio" in quanto sono le due forze della natura che la costituiscono e la modellano. L'Islanda rivela la magia della natura esprime chiaramente il sentimento che ho per la vita con la bellezza del suo incomparabile paesaggio, il quale si presenta inalterato dall'uomo. La natura qui non ha subito raggiri da parte dell'umanità… e tutto questo si percepisce maggiormente e soprattutto in inverno!

Quando giungiamo ad Egilsstadir proviamo un senso di conquista; la soddisfazione per essere riusciti ad arrivare sin qui. Ma ci aspetta, ancora, la parte nord dell’Islanda, quella più impegnativa per via della neve e di alcuni passi da superare. Vivremo avventurose emozioni, ancora più grandi di quelle provate fino ad ora…

In riva al lago Lögurinn, nell’unico albergo in cui soggiorniamo durante tutto il viaggio e in uno dei pochi momenti di riposo, mi rendo conto di essermi dimenticato ancora una volta il nome dell’ennesimo paese. Succede sempre in Islanda… provate voi a ricordare il nome del villaggio di Kirkjiubaejarklaustur o del sentiero dell’Öxarárholmur che conduce in cima all’Almannagjà, passando per il capanno di Biskupabúðuo. Leggo questi impronunciabili nomi solo per dimenticarli subito. Sarà anche per questo che i media prestano scarsa attenzione a questo piccolo ed isolato paese, il cui ruolo nell’economia mondiale non è soltanto marginale, ma addirittura inconsistente. Il nostro viaggio alla scoperta delle isolate e selvagge lande dell’inverno islandese, fin ad ora, ha mostrato come il paese, seppur non sconfinato come altri posti sulla terra, ha spazi senza limiti e tempo per chi prova a percorrerli. All’infuori della zona intorno a Reykjavik, il resto del territorio è un deserto nel senso più completo della parola: di terra e di gente. E’ difficile cogliere il carattere dell’uomo. E’, invece, facile comprendere il paesaggio, che è il protagonista assoluto ed indiscusso. Il puro e semplice paesaggio, ora infernale, ora glaciale.

Ad Egilsstadir ci concediamo finalmente un giorno da nababbi nella pur carissima Islanda. Non badiamo a spese per mangiare e consumiamo così una succulenta cena. Mavi si fa’ preparare del salmone alla salsina verde servito con patate lesse; Paola ordina una zuppa di lenticchie con pezzetti d’agnello e patate; Cris, prende l’haddock, un pesce simile al merluzzo, con crema di formaggio ai gamberetti; infine, il sottoscritto, bocconcini di renna con salsa di mirtillo e riso bollito. Qui seduti al caldo tepore del ristorante Nilsen, improvvisamente il tour “Winter Expedition 4x4” ci sembra semplice, le fatiche scomparse e tutte le ore di guida alle spalle…ma domani già si riparte!

La prossima meta è Grimsstadir, da cui si dirama la strada n°864 per le cascate di Dettifos. La Ring Road lascia Egilsstadir inerpicandosi costantemente fino a Möðdrudalu, vera oasi in questo deserto bianco. Il paesaggio assume, finalmente, sembianze artiche: ad eccezione della strada tutto è bianco e ghiacciato, ma il clima non è affatto così freddo come si potrebbe pensare. Un cartello stradale indica di fare attenzione alle renne. Sembra l’abbiano messo lì apposta perché appena un chilometro dopo c’imbattiamo in un branco di renne… e subito dopo in un altro. Siamo i soli a percorrere la strada il cui asfalto si assottiglia sempre più finché non si trasforma in una pista di terra battuta. Davanti a noi vediamo profilarsi, ad un certo punto, una sagoma e soltanto a pochi metri ci rendiamo conto che si tratta della carcassa di una renna investita da uno dei pochi mezzi che transitano in questa stagione. Le montagne vulcaniche sono di modeste dimensioni eppure sembrano maestose come le vette delle nostre alpi ricoperte come sono di ghiaccio e neve. La pista ritorna asfaltata poco prima di Grimsstadir dove prendiamo la deviazione per Dettifoss. Il solito segnale “malbik endar” indica la fine dell’asfalto e la lettera “F” che si tratta di una pista per fuoristrada, informazioni superflue in questa stagione perché davanti a noi si distende una pianura di ghiaccio. Un successivo cartello avverte che la strada è chiusa, ma proseguiamo lo stesso. Non abbiamo punti di riferimento lungo la pista ormai non più delineata. Il ghiaccio al nostro passaggio si rompe e mille cristalli di ghiaccio schizzano in tutte le direzioni. Si rischia di forare per via di grossi e affilati cumuli di ghiaccio, o di rimanere innevati dove la crosta è cedevole. Non è un viaggio verso le sorgenti del Rio delle Amazzoni, ma tutta questa neve ghiacciata mette in difficoltà il nostro 4WD, seppur ben chiodato. Lo spirito d’avventura ci spinge avanti, fin dove sarà umanamente possibile proseguire. Siamo circa a metà strada quando decidiamo di tornare indietro. La delusione di non raggiungere le cascate più potenti d’Europa non intacca però l’emozione di trovarci in mezzo ad un nulla di pace e di sconfinata beatitudine. Abbiamo vissuto un’avventura vera, con l’adrenalina al massimo per il rischio che correvamo di rimanere bloccati, impagabile esperienza di viaggio.

