In Australia non solo i boomerang ritornano!

Chi ci va una volta spesso ci torna: rieccoci nel “quinto continente”!

Matteo e i suoi amici ci hanno già raccontato, con precisione ma anche spirito e tanto cuore, la loro prima esperienza australiana. Come è capitato ad altri lettori di Ci Sono Stato . it, ne erano tornati con un forte “male di Australia”. Per cercare di guarirne, c’è una sola terapia, andarci di nuovo; loro lo hanno fatto e qui ci narrano le altre innumerevoli meraviglie che il continente più lontano ha loro mostrato!29 luglio 2002
Eccoci arrivati finalmente. Sono le 6,30 di mattina.
Usciamo dal Boeing; percorriamo il lungo corridoio che separa il terminal dal ritiro bagagli; ritiriamo il bagaglio; ci facciamo annusare dai cani antidroga; ci facciamo scansionare i bagagli dai raggi X; alla fine possiamo dire di essere in Australia.
Prima di uscire però chiediamo all’Information Center dell’aeroporto di prenotarci un alberghetto non troppo distante dal centro e che costi poco. Detto fatto, il gentilissimo ragazzo ci mostra dapprima un sorriso smagliante e poi ce ne scova uno che corrisponde alle nostre esigenze e ce lo prenota. Efficientissimo, veramente.
Finalmente usciamo dall’aeroporto e… fa freddo e piove. Dev’essere una costante tra me e Sydney. Tre anni fa l’ho lasciata con il brutto tempo e ora la ritrovo col brutto tempo. Fa niente. È bellissima lo stesso e anche con la pioggia ha il suo fascino.
Indosso un maglione e la giacca antipioggia. Qui è inverno e non siamo al nord tropicale per cui le stagioni sono ben suddivise come da noi, anche se la temperatura non scende mai troppo. Averlo noi un inverno così!
Con una navetta bus che fa spola tra l’aeroporto e i vari alberghi del centro, raggiungiamo il nostro modestissimo hotel dopo aver scaricato altri turisti nei vari Sheraton, Marriott, Hyatt, ecc. Man mano che ci fermavamo davanti all’ingresso di ognuno di questi alberghi, infatti, un signore vestito di tutto punto si avvicinava al nostro shuttle, con delicatezza apriva la porta e faceva scendere i nuovi ospiti, poi invitava il facchino a prendere le loro valige per caricarle nell’apposito carrello in modo da non far fare nulla ai clienti. Questo servizio lo hanno fatto a tutte le fermate degli hotel sopra citati. A noi no. Con 15 euro a testa a notte, è tanto se ci davano la chiave della stanza.
Doccia veloce e giù in città in direzione Circular Quay sede dell’Opera House e dell’Harbour Bridge, i simboli di Sydney.
Con calma percorriamo George Street, la lunghissima via che taglia in due la città da sud a nord. Il nostro hotel è all’estremo sud della via di fronte al quartiere cinese, mentre Circular Quay è all’estremo nord.
Qui, di fronte all’Opera House e con alle spalle l’Harbour Bridge, io e il mio amico restiamo in silenzio e dopo un po’ ci guardiamo. Non è la stessa cosa di tre anni fa. Allora il solo vedere l’Opera House ci aveva fatto venire la pelle d’oca dall’eccitazione. Ora non è così. Me lo aspettavo, sia chiaro, però pensavo fosse diverso. Felice, contento, emozionato ma… non come tre anni fa.
Comunque sempre spettacolare, eccezionale e… unica, e siccome il cielo non si è ancora deciso a stabilizzarsi, entriamo al Queen Victoria Building, il centro commerciale più bello d’Australia, in stile, appunto, vittoriano dove al suo interno troneggia un meraviglioso orologio che ad ogni ora si anima con statuine e modellini vari, ripercorrendo le varie tappe dell’Australia, dalla scoperta alla colonizzazione. Il centro si trova lungo George Street e una visita, anche senza comperare nulla, merita. Se poi uno vuole abbandonarsi e trascorrere una intera giornata nei centri commerciali, non fa altro che scendere al piano più basso del Queen Victoria Building, e passeggiare all’interno di innumerevoli altri centri commerciali collegati tra loro da un labirinto di strade, tutte sotto terra. Si può entrare da una parte della città ed uscirne a qualche isolato oltre.
Pranziamo in uno di questi centri, facendo la conoscenza di una simpaticissima signora veneta emigrata quaggiù parecchi anni fa e dove per necessità prima e per amore poi non ha mai più lasciato il Paese. Molto commovente la sua storia. Lei stessa è rimasta contenta di poter scambiare due parole in dialetto veneto con me.
“Riemersi” in superficie, guardiamo l’orologio: è ancora troppo presto per andare a dormire per cui cosa facciamo? Proprio in questo momento sopra le nostre teste passa il monorail per cui... prendiamo il monorail, la caratteristica monorotaia sopraelevata che corre attorno al centro cittadino e di cui facciamo... cinque giri. Mi spiego meglio. Il biglietto vale una giornata intera per cui uno, una volta salito su può restarci per quanto tempo vuole. Questa però non era la nostra intenzione. Volevamo fare un giro solamente, solo che i fusi orari e la stanchezza ci ha fatto... addormentare, per cui siamo scesi dopo diversi giri e svegliati delle risa degli altri turisti presenti, “attirati” dal nostro russare.
Saliamo allora sull’edificio più alto della città e dell’Australia: la AMP tower, un pilone di cemento alla cui sommità c’è una specie di trottola gigante da dove godi una visuale della città a 360 gradi.
E così è infatti. L’unico neo sta nel cielo, sempre nuvoloso per cui non riesci a vedere dove finisce la città, che comunque offre il meglio di sé lungo la baia e nel distretto finanziario.
Il biglietto per la torre include anche la partecipazione ad una proiezione tridimensionale sulle meraviglie australiane dove ti fanno sedere in appositi sedili mobili per rendere più realistica la cosa. Solo che tutto questo realismo mi ha fatto venire i conati di vomito per cui, una volta terminata la proiezione, sono scappato verso le toilette.
A questo punto, distrutti dal fuso, ce ne siamo andati in hotel, e senza cenare ce ne siamo andati a letto svegliandoci l’indomani alle 11. A quest’ora, infatti, dal corridoio dell’hotel un vociare fastidioso ci fa svegliare. Dico io: “ma chi sono questi maleducati che sbraitano a quest’ora del mattino?” Guardo l’orologio… le 11!. Se mi metto a pensare non ricordo quand’è stata l’ultima volta che mio sono svegliato a quest’ora.
Facciamo colazione direttamente in hotel e usciamo, scoprendo un cielo nuvoloso. Non importa, domani sarà una splendida giornata, me la sento.
Percorrendo le vie meno importanti della città, ci dirigiamo verso Darling Harbour, scoprendo costruzioni e palazzi in stile vittoriano che ben si fondono con i più moderni edifici del Centro Finanziario.
Come ho gia detto tre anni fa, Sydney non è una città caotica, nonostante i circa quattro milioni di abitanti e nonostante oggi sia martedì, quindi un giorno lavorativo.
Fatta una rapida conoscenza con la Sydney “nascosta” e meno pubblicizzata, prendiamo l’autobus per raggiungere la spiaggia di Bondi Beach posta ad una quindicina di km. dal centro cittadino e considerata la più famosa della città e la più amata dagli abitanti.
Dopo una mezz’oretta, siamo con i piedi in spiaggia, di fronte all’oceano a guardare una banda di surfisti in erba indaffarati ad ascoltare dall’istruttore le regole per diventare, un domani, professionisti. Le onde adatte ci sono, anche se io stesso in acqua, oggi, non c’entrerei, vista la temperatura.
Percorriamo da sud a nord e da nord a sud tutta la spiaggia salendo nei due promontori che la delimitano e da dove si gode una bella visuale della cittadina e del mare. Durante la loro estate qui dev’essere uno spettacolo ancora più bello.
Mi ha colpito la presenza di alcune seppie giganti morte sulla spiaggia. Dico giganti perché quelle che a volte ci troviamo sulle nostre tavole non hanno quelle dimensioni. Decido allora di fare una foto per testimoniarne le dimensioni… Mi serve un qualcosa che raffronti il tutto... Ok, ci metto di fianco il mio piede che per chi mi conosce sa che porto il quarantasei… Ancora ancora la seppia è più grande. Appena ci allontaniamo, queste carcasse vengono utilizzate dai gabbiani per sfamarsi.
Lungo tutta la spiaggia di Bondi, la classica striscia di ristoranti, take away e negozi di souvenir. Tra l’altro riconosco un ristorante italiano che qualche tempo fa il proprietario era stato intervistato da un programma sugli emigrati all’estero che hanno fatto fortuna.
A Bondi restiamo tutta la mattinata e parte del pomeriggio, per poi rientrare in città.
La sera ci rechiamo laddove tre anni fa abbiamo soggiornato: Kings Cross, il quartiere a luci rosse della città, il quartiere che a differenza degli altri protrae la vita ben oltre le dieci di sera. Nonostante il luogo possa far pensare a pericolo, Kings Cross è un luogo abbastanza sicuro, anzi molto più sicuro che non certe nostre zone. Il fulcro è lungo la via principale dove i sexy shop, i locali trasgressivi e prostitute convivono a fianco di take away e ristoranti. Buttadentro da tutte la parti ti invitano ad entrare. Il soggiorno a Sydney senza una visita a Kings Cross non è una visita completa.

