Australia 1: Northern Territory - Top End

La prima parte di una dettagliatissima guida sul “continente rosso”!

 

L'Australia: ce l'hanno di volta in volta definita l'altro mondo, il Continente Nuovissimo, la terra dei canguri, dei boomerang e degli aborigeni, l'ultima frontiera, il posto dove la gente sta a testa in giù, e chi più ne ha più ne metta. Per quel che mi riguarda, uno dei primi desideri dell'adolescenza: posso ipotizzare che la prima immagine di Ayers Rock si sia presentata ai miei occhi intorno ai venticinque anni. Vedere il monolito e pensare "Prima o poi io lì ci devo andare" fu una sola cosa: il viaggio cominciò in quel momento.
Nel Dicembre del 1997, a circa un quarto di secolo di distanza, l'idea passò alla fase di progetto: tre amici (io, Lino e Walter) sostituirono la frase "Uno dei posti dove più mi piacerebbe andare è l'Australia" con "L'anno prossimo andiamo in Australia".
Scendendo agli aspetti pratici, iniziarono i contatti: lettere e fax a consolati, agenzie e referenti turistici sia europei che australiani ci riversarono in casa grandi quantità di materiale illustrativo, che, unito alla consultazione delle guide di viaggio, ci consentì di mettere a punto un programma che possiamo dire di avere poi concretizzato almeno al 90%.
Il progetto è stato formulato in modo abbastanza preciso, non suddiviso giorno per giorno (cosa irrealizzabile sulla carta, in mancanza di una conoscenza "sul campo" delle condizioni ambientali, dello stato delle vie di comunicazione, degli orari e delle abitudini in un Paese così lontano non solo geograficamente) ma strutturato a settori: ad esempio cinque-sei giorni nei parchi del nord, quattro-cinque per il trasferimento lungo la Stuart Highway, cinque-sei per gli itinerari del "Centro Rosso".
Il periodo dal 29 Settembre al 13 Ottobre è stato dedicato al Northern Territory, la parte del continente che fin dall'inizio abbiamo identificato come l'Australia con la A maiuscola, attraverso il quale ci siamo spostati con un'auto affittata a Darwin e restituita ad Alice Springs: insostituibili per le indicazioni dei pernottamenti, dei luoghi di interesse e dei servizi correlati al turismo sono stati i due dettagliatissimi fascicoli "Top End" e "Central Australia" inviati a Walter dall'Autorità Turistica del N.T.
Ci siamo poi trasferiti in treno da Alice Springs ad Adelaide, da cui abbiamo intrapreso il viaggio per Melbourne e Sydney attraverso gli stati meridionali del South Australia, Victoria e New South Wales, quella cioè che avremmo definito, senza nulla togliere alle bellezze di queste regioni, "l'altra Australia". Anche in questa parte del viaggio ci siamo mossi in autonomia, con un'auto noleggiata ad Adelaide e restituita a Sydney.
Partenza dall'Italia con in mano due sole sicurezze: il biglietto aereo di andata Milano-Darwin e ritorno Sydney-Genova e il fax di prenotazione per le prime quattro notti nel motel di Darwin. Durante il viaggio abbiamo sempre fissato i vari pernottamenti telefonicamente non appena individuata la località più idonea nella quale fare tappa, di solito ogni giorno per il successivo: questo almeno per il Northern Territory, dove, ad eccezione delle città, le sistemazioni sono poche e spesso obbligate; nella seconda parte, che si è svolta nelle zone a più alta densità di popolazione, abbiamo spesso scelto l'hotel/motel/ lodge la sera stessa senza mai incontrare difficoltà.
Voglio concludere questa nota introduttiva consigliando di non rinunciare al piacere del viaggio in autonomia, una scelta talvolta scomoda che non tutti si sentono di fare ma che riserva una varietà di situazioni che rendono l'esperienza unica e irripetibile. Non sono necessarie doti particolari, anche se in parecchie occasioni abbiamo dovuto attingere a un certo spirito di adattamento e non è passato giorno in cui non abbiamo dovuto impegnarci per trovare un alloggio, contattare agenzie per noleggiare auto o riservare posti per gli spostamenti in treno e in aereo, cercare un ufficio turistico, prenotare le escursioni in battello, ma anche semplicemente consultare guide e carte geografiche, discutere i tempi e i modi di un itinerario, chiedere un'informazione, reintegrare l'acqua e le provviste da portare in auto, tenere d'occhio il livello del carburante, fare il bucato, scegliere dove cenare. Abbiamo però vinto un premio sostanzioso: poter dire "Quel viaggio è stato nostro e solo nostro".

Itinerario

Domenica 27 / Lunedì 28 Settembre 1998
L'INTERMINABILE VOLO DALL'ITALIA ALL'AUSTRALIA
Partiamo da Milano Linate alle 19.30 con volo Lufthansa per raggiungere in circa un'ora e mezzo Francoforte. Espletiamo le pratiche del check-in presso il banco Qantas e ci imbarchiamo alle 22.40 sul volo per Singapore, che prevede anche (lo scopriamo solo ora) uno scalo tecnico di circa un'ora a Bangkok.
In un caos di fusi orari, di proiezioni di films proiettati quando si ha fame e di pasti serviti quando si ha sonno, atterriamo a Singapore alle 18.45 locali (suppongo le 13.45 italiane) del 28, in condizioni di forma già vicine alla bollitura.
Mentre il velivolo prosegue su Sydney, noi dovremo attendere la coincidenza per Darwin / Cairns in partenza alle 22.35. Ho frattanto imparato che cosa significa la sigla Qantas: poiché la compagnia nacque come servizio per l'Australia Settentrionale, essa fu battezzata "Queensland And Northern Territory Aerial Services".
Viene spontaneo il confronto tra i due aeroporti dove abbiamo fatto scalo: mentre quello di Francoforte rivela la tipica freddezza e funzionalità tedesca (non manca un servizio di monorotaia tra i diversi settori dell'aerostazione) con poche concessioni all'estetica, quello di Singapore è l'esatto opposto: moquette di pregio dappertutto, qui e là fontane e piccoli giardini, televisori con i programmi più svariati, una miriade di negozi, negozietti e mercatini che rendono più piacevoli le quattro ore di attesa. Una pulizia e un senso dell'ordine ai limiti dell'asetticità, che del resto si dice siano le costanti anche di tutta la città, ci procurano qualcosa tra l'imbarazzo e il disagio.
Ci imbarchiamo infine sul volo per l'Australia per le ultime tre ore che ci consentono di toccare il suolo di Darwin alle 4.30 del 29. In Italia sono le 21 del 28.

