Ruanda e Uganda: self drive e amenità - Parte seconda

Continua l’Avventura africana di Claudio e Anna. Avvincente come un romanzo, è assolutamente da non perdere!

E' la seconda parte del viaggio di Claudio e Anna in Ruanda e Uganda, di cui la parte iniziale è già presente in questo sito.Dopo una notte non particolarmente tranquilla a causa del numero di scalpiccii, versi, rumori, sibili, passi, grugniti, ipporutti ecc, ovviamente mi sono guardato bene di uscire dalla tenda e scoprire le cause di tale attività, veniamo svegliati all’alba dallo schiamazzo degli uccelli presenti in quantità, carini loro ma si svegliassero un po’ più tardi, e dicono la pace della natura.
Ci godiamo gli ippo alla fioca luce post alba finché non se ne rimangono immersi e tranquilli con l’innalzarsi della temperatura.
La strada per Mweya non ha particolari attrattive, 70 km di buon sterrato fra la boscaglia, nessuna vista sul lago Edward, qualche kob, facoceri e cornuti. E’ però la via delle farfalle. Per lunghi tratti se ne trovano in concentrazioni spettacolari.
Al nostro passaggio, agosto 2012, ponti in ricostruzione e strada aperta con deviazioni e passaggio solo per 4wd o auto molto alte.
Raggiungiamo Katunguro ed imbocchiamo la strada per il second gate, la famosa CHANNEL ROAD zona di passo elefanti per la gioia di Anna, fino a MWEYA centro principale del parco. Qui ci organizziamo al visitor center per i giorni seguenti. Abbiamo tempo per un game drive, altri 20$ e carichiamo una tostissima ranger, la quale ci promette un avvistamento di leoni. Infatti giriamo senza curarci di null’altro fino a che lei mi indica il bush fitto come direzione. Non me lo faccio ripetere e mi infilo nell’erba come una mietitrebbia, non vedo nulla ma mi diverto un mondo. E’ giustamente permesso farlo solo con un ranger a bordo altrimenti sono multe salate. Io guido alla cieca ma lei i leoni li ha visti per davvero ed infatti li troviamo spaparanzati nell’erba.
Gli rompiamo le scatole e se ne vanno subito. Qui gli animali sono decisamente più selvatici rispetto ai grandi parchi del Kenia o della Tanzania.
Dovendoci alzare presto l’indomani pernottiamo al Mweya hostel, Tel 0414-373050, 84,000 Ugx breakfast included, basico ma dignitoso, unica possibilità pernottamento a basso costo, gentilmente ci preparano thermos di caffé ed una colazione completa alla sera. Fa servizio bar ed il ristorante non è male. Le altre “canteen” indicate sull’edt sono in stato d’abbandono.
Molto prima dell’alba siamo per strada lungo la channel road, destinazione Kyambura Gorge. Non abbiamo prenotazione ed il trek è full ma la gentile fanciulla del visitor center ci ha assicurato che, recandoci in loco presto, prendono anche noi di sicuro.
Di notte ci sono più animali che di giorno ed i fari illuminano fuggevoli figure da un paio di tonnellate, ombre misteriose ed una massa sul ciglio intenzionata ad attraversare: inchiodo! A 20 cm dal finestrino un enorme ippopotamo mi guarda attonito. Nasce una discussione, andavi troppo forte, sì ma tu non hai le luci e non rispettavi la precedenza, ma io sono protetto, chissenefrega io ti insacco e faccio prosciutti, è tardi e muore lì, la discussione non l’ippo. Illumino un’altra strana figura in movimento parallela a noi, è un leopardo con tanto di preda fra le fauci, lo seguiamo fino a che, tranquillo, si perde fra i cespugli. Bel game drive pure gratis.
Raggiungiamo il KYAMBURA GORGE con largo anticipo, ovviamente ci prendono, sorvolo sulle scuse inventate, la zona è molto carina, le prime luci dell’alba e la nebbiolina rendono il paesaggio caratteristico. Chimps track 50 Usd.
Il Kyambura Gorge, est di Mweya, un’ora abbondante salvo soste, è una spaccatura nella savana scavata dal fiume, credo omonimo, entro la quale si è sviluppata una vera e propria foresta.
Un simpatico ranger ci accompagna ed iniziamo a scendere lungo un sentiero fino ad entrare in un vero e proprio eden. Intricata, primordiale, rigogliosa, sinceramente posso affermare che, fra tutte le foreste da noi visitate in giro per il globo, questa è in assoluto una delle più affascinanti.
Nonostante sia piacevole camminare nell’intrico lo scopo è trovare gli scimpanzè e, dopo una serie di su e giù, dietrofront e marameo, abbiamo successo. Qualcuno è in mezzo ad abnormi felci e piante non grasse, obese, altri sugli alberi. Non sono vicini, è buio, lo spazio minimo, la vegetazione fittissima ma qualche foto la scatto. Finito il tempo consentito continuiamo il giro fino al fiume logicamente pieno di ippo per poi tornare al punto di partenza.
Non è il luogo migliore per il chimps tracking, è però una foresta splendida e la visita è assolutamente consigliata. Il tutto porta via dalle 3 alle 4 ore, non è impegnativo o faticoso ma bisogna prestare attenzione a dove si mettono i piedi sopratutto quando ci si ferma. Le formiche sono terribilmente aggressive, un paio di ghette non è un ipotesi da scartare a priori, in alternativa il nastro da pacchi è una buona protezione.
Esiste un piccolo visitor center e probabilmente è possibile campeggiare, l’erba ed i bagni ci sono, la posizione è ottima.
Proseguiamo lungo la stessa strada ed in breve siamo alla MARAMAGAMBO FOREST. Sono pochi km ma siamo in un altro mondo, alberi d’alto fusto e sottobosco quasi inesistente. Proprio sui primi rami sono presenti dei simpatici cercopitechi ed i meravigliosi Colobi bianchi e neri, a mio parere i più bei primati visti dopo i gorilla. L’aria estremamente “umana” da vecchio barbuto li rende affascinanti, la lunga coda è scenografica, è però vederli balzare, quasi volare, a rendere la vista emozionante. Li abbiamo visti saltare d’albero in albero a distanze incredibili, ruotare usando la coda come perno, danzare eleganti fra i rami come ballerine classiche. Spettacolari.