Il giorno dopo, ripristinati totalmente dai fusi orari, ci alziamo scoprendo Sydney sotto una splendida giornata solare, e questo ci rende ancor più di buon umore di quanto già siamo.
Se è così, facciamo la crociera nella baia, visto che tre anni fa quando l’abbiamo fatta c’era brutto tempo.
La nostra scelta ricade su una della durata di un paio d’ore, da dove passiamo per tutti i punti più caratteristici della baia con una sorpresa.
Telefonando a casa la sera prima, per avvisare i familiari che sono arrivato, mia madre mi aveva che al telegiornale avevano dato la notizia che nella baia di Sydney una balena si era intrufolata per godersi una piccola vacanza.
Noi, appena salpati, proprio nel braccio di mare che separa l’Opera House dall’Harbour Bridge, chi ti troviamo??? Il cetaceo che si immerge ed emerge spostandosi qua e là. Attorno si è radunata un gran numero di imbarcazioni, tutte tenute a debita distanza dalla guardia costiera per non disturbare la balena. Uno spettacolo inconsueto ed eccezionale, tanto che nei successivi giorni la stampa locale titolava a caratteri cubitali l’evento, schiaffando in prima pagina il cetaceo in un momento in cui emergeva dall’acqua.
Abbiamo avuto proprio un botta di culo.
Proseguita la crociera, dopo un paio d’ore, prima di attraccare, proprio sotto l’Harbour Bridge, nuovamente un incontro con la balena. Nelle rive, una miriade di persone si è riversata per godersi l’evento.
Il pomeriggio lo dedichiamo alla parte ovest della città, quella più verde, dove ci sono i parchi. Passeggiamo per Hyde Park, the Domain e altri di cui non ricordo il nome, poi verso sera quando la luce solare ha lasciato posto a quella artificiale, decidiamo di attraversare l’Harbour Bridge a piedi per avere una visione diversa della città, scoprendo che non è affatto corto da fare a piedi.
Comunque, inutile dire che lo spettacolo è stupendo. La città colorata da migliaia di luci offre il meglio di sè. Abbiamo anche la possibilità di salirci su, ma visti i costi, superiori quelli notturni rispetto a quelli diurni, decidiamo di no.
Trascorriamo la serata a King Cross (mi pare giusto) dove entriamo a curiosare in uno degli innumerevoli sexy shop e dove alla fine, ceniamo. Non al sexy shop, ovviamente.
Una capatina all’Hard Rock Café con relativo acquisto della maglietta, una birra in un pub in George Street, una curiosata in una libreria aperta ventiquattrore e poi a nanna, che domani si lascia la città.

1 agosto
Dopo aver consumato un’abbondante colazione direttamente all’hotel, ci facciamo portare con un taxi ad un autonoleggio in prossimità di Kings Cross, scelto attraverso alcuni depliant, e, svolte le formalità di noleggio, ci danno un’utilitaria 1.4 benzina colore azzurro cielo che ben si mimetizza con la splendida giornata odierna. Ci impieghiamo due ore a capire cosa dice l’impiegato, anche perché parla così spedito che nemmeno sua madre lo capirebbe.
Oramai pratico della guida con il volante a destra, porto tranquillamente l’auto fuori dalla città percorrendo anche la trafficata, ma unica George Street, diventata per noi un piccolo simbolo da quante volte l’abbiamo percorsa a piedi.
Passata anche l’enorme e monotona periferia lanciamo l’auto (velocità massima 110 Km/h) verso Katoomba, cittadina-perno per le escursioni alle Blue Mountains, che raggiungiamo dopo un paio d’ore, passando per paesi dai nomi impronunciabili, di chiara derivazione aborigena, ma molto belli e caratteristici.
A Katoomba ci dirigiamo verso quello che rappresenta la maggior attrazione delle Blue Mountains: le Three Sisters, le tre sorelle, un trio di formazioni rocciose pressoché delle stesse dimensioni che secondo una leggenda sono state tramutate così per sfuggire ad un pericolo e mai più riconvertite in esseri umani. Come Biancaneve, per intenderci, solo che queste tre aspettano ancora il principe.
Sbagliare strada è impossibile, in quanto per arrivarci è sufficiente seguire la massa di autobus. Inutile dire che una volta arrivati, lo scenario globale è splendido, e tale sarebbe anche senza la presenza di queste tre formazioni rocciose. E dire che siamo ad appena un centinaio di chilometri da Sydney. Sembra che sia consuetudine per gli abitanti della capitale del Nuovo Galles del Sud di passare il weekend qui, oppure solo per un picnic giornaliero.
Come qualsiasi punto di interesse turistico, anche qui ci hanno dato dentro con il cemento. Oltre all’information center, una serie di negozi di souvenir, ristoranti, bar ed attrezzature varie accolgono i turisti che giungono numerosi da ogni parte del Paese e non solo.
Un altro cavallo di battaglia della zona sono le escursioni che si possono fare con una funivia a strapiombo che sorvola la zona, oppure con una specie di ferrovia che scende quasi in verticale lungo un costone di roccia, da dove poi puoi fare una passeggiata all’interno della foresta. Avendo tempo a disposizione, facciamo entrambe le cose e di cui non ci siamo pentiti.
La passeggiata è stata quella che mi è piaciuta di più, forse perché ti trovi a camminare all’interno di un bosco, oserei dire un “bosco botanico”, con piante tutte diverse dalle nostre e dalle dimensioni enormi, ed anche perché le altre due (la funivia e la ferrovia) sono un po’ americanate, con tanto di musica di Indiana Jones.
Pranziamo anche su un ristorante di fronte alle Three Sisters e con tanto di portico a strapiombo sulla vallata.
Un giretto rapido al fornitissimo shopping center per poi riprendere l’auto dedicando tutto il resto della giornata a raggiungere Canberra.