Martedì 29 Settembre 1998
DARWIN: LA CITTÀ E PRIME LEZIONI DI "AUSTRALIANITÀ"
L'uscita dal "serpentone" che ci porta fuori dall'aereo ha del traumatico, nonostante che l'abbondante letteratura di viaggio consultata ci avesse preparato alle condizioni di caldo e di umidità che avremmo incontrato, in particolare nella settimana che dedicheremo al "Top End". Ma la vampata che ci accoglie è tale da farmi pensare, al primo impatto, di essere in prossimità dello scarico di aria calda di qualche macchinario in funzione.
Le formalità doganali sono minime e brevissime, anche per la nostra scelta di viaggiare solo con il bagaglio a mano costituito dallo zaino-valigia: l'unica preoccupazione degli agenti, evidenziata anche in avvisi presenti in aeroporto, sembra essere quella di accertare l'eventuale possesso di frutta: è in corso infatti nel Northern Territory una campagna di prevenzione contro il rischio dell'introduzione nello stato della mosca della frutta, un parassita dagli effetti disastrosi per i delicati equilibri dei parchi nazionali. Sul questionario per l'immigrazione temporanea che ci viene fatto compilare, le voci "cibi, animali, parti di animali…" hanno maggiore evidenza di quelle riferite a possesso di alcoolici, tabacchi, armi e droghe.
Tramite taxi, con una spesa di 16 dollari (il dollaro australiano corrisponde attualmente a mille lire ma può oscillare fino a 1200), copriamo i dodici chilometri che ci separano dal centro e alle 5.15 possiamo sprofondarci nei letti della stanza n. 24 dell'Air Raid City Lodge.
Verso le dieci, soddisfatte in maniera frammentaria le prime esigenze di sonno, ci alziamo e cominciamo, dopo una buona doccia, a guardarci intorno: la "family room" che ci è stata assegnata al prezzo di 75 A$ è un vano piuttosto grande con qualche piccola sopportabile magagna arredato con un letto matrimoniale, uno singolo e due sovrapposti (bunks); il monumentale condizionatore, elettrodomestico irrinunciabile di cui sono dotate anche le camere più a buon mercato, ci porta via un po' di tempo per la sua messa a punto, ma bene o male ne veniamo a capo. Una costante che sarà presente in quasi tutti gli hotel/motel/lodges/resort dove dormiremo è lo scalda-acqua elettrico, corredato di bustine di caffè, tè e zucchero.
Il motel, che è anche dotato di cucina, lavatrice e asciugabiancheria a disposizione degli ospiti, è inserito in una "Arcade", vale a dire in una galleria che annovera negozi ed esercizi commerciali, sulla Cavenagh Street, una delle principali vie del reticolato che costituisce il centro della città.
Poco prima di mezzogiorno, eccoci quindi alla scoperta di Darwin: il caldo umido con il quale ci dà il benvenuto è in effetti una condizione alla quale si stenta ad abituarsi ed è necessario di tanto in tanto rifugiarsi nei negozi e nei centri commerciali per rinfrescarsi un po', anche se il livello della climatizzazione è spesso eccessivo.
La città, nella quale risiedono circa 80.000 dei 170.000 abitanti del Northern Territory (esteso per 1.350.000 kmq, quattro volte e mezzo l'Italia), fu più volte distrutta dai cicloni del 1897, 1937 e soprattutto il Tracy del 1974: ogni volta fu ricostruita, anche se il materiale prevalente degli edifici rimane il legno.
Si tratta della tipica città multietnica, con prevalenza orientale data la sua vicinanza all'Asia. Essendo l'ideale punto di partenza di chi intraprende la visita del N.T., l'immediata periferia in direzione dell'aeroporto è un susseguirsi di organizzazioni di vendita e di affitto auto; le vie cittadine sono poi disseminate di agenzie di viaggio e di empori in grado di fornire tutte le attrezzature per esplorazioni ed escursioni di ogni livello di difficoltà. La concorrenza tra i fornitori di questi servizi finisce per fare il gioco del cliente, che può così spuntare le condizioni più vantaggiose.
Capiamo quasi subito che parecchi modelli di vita e di comportamento riflettono quelli tipicamente nordamericani: oltre l'aria condizionata, tutto tende verso gli estremi, ad esempio le bevande esageratamente ghiacciate o bollenti al limite dell'ustione. Abbiamo per fortuna anche la conferma, grazie alle prime visite nei supermercati e alla grande scelta di soluzioni per mangiare, che le voci "alloggio" e "alimentazione" non avranno un'incidenza troppo pesante nel budget della nostra vacanza.
La nostra prima mèta è il "Medicare" per regolarizzare la nostra posizione assistenziale. La pratica è di brevissima soluzione: la rassicurante impiegata ci garantisce che in caso di necessità sarà sufficiente esibire alla struttura sanitaria la tessera personale e il certificato di convenzione italo-australiana già ottenuto in Italia per essere equiparati ai mutuati locali.
Trovandosi l'ufficio all'interno di una "Arcade" che comprende anche negozi e stands gastronomici, consumiamo il nostro primo pasto australiano investendo una modica cifra in una sostanziosa porzione di riso alla cantonese. Ci troviamo sullo "Smith Street Mall", zona pedonale brulicante di ristorantini, caffè e negozi di souvenirs.
Nel pomeriggio abbiniamo la visita del centro cittadino alla soluzione delle principale esigenze delle prime due settimane di vacanza. Con nostro grande compiacimento ce la sbrighiamo in breve tempo. Ci rechiamo dapprima alla sede dell'Associazione Internazionale degli Ostelli, tramite cui prenotiamo il primo pernottamento dopo la partenza da Darwin in località Ubirr, nel cuore del parco di Kakadu; la simpatica impiegata dell'agenzia ci avverte che "the Hostel of Ubirr is basic" e fra tre sere capiremo quanto ciò sia vero; ci facciamo anche mettere in contatto con la "Thrifty - Territory Rent-a-car", che, essendo ubicata in periferia, ci offre un servizio di collegamento tramite navetta da e per il centro.
Dopo breve trattativa, ci viene concessa a parità di prezzo un'autovettura superiore di una categoria a quella prescelta, che poi diventa addirittura di due per la temporanea indisponibiltà del primo veicolo propostoci. Si tratta di una Holden Commodore bianca, cambio automatico, aria condizionata, cilindrata 2600, targa 500-540, vettura di produzione nazionale affiliata al gruppo General Motors che ci costerà circa 80.000 lire al giorno senza nessun addebito per il -off ad Alice Springs. La facilità con cui viene affittata un'auto a condizioni così favorevoli penso dipenda da tre motivi: innanzitutto è sicuramente più immediata la rimessa in circolo dopo la restituzione di una macchina grande rispetto a una piccola, poi bisogna tenere conto che ci troviamo in bassa stagione e infine l'auto ha già vissuto parecchio, visto che il contachilometri segna 74.000.
Ci rechiamo poi all'agenzia "Transit Centre Travel", anche questa indicataci dall'impiegata dell'Associazione degli Ostelli, dove in breve acquistiamo i biglietti per il Ghan, il mitico treno che, con partenza da Alice Springs alle 14 di martedì 13, ci porterà in 20 ore ad Adelaide; scopriamo con piacere che possiamo usufruire di non so quale promozione, sicché spenderemo circa 136.000 a testa invece di 170.000.
Vista la rapidità con cui in questa città si risolvono le pratiche e dal momento che i tempi del nostro soggiorno nel Northern Territory sono ormai delineati, decidiamo di prenotare anche la crociera nelle gole di Katherine che effettueremo il giorno 5. Lo facciamo presso la "Alternative Traveller", l'agenzia che a suo tempo mi inviò un'esauriente pubblicazione con una vastissima offerta di giri organizzati, che tra l'altro è situata a poche decine di metri dal nostro motel. Anche questa pratica si risolve felicemente grazie alla cortesia di miss Kessia Willis, che esibisce, il che non guasta, un sorriso e un'avvenenza che ci lasciano storditi.
Esaurite con soddisfazione un bel po' di esigenze organizzative, ci diamo alla conoscenza di Darwin: non ci vuole poi molto tempo. I negozi, come vedremo in tutta l'Australia, chiudono tra le 17,30 e le 18, ma quelli di souvenir, per lo più gestiti da orientali, prolungano spesso gli orari di apertura; possiamo così effettuare i primi acquisti, in particolare cartoline e spillette, in un emporio gestito da una cordiale signora di Timor, ma soprattutto approvvigionarci dell'oggetto più importante per chi si appresti ad attraversare le strade e i parchi del Northern Territory: parlo del cappello a tesa larga, utile come riparo dal sole cocente, ma indispensabile per la retina coprifaccia, unica efficace arma, più che le pestilenziali e appiccicose creme repellenti, per ripararsi dalle micidiali mosche che per due settimane ci saranno sgradite compagne cercando di insinuarsi nel naso, in bocca, negli occhi e nelle orecchie. È difficile, a parole, dare un'idea del tormento provocato da questi insetti, e ci consolerà solo interpretare la loro presenza come prezzo per le tante meraviglie che vedremo.
Si è fatta ormai l'ora di cena (gli australiani mangiano piuttosto presto per poter poi trascorrere il resto della serata nei pubs o nelle birrerie e mediamente non amano molto cucinare, tant'è vero che cenano fuori casa almeno due o tre volte la settimana) e, dopo un breve sondaggio per le vie del centro, individuiamo una soluzione che si rivelerà eccellente; trattasi di "Sizzler", che offre una formula che funziona così: c'è una scelta tra una decina di piatti unici consistenti in un'abbondante portata di carne (in media sui tre etti) o pesce completa di contorni a un prezzo tra i 12 e i 15 dollari, che comprende il libero accesso ("all you can eat") a un articolatissimo buffet di insalate, frutta, dolci, gelati e bevande calde. Dal momento che lo scotch-fillet, la T-bone (bistecca con l'osso) e il filetto di pesce (non identificato, richiama la sogliola) sono da applauso, torneremo in questo locale anche le due sere successive.
Approfitto per riferire alcune delle costanti che incontreremo in questo nostro soggiorno australiano: nei ristoranti, e a maggior ragione nei pubs e nelle birrerie, è di regola fare l'ordinazione scegliendo tra i piatti elencati spesso in maniera pittoresca su una grossa lavagna vicino al banco e pagare anticipatamente alla cassa: qui viene rilasciato un medaglione numerato su un supporto da porre in bella evidenza sul tavolo ad uso del cameriere che servirà le portate. Fanno eccezione i locali delle grandi città, con menù sui tavoli e pagamento a fine pranzo, dove all'ingresso si trova spesso il cartello "Wait to be seated", come dire "Aspetta lì, che al tuo tavolo ti ci portiamo noi". La carne, sempre squisita e a buon mercato, è per lo più cotta alla griglia con aggiunta o meno di salsine, e viene sempre richiesto il grado di cottura preferito, tanto che è poi servita con una bandierina recante l'indicazione "rear" (al sangue), "medium" (media) o "well done" (ben cotta) piantata nella polpa.
Usciti da "Sizzler" dopo la cena, ci rendiamo conto di quanto vana fosse la speranza di un abbassamento della temperatura verso sera, ed è con sollievo che ci imbattiamo in un supermercato che tiene aperto fino a mezzanotte, anch'esso nei pressi dell'Air Raid City Lodge: potremo così trascorrere qualche tempo al fresco con il pretesto di curiosare tra i vari settori.
L'emporio fa parte della catena "Woolsworth", presente in tutta l'Australia, e diventerà un riferimento familiare in diverse città che toccheremo. Un'originale iniziativa lo rende unico: data l'abitudine dei clienti di uscire dal negozio con i carrelli della spesa e abbandonarli in giro per la città, viene offerto ai volonterosi che li riportano un biglietto di una lotteria per ciascun carrello recuperato; periodicamente avviene un sorteggio con assegnazione di premi multimilionari e l'esposizione delle foto dei vincitori nei vari punti vendita. Al di là di questa bizzarria, la passeggiata lungo i corridoi di Woolsworth si rivela alquanto istruttiva: colpisce innanzitutto l'enormità della struttura e gli accostamenti spesso caotici tra i vari articoli esposti (si tratta del "simpatico disordine australiano" spesso citato nelle guide); i prezzi, con poche eccezioni, sono sostanzialmente più bassi di quelli del mercato italiano, con punte clamorose per quanto riguarda la carne; tra le curiosità, i gelati italiani "La sorbetteria di Ranieri", la presenza del "Magnum" che qui è commercializzato sotto il marchio "Streets", il cui logo a strisce bianche e rosse è però identico a quello della "Algida", la pasta "Nanda" prodotta dalla Maggi e l'olio Dante, la cui etichetta è uguale a quella italiana con la differenza dell'indicazione "Product of Spain". Un intero settore è infine dedicato, nonostante oggi sia solo il 29 Settembre, alle decorazioni natalizie. In uno dei posti più caldi del mondo! Questi australiani!
A questo punto il sonno reclama la sua parte e, guadagnato il motel, prendiamo sonno senza pillole o ninnananne.