Una oversize ranger ci accompagna per la Maramao forest, la quale dopo Kyamburu ci appare ben poca cosa, in realtà è atipica per caratteristiche ed ha la sua dignità.
Seguendo un odore pungente di guano, in 20 minuti, raggiungiamo la BAT CAVE altro spettacolo fuori dal comune. Più che una grotta è un macigno cavo, al cui interno dimorano circa 100.000, sì avete letto bene, centomila pipistrelli. Il fragore generato dai loro stridii è quasi assordante, il calore e l’umidità percepiti sulla soglia dell’arco d’entrata impressionanti, l’odore nauseabondo ma sopportabile. Uno spettacolo eccezionale.
Appallottolato fra delle rocce vive, la guida lo chiama Kobra, quello che a me sembra essere un pitone. Penso non si sia mai mosso da lì da quando è nato, a 20 cm ha colazione pranzo e cena per tutta la vita sua e dei sui discendenti.
All’interno è buio pesto, l’uso del flash è l’unica soluzione. Il giro in totale dura un’oretta e mezza e costa 15 Usd. All’entrata c’è un grande spiazzo e mi hanno confermato la possibilità di campeggio, meglio però Kyamburu.
Ad un km circa c’è il Jacana Safari Lodge, entriamo per vedere il lago Nyamusingiri, niente d’eccezionale.
Decidiamo di non rientrare nel parco e riprendere un 24 ore permit la mattina seguente, i costi son costi, così passiamo la fine della giornata a Katunguro a sotterrarci di birre, se non ricordo male siamo in ferie, ed acquistiamo 4 pesci del lago da un gruppo di sciure alla incredibile cifra di 5000 Ugx, meno di 5 Usd.
Andiamo ad accamparci al Simba Safari Camp, http://www.ugandalodges.com/simba/index.php essendo ubicato a due passi dalla Crater Road. Lungo il tragitto passiamo per il monumento all’Equatore, il quale non si sottrae alla regola per cui è orrendo come tutti quelli edificati lungo il parallelo 0. Sostiamo ad irridere la massa di persone ferme a fotografarsi sotto la scritta “equator”. Ed appena soli facciamo lo stesso!
Simba: da Katunguro nord per Kasese, sosta foto, evidente bivio a sinistra, 1 km entrata a dx, ben indicato. Posto molto carino, con bungalow, dormitori, tende, una grande area comune, ristorante. Noi barboni campeggiamo, 5000 Ugx pp, bagni ottimi, docce calde.
I pesci cucinati alla brace sotto le stelle, ormai domino il “carcioal”, sono ottimi, manca solo la bottiglia di bianco, diamo allora fondo alla grappa!
La CRATER ROAD è un tour circolare a nord di Katwe in una zona così denominata per la presenza di una serie di crateri spenti al cui interno si sono formati dei laghi. La giornata è pessima e non permette di apprezzare appieno i colori, la presenza di una quantità mostruosa di mosche tsè tsè rende il tutto piuttosto deludente. E’ impossibile aprire i finestrini, impensabile scendere a fare foto. I pochi tentativi fruttano delle antipatiche beccate, si scatenano veri e propri safari all’interno dell’auto, l’ultima mi beccherà giorni dopo.
Dalla crater road ci dirigiamo al vicino polveroso villaggio di KATWE dove, nel lago salato omonimo formatosi in un cratere spento, viene estratto il sale a prezzo di sudore e fatica. Sulla via d’entrata si trova il visitor center, qui a prezzi modici si ingaggia una guida, la quale con molto entusiasmo vi accompagnerà. Non servirebbe ma è interessante e i ricavati vanno alla comunità ed al museo in allestimento.
L’arrivo di una serie di colorate scolaresche non rovina l’atmosfera, si limita ad incasinarla a dismisura, probabilmente ragazzi di città non molto diversi dai nostri, cioè semplici prolungamenti del telefonino. Fra le vasche d’estrazione del sale non c’è molto spazio, veniamo così inglobati in quella massa informe d’adolescenti destando una certa curiosità dalla quale in breve nasce un abbozzo di dialogo. What’s your name?, i prof trovano subito un gemebondo comune terreno d’intesa.
Da lì a poco veniamo investiti da tutto il bagaglio culturale disponibile in lingue estere e sottoposti alla stessa quantità e nella stessa modalità di foto ricordo a cui viene sottoposto il pupazzo di topolino a Disneyland. Per una volta siamo noi i soggetti/oggetti insoliti da portare a casa in jpeg e mostrare a parenti ed amici, non possiamo accontentarli tutti, sono troppi, fuggiamo indecorosamente. La visita delle saline merita.
Il rientro a Mweya avviene per la Main road, decisamente polverosa con qualche incontro interessante, la strada è usata dagli elefanti per ricoprirsi di polvere.
Siamo all’imbarcadero.
“Barca piccola o grande Sir”?
“Quella piccola”.
Saliamo, attraversiamo, raggiungiamo la sponda opposta e ci sbarcano subito. Breve attesa e ci reimbarcano tutti sul battello grande. Misteri d’Africa.
La fama del KAZINGA CHANNELL, highlight del Queen Elisabeth è del tutto meritata. Il braccio d’acqua dolce lungo 32 km che unisce il lago George al lago Edward è un tripudio di vita ed osservare la fauna dalla parte dell’acqua offre una prospettiva insolita seppure un poco meno selvaggia. Gli elefanti la fanno da padrone ed i primi che incrociamo da soli valgono il prezzo del biglietto. Immersi completamente giocano felici usando le proboscidi come snorkel. E’ uno spettacolo incredibile e coinvolgente mai visto prima d’ora, nemmeno nell’Okavango.
Non li disturbiamo più di tanto e seguiamo uno dei numerosi gruppi presenti sulle sponde alla ricerca di uno sbocco all’acqua non occupato dai bufali.
Navighiamo fra gli ippopotami, i quali saltano sbuffando infastiditi dalla nave o si limitano ad osservarci con occhio torvo.
Spesso in simbiosi con i più grandi mammiferi gli uccelli sono presenti in quantità nelle più varie e simpatiche forme. Non sono facili da riprendere dalla barca ma qualche esemplare di dimensioni più consistenti finisce nell’obiettivo. Non si sa dove guardare fra tanta abbondanza intanto i pachidermi si aprono un varco fino all’acqua, nel punto più scomodo possibile, presso una tranquilla spiaggetta fangosa occupata da una gran quantità d’uccelli acquatici ed altri bagnanti. L’idilliaca scena viene movimentata da due aquile pescatrici, una di esse decide di portare un po’ di scompiglio, non penso fosse un attacco, sembrava più a scopo intimidatorio, forse non gradiva la disposizione o il rumore. Si lancia in una spettacolare cabrata provocando un fuggi fuggi generale, sono pochi attimi di kaos totale poi torna la calma. Ovviamente i bufali non fanno una piega.