Tornati sulla Ring Road, il bianco della neve ci accompagna fino al lago Myvatn. Lungo il percorso ci concediamo divertenti off road correndo indistintamente su uno dei due fianchi della carreggiata, segnando a fondo il duro e immacolato manto nevoso. Il sole brilla e il riverbero con il candido manto nevoso crea un tale scintillio di luce che l’area di solfatare di Hverarönd è meno infernale di quanto si aspetterebbe. Si nota fin da lontano, prima per la mancanza di neve e poi per l’odore di zolfo che s’espande per aria. Un sentiero ben segnato conduce tra le varie pozze di fango in ebollizione e le fumarole di vapore. La solitudine è assoluta e per la conformità del terreno sembra di essere su Marte! Esattamente dalla parte opposta si dirama una strada che costeggia un fiumiciattolo dal quale s’innalzano grandi nubi di vapore (per via dell’acqua calda che vi scorre) che preannunciano il pauroso vulcano di Krafla. Dall’avveniristica centrale geotermale parte la stretta stradina che in poche rampe porta al parcheggio e di qui camminiamo fino ad una delle piccole caldere. Il luogo è a dir poco interessante: il piccolo cono vulcanico è per metà coperto da ghiaccio e per metà fuma di calore. Nessuno di noi aveva mai visto così evidente il duello tra il fuoco e l’acqua, né penso lo vedrà mai altrove. L’Islanda deve essere l’unico posto del mondo dove ambienti così diversi riescono a convivere… Prima di giungere a Rykjahlio, presso Bjarnarflag, costeggiamo una collina, priva di neve, dai colori così incredibili che il paesaggio sembra un disegno a pastello in cui il fuoristrada aleggia nell’aria. Sul lago Myvatn troviamo innevata la pista per la pozza d’acqua calda di Stóragjá. L’eccessiva abitudine e sicurezza alle impervie strade islandesi, acquisite nel corso del viaggio, ci gioca un brutto scherzo: rimaniamo innevati! Non siamo attrezzati di pala e piastre così intraprendiamo vani tentativi di scavare ora con i piedi e le mani, ora con i pali divelti da un recinto prima di arrenderci e andare in cerca di aiuto. Fortuna vuole che a soli pochi chilometri incontriamo un’abitazione. Un giovane viene ad aprirci e, senza troppe parole, carica una pala e una fune sul suo pick-up. Cris e Mavi che erano nel frattempo rimasti dal fuoristrada quando ci vedono ritornare non credono ai loro occhi. Bjork dà due colpi di pala attorno alle ruote poi ci fa’ scuotere l’auto per muoverla dalla posizione in cui si era bloccata quindi ci tira fuori con corda e verricello. C’è ancora abbastanza luce per tentare la salita sul cono del vulcano Hverfjall. La pista che conduce alla sua base è sabbiosa e nerissima. Prendiamo il sentiero più diretto, ma anche il più faticoso, e dopo mezzora siamo in cima ad ammirare i due laghi, naturalmente, ghiacciati, all’interno del cono. Per il resto, la vista sul Myvatn, interamente ghiacciato, è glaciale e a buon ragione possiamo affermare: “l’Islanda è nostra.”