Mercoledì 30 Settembre 1998
DA DARWIN AL TERRITORY WILDLIFE PARK E RITORNO: PRIMI CONTATTI CON LE BESTIE DELL'ALTRO MONDO (Km. 120)
La notte di sonno mi ha sincronizzato con il fuso orario e mi sveglio in condizioni di accettabile brillantezza; più tormentata è stata la notte di Lino, che, non riuscendo a prendere sonno, a più riprese si è appartato nel bagno per far passare il tempo leggendo senza disturbare gli amici. A Walter, di contro, basta mettersi orizzontale su un letto per sprofondare nel mondo dei sogni.
Come da accordi, alle otto viene a prelevarci l'auto della "Territory Rent-a-car" per portarci in agenzia dove con poche formalità ci viene data in consegna la macchina affittata. Ci troviamo già lungo la Stuart Highway, quindi ci sarà modo di prendere confidenza con la vettura e con la guida a sinistra su un percorso rettilineo e senza problemi di circolazione; mentre a Lino occorrerà qualche giorno ad adeguarsi, Walter ci farà quasi rabbia per la disinvoltura con cui assimilerà abitudini di guida così diverse da quelle europee.
Facciamo colazione presso una caffetteria in prossimità del bivio per Palmerston, cittadina che costituì il nucleo originario di Darwin ma poi decaduta di importanza: il locale è gestito da un immigrato greco che parlotta un po' di italiano, ma abbiamo già capito che spesso avremo problemi, vista la scarsità di strutture simili a quelli che noi definiamo bar, nel fare una colazione soddisfacente: ovvieremo più di una volta a questa esigenza acquistando biscotti, pane e marmellata e utilizzando le attrezzature per fare il tè o il caffè presenti in molti motel in cui soggiorneremo.
Lasciata la Stuart Highway dopo 45 km, un bivio a destra ci porta dopo altri 11 al Territory Wildlife Park. I dodici dollari di ingresso sono decisamente ben spesi: il parco, che ha una superficie di 400 ettari, è percorso da sei chilometri di sentieri lungo i quali un trenino gratuito facilita gli spostamenti risparmiando ai visitatori il caldo tropicale (che ci sarà sempre fino al giorno 13, non dimenticatelo mai anche se lo citerò di rado per non essere noioso; procedendo verso il centro si trasformerà gradualmente in caldo desertico). Ci si aggira tra animali in semilibertà, canguri, wallabies, emù, bufali, cammelli, trampolieri, lucertoloni assortiti; particolari habitat sono visibili in strutture chiuse, quali gli aviari, la fauna notturna, l'acquario e i rettili. I rangers sono prodighi di informazioni e consentono di toccare i varani e i serpenti e alcuni dei rapaci recuperati dopo essere stati feriti. Particolarmente interessanti anche le zone umide, con piazzole coperte per l'osservazione della fauna avicola, circondate dalla foresta pluviale, nella quale spiccano spettacolari grovigli di radici e i tipici "ghost gums", gli eucalipti fantasma che ritroveremo un po' in tutta l'Australia, così chiamati per il bianco quasi spettrale della loro corteccia.
Il centro di accoglienza del Parco è assai funzionale, con una piccola esposizione, vendita di souvenirs e self-service (oggi pranziamo con $ 10.60 a testa). Lungo i sentieri sono poi numerose le aree di sosta, sempre corredate di tavole di orientamento e pannelli descrittivi, dotazioni che saranno una costante di quasi tutti i parchi che visiteremo.
Lasciato il Territory Wildlife Park, facciamo una breve sosta, prima di tornare al bivio per la Stuart Highway, a Berry Springs, un'area per picnic sulle rive di un ruscello immerso nella foresta pluviale; rimpiangiamo di non avere portato il costume da bagno per alleviare la calura con un bel tuffo, ma ci proponiamo di rifarci domani in occasione delle visite alle cascate e agli specchi d'acqua del Litchfield National Park.
Rientriamo a Darwin ancora in tempo per allargare la conoscenza della Capitale del Northern Territory: in particolare ci portiamo a passeggiare lungo i prati dell'Esplanade in direzione del promontorio che delimita la zona portuale, apprezzando la tranquillità del quartiere e i piacevoli edifici coloniali della Admirality House e Government House. Giunta così l'ora di cena, ci diamo all'esplorazione dei moli alla ricerca di alcuni locali indicati dalla nostra "Rough Guide": senonché, visto che uno non si trova, l'altro è deludente, un terzo è desolatamente vuoto e poco attraente, preferiamo andare sul sicuro e ripetere l'esperienza di "Sizzler" che, anche variando i piatti rispetto a ieri sera, non ci tradisce.
Il Litchfield National Park, che visiteremo domani, non offre al suo interno possibilità di ristoro, per cui concludiamo la giornata con una puntata da "Woolsworth" per rifornirci di viveri e bevande: acquistiamo anche un contenitore termico, che sarà indispensabile durante la traversata verso Alice Springs per mantenere fresche le bevande e salvare le pellicole dagli oltre cinquanta gradi del portabagagli. Nell'ormai familiare emporio apprezziamo ancora il sistema di consegna della merce: è il cassiere stesso, mano a mano che registra in cassa i vari articoli, ad assestarli in sacchetti appesi già aperti su due pioli, che il cliente può ritirare abilmente confezionati all'atto del pagamento. Alla faccia delle 150/200 lire che vengono addebitate nei nostri supermercati per ogni sacchetto!
Questo piccolo particolare mi fa da pretesto per accennare alla filosofia australiana del "don't worry!": ritmi di vita mai esasperati, che si evidenziano anche nelle code sempre ordinate e senza tensioni, negli orari elastici degli appuntamenti, nel fatto che l'autista dei mezzi pubblici è anche esattore e disposto a dare informazioni senza che nessuno protesti per un paio di minuti di ritardo della partenza; e altri aspetti che andrò via via riferendo.

Giovedì 1 Ottobre 1998
DA DARWIN AL LITCHFIELD NATIONAL PARK E RITORNO: LEGGERO ANTIPASTO DI BUSH (Km. 384)
Il Parco Nazionale di Litchfield, esteso su una superficie di 650 kmq, è costituito da un altopiano di arenaria e da foresta pluviale; il tavolato è disseminato di sorgenti che danno origine a diverse cascate che formano alla loro base limpidi laghetti, luoghi ideali per la balneazione. Data la relativa vicinanza alla città, è quindi una mèta classica dei fine settimana degli abitanti di Darwin; peccato per noi che in questa stagione le cascate siano piuttosto povere di acque.
Lasciata Darwin, percorriamo dapprima lo stesso tratto percorso ieri proseguendo poi fino al bivio per Batchelor (km.84). Poco prima della deviazione ci imbattiamo in un posto di blocco dove tutte le auto vengono fatte fermare: ci viene consegnato un volantino multilingue (anche in italiano) che illustra in dettaglio i pericoli e le norme di prevenzione contro l'introduzione in Australia della mosca della frutta, dopo di che veniamo invitati a mostrare il contenuto del bagagliaio. Si dà il caso che siamo in possesso di mele, ma per fortuna ho conservato e posso esibire lo scontrino di Woolsworth, che rientra nella lista degli esercizi che vendono frutta "regolare", per cui possiamo superare in breve l'imprevisto.
Non ci sfugge un particolare curioso, cioè la presenza di due enormi ventilatori ai lati del posto di blocco: se anche all'aperto sotto una tettoia alle nove del mattino sono in funzione apparecchi di tali dimensioni, il caldo deve essere estenuante anche per chi vive qui! E l'alta temperatura porta con sé il rischio di incendi, tanto che ai bordi della strada sono frequenti i cartelli che riportano di giorno in giorno la percentuale di pericolo: sono costituiti in pratica da una mezzaluna suddivisa in cinque spicchi di colori differenti, dal giallo chiaro (livello 1) al rosso (livello 5); oggi siamo a livello 4, cioè rischio elevato.
Batchelor, a metà strada tra il bivio con la Stuart e il parco, è un gruppo di una decina di edifici sparsi su un prato, di cui il più importante è un "tuttivendolo" su uno slargo con annessa stazione di servizio. Nell'emporio tentiamo l'ardua impresa di fare colazione, ma il risultato è un dolce industriale duro come il ferro che devo abbandonare a metà accompagnato da caffè lunghissimo arroventato; il bicchiere in polistirolo ne mantiene costante la temperatura (caso mai si raffreddasse!) e salva le mani da sicura ustione: abbiamo conosciuto un'altra delle cose che ci toccheranno nelle prossime quattro settimane.
Ma eccoci finalmente entrati nel Litchfield National Park. La prima attrazione è rappresentata dai termitai: costruiti con erba digerita mescolata a terra, sono di due tipi, quelli "a cattedrale", alti fino a sei metri, e quelli cosiddetti "magnetici" che hanno una struttura veramente singolare: di forma molto affilata e simili a lapidi, sono orientati in modo da presentare prevalentemente al sole, nell'arco della giornata, lo spigolo più sottile, in modo che l'habitat interno si mantenga sempre sui 30°.
Le Buley Rockholes sono una serie di piscine naturali su differenti livelli collegate da cascatelle: una di queste pozze è sufficientemente alta da consentire a un temerario (o imbecille), nonostante il cartello di divieto, di effettuare tuffi dopo essere salito per qualche metro sui rami di un eucalipto.
Di gran lunga più spettacolare è lo scenario delle Tolmer Falls, nonostante la già citata scarsità di acque: per raggiungerne il belvedere è richiesta una passeggiata di circa mezz'ora tra grossi massi curiosamente frantumati, eucalipti e cicadee in un assordante frinire di cicale: le acque attraversano un arco naturale subito prima di precipitare in un laghetto, l'accesso al quale non è consentito in quanto habitat del raro pipistrello arancione.
Il sito più frequentato del parco è il laghetto ai piedi delle Wangi Falls, 55 km a est di Batchelor. Ci aggreghiamo immediatamente a quelli che guazzano nell'idilliaco specchio d'acqua (oggi il costume l'abbiamo portato) godendo un meritato refrigerio dopo l'escursione alle Tolmer, breve ma resa pesante dal sole di mezzogiorno. Sugli alberi circostanti una folta colonia di pipistrelli se la dorme a testa in giù.
Emersi dalle acque, veniamo spietatamente martoriati dalle solite mosche (anche se non ne parlo in ogni riga, il loro flagello continua a essere ininterrotto), che evidentemente aspettavano il momento migliore per coglierci inermi, privi cioè di indumenti, cappello e retina. Ripristinate velocemente tutte le protezioni possibili, ci concediamo una pausa consumando uno spuntino, piantonati da uno stormo di pappagalli sui rami sopra di noi e, a terra, da una coppia di kookaburras (i brutti ma simpatici "kingfishers", martin pescatori australiani) in attesa delle nostre briciole e da un varano di un metro mezzo che ci scruta sornione saettando la lingua violacea. La situazione mi ispira la fatidica frase: "Ragazzi, ma vi rendete conto´ Siamo in Australia!"
Sulla via del ritorno facciamo sosta alle Florence Falls, la deviazione per le quali ci era stranamente sfuggita sulla via dell'andata: lo stesso ruscello che forma cinque chilometri più a monte le Buley Rockholes precipita dalla foresta monsonica con due salti paralleli di una ventina di metri formando un laghetto circondato da vegetazione lussureggiante, la cui compattezza può essere apprezzata dal belvedere dall'alto: nell'insieme, uno scenario di rara bellezza.
Rientrando verso Darwin facciamo anche rifornimento di benzina, in omaggio al principio "tutte le volte che puoi, fai il pieno": nei prossimi giorni ci imbatteremo infatti in avvisi del tipo "Prossima stazione di servizio a km. X" (il valore massimo di X che vedremo è 140). I prezzi che pagheremo, tanto più alti quanto più fuori mano sono i posti, varieranno da 0,649 a 0,998 dollari al litro.
Tornati sulla Cavenagh Street (pare che tutti i punti di riferimento che ci interessano siano proprio sulla stessa strada del nostro motel), entriamo nel N.T. General Store, emporio segnalato in parecchi dépliant. È un luogo quasi fuori del tempo, un soffocante capannone all'interno del quale è stipato tutto quanto può servire per i trekking e le esplorazioni: tende, calzature, abbigliamento, sacchi a pelo, copricapi, armi, accessori auto, forniture per cucine da campo, ecc. Anche se il nostro viaggio non sarà tra i più agevoli, noi non abbiamo bisogno di attrezzature "estreme", ma una visita qui è raccomandabile anche solo a livello di curiosità; acquistiamo comunque due cartine dettagliate del Northern Territory e del parco di Kakadu, già destinate a un posto di privilegio nella mia collezione di ricordi di viaggio.