Si incontrano anche dei piccoli insediamenti di pescatori dove la gente convive tranquillamente con bufali ed elefanti. Oltre ai mammiferi incontriamo aironi, pellicani, cormorani e finalmente anche la star della zona: il coccodrillo del Nilo.
In verità ne vediamo molti nuotare o sulle sponde nascosti fra l’erba, la giornata, tanto per cambiare, con il cielo coperto da un sottile strato di nubi è però molto calda, forse non gradiscono e se ne stanno nascosti. Scatto una serie infinita di foto ad una coda pensando fosse la testa, nota per il ritorno: aggiornare gli occhiali.
Il giro in battello dura circa 2 ore, lo si prenota al visitor center di Mweya 25 Usd pp. Al Q.E. non c’è una enorme affluenza di turisti ma i posti sono limitati, noi abbiamo trovato a due giorni di distanza anche perché se non c’è un numero minimo di persone il barcone non parte. A bordo si possono acquistare bibite fresche a volontà. Il Mweya lodge ha una barca propria più piccola, alla quale, mi dicono, ci si può aggregare anche se non si è ospiti del lodge. Essendo di dimensioni e pescaggio più ridotti si avvicina maggiormente alle sponde ma non permette la vista dall’alto del barcone dell’Uwa, ai posteri l’ardua sentenza su quale sia la soluzione migliore.
Il Mweya lodge è il proprietario dell’unico distributore presente in zona quindi applica una sua tariffa non conveniente. Effettua anche il servizio cambiavalute speculando anche su quello. E’ sicuramente molto bello, sofisticato, se la tira una cifra e personalmente l’avrei spianato con il napalm. La Temba canteen è chiusa ed abbandonata, altre opzioni per acquistare generi di prima necessità non ne abbiamo viste. Soddisfatti andiamo a campeggiare al campground dell’uwa, circa 3km a est di Mweya centro (bella questa), 6 Usd, docce e bagni basici ma decorosi e puliti, legna a volontà. Due simpatiche fanciulle ne portano la quantità desiderata tagliata a puntino ed accendono il fuoco, all included. Stasera grande falò e più punti cottura per la cena.
A prima vista il camp appare un po’ desolato senza alberi e con il suolo duro e spinoso ma la posizione isolata, alta a ridosso del canale non è male. Non trovando un punto privo di aculei, maledetti materassini gonfiabili, montiamo la tenda nel gazebo, in mezzo all’Africa dormiamo sul cemento, turisti della domenica!
Cerchiamo di non badare alle inquietanti presenze, sopratutto dopo aver saputo di essere in una zona di passo d’elefanti e che ultimamente la notte è stata spesso rilevata la presenza di un leone, quindi niente cibo in tenda o nelle vicinanze, nemmeno ci fosse bisogno di dirlo.
In effetti è un andirivieni di animaletti vari, fortunatamente tutti innocui, escluso un grosso e bell’esemplare di qualchetipo di kob, il quale mi dicono assai incazzoso e facile alla carica, viste corna e ragguardevoli dimensioni esperienza possibilmente da evitare. Fa piacere però averlo vicino, si fa gli affaracci suoi e non disturba.
Nel tentativo di farmi del male, al tramonto per giunta, scendo a piedi da solo lungo un pessimo sterrato fino al bordo del canale. Non posso non dare l’ultimo saluto all’amico principale di questo viaggio: l’ippo, il quale puntualmente timbra il cartellino guardandomi come a dire: ci si vede per il caffè. Risalgo sano e salvo.
A metà percorso sono presenti delle piazzole per campeggiare di ottima erbetta ed un bagno, la posizione è stupenda ma bisogna portare tutto giù a piedi, la strada al momento in cui scrivo è impraticabile anche con il 4wd.
Infatti dopo una fantastica cena al Gazebo Lodge ce lo ritroviamo che gira per il campo ruttando a più non posso. Gli unici altri ospiti, due belgi, lo illuminano con una potente torcia, è di dimensioni realmente enormi ed apparendo bianco latte nelle tenebre assume un aspetto davvero sinistro. A notte fonda deve probabilmente aver dato un party con una serie di amici a giudicare dai rimbombi di pestoni, ma ormai non ci fa più né caldo né freddo.

La mattina seguente indugiamo a letto e saltiamo il game drive, si sta bene, il gazebo è meglio dell’Hilton, abbondanza di fuoco e caffè a volontà. Per conciliarmi bene con la giornata mi rileggo l’sms dell’amico Julius ricevuto il giorno precedente, il quale suona più o meno così: Non andate al Kibale NP c’è un’epidemia di ebola nel distretto! La gente muore! E’ su tutti i giornali e tv!
Non sono persona da intimidirsi facilmente ma questo è un brutto affare. In ogni caso siamo praticamente al confine del distretto, qui al Queen non sono preoccupati per nulla, decidiamo comunque di proseguire fino a Fort Portal, per noi punto di passaggio obbligato dovendo sostituire l’auto con una più adatta alle strade del nord. Una volta li vedremo di reperire informazioni e valutare la situazione.
Per ottime strade passando per Kasese raggiungiamo Fort Portal dove ci riforniamo di carburante e finalmente riusciamo a prelevare una buona somma alla Barclays bank, unica e consigliata banca che permette fino 500,000 scellini di prelievo con la visa e funziona quasi sempre.
Nemmeno qui sono molto preoccupati per l’ebola e, arriva un altro messaggio di Julius un po’ più rilassante. Sembra che l’epidemia sia circoscritta ad una zona ad est relativamente distante, ma si contano una 30ina di vittime, fra le quali un numero imprecisato a Kampala. Sul giornale foto di uomini in tute bianche simili a quelle degli astronauti e la raccomandazione di limitare i contatti umani, come se in questo Paese fosse facile.
La strada per Kibale passa per piccoli centri dove ci fermiamo ad acquistare verdure fresche ed ottima frutta prodotte in loco. 30 km circa, un’ora.