Prima di entrare in città, un cartello ci comunica che stiamo per entrare nell’A.C.T., l’Australian Capital Territory, quella porzione di Stato dove risiede la capitale federale e da dove la monotonia della strada fatta fino ad ora cambia radicalmente per diventare un po’ più “incasinata”.
In città riusciamo a trovare un buon albergo proprio in centro cittadino, che però è deserto. Dopo una certa ora infatti nessuna anima in giro, per cui dopo aver trovato un take away per mettere qualcosa sotto i denti, passeggiato un pochino per il centro ed atteso che il mio amico telefonasse alla fidanzata, ce ne andiamo a dormire.

2 agosto
Oggi la giornata non è un gran che. Non piove (per ora), ma è nuvoloso.
Dal centro in cui siamo, decidiamo di attraversare la città e di raggiungere il Parlamento a piedi. Non sembra infatti tanta strada. Non sembra… appunto.
Invece quella strada e soprattutto quel ponte che attraversa tutto il lago Griffin fino al Parlamento è sì dritta, ma non finisce mai. Comunque vale la pena anche perché facendola in auto non si riuscirebbe a vedere il paesaggio circostante.
Nell’arrivare al Parlamento passiamo di fianco ad una serie di edifici, per maggior parte sedi di ambasciate di Stati esteri, anche se molti, per la funzione che svolgono, sono anonimi. Alcuni li riconosci solo avvicinandoti all’ingresso e dalla bandiera esposta.
Sbagliamo strada un paio di volte tanto che dobbiamo passare attraverso una serie di prati e giardini curatissimi per ritrovare la retta via. Alla fine ci troviamo proprio nel bel mezzo di un campo da football australiano dove una guardia visto che ci troviamo in difficoltà ci viene incontro indicandoci l’uscita. Essendo la zona parlamentare è tutta piena di telecamere e guardie.
Raggiunto, alla fine, il Parlamento che si trova sopra una collinetta e da cui godi una bella visuale della città (se non piovesse), entriamo a visitare le stanze del potere politico australiano, visto che il potere politico australiano si trova in ferie (settimana bianca). Così almeno ci ha detto una ragazza che si occupa di accompagnare i turisti. In effetti sia l’aula del senato che quella dei deputati sono vuote. L’ambiente, pulitissimo e senza una virgola fuori posto, merita una visita. Qualche onorevole o senatore ci deve essere comunque, perché all’esterno c’è qualche giornalista in attesa di fare interviste.
Evitiamo l’immancabile negozio di souvenir, tanto vendono tutti la stessa cosa. Mi fa ridere vedere il classico modellino della città dentro una boccia di vetro trasparente che agitandola viene invasa da un nevicata. Mi fa ridere appunto perché da noi, nelle nostre città, la nevicata ci sta, ma qui!!!
Usciti dal Parlamento, ripercorriamo la lunghissima strada verso il parcheggio dell’auto, cercando di evitare di sbagliare strada, passando di fronte al vecchio Parlamento (a mio avviso più bello del nuovo) dove però non entriamo.
Ci avevano detto che una splendida visuale della città, la si gode dalla sommità della torre delle telecomunicazioni oppure sopra una collinetta opposta di cui non ricordo il nome. Ci rinunciamo perché sia l’una che l’altra sono coperte dalle nuvole per cui non riusciremo a vedere nulla, e poi di nebbia ne avrò quanto basta quando torno a casa.
Comunque gli abitanti del luogo ci hanno detto che Canberra vale bene una visita durante la primavera-estate quando tutte le piante e i fiori, di cui la città è ricchissima, sono in germoglio. La città, infatti, è circondata da parchi e specchi d’acqua che rendono il meglio di loro durante i mesi caldi e sicuramente non in giornate nuvolose ed invernali come questa.
Ripresa l’auto, ci dirigiamo verso Melbourne, dove passiamo una serie di paesi, molti anonimi e con talmente pochi abitanti da non capirne l’esistenza ed altri invece con caratteristiche che giustificano una sosta, anche se poi quest’ultima è dovuta più per esigenze fisiologiche e di benzina che per altro.
Paesi che sono nati perché su una strada diritta ne è stata intersecata un’altra da formarne un incrocio. Dove c’è un paese, c’è un incrocio. O meglio, dove c’è un incrocio c’è un paese.
Per forza di cose (è tardi e non ce la facciamo a raggiungere Melbourne) dobbiamo fermarci a Sale, un paese posto a duecento km. dalla capitale dello Stato del Victoria: dove dopo aver scandagliato il motel che offre il miglior servizio qualità-prezzo, ne scegliamo uno che esternamente sembra anonimo, ma che poi si rivela eccezionale. I proprietari, una simpatica coppia della mezza età, scoperto che siamo italiani, iniziano un discorso di lode sul nostro paese che quasi quasi mi scappa una lacrima. Probabilmente in questi minuscoli paesi non passano tanti turisti per cui, arrivatone uno, viene come “assalito” da una serie innumerevole di domande.
Ceniamo in un take away e facciamo due passi. Non c’è nulla da vedere per cui ce ne torniamo in hotel, sempre dopo aver atteso che il mio amico telefoni alla fidanzata.