Venerdì 2 Ottobre 1998
DA DARWIN A UBIRR: SI COMINCIA A FARE SUL SERIO (Km. 303)
Lasciamo, questa volta definitivamente, la capitale del Northern Territory dirigendoci verso la prima mèta della giornata, il Crocodylus Park, ubicato a una ventina di km. a est di Darwin. Il biglietto d'ingresso (A$14) dà accesso a un esauriente museo che consente di farsi una cultura pressoché completa sul coccodrillo, a un piccolo zoo con struzzi, casuari, pappagalli, uccelli acquatici e rettili, con piatto forte (è proprio il caso di chiamarlo così) il pasto ai coccodrilli, che popolano uno specchio d'acqua recintato sovrastato da una passerella che ospita i visitatori.
Da una pedana sopraelevata, un ranger del parco (oggi è una ranger) getta in basso pezzi di carne e lo spettacolo è costituito da una quindicina di mostri di tre-quattro metri che si accapigliano in un caos di schizzi d'acqua, tonfi secchi degli animali l'uno contro l'altro e colpi di mascelle che qualcosa addentano sempre, siano il cibo o parti dei corpi dei rivali.
Lasciamo il Crocodylus Park intorno a mezzogiorno puntando verso sud-est fino al punto in cui, 43 km. oltre Darwin, dalla Stuart Highway (n. 1) si dirama la Arnhem Highway (n. 20) che ci porterà nel Kakadu National Park. Il parco, facente parte della World Heritage List dell'Unesco, si estende per circa 20.000 kmq, in pratica l'intero bacino del South Alligator River, che comprende differenti tipi di aspetti topografici: si passa dalle scarpate di arenaria che sovrastano il fiume alla foresta pluviale, dai boschi di eucalipti alle paludi, il tutto a costituire gli habitat di una eccezionale varietà di piante e animali. Aspetto non secondario del Kakadu sono anche i dipinti rupestri aborigeni, di cui parlerò più avanti.
Superato Humpty Doo, poche abitazioni intorno a un pub, arriviamo, circa 30 km dal bivio, all'attraversamento dell'Adelaide River, dove una coda di automezzi incolonnati promette niente di buono: ci sono infatti lavori di manutenzione al ponte, che sarà riaperto alle 16, il che significa rimanere in attesa per circa tre ore. I ranger da noi interpellati, sempre prodighi di informazioni, ci indicano un'alternativa, ma si tratta di una pista che non ci farebbe guadagnare tempo comportando anzi problemi per un'auto non adatta ai terreni naturali e concludono con un consiglio in perfetto stile "don't worry!": "Fate uno spuntino, bevetevi una birra e alle quattro ripartite."
Siamo infatti al molo di partenza della crociera di un'ora e mezza dei "jumping crocodiles" (viene offerto del cibo su un lungo palo dal bordo del battello alle belve, che saltano un paio di metri fuori dall'acqua per ghermire i bocconi), che è una specie di pagoda con caffetteria e shopping nel mezzo di un piazzale sterrato sul quale un sorridente coccodrillo di vetroresina a grandezza naturale accoglie all'impiedi i visitatori. Dato che la crociera è appena partita (del resto non era in programma, puzzando un po' di "americanata"), ci mangiamo così due fette di torta sfogliando un originalissimo album fotografico incorporato nel libro degli ospiti: c'è in pratica la cronaca delle inondazioni degli ultimi anni, con immagini in cui la radura sembra un lago e il locale, pur edificato come una palafitta, è sommerso dall'acqua fino a metà del bancone. Sembra incredibile, se si pensa che oggi, appena scesi dall'auto, ci siamo trovati su un suolo talmente arido da dover fare attenzione a non mettere i piedi nelle spaccature del terreno!
Con puntualità cronometrica, alle 16 il ponte viene riaperto al traffico. Toccato dopo una sessantina di chilometri Bark Hut Inn, un caravan park con annesse una trentina di camere che costituisce un po' un'anticipazione delle roadhouses lungo la Stuart Highway che incontreremo più avanti, giungiamo alla stazione d'ingresso del parco, dalla quale non proviene però segno di vita. C'è solo un inserviente che sta facendo le pulizie al centro d'informazione, dal quale apprendiamo che la biglietteria è aperta fino alle 17,30 (come i negozi!) e che potremo pagare i 15 dollari anche all'uscita dal parco: in realtà non ci riusciremo più!
Gli ottanta chilometri che ci separano da Jabiru, centro principale del parco, ci riservano prima l'attraversamento dei vari rami, ora quasi asciutti, che confluiscono nel West Alligator River, e il passaggio all'altezza del Frontier Kakadu Village, un resort-roadhouse nei pressi del South Alligator River che offre una discreta scelta di alloggi.
Superiamo Jabiru per coprire i 43 chilometri che ci porteranno a Ubirr lungo i quali uno splendido tramonto ci invoglia a più di una sosta per godere delle continue mutazioni della luce.
Ubirr, situata a breve distanza dal corso dell'East Alligator River che fa da confine tra il parco di Kakadu e lo sterminato territorio aborigeno di Arnhem Land, più che una località è uno dei più rimarchevoli siti di arte rupestre, nei pressi del quale sorgono il Border Store e, qualche centinaio di metri da questo emporio, il già accennato "basic hostel" nel quale abbiamo fissato il pernottamento per 50.000 lire totali.
Mai avevo provato in maniera così spiccata il senso del chatwiniano "che ci faccio qui´": l'ostello è in sostanza l'assemblaggio a U di tre prefabbricati in legno e lamiera destinati l'uno a cucina attrezzata e gli altri due a "zona notte", di qui due cameroni e di là camerette con letto a castello; lo spazio tra i due settori è ricoperto da una tettoia e funge, grazie ad alcuni tavoli, da "zona pranzo", particolarmente apprezzata dalle zanzare. Il tutto rialzato dal suolo di una trentina di centimetri grazie alla già citata tecnica della palafitta a difesa delle inondazioni.
La struttura è condotta da un manager che appena intravediamo, da una peperina tuttofare di nome Liz e da Stefano, un sempre sorridente ragazzotto svizzero che ci vende un po' di pan carrè e di scatolame, il che ci consente di mangiare qualcosa senza dover tornare a Jabiru che è il luogo più vicino (km.43) che offra possibilità di ristorazione. Il terzetto "alloggia" in un incredibile rottame di autopullman militare a due piani privato delle ruote semiaffondato nel terreno all'altra estremità dello spiazzo in mezzo alla foresta sul quale sorge l'ostello.
I servizi, ovviamente esterni ed essenziali, sono divisi per uomini e donne ("Blokes" e "Sheilas") e comprendono anche la doccia: abbandono subito la speranza che di notte la temperatura si abbassi un po' quando scopro (non è un'esagerazione) che l'acqua calda è meno calda di quella fredda, evidentemente proveniente da un serbatoio esposto ai raggi solari!
Entrati in camera capiamo subito che non dormiremo, anche se ci dà una certa soddisfazione il poter scegliere se non dormire per il caldo soffocante o per il rumore del ventilatore che riesce ad annullare anche la protezione dei tappi per le orecchie. Sta di fatto che trascorro la notte tra vani tentativi di prendere sonno e passeggiate in mutande negli immediati dintorni, ma posso dire che le sensazioni indotte dalla "primordialità" dell'ambiente circostante e dai rumori di decine di differenti animali all'intorno trasformano il pernottamento più disagevole della nostra vacanza australiana in uno dei più bei ricordi di viaggio della mia vita. E la mattina mi sento nel complesso riposato e pieno di energia.