Al visitor center dopo un: Ebola? No problem!, e ti pareva che questi si preoccupassero per una quisquilia come la febbre emorragica, prenotiamo il famoso chimps track per il pomeriggio del giorno successivo, ci rechiamo così a BIGODI, pochi km più avanti, al Wetland Sanctuary, paradiso, dicono, del birdwatching gestito dalla comunità locale. Qui scopro con dispiacere d’aver lasciato al camp, lo zainetto rosso quasi nuovo, aveva solo 30 anni, con la mucchina sulla fettuccia, compagno indistruttibile di una infinità d’avventure. Al mondo apparteneva ed al mondo è tornato. Dentro fortunatamente c’era solo il kway. Una guida ci accompagna nel giro, 15 Usd, di circa due ore. Già la giornata non era bella, senza kway logicamente si aprono le cateratte di Giove Pluvio e dal cielo veniamo investiti da una massa d’acqua, un vero temporale equatoriale. Il folto della foresta offre riparo ma in breve sono fradicio e la temperatura precipita di almeno 10 gradi. Tremo come una foglia quindi perfettamente inserito nel contesto me ne sto rannicchiato sotto le felci. Potrebbe essere anche un bel posto chiaramente non posso valutarlo. Di uccelli ne vediamo uno, bello per carità, ma poerello decisamente solitario ed una golden ciuffet monkey molto nascosta.
Ci sistemiamo al Primate Lodge & campsite a due passi dal Visitor center. Il lodge è bello ma il campo non è altro che uno spiazzo fra gli alberi piuttosto anonimo. Chiedono 8 usd, senza acqua e servizi nelle vicinanze e sono anche piuttosto antipatici, si rivelerà però molto tranquillo ed intimo.
La legna in giro non manca ma è fradicia ed accendere il fuoco sarà un impresa che mi vedrà vittorioso. Sempre più mitico! Autostima mode on!
Apoteosi! Riesco ad accendere un focherello e portare il caffè mattutino alla dolce metà. Nonostante i disagi mai le ho fatto mancare per tutta la vacanza un caffè caldo al risveglio, se non è amore questo!
Segnalo, qualche km prima del visitor center, anche il Chimps nest, posto in una bellissima posizione ai margini della foresta, offre diverse possibilità di sistemazione più o meno costose. Le piazzole del camp sono però piuttosto distanti dal parcheggio, piccole ed anguste, 5usd, http://www.chimpsnest.com/kibale.html.
Approfittiamo della mattinata libera a Fort Portal per fare rifornimenti vari, sopratutto alla Barclays, prelevando tutto il possibile.
Abbiamo appuntamento con Moses, il factotum dell’agenzia, la Mazda non è idonea per le strade del nord ed a Kigali era l’unica scelta disponibile. A dire il vero il Kidepo all’inizio non era in programma ma l’appetito vien mangiando e con il passare dei giorni si trasforma nell’obiettivo del viaggio. Alla mia richiesta il Boss Kizito mi propone un cambio auto senza particolari problemi, a condizioni ottime, ci accordiamo per effettuarlo a Fort Portal, incrocio ideale fra il nostro tragitto e Kampala.
Ovviamente Moses, il quale, pora stéla, l’avevo tempestato di sms in modo che avesse ben chiaro il nostro vincolante orario del chimps track, ovvero le 14.00, ha il cellulare spento e non da notizie di sé per tutta la mattinata. Alle 11e 30 squilla il telefono quando già lo davo per disperso: Mr Claudio? A mezzogiorno sono lì, perfettamente in orario! Infatti tutto soddisfatto alle 12 spaccate arriva con famiglia al seguito. Li mortacci... It’s Afrika, everithing’s gonna be all right! E’ un ragazzo timido ed educato e ci ha fatto una grossa cortesia quindi non lo sopprimo. Velocissimi convenevoli, buttiamo alla rinfusa, spesa, acqua, tende, articagli, nel toyotone, e ci rifiondiamo al Kibale dove giungiamo anche con un po’ di anticipo.
Pronti per il CHIMPS TRACK, 150,00 Usd a testa, non lo regalano, chiusi tutti i pertugi fra scarponi e pantaloni in assetto anti formica e si parte
Kibale è un altra bella foresta, intricata, con piccole colline e tratti paludosi, ci accompagna una tostissima ranger armata di tutto punto con la quale, sono sincero, non vorrei avere discussioni.
Dopo la fortuna con i gorilla è ovvio che il Fato chieda pegno.
Iniziamo a girare per la foresta seguendo le indicazioni via radio dei trackers, ogni tanto ci fermiamo in attesa di aggiornamenti. Contatto positivo, la guida ci indica la via: un muro di felci, rovi, alberi, vegetazione varia ed eventuale. Sfondiamo e la seguiamo aprendoci la strada come dei Gurka. Falso allarme, si torna indietro. Sono di là, forse. Piana ed acquitrini, salita, discesa, foresta fitta, ne troviamo qualcuno sopra gli alberi, siamo in uno spazio strettissimo, abbastanza pigiati, loro saltano di ramo in ramo ed in breve, nonostante i nostri sforzi nel tentativo di seguirli li perdiamo, risalita, ridiscesa. Pausa. Due ore buone andate, piuttosto insoddisfacenti.
Uno del gruppo viene attaccato dalle formiche e si esibisce in uno strip piuttosto concitato e comico. La nostra ranger non è una che molla e si riparte. E se per raggiungere l’obiettivo bisogna tagliare un po’ i tempi si prendono scorciatoie; e se per fare ciò si devono attraversare tratti di foresta praticamente vergine e terreni paludosi calpestati dagli elefanti, i quali hanno reso le aree fangose delle vere e proprie sabbie mobili, si passa lo stesso; e se qualche turista ci finisce dentro, me ed Anna inclusi, peggio per loro; e se io avessi pagato ben 150 $ per tutto ciò mi sentirei anche un po’ fesso.
A completare il tutto mancherebbe solo il colonnello Kurz.
Arriviamo sempre con quell’attimo di ritardo, si sono spostati ci dicono, e via ancora.
Alla terza ora abbondante il gruppo è stremato e dà segni di scoramento, persino Anna, la quale non è una che si arrende facilmente, manifesta l’intenzione di rientrare. Siamo sudati, bagnati, infangati, graffiati, pizzicati, muoversi su questo terreno è abbastanza faticoso ed ai chimps ormai nessuno crede più. Non esiste, un ultimo sforzo o vi sparo, stavolta li prendiamo. Signora sì! Signora ranger signora!