3 agosto
Oggi la giornata meteorologica promette bene.
Dopo aver salutato la coppia proprietaria dell’hotel, partiamo da Sale, e in un paio d’ore entriamo a Melbourne. Qui abbandoniamo subito l’auto in un parcheggio per non incasinarci con le trafficate ed immense strade cittadine.
Chiediamo un’informazione ad un ragazzo su come raggiungere un information center, e questo con una gentilezza esemplare (è una costante tra gli australiani), ci dà una spiegazione così dettagliata e perfetta che mai avremmo potuto sbagliare strada.
Infatti non deludiamo, però prima vogliamo renderci conto di com’è la città, per cui saliamo sul suo edificio principe: le Rialto Towers, due torri di cemento e vetro di cui una veramente alta, e dalla cui sommità si gode un panorama a 360 gradi della città rivelandoci che non ha niente da invidiare alla sorella Sydney. Peccato solo che sia un po’ nuvoloso. Il biglietto di ingresso alle due torri (l’edificio più alto della città) comprende anche la visione di un filmato sulle meraviglie dell’Australia. Una specie di viaggio/invito alla scoperta del continente.
All’information center troviamo due ragazze carine addette alla clientela per cui, dopo aver spiegato che vogliamo un hotel centrale e che costi poco, intratteniamo un cordiale colloquio con loro.
Detto fatto, tra una chiacchiera e un’interrogazione al PC, ci trovano un motel economico in centro poco lontano da qui, anche se non è il massimo della pulizia.
Secondo. Abbiamo deciso di rinunciare a fare il lunghissimo tratto di strada che collega Adelaide a Perth in auto. Quello che passa per il Nullarbor Plain, per intenderci. Richiederebbe tempo, denaro e poi il paesaggio non dovrebbe differire dal “nulla” del centro Australia visto tre anni fa, per cui chiediamo alle ragazze di prenotarci un volo interno Adelaide-Perth.
Facendo un po’ di calcoli e del tempo che ci impiegheremo a raggiungere la capitale del South Australia senza penalizzare le zone da visitare gli diciamo di prenotare il volo fra quattro giorni. Le ragazze in due e due quattro ci trovano un volo di sola andata per 199 dollari australiani a testa. Poco più di 100 euro. Solo di noleggio auto ci avrebbe costato il doppio senza considerare la benzina.
Salutate le due bellezze, ce ne andiamo all’hotel per depositare i bagagli e poi usciamo a scoprire la città. È sabato per cui c’è una marea di gente. Melbourne mi piace.
Girovaghiamo per il centro fatto, come un enorme rettangolo di strade e palazzi, alcuni di quest’ultimi in stile vittoriano. Di là del fiume (Yarra) è stato costruito un enorme complesso, chiamato Crown Plaza, dove ha sede un lussuosissimo hotel, dei centri commerciali, innumerevoli ristoranti, discoteche, negozi, ecc. Trova posto anche un mastodontico casinò con non so quanti tavoli da gioco e slot machines.
Esternamente, un passaggio pedonale che separa il Plaza dal fiume è stato addobbato per i turisti con una spettacolare fontana a getti alternati che compone infiniti giochi acquatici. Poi delle alte e mal disegnate colonne da dove scorre dell’acqua, che alle nove di sera inscenano una serie giochi di fuoco alternati.
Troppo opulento il Crown Plaza per i miei gusti, però una visita la merita appieno.

4 agosto
Il giorno dopo ci alziamo con una meravigliosa giornata calda e solare, considerando che siamo in inverno e all’estremo sud del continente. Cosa facciamo? Avevo sentito parlare bene di St. Kilda, il quartiere balenare più famoso di Melbourne, per cui dopo esserci informati su come raggiungerlo, eccoci su uno dei tanti tram di cui la città beneficia per raggiungere la località.
Dopo un quarto d’ora siamo a destinazione. Bel posto. A renderlo ancora più bello è la splendida giornata. Oltretutto lungo la strada principale che costeggia il mare, c’è un mercatino dove vendono un po’ di tutto. Cinesi che vendono cose australiane, vietnamiti che ti scrivono il nome in arabo, australiani che vendono robe cinesi, ecc.
La spiaggia poi è presa d’assalto dagli appassionati di jogging, anche se a mio avviso ne hanno parecchia di attività fisica da fare, vista la mole media degli australiani.
Come per la spiaggia di Sydney però, anche qui a St. Kilda siamo fuori stagione per cui tutte le attività e movimento di persone sono limitate, per cui dopo aver cazzeggiato ancora un po’ sul lungomare, non ci resta altro che fare dietro front e prendere il tram per Melbourne.
Rientrati in città, andiamo ad Albert Park, un enorme polmone verde in città, che per gli appassionati di automobilismo è il circuito d’esordio del campionato mondiale di formula uno. Attorno al lago del parco c’è infatti una anonima striscia d’asfalto che si anima e si trasforma in occasione del Gran Premio.
Facciamo un intero giro a piedi del circuito, e ci mettiamo ad osservare una partita del loro football che è una via di mezzo tra il rugby e il football americano. Si gioca in un campo ovale con tre porte per ogni squadra e altra stranezza è il numero massiccio di giocatori in campo. Non ci abbiamo capito gran ché però è stato interessante.
Il lago del parco ospita una specie di gara di barche a vela radiocomandate dove gli strani piloti ce la mettono tutta per superare, o meglio far superare alla barca, gli avversari. La competizione raduna una piccola folla di persone. Più avanti in un altro anfratto del lago, c’è un’altra gara simile solo che le barche di quest’ultima sono pilotate da persone.
Rientrati in città, ce ne andiamo a mangiare all’Hard Rock Café con immancabile acquisto della maglietta. Un po’ troppo rumoroso. L’Hard Rock è così.
Facciamo anche un giretto esterno della città spingendoci verso gli altri parchi meno conosciuti. Ma a quest’ora sono pressoché privi di gente per cui dopo un rapido sguardo facciamo dietro front e ce ne andiamo al Crown Plaza, che non è un gran ché, ma almeno c’è vita.