Sabato 3 Ottobre 1998
DA UBIRR A COOINDA: È PROPRIO TUTTO KAKADU (Km. 143)
La giornata di oggi sarà in buona parte dedicata ai siti delle incisioni rupestri aborigene. Le volte riparate delle formazioni rocciose del Kakadu sono state dipinte fin da ventimila anni fa con i soggetti più svariati, dagli animali alle divinità del "tempo del sogno" alle immagini del "periodo del contatto", quello cioè dei primi arrivi di europei.
A un paio di chilometri dall'ostello di Ubirr, in un paesaggio attualmente arido tra palme ed eucalipti, inizia il percorso di circa un'ora e mezza A/R che risale una scarpata rocciosa a lastronate lungo la quale si susseguono "gallerie" decorate con figure degli animali e dei pesci che costituivano il principale sostentamento dei nativi intervallate dalle immagini degli spiriti maligni Mimi dall'aspetto filiforme (il cosiddetto "stile radiografico"). Il panorama che si gode dal punto più alto della scarpata è di quelli che lasciano senza fiato, con la distesa erbosa nella quale scorrono i meandri dell'East Alligator River e, più lontana, la bastionata rocciosa dell'Arnhemland sotto un cielo blu di rara limpidezza. Sembrano perfino meno moleste le mosche. Il tutto mi fa esclamare a una ranger che sembra avere notato il mio rapimento: "Adesso potrei anche morire!".
Ultimata l'escursione e tornati a Jabiru, dove spicca quella "americanata" che è il Gagudju Crocodile Hotel, albergo di lusso che dall'alto rivela la pianta a forma di coccodrillo, ci innestiamo sulla n. 21, la Kakadu Highway, in direzione sud-ovest. Dopo una ventina di chilometri, una deviazione di altri sei porta a Nourlangie Rock, l'altro principale sito archeologico del parco. Un'escursione ad anello di circa un'ora, meno panoramica di quella di Ubirr ma artisticamente irrinunciabile, è articolata su un itinerario ricco di pannelli esplicativi e frequenti piazzole di sosta in corrispondeza dei punti di interesse; tra questi spiccano l'Anbangbang Rock Shelter, un'ampio incavo nella roccia dove fin da ventimila anni fa veniva scavata l'ocra che costituiva la base dei coloranti, e l'Anbangbang Gallery, che ospita il dipinto più noto e suggestivo dell'arte primitiva aborigena, il gruppo di Namarrgon, l'Uomo del Lampo, con la moglie Barrkinj. La grande nitidezza di queste figure è dovuta alla pratica tradizionale e rituale della periodica ridipintura delle immagini più significative.
Le due escursioni, per quanto non di grandissimo impegno, ci hanno un po' provato per via del gran caldo (sono ora circa le tredici), per cui, visto che siamo ormai a una quarantina di chilometri da Cooinda, dove pernotteremo, decidiamo di dirigerci alla sua volta e concederci un po' di relax; d'altra parte, già dalla fase di programmazione delle tappe avevamo tenuto conto dell'opportunità, specie per i primi giorni, di non tenere ritmi troppo serrati al fine di abituarci con gradualità al clima tropicale. Fin da ieri abbiamo riservato telefonicamente una camera al "Gagudju Cooinda Lodge": raggiunta la struttura, scopriamo con piacere che la cifra investita (A$ 165, vale a dire 60.000 lire a cranio), anche se un po' al di sopra della nostra media, è senz'altro ben spesa. Il complesso consta infatti di una quindicina di unità, ciascuna suddivisa in due o quattro appartamentini, schierati lungo vialetti di palme e vegetazione rigogliosa, il tutto sparso su un prato ben curato; non mancano piscina, ristorante e mercatino di souvenirs che, come al solito, mi costerà caro.
Il pub-self-service chiude alle 14,30, per cui provvediamo subito all'incombenza alimentare: la soddisfiamo con un filettone di barramundi (un enorme e non raffinatissimo ma assai gustoso pesce tipico dell'Australia) con patate fritte, in pratica l'anglosassone "fish & chips", qui ribattezzato "barra & chips". I tavoli sono sparsi sotto un'ampia tettoia resa gradevole da grossi ventilatori e numerose piante, tra jabiru (gli splendidi trampolieri simbolo del parco) che si aggirano a caccia di briciole.
La reception gestisce, oltre che le sistemazioni nel resort, che comprende il lodge, l'ostello e il caravan park (campeggio), anche tutte le attività della zona: da qui partono infatti i giri in fuoristrada per le Jim Jim Falls e le Twin Falls (60+60 km. di sterrata), purtroppo attualmente asciutte, i voli panoramici sulle cascate, le escursioni di più giorni nei territori aborigeni di Arnhem Land e le crociere in battello sulle Yellow Waters. È a queste ultime che noi siamo interessati, ma un gruppo di giapponesi subito prima di noi si accaparra gli ultimi posti per quella delle 16.30; ma il contrattempo si rivolgerà a nostro vantaggio, perché prenotiamo (A$ 22.50 a testa) per domattina alle 6.45, l'ora in cui si possono vedere la laguna e gli animali nel momento migliore (e meno caldo).
Prendiamo quindi possesso del nostro appartamento e impegniamo qualche ora facendo un po' di bucato, un giro allo shop center e un bel bagno in piscina. Giunta così l'ora del tramonto, prendiamo l'auto e ci rechiamo al molo di partenza delle crociere, distante circa 4 km.: qui si raduna solitamente una piccola folla che, dopo una passeggiata sulle passerelle e sui sentieri che costeggiano il billabong, si schiera estatica a contemplare il sole che cala sulle Yellow Waters, in un susseguirsi di colori e in un silenzio irreale che, nonostante il caldo, fanno venire i brividi.
Domattina potremo godere dall'interno questa natura che per adesso ci accontentiamo di contemplare da un belvedere.

Domenica 4 Ottobre 1998
DA COOINDA A KATHERINE: LE YELLOW WATERS, POI VIA LUNGO LA MITICA STUART HIGHWAY! (Km. 362)
Con il nome di Yellow Waters (in lingua aborigena Ngurrungurrudjba) è definita la laguna interna formata dal Jim Jim Creek nel punto in cui comincia a scorrere nella pianura alluvionale.
Alle 6.15 un servizio di pullmini del Gagudju Cooinda Lodge provvede a portarci all'attracco del battello: notiamo con piacere che la crociera viene effettuata con due imbarcazioni allo scopo di riempirle per poco più di metà e consentire così a tutti i visitatori di spostarsi a bordo con libertà per osservare la flora e la fauna che il pilota-guida indica ora da un lato ora dall'altro del battello.
Ci facciamo strada per due ore tra acque basse spesso ricoperte da ninfee e fiancheggiate da vegetazione lussureggiante: oltre ai già citati jabiru, popolano la laguna pellicani, kookaburras, palmipedi e volatili acquatici di numerose specie tra cui spiccano minuscoli uccelli che si spostano saltellando sulle foglie di ninfee. Sui rami più alti sono presenti anche rapaci e pappagalli, mentre, alcuni ancora assonnati sulle rive ombreggiate e altri affioranti a pelo d'acqua, sono numerosi anche i coccodrilli (sempre quelli d'acqua dolce e quindi, dicono, non pericolosi per l'uomo).
Sembra veramente di essere immersi in un documentario del National Geographic, anche perché, a conferma di quanto raccomandano le guide, questo è il momento della giornata in cui si può avvistare il maggior numero di animali; nelle ore più calde essi preferiscono infatti ripararsi all'ombra e le crociere sono ridotte di mezz'ora. Anche la splendida luce, che non ha ancora del tutto perduto le sfumature rossicce del primo mattino, contribuisce ad aumentare la suggestione.
Sbarchiamo dalla crociera con ancora tutta la giornata davanti, per cui c'è il tempo per una visita non affrettata del Warradjan Aboriginal Cultural Centre, una mostra esplicativa della cultura aborigena: sono esposti manufatti e tavole esplicative dei vari aspetti, vita familiare e sociale, rapporto con l'ambiente, tradizioni, spiritualità, alimentazione, artigianato dei nativi originari.
I 91 chilometri che ci separano dall'uscita del parco di Kakadu sono caratterizzati dall'attraversamento di numerosi corsi d'acqua, in questa stagione assai poveri, che vanno ad alimentare il bacino degli Alligator Rivers; più che fiumi sembrano depressioni del terreno e ben non si comprendono i ponti con cui la strada li scavalca: non bisogna però dimenticare che nella stagione delle piogge diventano perfino insufficienti.
Mary River Roadhouse coincide convenzionalmente con l'uscita dal parco, e mi offre l'occasione per tentare di rendere l'idea di quella tipica istituzione australiana che è la roadhouse: assurte in certi casi al ruolo di "heritage site", vale a dire sito storico, sono costituite da slarghi il più delle volte sterrati sulle principali vie di comunicazione sui quali sorgono una stazione di servizio, un pub-ristorante-mercatino e alloggi consistenti in prefabbricati di lamiera e legno suddivisi in camere essenziali (anche se non manca mai l'indispensabile condizionatore). Spesso è presente anche uno spazio adibito a caravan-park e talvolta la piscina. Si tratta in sostanza di posti-tappa per viaggiatori che ricalcano quelle che erano le stazioni di posta, con la differenza che l'automobile ha sostituito il cavallo e il distributore di benzina la stalla e la biada.
Le insegne sono spesso pittoresche e variopinte e riportano sempre i nomi dei gestori, spesso accompagnati da formule di benvenuto. I muri esterni e interni sono in molti casi ricoperti dei più svariati ricordi di viaggio (entrerò nei dettagli più avanti a proposito di Daly Waters) e, dato che la sera vi si raduna l'eterogenea umanità dei dintorni, l'atmosfera, anche grazie alla semplice ospitalità e alla grezza socievolezza degli abitanti del Northern Territory, è garantita.
Posso dire che proprio nelle numerose roadhouses in cui faremo sosta lungo la Stuart Highway per fare uno spuntino, bere, dormire o semplicemente acquistare la cartolina o la spilletta ricordo (diventerà una consuetudine analoga a quella dei rifugi alpini), incontreremo quella che nel nostro racconto, senza niente togliere alle attrazioni più spettacolari che ci hanno spinto qui, rammenteremo come l'Australia più vera. Un viaggio fuori dal comune che qui mi sento di raccomandare è quello in totale autonomia, quasi senza un programma preciso e con parecchio tempo a disposizione, spostandosi da una roadhouse all'altra.
Ancora una settantina di chilometri in direzione sud-ovest ed eccoci a Pine Creek, dove lasciamo la strada n. 21 per reimmetterci nella Stuart Highway, dove ci attendono i 1177 chilometri da qui ad Alice Springs che ci immergeranno nella realtà appena descritta.
La Stuart Highway, come ho già accennato, è la strada che taglia l'Australia in senso nord-sud da Darwin ad Adelaide per una lunghezza di oltre 3.000 chilometri (noi ne percorreremo la metà settentrionale) e rappresenta uno dei più solidi miti australiani. Ci accorgeremo, dalle conversazioni con gli italiani che qui e là incontreremo, di essere tra i pochi a muoverci con un automezzo proprio, preferendo la maggior parte spostarsi con voli interni e affidarsi, a Darwin e ad Alice Springs, alle locali agenzie di viaggio: questa scelta consente di svincolarsi dall'impegno della guida della macchina e dal doversi adattare a pernottamenti non sempre confortevoli, ma priva il viaggiatore di una vista d'assieme del Northern Territory e di quelle realtà "minori" fuori dai flussi turistici che sono il vero collante del viaggio.
La strada ha un andamento pressoché rettilineo e le poche curve che si incontrano, che non sembrano giustificate dalla conformazione del territorio, danno la sensazione di essere state poste ad arte per far rallentare l'andatura in uno Stato dove non esistono limiti di velocità. Cominceremo gradualmente ad attraversare tratti desertici, anche se si tratterà sempre di un deserto disseminato di bassa vegetazione, cespugli di spinifex e di tanto in tanto macchie di alberi, perlopiù eucalipti e querce australiane. Una presenza purtoppo frequente è quella di animali morti ai bordi della strada: canguri, emù, rettili, uccelli, persino bufali attraversano infatti fiduciosi quella che è l'unica strada in migliaia di chilometri quadrati e, in particolare all'alba e al tramonto, vengono investiti con facilità; non a caso gli automezzi fuoristrada degli australiani sono protetti sul frontale da enormi paraurti ("bull-bar") e tutte le agenzie di affitto auto sconsigliano di guidare dopo il calare del sole.
Uno spettacolo a parte è costituito dai road-train, gli enormi autoarticolati che trasportano le merci attraversando il continente: spesso costituiti da quattro-cinque rimorchi per una lunghezza che può arrivare a una cinquantina di metri, talvolta dai colori vivaci e tirati a lucido finché la polvere che sollevano non li rende irriconoscibili, finiranno per diventare un apprezzato soggetto fotografico.
Il tratto di 113 chilometri tra Pine Creek e Katherine ci riserva solo, oltre all'attraversamento di due corsi d'acqua asciutti e un paio di bivi per piste dirette chissà dove, la deviazione di 19+19 km per le Edith Falls: anche queste cascate sono penalizzate dalla scarsa portata d'acqua, anche se non rinunciamo alla possibilità di fare un bagno in un laghetto circondato da vegetazione rigogliosa.
Katherine è, insieme a Tennant Creek, la sola località tra Darwin ed Alice Springs che possa essere definita città: punto di sosta obbligato per chi voglia visitare il Parco di Nitmiluk / Katherine Gorge, offre tutti i servizi essenziali, a partire da un vastissimo Woolworths, praticamente allineati lungo la Stuart Highway, che nel tratto cittadino prende il nome di Katherine Terrace. Ci sistemiamo al Pine Tree Motel, una struttura decisamente confortevole che ci costa non più di 102 A$, dopo di che abbiamo anche il tempo di recarci all'attracco dei battelli che risalgono le gole, distante una trentina di chilometri, per farci un'idea dell'ambiente nel quale ci caleremo domani.
Per la cena ci orientiamo sul Paraway Motel, consigliato dalla nostra guida, che però è chiuso per turno: ma il cortese manager ci indirizza, pochi metri più in là, al Katherine Club, dove possiamo gustare uno dei più prelibati filetti del nostro soggiorno australiano.