Risalita, ridiscesa ecc. ecc., mi attardo un poco e resto indietro rispetto al gruppo quando, incuriosito da un rumore alle mie spalle mi volto. Il bastardo è lì che mi guarda con un’aria a metà fra il compassionevole ed il sussiegoso e sembra dirmi: Cercavi me per caso? Ma tu sei consapevole che solo oggi sono stati spesi 1.200,00 dollari, che saranno più o meno la paga annuale di un tracker, che si sono mosse 14/15 persone in totale a fare una fatica boia solo per vedere la tua bella faccia di tolla?
Assolutamente si! Sono una scimmia io, mica un umano.
Tento di chiamare il gruppo urlando sottovoce così finalmente capisco il significato del vocabolo “ossimoro” e dicono che viaggiando non si impara, imbraccio la fotocamera ma lui se la svigna. Raggiunto il gruppo, con l’ausilio dei trackers troviamo finalmente la tribù, non ci concedono molto tempo ma riusciamo a gustarceli per bene.
Sfortuna vuole che nello spostarmi con la macchina a tracolla, pronta per ogni evenienza, la levetta dell’esposimetro si fosse spostata accidentalmente a metà strada fra due tipi di misurazione con il risultato che tutte le foto saranno completamente nere con l’eccezione di due.
Obiettivo raggiunto e veloce rientro.
Dalle testimonianze raccolte generalmente trovare gli scimpanzé è meno problematico, la pioggia del giorno precedente a noi ha complicato un po’ le cose. L’ambiente ed il trek nella foresta da soli giustificherebbero lo sforzo.
Ne vengono effettuati due al giorno, mattina e pomeriggio, il più consigliato è il pomeridiano, non è una cattiva idea prenotarlo, i posti sono limitati e spesso sono appannaggio di gruppi organizzati. Noi comunque abbiamo trovato da un giorno per il successivo. E’ uno dei “da non perdere” dell’Uganda.
E’ sera, siamo in stato pietoso, ci concediamo una birra ristoratrice a Bigodi fra gli uccelli tessitori, per poi rientrare un po’ verso Fort Portal. Ci fermiamo al Chimpanze Forest , 10 km a nord vicino ai Park Headquarters, http://chimpanzeeforestguesthouse.com/ + 256772486415 in modo da prendere agevolmente la strada per i Crater Lake il giorno seguente. La guest house è molto carina, in bella posizione con vista sulle colline coperte da piantagioni di thé, noi ovviamente campeggiamo in giardino 8,00 Usd, sono gentilissimi, ci accendono la doccia a legna, ne approfittiamo per lavare scarpe e vestiti infangati. Siamo troppo sfatti ed approfittiamo dell’un po’ caro ma ottimo ed abbondante ristorante, cena 40Usd in due, dolce incluso. Molto consigliato.
Alla mattina m’intrufolo nella cucina del resort con la mia moka mendicando un fornello e faccio amicizia con i cuochi intenti a friggere uova e bacon, tutti molto divertiti dalla visita, penso che non gli sia mai capitato. This is italian coffee machine! Gli dico mostrandogli pimpante un oggetto caratteristico della mia etnia. Uno mi guarda come lo scimpanzè del giorno prima e tira fuori una moka da 12. Thìs ìs a còffee màchine! (tutto accentato). Sveglio Anna con circa un litro di caffé caldo e lei mi giura amore eterno.

Partiamo non presto verso nord alla ricerca della strada diretta per il lake Nkuruba non volendo ripassare da Fort P. Pochi km a nord fra due abitazioni locali vediamo uno sterrato. Chiediamo indicazioni, ovviamente è giusto. Arriviamo in breve fino al LAGO NYABULIWA dove si trova il resort omonimo, carino ma nulla di particolare. Qui ci forniscono ulteriori indicazioni. Non so dove finiamo di preciso ma ad un certo punto, dopo che lo sterrato correndo fra piantagioni varie, si era trasformato in vera e propria pista, dissestata, sconnessa e strettissima ci troviamo in cima ad una collina, ci siamo persi. Qui proviamo a chiedere informazioni ad una ragazza ma scappa. Forse la mamma per farla stare buona la minacciava di chiamare l’uomo bianco, per fortuna incontriamo un passante solitario il quale ci indica, indovina un po’: sempre dritto. Riusciamo ad arrivare al NKURUBA in tempo doppio rispetto al “giro lungo”e mi riprometto di non prendere mai più scorciatoie.
L’accesso al lago passa attraverso la Lake Nkuruba Nature Reserve Community (0773266067) http://www.traveluganda.co.ug/lake-nkuruba/, accomodation e camping gestiti dalla comunità locale ai quali si paga un piccolo obolo, 5000,00 Ugx per scendere sulla riva. E’ in meravigliosa posizione, con vista panoramica, circondato da alti alberi dove scimmie e uccelli di tutti i tipi volteggiano fra i rami. E’ un peccato non essersi fermati qui. In 5 minuti si scende nel cratere fino alle sponde del laghetto, uno specchio d’acqua color smeraldo incastonato fra la vegetazione. Molto bello.
La zona è colonizzata da una tribù di simpatici cercopitechi, ormai stanziali, con i quali ci si intrattiene volentieri a giocare, tramortisco Anna prima che dia fondo a tutte le scorte di pane.
Per raggiungere il lago e la community la strada più comoda e veloce è la biforcazione posta a 10 km venendo da FP, non ricordo se nel villaggio di Haibale o Kibarama, in ogni caso è il bivio più vistoso e l’unico che possa definirsi tale. A dx per Nkuruba, a sx per Kibale NP.
Partiamo ulteriormente tardi per la tappa di spostamento verso le cascate del Nilo ed arriviamo ad Hoima, 200 km a nord, a pomeriggio inoltrato. E’ una città vivace ma non particolarmente attrattiva. Decidiamo di proseguire lungo la strada del lago Albert più scenica rispetto alla principale via Masindi consapevoli di non trovare molto per un eventuale pernottamento almeno fino a Butiaba, villaggio reso famoso da Hemingway, il quale fu ricoverato lì dopo essere stato raccolto da un battello del Nilo all’indomani del suo primo famoso schianto aereo.
Il bivio da Hoima per il lago è il secondo, strada più lunga ma migliore, 60 km circa.