5 agosto
Come tempo atmosferico, la giornata non è un gran che. Non piove, ma è nuvoloso, anche se ogni tanto qualche spiraglio di sole si vede.
Il nostro itinerario odierno è quello di passare per la Great Ocean Road, definita come una delle strade costiere più belle al mondo, dove le scogliere si gettano a picco sul mare e dove quest’ultimo le ha modellate nelle più bizzarre forme.
Lasciata Melbourne, ci dirigiamo a verso sudovest in direzione della Great Ocean Road appunto e dove poco più di un centinaio di km. e dopo qualche paese più o meno grosso, ne incontriamo il monumento che ci conferma l’inizio. Una specie di portone in legno che è preso d’assalto fotografico da un pullman di turisti e anche da noi.
Per nulla avrei rinunciato a questi posti.
Prima di partire, in Italia avevo letto qualche guida informativa e tra i luoghi più belli era evidenziata proprio questa strada, da dove poi c’erano The Twelve Apostles, The Sentinel, Loch Ard Gorge, ecc. Il cavallo di battaglia erano i Dodici Apostoli.
Entrati nella strada panoramica ci rendiamo subito conto che è qualcosa di eccezionale, soprattutto nei tratti dove la strada costeggia proprio l’Oceano Antartico. Strapiombi di spettacolare bellezza.
Passati alcuni paesi dove dici che un giorno forse ti trasferirai qui, parcheggiamo l’auto in prossimità del cartello che indica i Dodici Apostoli. Dopo una breve camminata ce li troviamo di fronte. Non so se sono dodici o di più, so solo che sono maestosi ed imponenti. Questi faraglioni si stagliano al cielo separati da un breve braccio di mare. Le onde, talvolta impetuose, creano spettacolari giochi acquatici.
Ce ne stiamo un bel po’ di tempo ad ammirare il panorama e a scattare foto. Facciamo conoscenza con una simpatica coppia di lombardi venuti qui ad incontrare parenti, emigrati quaggiù anni fa, e poi riprendiamo l’auto per abbandonarla qualche chilometro più avanti in prossimità di un’altra serie di formazioni rocciose: il Loch Ard Gorge, un anfratto scavato dall’acqua che ne ha modellato le rocce a forma di archi, tra cui uno maestoso, troneggia solitario in mezzo all’oceano.
Così come più avanti, altre formazioni rocciose simili. Praticamente la strada obbliga ad una fermata dopo l’altra.
Posti simili si vedono in televisione o nelle riviste specializzate, ma come dico sempre, l’esserci e vederli a 360 gradi è tutt’altra cosa. Si respira l’aria, si sentono sulla pelle. Una cartolina, una foto o una ripresa video sono sì preziose, ma sono solo una parte dell’insieme.
Terminata la Great Ocean Road, entriamo nell’entroterra australiano per dirigerci verso Adelaide, solo che quest’ultima dista qualche centinaio di chilometri più avanti e oramai è buio e si è fatto tardi per cui raggiunto Mt. Gambier decidiamo di pernottare. Essendo infatti inverno le ore di luce sono poche e verso le cinque di pomeriggio è gia scuro.
Mt. Gambier è un paese di modeste dimensioni che ha come caratteristica due laghi vulcanici che però non offrono gran che in questa stagione. L’acqua infatti è torbida.
Qui ceniamo in un modesto ristorante-take away di proprietà di un simpatico italiano che però ha ormai perso quasi tutta la lingua italiana, però non ha perso la simpatia. Terminata la cena, infatti, rimaniamo a scambiare due parole col proprietario, contentissimo di poter finalmente parlare con due connazionali. Ci racconta un po’ della sua storia, non tutta felice, delle caratteristiche del paese in cui vive e della gente stessa. Rifiuta addirittura di rispondere al telefono per non lasciarci andare via. Commovente. Talmente contento della nostra presenza che a difficoltà riusciamo a congedarci da lui. Non passano tanti turisti in questi luoghi.

6 agosto
Partiamo di mattina per poter raggiungere Adelaide il più presto possibile. È una bella giornata e si sta bene in tee-shirt.
Facciamo un giro veloce in auto dei due laghi per cui Mt. Gambier è famoso e poi partiamo per Adelaide.
Durante il tragitto non c’è gran che da evidenziare.
Una fermata per fare colazione a Kingston dove un ristorante che ha ben pensato di pubblicizzarsi costruendo una gigantesca aragosta proprio di fronte all’entrata,
Un’altra a Murray Bridge, un paese quasi a ridosso di Adelaide dove tengono alcuni battelli a ruota che meritano di essere visti, ed un enorme ponte che attraversa il fiume e che dà nome al paese.
Arrivati ad Adelaide restituiamo subito l’auto all’autonoleggio creando il panico tra gli impiegati. L’auto infatti la dovevamo restituire due giorni dopo, però esigenze di cambiamento di programma ce la fanno consegnare oggi per cui gli impiegati sono terrorizzati perché pensano che siamo scontenti del servizio dato. Con il mio inglese semi scarso ho provato a dire che il programma ha subito variazioni e che domani partivamo per Perth in aereo, ma loro restavano del loro parere. Mi sono messo la mano sul petto e ho recitato la promessa di boy-scout dicendogli che era tutto a posto. Alla fine hanno capito.
Comunque quella compagnia di autonoleggio era cara per cui mai più l’avremmo utilizzata.
Trascorriamo il pomeriggio e la mattinata del giorno seguente ad Adelaide, che però non mi è piaciuta granché. Sicuramente i luoghi periferici sono migliori, però oramai abbiamo preso il biglietto aereo e di spostarci dal centro non era conveniente.
L’abbiamo girata in lungo e in largo trovando interessante il museo d’arte e di storia aborigena situato nella zona universitaria della città, e la zona sportiva con lo stadio da rugby.
Specialmente il museo di storia naturale merita essere spiegato. Entrando sei accolto da un frammento di meteorite trovato nelle vicinanze della città e da un rapporto dimensioni/peso esagerate (sembra pesi due tonnellate e settecento chilogrammi). Poi all’interno, reperti aborigeni provenienti da tutto il continente e sale dedicate anche alla cultura e all’oggettistica polinesiana. Poi la solita stanza con animali imbalsamati tipicamente australiani.
Arrivata sera, andiamo a cenare in un ristorante italiano (dettato più dalle esigenze di spendere poco) il quale proprietario si è piazzato al nostro tavolo e se n’è andato dopo un’ora, continuando a parlare per tutto il tempo, sparando tante di quelle cazzate…
Dalle foto appese alle pareti, negli anni scorsi sono passati alcuni miti italiani e non, i più legati alla Formula Uno. Qui, infatti, veniva corso il Gran Premio d’Australia, prima che Melbourne lo facesse suo. C’era altresì la foto autografata del mitico Paolo “Pablito” Rossi, il “Re” del mondiale 1982.
Per il resto, complice anche la pioggia, non abbiamo fatto altro. Ho sentito parlare molto bene dei dintorni di Adelaide, tra cui la Barossa Valley, dove si produce un ottimo vino, o della zona costiera, però per volontà nostra Adelaide l’abbiamo evitata.