Lunedì 5 Ottobre 1998
DA KATHERINE A DALY WATERS: GOLE, GROTTE E UN BEL PO' DI BUSH (Km. 379)
Raggiungiamo il molo d'imbarco con un certo anticipo sulla partenza della crociera, prevista per le nove con ritorno verso le tredici. La cosa ci è costata 41 A$ a testa, ma non ce ne pentiremo: d'altra parte cominciamo a renderci conto, e ne avremo continue conferme nel proseguimento del viaggio, della grande professionalità degli operatori turistici australiani che non ci riserverà mai delusioni.
Il canyon scavato lungo 12 chilometri dal Katherine River attraverso l'altopiano di Arnhemland fa parte del Nitmiluk National Park e si sviluppa con frequenti meandri lungo le linee di faglia tra spettacolari pareti arancioni di arenaria lungo le quali si aprono qui e là insenature e spiaggette sabbiose.
L'escursione prevede la risalita delle prime tre gole con trasbordo da una imbarcazione all'altra nei punti dove il fiume si restringe o, in particolare in questo periodo, si abbassa di livello. Il battello, coperto da una tenda traforata che lascia passare la giusta quantità di sole da non dare fastidio, è condotto da Jamie, simpatico e competente ranger mezzo aborigeno della Travel North; i posti sono occupati, essendo bassa stagione, per meno della metà, il che consente di spostarsi con agio da una sponda all'altra e non perdere niente dello scenario naturale che ci scorre accanto. Il refrigerio, oltre che da un po' di brezza che spira di tanto in tanto, è assicurato dall'acqua che sgorga da contenitori termici in dotazione alla barca.
Il trasbordo dal primo al secondo battello avviene con una breve passeggiata lungo un tavolato roccioso sovrastante il fiume, mentre il passaggio dal secondo al terzo consiste in un itinerario un po' accidentato ai piedi di un'alta parete verticale sulla quale la guida ci indica una serie di dipinti aborigeni; il programma prevede a questo punto un'ora di intervallo per attività libere, che utilizziamo gironzolando per l'altopiano riempiendoci gli occhi e le pellicole dei mirabili panorami delle gole: il contrasto tra le rocce rossicce, l'azzurro dell'acqua e la limpidezza del cielo è uno degli spettacoli più entusiasmanti di questa nostra prima settimana australiana.
C'è anche il tempo per un bagno ristoratore, dopo di che torniamo al battello per il ritorno ripercorrendo a ritroso il percorso dell'andata e godendo, anche grazie alle mutate condizioni di luce, di prospettive che sembrano sempre nuove.
Sbarcati verso le tredici, scartiamo l'idea originaria di pranzare presso il self-service adiacente al molo, nel quale si riverseranno immancabilmente quasi tutti i partecipanti alla crociera, e preferiamo rientrare a Katherine; qui non troviamo molte alternative e ci indirizziamo sul "Red Rooster", un fast-food di ispirazione americana presente su tutto il territorio australiano da sconsigliare a chi non ama il pollame in quanto vi si servono solo piatti a base di pollo.
Lasciata la città, facciamo una sosta dopo 25 km per la visita delle Cutta Cutta Caves. Dopo un tratto di rocce frantumate e vegetazione rinsecchita che porta all'ingresso delle grotte, una guida accompagna lungo un percorso sotterraneo molto ben tracciato tra bellissime formazioni carsiche dalle strutture più varie: in particolare una delle stanze ha le pareti e il soffitto disseminati di minuscoli cristalli che brillano anche senza l'illuminazione artificiale, cosa che guadagnò alle grotte la denominazione (in lingua aborigena Cutta Cutta significa stelle stelle). Le Tindal Caves, facenti parte dello stesso sistema ipogeo, sono attualmente chiuse alla visita.
Riprendiamo il nostro itinerario in direzione sud lungo la "Track" (così viene familiarmente chiamata la Stuart Highway), della quale cominciamo a farci un quadro di giorno in giorno più esauriente. Si attraversa in pratica una specie di terra di nessuno arida e piatta ma tutt'altro che banale per chi sia sensibile al fascino dei grandi spazi; la rara popolazione è sparsa su un territorio quasi disabitato e ha come punti di riferimento le roadhouses che si allineano lungo la strada a distanze tra i venti e i cento chilometri l'una dall'altra. Si dice che lungo i tremila chilometri della Stuart siano presenti non più di quattro o cinque semafori, mentre una delle costanti diventerà quella dei cartelli stradali di attenzione gialli e neri che segnalano la presenza di canguri, cammelli, koala, emù e vombati; uno dei più simpatici è quello dell'autorità per la prevenzione degli incendi, che raffigura il clamidosauro, innocuo rettile che gonfia mostruosamente il collo per spaventare i nemici, con sotto la scritta "We like our lizards frilled not grilled", cioè "Le nostre lucertole ci piacciono col collare (frill=collare, ornamento, quindi vive), non arrostite".
Continuano a non darci tregua il caldo (anche se via via meno umido quanto più si procede verso il cuore del continente) e le mosche, che ci obbligano, dopo ogni sosta per ragioni fisiologiche o fotografiche, a isterici balletti per allontanarle dai nostri corpi ed evitare di portarle in macchina con noi. Fedele compagna di viaggio è diventata la borsa termica in polistirolo, nella quale reintegriamo in continuazione la scorta d'acqua, acquistata per lo più in sacche cartonate da cinque litri; abbiamo anche preso l'abitudine, vista la presenza del frigorifero in tutte le camere, di mettere nel freezer ogni sera due o tre bottiglie piene che l'indomani, trasformate in ghiaccio, ci assicurano una temperatura sempre fresca all'interno del contenitore. A volte compreremo invece ghiaccio già pronto; anche gli empori più piccoli hanno sempre l'apposito distributore.
A 106 km da Katherine incontriamo Mataranka, cittadina capoluogo del paese di "Never never" che secondo un progetto ben presto fallito avrebbe dovuto diventare la capitale del Northern Territory; l'attrazione più rilevante della zona è, più che la città, Mataranka Homestead, a otto chilometri di distanza, un resort sorto intorno alle piscine termali a 34° in una cornice di palmizi. Noi preferiamo però tirare dritto.
Toccata dopo altri 75 km Larrimah, ex base militare della seconda guerra mondiale e capolinea della ferrovia per Darwin fin quando nel 1976, a seguito del ciclone Tracy del 1973, finì in disuso, copriamo l'ultimo tratto di 87 km che ci separa da Daly Waters, dove giungiamo poco dopo il tramonto.
Devo dire che, fin da quando ebbi notizia dell'esistenza di questo luogo tramite le pubblicazioni "The Top End" e "Central Australia", mi augurai che le tappe del nostro viaggio fossero suddivise in modo da pernottare qui; eccoci allora in questo "historic pub" che si vanta di essere il più antico del N.T., risalendo la sua licenza di vendita di alcoolici al 1893.
Cercherò di dare un'idea dell'ambiente, anche se la parola scritta non può trasmettere in pieno le atmosfere. Il solito edificio a un solo piano coperto da un tetto in lamiera ondulata, tipico assetto di quasi tutte le roadhouses, si sviluppa in un interno a forma di L che segue l'andamento del banco di mescita, intorno al quale sono allineati alti sgabelli; subito dietro, tavoli in legno massiccio e un biliardo spelacchiato che nella sua esistenza deve essersi ricoperto più di polvere che di gloria. In fondo al locale sono conservate le strutture del vecchio ufficio postale incorporato nel pub, con il pavimento disseminato di carcasse di ogni genere: una pendola in disuso, motori fusi, vecchi telefoni, un rottame di registratore di cassa, una macchina da cucire, apparecchiature telegrafiche e un incredibile assortimento di attrezzi e ferraglia che chiunque avrebbe già gettato via da anni.
I muri, gli infissi, le travi a vista e il soffitto sono poi uno dei più clamorosi esempi di "horror vacui" che si possano immaginare, tappezzati come sono di ricordi di viaggio che gente di tutto il mondo ha lasciato qui nel corso degli anni: ritagli di giornali, cartoline, biglietti da visita, fotografie, messaggi, adesivi, decorazioni civili e militari, monete, banconote, spille, bandiere, sciarpe, stemmi di associazioni sportive e di squadre di rugby o calcio, cappelli, etichette e sottobicchieri di bevande; da una sbarra sopra il bancone penzola un variopinto assortimento di mutandine femminili e reggiseni.
L'atmosfera e la cordialità dei gestori e dei clienti fanno presagire una serata vivace, che inizia con tre monumentali e squisiti bistecconi alla griglia irrorati da ottime "XXXX" alla spina (per il pernottamento e la cena spenderemo un totale di 102 A$). Dopo cena la varia umanità qui convenuta, costituita da locali e da una comitiva di turisti di mezza età, si raduna sotto l'adiacente tettoia; qui, tra i fumi del barbecue (come se non fosse già abbastanza caldo) e boccali di birra che vanno e vengono, provvede all'animazione Bruce, pingue menestrello del bush in canottiera e jeans corti sfrangiati, che si abbevera a latte (!) e accompagnandosi con la chitarra sfoggia un repertorio di struggenti ballate di sapore dylaniano.
Al termine della serata più "ruspante" nel nostro viaggio, ci ritiriamo nella nostra stanza, che è appena appena meno "basic" di quella di Ubirr solo per la presenza del condizionatore, antidiluviano, traballante, rumoroso, ma funzionante, che ci fornisce un sufficiente conforto.