La strada sterrata non è male e raggiungiamo il ciglio della Rift Valley Albertina quasi al tramonto, da qui, con una serie di strettissimi tornanti si scende parecchio e proporzionalmente alla discesa salgono la temperatura e l’umidità.
BUTIABA non ha nulla che testimoni un ricco passato coloniale, è un villaggio povero, polveroso, sonnolento dove l’ultimo bianco visto doveva proprio essere stato il caro Ernest.
Incredibile, in fondo al paese c’è pure un campeggio con tanto di spiaggia sabbiosa e palme. Sarebbe più corretto dire: si può piantare la tenda sulla sabbia fra i palmizi. C’è un caldo umido mostruoso ed una abnorme quantità d’insetti. Sono presenti persino degli ospiti, ugandesi in villeggiatura allegri e chiassosi. Con la gentilissima signora contrattiamo un bungalow, half price 50.000,00 Ugx inclusa colazione. Nell’insieme è un ottimo luogo per fermarsi dall’atmosfera particolare.
Torniamo in centro, si fa per dire, dove vendono della bellissima legna e vogliamo approfittarne per fare scorta. Il solo fermarsi e scendere è un avvenimento, l’accostarsi a visionare la quantità di mucchietti di ciocchi di varie misure, un vero e proprio evento. Al solo vederci le sciure s’ammazzano dal ridere. Inizio a contrattare in bergamasco stretto e ci intendiamo alla perfezione, i prezzi sono irrisori, ma mi diverto troppo, mi batto la testa, piango, vado via, torno, faccio un casino che la metà basta. Dopo un quarto d’ora c’è mezzo paese a godersi lo spettacolo. Ce ne andiamo con la macchina carica di legna.
Acquistiamo anche dell’acqua presso un negozietto. Molto gentilmente il bottegaio sceglie accuratamente il cartone di bottiglie di plastica, “questo è il migliore”. That’s Afrika!
Cucino fronte lago sterminando un paio di milioni di farfalline ed altrettante finiscono ad arricchire di proteine la pietanza. Mai viste in tale quantità.
Stranamente Anna se ne sta nei dintorni della riva con aria circospetta, in piena ora della zanzara la cosa è sospetta. Vado a controllare e ti trovo i pescatori appena rientrati dalla battuta intenti a fare il bagno nudi sul lungolago, a quel punto la mia autostima subisce un duro colpo.
Qualcosa di interessante? (inquisitorio)
Vedi tu... (beata angelica)
Sai che roba! (un po’ stizzito)
Eeeeehhhh (sospirato)
Cosa ci troverai...? (Arrampico sui vetri)
Ehhhhh (come sopra)
Cosa avrà lui che io non ho (autogol)
(Sguardo cocktail: 30% commiserazione, 30% compatimento, 30% compassione, restante 10% indulgenza)
Che carini, se mi avvicino si vergognano e si immergono.
Soprassiedo sulla serie di triviali luoghi comuni di bassissimo livello seguenti.
Ceniamo tentando di difenderci come possibile dalle farfalline mentre il lago si illumina di una miriade di lampare, con un effetto molto caratteristico e romantico.
Alla mattina è ancora, se possibile, più umido e c’è una luce che definirei post atomica. Lego Anna ad una sedia, sul lungolago c’è il turno di notte a farsi toeletta.
Facciamo un giro in cerca dei battelli coloniali abbandonati ma non li troviamo o forse non esistono più. Sembra, non verificato, che un anziano di nome Abdul abbia ancora dei cimeli appartenuti ad Hemingway.
Proseguiamo nel rift fino al villaggio di Bulisa dove ci fermiamo ad una pompa di benzina. Mentre con il benzinaio tento invano di far passare il becco dell’erogatore, (saldato!), nel bocchettone Anna si allontana seguendo una melodia lontana, nemmeno ci fosse il pifferaio di Hamelin. Rinunciato al pieno la seguo. Da una costruzione di legno piuttosto grezza coperta da un tetto di frasche proviene un canto. E’una chiesa cristiana, di che tipo lo ignoro tutt’ora.
Ovvio, deve aver seguito il richiamo del pentimento e vuole espiare i pensieri indecenti della sera prima. Entriamo. Ci sono delle panche, un artigianale leggio per i libri sacri, delle stuoie dove siedono dei bambini, una pianola, dei bonghi, un crocefisso. Un gruppo di donne al centro canta dei gospel. Non c’è molta gente, nessuno dice o fa nulla ma l’impatto della nostra entrata galleggia per un po’ nell’aria. I canti, molto coinvolgenti, proseguono per diversi minuti, nel frattempo la chiesa piano piano si riempie. Il pastore, un signore alto molto distinto, accenna un benvenuto poi interrompe la musica e parla ai presenti in un ottimo e comprensibile inglese. Ci aspettiamo una Messa ma sarà un qualcosa di diverso. Inizia un resoconto sullo stato economico della comunità, la costruzione di una non meglio identificata “warehouse”, le difficoltà della situazione economica per finire ad un vero e proprio inventario dei beni disponibili: qualche quintale di cereali, tot kg di pesce essiccato, un centinaio di lt di petrol, una decina di vacche, un po’ più capre, sacchi di sale ecc. Istruttivo.
Nel frattempo la chiesa è piena, famiglie, signore vestite a festa, giovani. Il pastore viene raggiunto da un collega albino. Uno parla penso in luganda non mi sembrava swahili e l’altro traduce in inglese. Non so se lo facciano per noi o sia una consuetudine.
Qualche inno ed il primo si avvicina ringraziandoci per esserci uniti, informandosi sulla nostra provenienza ecc, se volevamo dire due parole in seguito. Ci imbarazza un po’ ma rispondiamo di sì. Seduti e composti si passa all’outing. A turno le persone si alzano e rivolgendosi alla platea rendono pubbliche speranze e desideri, fanno ammenda delle loro mancanze e chiedono perdono a chi hanno causato danno, il tutto accompagnato da lodi e dalla ferma volontà d’essere più devoti al Signore.
La platea accompagna con degli Alleluja, urla, fischi, God bless you, a seconda del gradimento e dell’importanza dell’enunciato. Nel frattempo cerco di ricordare qualcosa di catechismo e mi pento di non sintonizzarmi mai sulle frequenze di Radio Maria, ammetto la religione non è il mio forte; il pastore mi fissa truce, Qui vi voglio! Alzati ed enuncia! Ne esco alla grande con una metafora, in inglese e ciò già testimonia un intervento Divino a mio favore, parlando della differenza fra il tetto della chiesa di Bulisa e quello della mia in Italia, entrambi sotto un unico Grande Tetto che accomuna tutti, fratelli e sorelle, al di là della provenienza e delle differenze. This is my home, thank you, God bless you! Ovazione di alleluja!