7 agosto
Il pomeriggio dell’indomani, infatti, abbiamo preso il volo per Perth, raggiungendola dopo circa quattro ore. Questo deve far pensare alle distanze australiane. Con il misero tempo a nostra disposizione questa traversata non la potevamo certo fare in auto.
Atterriamo a Perth, avvolta da un cielo azzurrissimo e dopo aver preso posto in un centrale backpacker a prezzo scontatissimo, ce ne usciamo a scoprire la città, la quale mi è piaciuta fin dall’inizio, equiparandola a Sydney, e forse qualcosa di più.
Facciamo colazione in un bar della trafficata zona pedonale e poi ci accingiamo a scoprire la città che non è grande, però a girarla tutta a piedi, ci impieghi un bel po’.
Siccome qui dobbiamo passarci una settimana, ce la prendiamo comoda.
Cerchiamo subito un punto di osservazione che ci dia una panoramica a 360 gradi. Ovviamente ci dirigiamo verso i due grattacieli più alti, solo che già nel primo gli addetti alle pulizie ci dicono che a Perth di palazzi con il punto di osservazione non ce ne sono, per cui desistiamo di recarci verso gli altri e ci addentriamo in città.
Il cavallo di battaglia lo fa la zona pedonale composta da una miriade di negozi per turisti e bar-caffetterie. Con una serie di scalinate e marciapiedi hanno reso possibile l’apertura di negozi anche al primo piano di una parte dell’area pedonale per cui una volta fatto shopping al pian terreno, sali sopra e continui a dar sfogo alla carta di credito. Stesso sistema visto ad Hong Kong solo che qui nella città australiana è di dimensioni molto inferiori.
Alla fine però tutto stanca, perché i negozi vendono tutti le stesse cose per cui scendiamo in stazione situata proprio in centro e ce ne andiamo a Fremantle, la località balneare più famosa di Perth, situata ad una ventina di minuti di treno dal centro cittadino.
Fremantle è stata famosa anni fa per aver ospitato l’America’s Cup, la più famosa competizione velica al mondo e in un paese dove la vela è uno degli sport più importanti, fate voi. Oggigiorno, complice anche la sconfitta contro gli americani e mai più vinti, è caduta un po’ in decadenza anche se durante la sera si anima di gente che la sceglie per cenare fuori città.
Non offre gran che se non il museo marittimo che però è in restauro, per cui chiuso. Una vecchia prigione-punto di osservazione, che a mio avviso farebbero meglio a demolire. Un lungomare abbastanza occluso da imbarcazioni sollevate per essere riparate. Una bella zona pedonale in cui però non ho visto granché movimento durante il giorno.
Tornati in città ce ne andiamo a cenare nel quartiere di Northbridge, dove si concentrano la maggior parte dei ristoranti. Qui infatti non hai che l’imbarazzo della scelta. Penso ci siano tutti i tipi di cucine al mondo. Italiana, francese, spagnola, messicana, ecc. forse manca solo quella australiana. A farla da padrona, come numero almeno, è comunque la cucina italiana.

8 agosto
L’indomani pianifichiamo i giorni restanti al rientro per cui, visto che ce ne mancano ancora parecchi e che Perth non è certo una città immensa, programmiamo per domani di andarcene via per qualche giorno a scoprirne i dintorni che dicono essere eccezionali.
Ci prendiamo per tempo ed andiamo a noleggiare una auto evitando gli autonoleggi più conosciuti e cari, tanto che ne troviamo uno, proprio girato l’angolo, che fa prezzi umani. Diciamo alla splendida ragazza che ci saremo visti domani per i ritiro dell’auto, per cui ritorniamo in centro ed andiamo a visitare la zecca (The Mint).
Anticamente era la zecca ufficiale di stato. Ora quest’ultima è stata spostata altrove e qui è stato lasciato il conio delle monete d’oro, d’argento e di platino a scopo collezionistico.
Assistiamo anche alla coniazione di un lingotto d’oro sotto la sorveglianza di guardie armate e telecamere disseminate un po’ ovunque. Interessante.
Su una stanza protetta da vetri antiproiettile, persone addette allo stampaggio delle monete nei vari materiali preziosi controllano minuziosamente i risultati per poi impacchettarli e stoccarli nei caveau.
In una stanza attigua in una teca sempre protetta, ti danno la possibilità di tenere in mano un vero lingotto d’oro, lasciandomi senza fiato per il peso. Vengo poi a sapere che quel “cosino” pesava dodici chili.
Prima di uscire ovviamente ti fanno passare attraverso uno shopping center dove però a differenza dei vari negozi cittadini, qui devi stare attento perché i “prodotti” vengono venduti a “peso d’oro”. C’è addirittura una macchinetta che inserendo una moneta da due dollari te ne conia una raffigurante la zecca. Ovviamente inserisco la moneta venendo circondato da una folta schiera di turisti desiderosi di assistere all’evento.
Usciti più che soddisfatti, cazzeggiamo in città senza alcuna meta precisa.
La sera ce ne andiamo a cenare e assistiamo anche ad una zuffa tra cinesi. Mi pare aver capito che si tratti di problemi di “corna”.