Martedì 6 Ottobre 1998
DA DALY WATERS A WAUCHOPE: DESERTO E ROADHOUSES (Km. 607)
Mi alzo alle prime luci dell'alba, ma qualcuno più mattiniero di noi sta già scaldando i motori (si fa per dire) per proseguire il viaggio nelle ore più fresche (si rifà per dire).
Mi aggiro per il piazzale facendo qualche ripresa e posso così completarmi l'idea del luogo alla luce del giorno. La "zona notte" è il solito gruppo di prefabbricati rialzati sullo sterrato, habitat di insetti e piccoli rettili assortiti, con servizi esterni; come in quasi tutta l'Australia anche qui, anzi a maggior ragione per via della siccità, la cassa dell'acqua della toilette è improntata a principi di risparmio idrico, con due pulsanti di scarico, intero o ridotto, in proporzione alla massa del bisogno.
All'esterno del pub, come se non bastasse, prosegue l'esposizione di stranezze già apprezzata all'interno: tra le altre cose, un assortimento di vecchie targhe di automobili da far invidia a un collezionista, una quantità di decrepite bottiglie vuote appese qui e là e, disseminati dovunque ci sia un po' di spazio libero, rottami di parti meccaniche e motori rugginosi che con gli anni hanno ormai assunto il colore rossiccio del terreno.
All'angolo dell'edificio spicca un semaforo, questo in funzione, che è una delle ultime cose che ci aspetteremmo di vedere qui. Su una panchina sotto la tettoia che copre l'ingresso del pub giace una sacca di iuta, che risulta essere una scorciatoia della cassetta della posta, tanto è vero che i clienti vi infilano direttamente la corrispondenza in partenza.
Sopra il banco di mescita, sotto le etichette delle principali birre australiane, Foster's, Tooheys, XXXX, Carlton, Victoria, è esposto uno spiritoso invito: dopo un po' di perplessità riesco a capire che "AVEBEERMATE" è la contrazione di "Have a beer, mate" (Bevi una birra, amico).
Nella giornata di oggi abbiamo in programma di coprire circa seicento chilometri, dal momento che abbiamo fissato telefonicamente una camera per questa sera nella roadhouse di Wauchope (pronuncia Uòcap), località che è situata a pochi chilometri dai Devils Marbles, quindi in posizione ideale per osservare quella singolare attrazione sia con la luce del tramonto che con quella dell'alba.
Pochi chilometri oltre Daly Waters, all'altezza della Hi-Way Inn Roadhouse, si stacca sulla sinistra la Carpentaria Highway, che mantiene la classificazione di n. 1 mentre la Stuart assume il numero 87. Questa sterrata va a raggiungere dopo 414 km. Borroloola, ormai a una cinquantina di chilometri dal Golfo di Carpentaria.
Dopo 44 km., subito prima della Dunmarra Roadhouse, si dirama sulla destra la n. 80, che nonostante la denominazione di Buchanan Highway non è che una vaga pista: si può immaginare quanto possano essere confortevoli gli 800 chilometri che portano a Halls Creek nel Western Australia. In quella località la strada si congiunge con la diramazione della n. 1 che provenendo da Katherine contorna tutta l'Australia sul percorso Broome - Perth - Adelaide - Melbourne - Sydney - Brisbane - Townsville - Cairns - Port Douglas nel Queensland: osservando sulla mappa lo sviluppo di questo sterminato itinerario, è facile essere tentati dal progetto della sua effettuazione integrale.
Sulla consistenza di Newcastle Waters, il successivo nome lungo la "Track" che si legge sulla cartina, la dice lunga la precisazione della guida "The Top End": "There are no facilities whatever in the town" (Non c'è alcun servizio in città). Se quindi può rientrare nelle aspettative la presenza di alcuni edifici storici e una specie di monumento bronzeo al mandriano in una località un tempo importante per il commercio del bestiame, stupisce che l'unico edificio che dia segni di vita sia una scuola!
Elliott non è che un insieme di roadhouses, un emporio e un pub, mentre Renner Springs si identifica con un'unica roadhouse messa insieme con residuati della seconda guerra mondiale. Abbiamo lasciato Daly Waters da ormai 220 chilometri e notiamo che gradualmente la vegetazione è andata diradandosi.
Dopo un centinaio di chilometri varchiamo il convenzionale limite (nessuna indicazione, lo scopriamo solo sulla mappa) che suddivide il Northern Territory in Northern Land Council e Central Land Council e dopo un'altra cinquantina tocchiamo Three Ways, bivio per la Barkly Highway, che in 1538 km. porta a Townsville, sulle coste del Queensland (gli 887 dopo Mount Isa prendono la denominazione di Flinders Highway).
Le roadhouses che sfilano lungo la Stuart sono in fondo tutte simili ma ciascuna di esse manifesta una propria individualità e una storia irripetibile le cui testimonianze tappezzano le pareti, tanto che abbiamo ormai preso l'abitudine di fare una sosta, per quanto breve, in tutte, sia per riposo, ristoro o rifornimento, sia per immergerci in piccole realtà quasi fuori del tempo. Al saluto e allo sguardo di curiosità segue spesso la classica domanda "beer or coffee´". Salvo qualche presenza di birra alla spina, funziona tutto a self-service, con le bevande fresche negli armadi frigoriferi e il bricco di acqua bollente corredato di bustine di caffè, tè o cioccolata: questo consente di dosare da sé l'acqua e la fantasia per tentare di ricavare un caffè un po' meno anglosassone e un po' più italiano.
Ci capiterà più volte di ritrovare gente già incontrata qualche giorno prima che percorre più o meno parallelamente, nello spazio se non nei tempi, il nostro stesso itinerario, e un saluto o un semplice sguardo sottintendono una sorta di "complicità" tra persone che sono consapevoli di costituire una fiera minoranza che ha fatto una scelta di viaggio scomoda ma appagante.
Un capitolo a sé meritano i cartelli e i coloriti avvisi: oltre ad alcuni già citati, ne ricordo due, sempre in linea con l'australianissimo "Don't worry", che tradotti suonano così: "Fattoria degli struzzi - Aperto dalle 9 alle 15 la maggior parte dei giorni [most days]" e "Attenti ai cani - Medico più vicino a 160 km."
I 25 chilometri tra Three Ways e Tennant Creek riservano la curiosità dei Pebbles, particolari massi di granito arrotondati dalle intemperie che sono un po' un'anticipazione in miniatura dei più spettacolari Devils Marbles, e una delle poche stazioni telegrafiche sopravvissute, da poco restaurata e classificata "heritage site".
Tennant Creek è, fatte le proporzioni, uno dei principali centri del N.T. e vi facciamo una sosta di un paio d'ore, anche perché, essendo il primo pomeriggio, abbiamo improcrastinabili esigenze alimentari: le soddisfiamo in un modesto fast-food sulla via principale, dove però una volonterosa signora di origine ungherese riesce a spremere il meglio dal poco che offre il bancone allestendoci un gustoso piatto di cotolette di pesce con insalata mista.
Un breve giro per la città semideserta ci riserva solo il primo incontro con un'istituzione australiana che poi vedremo altre volte, un "Drive in bottle shop", punto vendita di bevande al quale si accede senza scendere dall'auto; il posto pare alquanto gradito anche agli aborigeni, che vi dilapidano volentieri i loro pochi soldi. Ma della condizione di questa popolazione in senso più ampio parlerò in seguito, quando ne avrò saputo qualcosa di più.
Ricorderò Tennant Creek come una delle località più calde di cui abbia calcato il suolo in vita mia, il che non ci invoglia più di tanto (anche perché, l'ho già detto, a quest'ora non c'è in giro quasi nessuno) nella ricerca delle cooperative aborigene che producono artigianato di buona qualità. Sarà per un altro giorno e un altro posto.
Da Wauchope ci separano ormai solo una novantina di chilometri, lungo i quali non c'è niente di rilevante, tranne il bivio per i Devils Marbles; preferiamo raggiungere prima la roadhouse, dove prendiamo possesso dell'alloggio riservatoci, una struttura simile a quella di Daly Waters ma con qualche conforto in più: di fianco alle camere c'è infatti una piscina piacevolmente circondata da palme e da un prato all'inglese con qualche bella pianta e voliere con pappagalli e iguane.
Dopo una rinfrescata, siamo ormai prossimi al tramonto, l'ora più indicata per ammirare i Devils Marbles, per cui ci dirigiamo senz'altro verso il sito, distante da Wauchope una decina di chilometri. I Devils Marbles, noti in lingua aborigena come Karlu Karlu, sono il risultato di un fenomeno di erosione: una distesa di massi rossastri modellati in forme tondeggianti, alcuni alti fino a cinque o sei metri, sono accatastati sulla piana, spesso in equilibrio instabile, dando luogo, a seconda delle ore della giornata, a giochi di luce e ombra sempre diversi. Secondo la cosmogonia aborigena si tratterebbe delle uova deposte da Wanambi, il Serpente dell'Arcobaleno, nei giorni del Dreamtime, cioè della creazione.
La serata, piuttosto opaca, non offre le condizioni di luce migliori, ma lo spettacolo è decisamente tra i più sorprendenti, e non ci priviamo del piacere di sbizzarrirci all'interno di questo curioso labirinto naturale.
Rientrati a Wauchope, abbiamo giusto il tempo di fare un bel tuffo in piscina prima di schierarci davanti ai consueti tre etti serali di carne: i menù di queste road-houses non saranno magari variatissimi, ma il rapporto prezzo-qualità è sempre eccellente.