Dopo una fantastica giornata di sole, l’indomani ci alziamo con la neve. Una breve nevicata notturna ha ricoperto di un leggero strato di fiocchi di neve la strada, la guida è quanto mai prudente specie dopo l’incidente di ieri. Tempo di arrivare alla cascata di Godafoss e il sole ha già fatto capolino sulle nuvole. Durante la giornata il cielo si pulisce completamente, così la tipica Husavik e la capitale del nord Akureyri ci accolgono con un tepore più primaverile che invernale. A Solvanes troviamo concentrate, più che altrove, grandi mandrie di cavalli islandesi, razza unica che si contraddistingue per la bassa statura, il folto pelo e la lunghissima coda. Se ne vedono di tutti i colori bianchi, marroni, neri a macchie… La fattoria in cui pernottiamo è sperduta nella landa islandese e la limpida nottata lascia sperare di poter assistere allo spettacolo dell’aurora boreale, ma la speranza resta tale. Qui il buio è davvero buio e il silenzio davvero silenzio... A Glaumbaer, oggi un museo a cielo aperto, sono conservate le caratteristiche case islandesi in torba. Non lontano si trova l’incantevole chiesa di Vioimyri, famosa per avere i muri e il tetto d’erba. Abbandoniamo di nuovo la Ring Road per seguire la sterrata 711 che costeggia l’Hùnafjördur e ci condurrà prima al faraglione di Hvitserkur, ma soprattutto ad Indisvik, dove si trova la colonia di foche più grande dell’Islanda. Un cartello poco visibile dalla strada indica che si è arrivati. Di qui si segue un breve sentiero che in pochi minuti porta alla spiaggia. A passo lento ci avviciniamo cercando di non fare rumore e vediamo una cinquantina di foche che si scaldano, pancia in sù, al tiepido sole. Quando s’accorgono della nostra presenza si buttano immediatamente in mare. Ci fermiamo ad osservarle sbucare da ogni dove con lo sguardo buffo e curioso, con occhi graziosi e ben spalancati. Prima di rituffarci nella civiltà, fermiamo il nostro fuoristrada a Reykholt, presso la famosa pozza di Snorri. Si dice che nessun altro luogo legato ad una qualche saga risulta altrettanto affascinante per gli islandesi, ma noi vi preferiamo la sorgente di Deildartunguhver, la più possente del paese con l’acqua che fuoriesce dal terreno ad una temperatura di 100°C. Nei dintorni di Reykjavik, il paesaggio ritorna ad essere verde, ricoperto com’è da soffice muschio. Lasciamo il Suzuki Gran Vitara con rammarico: si è comportato in modo impeccabile su ogni tipo di percorso e terreno.

All’ostello di Reykjavik, dopo nove giorni di solitudine, scambiamo parola con dei viaggiatori danesi che restano stupiti dal giro cha abbiamo compiuto. Passiamo una serata in un pub di tendenza, nel centro della città, a bere birra. La vita notturna della capitale, almeno il sabato sera, è molto animata. Incontriamo dei giovani fare il “ring tour”, il giro dei pub: in maniche corte, ubriachi e indifferenti al freddo, questi giovani entrano ed escono, passando da un pub all’altro. La cittadinanza non sembra farci caso più di tanto: nella capitale più settentrionale del mondo, la regola è vivi e lascia vivere, e non si è guardati e tanto meno giudicati. Reykjavik è una città libera da ogni etichetta e il suo maggior pregio è la silenziosa accoglienza che riserva al turista. Dal punto di vista architettonico offre ben poco, ma proprio non si può fare a meno di notare l’imponente struttura della chiesa di Hallgrìmskirkja, mentre contemporaneamente non si potrà non stupirsi nel vedere, per qualche via del centro, aggirarsi un cigno o un’oca provenienti al centralissimo lago Tjorn. Colpiscono, infine, le tante piscine all’aperto, frequentatissime anche in pieno inverno.

L’Islanda è un paese senza eguali al mondo, piccolo, dagli spazi tuttavia sconfinati, pieno di meraviglie naturali. Così è apparsa ai primi esploratori, e così è ancora oggi come ci ha confermato il nostro tour “Winter Expedition 4x4”. Un viaggio in Islanda offre l’opportunità di essere testimoni della Creazione: se la bibbia racconta che Dio creò la terra in sei giorni, e poi si riposò, qui la Creazione continua giorno dopo giorno…
Islanda: la forza primordiale della natura!

 

2 commenti in “Islanda: winter expedition 4×4
  1. Avatar commento
    Amica del Nord
    21/10/2009 14:42

    Sono rimasta affascinata dal vostro viaggio e vi faccio i miei più sinceri complimenti. In febbraio vorremmo visitare anche noi l'Islanda, che già conosciamo ma solo nei mesi estivi, con la speranza di assistere all'aurora boreale. Auguri per il vostro prossimo viaggio. Ciao ciao amica del Nord

  2. Avatar commento
    ulisse0
    24/01/2005 10:14

    il piu' bel diario di viaggio che ho letto finora nel sito!!!Semplice si' ma esprime appieno il mio stesso modo di vivere le avventure.In un futuro vicino credo che anche io mi organizzero' per intraprendere un viaggio simile(e credo proprio in islanda anche se non sottovalutarei nemmeno la groenlandia...).Spero solo di trovare dei compagni di viaggio come i tuoi...complimenti ancora

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