Anna rimanda un pensiero al babbo a casa malato, telefonata il giorno prima, colpo di calore nella torrida estate italiana, in un luogo remoto e lontano, il dispiacere di non essere lì in quel momento ed invoca una benedizione ed una preghiera, suscitando mormorii commossi sopratutto dalle signore presenti e God bless him a volontà e preci a iosa!
Finito ciò l’assemblea esplode in una serie di gospel e spiritual trascinanti, un gruppetto di signore corre e salta in lungo ed in largo cantando, fra le quali una minuta di corporatura ma dotata di un’ugola potente, alla Aretha Franklin. Totalmente tarantolata, spara dei gorgheggi e degli acuti da fare invidia al solista dell’Harlem Gospel Choir. A fianco ho una matrona vestita in un bellissimo completo rosa shocking la quale, con tranquillità, si canta tutto armonizzato per terze, come fosse la cosa più naturale del mondo.
Le parole ricorrenti sia negli inni che nei gospel, mi restano impresse: Singin’ God, (‘cause) I’m alive. In ciò c’è l’essenza stessa dell’Africa, letterale: “Canto Dio perché sono vivo”, per esteso si potrebbe scrivere un trattato, partendo dal fatto che ogni giorno di vita in più in Africa è un giorno guadagnato, per arrivare al concetto, di difficile comprensione per un occidentale, che vivere è un regalo, a prescindere dal come, con cosa e perché.
Già le invocazioni e le preghiere sono introdotte da “I sing God”, non da prego Dio oppure ringrazio, invoco o altro; “Canto Dio”, trovo questa espressione meravigliosa, vera manifestazione di gioia, di solarità.
Dopo il momento di follia collettiva si esibiscono piccoli cori di tre, quattro persone di ogni età con canti e spiritual calorosamente applauditi da tutti fino a che l’atmosfera si fa seria, tutti seduti e muti, il pastore con aria torva intima: fuori i bambini, si parla di cose oscene!
L’albino inizia una infervorata predica, questo assicuro già rende l’atmosfera quantomeno singolare, in stile telepredicatore americano, l’altro traduce in inglese.
Il diavolo, dovete sapere, per entrare nelle persone usa dei “gate”, sta a voi tenerli ben chiusi, più li aprite più correte pericoli! Non afferro tutto, anche perché più si procede nella predica più sale il tono e l’esaltazione, ma il diavolo che entra ed esce, entra ed esce dalla porta, ripetuto una dozzina di volte con ausilio di adeguata mimica mi è stato ben chiaro. Chiudo, se no la faccio troppo lunga, con una frase che reputo fantastica: “e si possono prendere spaventose malattie, l’aids, la gonorrea, i funghi, le piattole, e tante altre che io non conosco, ma esistono!” Si finisce con moniti sulla virilità persa, non meglio identificate protuberanze che marciscono e fiamme eterne per tutti.
Non sembra ma il tempo è volato, sono passate almeno 3 ore, si è fatto tardi. Rientriamo nella nostra cultura segnata dalle lancette e dalle “cose da fare”.
Ce ne andiamo dopo abbracci e strette di mano, scambio di mail, senza sapere, ancora oggi, se fosse domenica.

Arriviamo al MURCHINSON FALLS N.P. detto anche Kabarega in tempo per prendere il battello pomeridiano per le famosissime cascate. 35,00 Usd 24 ore nel parco e 25,00 Usd il tour.
Qui non mancano i coccodrilli e risalendo il fiume se ne vedono diversi.
Lottando contro la corrente il natante raggiunge il punto panoramico, una specie di isolotto al centro del fiume e si ancora su di un sassone che spunta in mezzo ai flutti.
L’etichetta prevede la discesa sul masso per fotografarsi con sfondo cascate. Sarà che già non mi ispirasse molto, sarà che un gruppo di giapponesi scatena un parapiglia per conquistare l’ambito surrogato di Iwo Jima, io ed Anna evitiamo e proviamo anche un certo imbarazzo, fortunatamente non ci sono italiani a litigare, questo per dire che i cafoni ci sono ovunque. Preferiamo ammirare le evoluzioni dei Colobi che, a torto, non si fila nessuno.
Una ottima opportunità da compiersi solo previo accordo con i rangers è farsi scaricare a riva e risalire con un trek di un paio d’ore scarse a Top of the falls. Ovviamente è necessario un mezzo per il ritorno a Paraa.
Tutto sommato il giro è piacevole ma non indimenticabile, le cascate sono più mitiche che spettacolari viste da questa prospettiva.
Al ritorno sulla terraferma scopriamo con disappunto di avere una gomma a terra, sgonfia come la mia voglia di sostituirla. Doveva capitare, capita sempre prima o poi, siamo in Africa. Ricerca attrezzi nei meandri del veicolo... incredibboli ci sono tutti, compreso un crick rosso a bottiglia in Italia buono al massimo come fermaporta. Dove metti un tale articaglio per alzare un Land da 26 quintali abbondanti? Stendiamo un velo sul primo tentativo pietoso, dovuto. Anna, lei di queste cose meccaniche si preoccupa sempre un po’, mi chiede: “Come facciamo?” Semplice, le rispondo, gira attorno alla macchina con espressione attonita e preoccupata. Infatti, dopo pochi minuti, un paio di omini sono lì a studiare dove posizionare il crick, ai quali se ne aggiungeranno altri tre o quattro sopra e sotto l’auto. Trovato un sito per il martinetto il problema è montare la ruota di scorta. Con la macchina parcheggiata su un terreno sconnesso non è possibile alzarla abbastanza da infilare la gomma gonfia. Seguono tentativi d’ispessoramento, con legni, pietre, materiale di fortuna, forza di braccia, niente. Quando le otto/dieci persone ormai coinvolte iniziavano a dare segni di scoramento, un omino sulla cinquantina con aria serafica esclama: “Needs another technology!” Non si può definire o commentare il Genio, nei rari casi in cui capita di trovarsi al Suo cospetto, si può solo renderGli omaggio.