9 agosto
Come tempo atmosferico, non sembra una gran giornata anche se talvolta il sole sembra vincerla. Speriamo bene perché oggi dobbiamo abbandonare per tre giorni la città e visitare luoghi che offrirebbero il meglio di sé con il sole.
All’autonoleggio ritiriamo l’auto con cambio automatico (per me una novità) e cerchiamo di uscire dalla città. Come Sydney e Melbourne, anche Perth ha una immensa e monotona periferia fatta di strade enormi e semafori a distanze costanti.
Usciti dalla città, dirigiamo l’auto a nord verso il deserto dei pinnacoli, un luogo caratterizzato da strane formazioni rocciose che si ergono in pieno deserto, e a ridosso dell’oceano. Questo posto è a circa duecento chilometri da Perth, distanza che percorriamo tutta senza fretta. Solita monotonia di vuoto australiano tra un paese e l’altro.
Dopo tre ore di strada giungiamo a Cervantes, paesello che serve come punto di riferimento per raggiungere il parco dei pinnacoli. Da qui lasciamo la strada asfaltata per immetterci in una di terra battuta color rosso fuoco che però, causa mancanza di sole, non appare così “infuocata”.
Dopo una decina di chilometri, entriamo nel parco del deserto dei pinnacoli dove, sempre seduti nell’auto, ci instradiamo nel percorso segnato, zigzagando tra queste strane formazioni rocciose e fermandoci nei vari punti di osservazione disseminati un po’ ovunque.
Non commento lo scenario perché sarei come al solito riduttivo. Dico solo che di questi pinnacoli ce ne sono a migliaia di varie dimensioni e di varie fattezze. A questo aggiungiamo che sono adagiati in un manto di sabbia giallissima, che a pochi metri c’è l’oceano blu e che il cielo si sta schiarendo… fate voi. Uno spettacolo… veramente. Oltretutto non ci sono turisti.
Usciamo soddisfatti dal parco e ci concediamo una buona birra in una roadhouse di Cervantes con tanto di cameriera carina.
Siccome per raggiungere la prossima meta dobbiamo rifare in senso inverso e per parecchi chilometri la strada appena fatta, e non ne abbiamo tanta voglia, decidiamo di cambiare strada optando per una “scorciatoia” segnata sulla nostra mappa.
Gira a destra, poi a sinistra, vai di qua, vai di la, alla fine ci perdiamo, tanto che dobbiamo fermarci nell’unico e minuscolo paesello che conta quattro case ma dotato di un information center. Entriamo creando il panico tra gli impiegati. Sono talmente stupefatti dal passaggio di turisti che tirano fuori un impolverato “registro dei passanti” per apporci la firma. La nostra è la terza in graduatoria da non so quanti anni.
Chiediamo informazioni per raggiungere la nostra meta senza dover rifare la strada principale, e questi estraggono una serie di mappe dandoci anche informazioni turistiche sui paesi che dovremmo passare, quali New Norcia, una minuscola località fondata anni addietro da una congregazione di benedettini italiani.
Salutati e ringraziati tutti gli impiegati (quindi tutto il paese), riprendiamo la macchina e ci lanciamo verso un’altra meraviglia naturale del Western Australia: la Wave Rock. Che però si trova a settecento chilometri in direzione sudest, e considerando che duecento ne abbiamo appena fatti, che è passato da poco mezzogiorno, che i limiti di velocità sono di 110 chilometro orari, che facciamo? Proviamo.
Lancio l’auto a centodieci talvolta centoventi cercando almeno di raggiungere il paese che serve il flusso di turisti che si recano a visitare la Wave Rock: Hayden.
Corri, corri e corri a duecento chilometri dalla meta ci vediamo raggiungere da un’auto della polizia che con abbaglianti e luci accese, ci intimano di fermarci. Obbediamo, al ché i poliziotti scendono dall’auto e mi domandano la patente italiana, la patente internazionale, la carta d’identità e il passaporto. Nient’altro? Dico io.
Mi dicono che viaggiavo a 123 chilometri orari e che il limite era di 110. Per così poco, non vorranno mica farmi la multa? Tempo due minuti e mi consegnano un verbale lungo tre chilometri da presentare alla posta entro 28 giorni per il pagamento. Pena l’addebito sulla carta di credito che ho depositato all’autonoleggio. Non si scappa. Importo 100 dollari australiani. Poco più di cinquanta euro. Va beh. Oramai l’ho presa e me la tengo.
Comunque tutto questo mi ha fatto proseguire il viaggio inchiodato sui centocinque chilometri orari e cambiare tutti i piani, ovvero la rinuncia a raggiungere Hayden in serata.
Ci tocca quindi pernottare un centinaio di chilometri prima, e precisamente a Narembeen, un paese di un centinaio di anime che raggiungiamo a sera tardi. Il che non è poco considerando che l’illuminazione stradale non c’è, paesi nemmeno e le strisce sulla carreggiata assenti. Ho guidato nella completa oscurità rallentando notevolmente e gioendo non appena sono entrato nel paese.
La scelta dell’alloggio è stata forzata dall’unico hotel esistente e che a quest’ora, essendo venerdì sera, ha il bar sovraffollato di gente (locali) indaffarati a portare a termine un torneo di freccette.
Qui infatti a centinaia di chilometri da qualsiasi altra forma di vita diversa dalle mucche e pecore, la gente non può far altro che ritrovarsi al bar del paese per passare la serata.
Veniamo radiografati da tutti i presenti. Probabilmente da qui non passano tante persone. Anche i proprietari dell’hotel sembrano stupefatti dalla nostra presenza. Questa mancanza di villeggianti la si vede anche dalle stanze, che non sono tanto pulite.
Ceniamo, ci facciamo una birra e assistiamo al torneo di freccette in corso.
Usciamo a prendere un po’ d’aria pulita, dato che il locale sembra una ciminiera.
Silenzio desertico. Il cielo senza alcuna nuvola si presenta in tutto il suo splendore. Non essendoci illuminazione artificiale si possono vedere le stelle che qui, nell’emisfero australe, sono in gran numero superiore. Riusciamo anche a vedere la Croce del Sud che è la nostra stella polare, solo che qui indica, ovviamente, il polo sud e che è stata presa come simbolo, tanto da essere inserita nella bandiera nazionale.
Me lo dicevano, in Italia, che nell’emisfero australe avrei visto una volta stellata bellissima. Io ascoltavo, anche se non ero pienamente convinto. Ora devo proprio ricredermi.
Rientriamo al pub, anche perché fuori fa freddo, e di lì a poco ce ne andiamo a dormire perché domattina ci dobbiamo alzare presto per recuperare il tempo perso per colpa della multa.

10 agosto
Ci alziamo all’alba sotto una splendida giornata di sole, tanto che partiamo subito per la Wave Rock senza fare colazione (la faremo più avanti).
Dopo un paio d’ore e dopo aver parcheggiato l’auto ci troviamo di fronte a questa strana meraviglia della natura. Una immensa onda (circa 120 metri di lunghezza) che sembra sia stata tramutata in pietra proprio nel momento prima di infrangersi.
Sarà la stagione (inverno), ma anche qui non ci sono turisti per cui le foto le facciamo tranquillamente senza dover attendere che qualcuno si sposti. Ci arrampichiamo anche sopra seguendo un percorso segnato, e da dove si gode un discreto panorama del “nulla” australiano. Al di là della Wave Rock, infatti, di rilievi non ce ne sono altri che interrompano le linearità dell’orizzonte. Sopra alla roccia invece, il paesaggio sembra quello visto tre anni fa ai Devil’s Marbles nel Territorio del Nord. Una serie di formazioni rocciose (alcune sferiche) che sembrano in posizioni precarie sul punto di rotolare giù.
Se mi state chiedendo se tutti questi chilometri per vedere questa formazione rocciosa valgono la pena di essere fatti? La mia risposte è sì. Multa compresa.
Discesi, ce ne andiamo a fare colazione alla roadhouse di fronte al parcheggio delle auto, dove tra l’altro i proprietari vi hanno costruito una specie di piccolo zoo con creature tipicamente australiane (Wildlife Park). Ovviamente al termine della colazione ci facciamo un giro.
Canguri, koala, vombati, emu, e quant’altro ancora sono in quasi completa libertà, se non fosse per una recinzione di tutta la proprietà che però è talmente ampia che è quasi inesistente. Ci hanno venduto anche la presenza di rarissimi canguri bianchi, solo che qui in questo mini zoo i canguri sono tutti bianchi e sono tanti e non mi sembrano quindi tanto rari.
Tutti gli animali si lasciano accarezzare e non sono per nulla impauriti della nostra presenza, anzi gli emu sono talmente incuriositi di noi che a difficoltà li allontaniamo. Di solito bisogna lottare per riuscire a fare delle foto senza la presenza di turisti. Qui bisogna lottare per non inquadrare gli emu.
Riprendiamo l’auto e ci lanciamo in direzione sudovest, verso la costa, con la speranza di trovare qualche paese con un discreto numero di abitanti.
Passata una prima zona semi desertica, la vegetazione inizia a farsi vedere con imponenti piante di conifere e quant’altro ancora, tanto che passiamo anche attraverso una zona montagnosa. Non come quelle di Heidi e Peter, però con saliscendi talvolta ripidi.
Con la nostra calma, e dopo aver evitato per un pelo un frontale con un canguro aspirante suicida, raggiungiamo la costa e precisamente Cape Leeuwin, dove anni addietro sbarcarono parecchi immigrati e dove oggi un faro ne guida la rotta.
Ceniamo nell’unico (penso) ristorante della zona e poi ce ne andiamo a letto perché la strada fatta è stata tanta.
Fa freddo. Il cielo è una stellata unica e di una bellezza indescrivibile.

11 agosto
Dopo esserci alzati andiamo a visitare il faro, che però è chiuso. Un cartello all’esterno ci informa che in questo punto c’è la separazione dei due oceani: a destra c’è l’Oceano Indiano, a sinistra l’Oceano Antartico.
Riprendiamo quindi l’auto e ci dirigiamo a nord verso Cape Naturaliste fiancheggiando tutta la costa.
Tappa alla Mammoth Cave, dove però io, che soffro di claustrofobia e dei luoghi stretti e chiusi in generale, non entro. Entra il mio amico e così io passo la mia mezzora inoltrandomi nella lussureggiante foresta seguendo una specie di non tanto definito sentiero.
Altra tappa a Yallingup e alla vicina Margareth River, una coppia di paesi famosi per il surf. E dalle onde, immagino che chi ama questo sport ne ha da divertirsi.
Poi ecco arrivati a Cape Naturaliste che sembra la fotocopia di Cape Leeuwin, con tanto di faro bianco.
Non rimaniamo gran che, per cui, messo qualcosa sotto i denti e osservato il panorama, ce ne torniamo a Perth ponendo fine a tre splendidi giorni in giro per il primo entroterra del Western Australia.
Riconsegniamo l’auto e ce ne andiamo a cenare facendo amicizia con locali ristoratori e non.

12 agosto
Rientrati in città dopo tre giorni di assenza, decidiamo di visitare quei posti di Perth che ancora non abbiamo visto.
Un buon bar per fare colazione, per esempio, che troviamo a poche centinaia di metri dal nostro backpacker e che con i proprietari/gestori facciamo subito amicizia.
La splendida giornata di sole ci porta subito ad attraversare con il ferry lo Swan River dove dall’altra parte c’è una bella zona residenziale, una bella veduta, il consolato italiano (che a noi non ce ne frega niente, ma c’è) e un giardino zoologico. Oltre che una splendida veduta della città.
Il quartiere in questione deve essere una tra le zone più “in” della città, viste le abitazioni e la cura dell’insieme. E soprattutto visti i prezzi delle case in vendita.
Decidiamo di entrare allo zoo, non certo per vedere gli animali africani, americani, ecc. ma per vedere quelli che in questo viaggio non siamo riusciti a scovare in libertà. E soprattutto i rettili, cui io sono appassionato. Infatti la prima visita è al rettilario. Ed anche l’ultima, visto che una volta usciti dallo stanzone usciamo anche dallo zoo. Degli elefanti, rinoceronti, lama peruviani, leoni africani, ecc. non ci interessa, per cui abbandoniamo il giardino zoologico e andiamo a pranzare di fronte allo Swan River con ottima vista sullo skyline della città. Come ho detto c’è il sole per cui riusciamo anche ad abbronzarci.
Verso sera ritorniamo di qua del fiume.

13 agosto
L’indomani, dopo aver fatto sempre un’ottima colazione al “solito” bar, prendiamo l’autobus che ci porterà in una mezzora in un paesello appena al di fuori della cintura urbana dove ha sede l’acquario.
Il tragitto per arrivarci ci ha fatto vedere e passare attraverso una serie di quartieri dove dici subito che un giorno qui ci verrai a vivere. Tutte le case sono immerse nel verde e tutte ad una manciata di minuti dal mare.
L’acquario lo visitiamo senza grande interesse perché abbiamo visto quello di Sydney tre anni fa e questo mi sembra la brutta copia. Quello che attira la nostra attenzione è il paese “ospitante” dell’acquario, di cui però non ricordo il nome. Qui riesci a vedere, tra le persone, che tutto viene svolto, ma nulla con affanno. Appena terminano di lavorare prendono la barca ed escono a pescare, oppure stendono l’asciugamano in spiaggia e prendono il sole. Lo stress qui, se c’è, è raro e voluto.
Trascorriamo tutta la giornata in questo paese facendo anche la conoscenza di una coppia tedesca che vive da parecchio tempo qui.
Rientrati a Perth dedichiamo quello che resta della giornata a passeggiare lungo il porto fluviale che è dominato da una strana costruzione che ospita il museo della “campana” (???) e che ovviamente a noi non interessa. Poi andiamo a cenare come al solito nei “nostri” locali di Fremantle. Tanto con il treno si raggiunge in brevissimo. Bisogna solo fare attenzione all’ultima corsa, che è alle 23.

14 agosto
Dopo esserci alzati ci dirigiamo verso la collinetta che domina la città e su cui è stato istituito un parco cittadino di nome Kings Park, alla cui base c’è anche il Parlamento dello stato del Western Australia.
Sarà alto un centinaio di metri sul livello del mare (in una nazione prevalentemente pianeggiante è un record) però da quassù godi una splendida visuale, forse la migliore, della città. Abbracci infatti tutta la città.
Non lontano c’è il giardino botanico a cui non rinunciamo e dove conosciamo una signora addetta alla biglietteria del parco, di origini friulane emigrata quaggiù da tempo. Per chi di giardini botanici ne ha già visti altri non è nulla di eccezionale, mentre per chi è la prima volta sicuramente ne uscirà soddisfatto. Decidiamo di rientrare in centro utilizzando un bus navetta gratuito. Anche da noi è così.
Dedichiamo il tempo rimanente allo shopping, perché questo è l’ultimo giorno australiano. Il giorno dopo, infatti, ci aspettano una ventina di ore di volo che fortunatamente “volano” abbastanza in fretta.

6 commenti in “In Australia non solo i boomerang ritornano!
  1. Avatar commento
    susy
    31/05/2006 21:09

    bellisimo il posto,non x niente lo porterò agli esami tra un mese,quando starò esporrendo l'argomento davanti a tutta la commissione mi ricorderò di queste pagine di avventura in un posto così fantastico e emozionante

  2. Avatar commento
    matteo
    28/07/2005 10:33

    a disposizione per qualsiasi domanda

  3. Avatar commento
    talita
    26/07/2005 14:22

    fantastico, ma avrei delle domande da fare.

  4. Avatar commento
    Marty
    26/09/2003 07:11

    Veramente meraviglioso!! Spero di farlo pure io un viaggio così.... PS: good luck per il prossimo viaggio...

  5. Avatar commento
    Leandro
    26/09/2003 07:11

    Non posso che essere d'accordo incondizionatamente! Il "mal d'Australia" è potentissimo e per curarlo (non guarirne, quello è impossibile...) bisogna tornarci, come ha fatto Matteo. A distanza di cinque anni dal mio viaggio, io non ci sono ancora tornato, ma mi devo proprio decidere!!!

  6. Avatar commento
    md10
    26/09/2003 07:11

    Ciao Matteo, mi chiamo Matteo anch'io, ed in comune non abbiamo solo il nome, ma anche la voglia di viaggiare, mi sembra di aver capito. Complimentoni per come hai scritto l'articolo. Mentre lo leggevo, mi sembrava di essere in Australia, anche se non ci sono mai stato. Come tu ti sei appassionato a questo continente, io mi sono appassionato al Perù, dove ci sono stato per il mio viaggio di nozze assieme a Chiara, nel 2001. Non credo però che economicamente potendo, rifarei lo stesso viaggio. Forse visiterei posti nuovi. Comunque deve proprio essere stato forte per te il "Mal d'Australia!". Alla prossima - ciao omonimo.

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