Tranquillo, usando un improvvisato legno inizia a scavare il duro terreno quel tanto che basta per completare il lavoro. Questo fatto ha illuminato la mia vita. Ora, quando inizio a colpire violentemente un qualcosa che non vuole piegarsi al mio volere, vuoi col martello, vuoi con il piccone, quando do cazzotti al pc impallato, ecc. ecc. So che sto applicando tecnologie diversificate, è un approccio filosofico differente che porta ad una maggiore elevazione dell’Essere.
Offro soft drinks a tutti e ce ne andiamo dal riparatore, un tipo che non vi dico, il quale come tutti i meccanici prima si dichiara oberato di lavoro poi ci conferma il ritiro per la mattina presto dopo, ce la lancerà dal pick up la sera stessa nel campeggio assieme al chiodo da 10 cm trovato infilzato. Onesto: 30.000,00 Ugx li mortacci sua! Vincolati dal gommista ci fermiamo al Red Chili Rest Camp http://www.redchillihideaway.com/paraa.htm unica soluzione al di qua del fiume. Il camp è in uno spiazzo oltre l’unica strada a 4/500 mt dal bar e ristorante e dalle accomodation. Ci sono buoni servizi ma per l’acqua calda bisogna raggiungere le sistemazioni dall’altra parte della strada, con il buio non è il massimo, 5 Usd. Posto vivace e popolare, bungalows e bandas per dormire, in alternativa c’è solo il Paraa Lodge al di là del fiume.
Troviamo il gazebo già occupato da una famiglia di facoceri poco incline a dividerlo così ci piazziamo a distanza sull’erba, un bel fuoco e tempo di cucinare una pasta come si deve. Ammazzacaffè in compagnia della musica degli Abba, sì proprio Mamma mia a manetta, proveniente dal furgoncino di un autista. Riaccompagniamo anche una turista anglosassone stinca come un paletto, la quale cercava i suoi compagni, dal suo gruppo 100 mt più in là.

Alla mattina siamo i primi al ferry. Il parco è praticamente diviso in due dal Nilo, l’unica opzione d’attraversamento è il traghetto, il quale fa solo 5/6 corse al giorno, risulta perciò vincolante per le visite. Non mi sono segnato il costo ma se non erro è attorno ai 20.000,00 Ugx. Qui il timetable, da verificare sul posto sempre: http://www.ugandawildlife.org/explore-our-parks/parks-by-name-a-z/murchison-falls-national-park/plan-your-trip/getting-around.
Sulla sponda opposta c’è un ufficio dei ranger dove si paga per il game drive, soliti 20 Usd. Non c’è bisogno di prenotazione, alla mattina sono tutti pronti ad aspettare i turisti. Ne carichiamo una ma purtroppo stavolta incontriamo male, la nostra ranger è più interessata a messaggiare con il cellulare che a scovare leoni. Il giro classico nel nord ovest del parco fino al Nilo Alberto si svolge tutto su strade principali ed avremmo potuto farlo tranquillamente senza spendere 20 dollari. La zona è comunque molto bella, attraversa tratti di savana, fino ad arrivare in riva al fiume ed alle swamps, dove il programma dei rangers prevede una sosta, infatti siamo tutti lì. E’ una zona consigliatissima ai birdwatchers, ricca di pennuti interessanti. Ovviamente nel fiume i soliti ippo.
Nella ricca avifauna della zona abbiamo la fortuna d’incrociare due esemplari di una delle specie più belle che abbiamo avuto occasione di vedere: le Gru Coronate. Una eleganza veramente straordinaria.
Al rientro troviamo le giraffe di Rotschild, presenti solo in questa zona dell’Uganda, poche foto veloci, il maledetto traghetto non aspetta.
Scaricata la nostra guida con un sentito a mai più ritraghettiamo e raggiungiamo il campeggio a Top of the Falls, situato a circa un km dall’omonimo sito ed a circa 10 di sterrato parallelo al Nilo da Paraa.
Preparato il campo, per una volta con calma, andiamo al belvedere sulle cascate, decisamente bello ed umido.
Cerchiamo qualcuno per il trek ma non c’è anima viva, ce ne andiamo da soli. Il sentiero passa prima nella vegetazione, in seguito scende con dei tratti anche ripidi ma senza difficoltà, è sempre ben visibile e facile da seguire. Stiamo per affrontare l’ultima rampa in discesa verso il fiume e ti incontriamo un gruppo accompagnato dai rangers. Che ci fate qui? Secondo te? Non avete la guida? Evidentemente no. Ma avete pagato il ticket? Perché si paga? (andata la quaglia) Dove state? Al camp! (sgamati pure lì). Mi tocca cacciargli i 20,00 Usd per due, sono cose che patisco, e convincerlo che siamo in grado di tornare da soli, non c’è voluto molto a dire il vero.
La vista dal view point del trek, è migliore rispetto a quella dal fiume, ci fermiamo a goderci la solitudine assoluta sdraiati sui sassi, volendo si potrebbe tornare a casa seguendo la corrente.
La risalita ci costa una sudata mitica, già è umido di sé, con il vapore delle cascate vi lascio immaginare. Assolutamente consigliato.
Raggiunto il campo vediamo anche stavolta solo la nostra tenda, altra notte in solitaria. Il campeggio è uno spiazzo senza erba circondato come al solito da alberi ed arbusti, servizi basici, niente acqua, remoto e decisamente “wild”. Scendendo verso il fiume il pendio forma due gradoni, uno più alto ed uno quasi a livello acqua, piani e con della bella erbetta. Molto belli per campeggiare se si ha voglia di portare il materiale su e giù, a renderli meno attraenti c’è la presenza di qualche mosca tsé tsé. Scendiamo fino al Nilo a fare il bagno. Vuoi mettere la soddisfazione di bagnarsi nudi nel fiume più famoso del mondo totalmente soli? Cose per cui vale la pena vivere pur stando attaccati alla riva, data la corrente il rischio di ritrovarsi ad Assuan in men che non si dica è reale. Qui non ci sono coccodrilli, almeno credo, ma l’amico ippo ci guarda nel bel mezzo della corrente.
Bush cousine a base di ragù di carne di pollo in scatola, avrei gradito, dato il momento, 12 ostriche ma non si può avere tutto dalla vita.

Appuntamento a presto per la terza e ultima parte di questo fantastico viaggio. Sempre sulle pagine virtuali di cisonostato.it naturalmente!

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