Mercoledì 7 Ottobre 1998
WAUCHOPE - ALICE SPRINGS: SI AVVICINA IL GRANDE CENTRO ROSSO (Km. 409)
Alle sei meno un quarto suona la sveglia, al che io e Lino, come da programma, balziamo giù dal letto per recarci nuovamente ai Devils Marbles alle prime luci dell'alba: ma la valutazione risulta non del tutto precisa, poiché il sole ha già varcato l'orizzonte e, anche se l'effetto non è da buttar via, il momento migliore dello spettacolo è già passato: ne hanno senz'altro goduto al meglio gli occupanti di un trabiccolo di pullmino che hanno pernottato su uno slargo davanti alle "uova".
La previsione di oggi è quella di raggiungere Alice Springs, dove abbiamo già fissato il pernottamento presso l'Elkira Motel, circa a metà pomeriggio e individuare i contatti per programmare i cinque giorni che dedicheremo al "Red Centre".
Ne abbiamo abbondantemente il tempo, per cui, fatte le consuete foto e riprese del circondario della roadhouse, davanti alla quale spiccano carcasse pluridecennali di automobili sprofondate nel terreno ormai uniformate in una tinta "rossoaustraliacentrale", lasciamo Wauchope e riprendiamo con tutta calma il nostro itinerario lungo la Stuart Highway.
Wycliffe Well, dopo 35 km., è la prima roadhouse che aggiungiamo oggi alla nostra collezione; questa si differenzia dalle altre per una struttura più moderna e impersonale, ma gode di una notorietà dovuta a presunti atterraggi di alieni risalenti a qualche anno fa. La cosa ha prodotto un piccolo business, tanto è vero che tutto, all'interno e all'esterno, è improntato al motivo degli UFO: ritagli di giornali, souvenirs, una divertente maglietta in cui si pubblicizza una birra con l'immagine di un alieno e lo slogan "Più ne bevi, più ne vedi". All'esterno fanno bella mostra di sé una navicella spaziale e due alieni verdolini di dimensioni umane.
Nel piazzale antistante vagano gruppetti di aborigeni, che, come già avevamo riscontrato nei giorni precedenti, si mettono all'erta e si coprono il viso non appena intuiscono che qualcuno ha intenzione di fotografarli, cosa alla quale ben presto ho trovato giusto rinunciare.
Mi è sembrato di capire che la popolazione nativa si possa dividere grosso modo in tre categorie: questi sono coloro che stanno peggio, privati gradualmente della possibilità di mantenere i legami con le tradizioni, assegnati ad abitazioni che hanno destinato a magazzini in quanto essi non hanno nel patrimonio genetico il senso degli spazi chiusi; vivono quindi giorno e notte all'aperto limitando i contatti con la civiltà ai supermercati e agli empori, dove spendono, prevalentemente in birra, il sussidio settimanale, senza comunque chiedere l'elemosina o dare fastidio: è una condizione penosa e si ha la sensazione di gente senza alcuna aspettativa per il futuro, individuale o collettiva.
La categoria che si è parzialmente inserita nel contesto cosiddetto "civile" (quale sia poi la vera civiltà è tutto da discutere) è quella degli artisti: da quando infatti negli ultimi decenni l'uomo bianco si è reso conto che il popolo per secoli sterminato e cacciato verso l'inospitale interno man mano che venivano colonizzate le zone costiere aveva una spiritualità e un rapporto con il territorio che gli ha consentito di sopravvivere per decine di migliaia di anni in luoghi dove un europeo morirebbe dopo un giorno, ha cominciato a incoraggiare le propensioni artistiche e manifatturiere degli aborigeni: sono così sorte delle cooperative che raccolgono e vendono, direttamente o tramite i negozi, dipinti, statuette, didjeridoo, boomerang, opere spesso splendide.
Sono comunque convinto che fra tutti stiano meglio quelli che, mai allontanatisi dalle zone più isolate, hanno potuto continuare a condurre la stessa esistenza degli antenati, limitando il più possibile (e non è facile) i contatti con la "civiltà" (anche qui le virgolette sono d'obbligo).
Per sapere comunque qualcosa di più su un tema non semplificabile in una relazione inevitabilmente superficiale, voglio raccomandare alcune letture: innanzitutto quell'autentica bibbia che è "Le vie dei Canti" di Bruce Chatwin, quindi "E venne chiamata Due Cuori" e "Il cielo, la terra e quel che sta nel mezzo" di Marlo Morgan, con il consiglio di leggere i tre libri due volte, prima e dopo un auspicabile viaggio in Australia.
Un centinaio di chilometri oltre Wycliffe Well, nel sito di una stazione telegrafica da poco restaurata, sorge Barrow Creek, una delle più antiche roadhouses della Track, che comprende le consuete strutture di ospitalità e presenta qualche stranezza, tra cui spicca sul tetto la silhouette di un Babbo Natale con il sacco che in questi luoghi e in questi climi risulta quanto meno singolare.
In successione dopo 92 e 152 chilometri facciamo due soste a Ti Tree e Aileron. Nella prima ci rechiamo alla Aaki Gallery, una cooperativa aborigena che vende manufatti degli Anmatjera un po' meno commerciali di quelli reperibili nelle città: acquistiamo a prezzi convenienti un paio di boomerangs, qualche oggetto in legno e un dipinto nel tipico stile puntinato. Ad Aileron facciamo il pieno di carburante, ultima possibilità prima di Alice Springs dalla quale ci separano ancora 135 km.; più o meno a metà di questo tratto si dirama in direzione est la Plenty Highway verso il Queensland, mentre il paesaggio comincia finalmente a farsi più variato: mano a mano che ci avviciniamo a "The Alice" si fanno più evidenti le ondulazioni del territorio che prennunciano i MacDonnell Ranges, in mezzo ai quali la città è adagiata. Queste catene montuose, con un'età di 550/600 milioni anni, sono le più antiche del pianeta.
Nel primo pomeriggio, poco dopo il bivio della Tanami Road (mille e più chilometri spesso problematici che portano a Halls Creek nella Western Australia), entriamo in Alice Springs. Ci aspettano sei giorni che dedicheremmo alle meraviglie del "Centro Rosso", straordinario e irrinunciabile punto fermo di un viaggio in Australia che si rispetti. Ve li racconterò nella seconda parte.

 

33 commenti in “Australia 1: Northern Territory – Top End
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    CARMEN
    27/04/2010 15:04

    Ciao Ragazzi!! Il vostro viaggio mi ha entusiasmato parecchio!!! Probabilmente partirò anch'io per l'Australia.. ad Agosto per circa un mese.. ho qualche soldino da parte e sono decisa a partire!! La mi aspetteranno due miei amici... Ho bisogno di qualche dritta!! Un caro saluto!! Carmela

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    AvoibAstoni
    03/03/2009 03:53

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  4. Avatar commento
    ooopinionsss
    03/12/2008 16:48

    How you think when the economic crisis will end? I wish to make statistics of independent opinions!

  5. Avatar commento
    nuareeallediA
    19/08/2008 09:55

    Literati descended on the Czechoslovakian restaurant after Thursday evening to solemnize the West End Lane tome society's 100th earmark reading. Alfred and Emily has been penned by peculiar prime mover Ms Lessing, so it was installations that she turned up to derbate the la with her readers.

  6. Avatar commento
    nuareeallediA
    19/08/2008 09:55

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    nuareeallediA
    19/08/2008 09:55

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  8. Avatar commento
    nuareeallediA
    19/08/2008 09:55

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  9. Avatar commento
    Deascanna
    17/08/2008 01:28

    To make every effort in the modern

  10. Avatar commento
    Deascanna
    17/08/2008 01:28

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    Deascanna
    17/08/2008 01:28

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    Deascanna
    17/08/2008 01:28

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  13. Avatar commento
    bill
    23/07/2008 03:11

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  14. Avatar commento
    Filandorya
    08/03/2008 23:45

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  15. Avatar commento
    Filandorya
    08/03/2008 23:44

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  16. Avatar commento
    Franci
    17/02/2008 19:45

    ops...raga,scusate l'intrusione...prima di arivare in Australia dovrei attraversare l'Africa...a risentirci

  17. Avatar commento
    Leandro
    17/02/2008 19:04

    Sì, però questo resoconto riguarda l'Australia, non l'Africa! ;-)

  18. Avatar commento
    Franci
    17/02/2008 18:46

    ciao a tutti,il mio sogno e visitare l'Africa...vorrei esplorare ogni posto di questo continente meraviglioso...se qualcuno è stato gia fortunato e vorrebbe condividere la sua esperienza,esprimere le sue emozioni,dare dei consigli,sarrei molto onorato...IL MONDO è COME UN LIBRO,CHI NON VIAGGIA LEGGE SOLO LA PRIMA PAGINA

  19. Avatar commento
    albesurf
    22/09/2005 14:02

    ciao a tutti, volevo sapere se mi sapete dare un idea di badget per trascorrere un mese in australia? Grazie a tutti anticipatamente. Ciao

  20. Avatar commento
    Cory1970
    23/07/2004 05:49

    Io in Australia ci sono adesso! Sono a Sydney al Powerhouse Museum. Condivido in pieno quano scrivete... l'Australia e' un Continente incommensurabile e stupefacente! Ogni altra parola sarebbe superflua... un consiglio a tutti: veniteci!

  21. Avatar commento
    angelo
    15/03/2001 06:00

    Complimenti veramente. Una descrizione eccezionale e devo dire che se avevo dei dubbi sul dover affrontare con la mia futura moglie un viaggio di nozze un po' avventuroso tu me li hai fatti passare. Grazie. P.S. credi sia meglio avere la patente internazionale per noleggiare un autoveicolo?

  22. Avatar commento
    Alessandro
    15/03/2001 06:00

    Stò organizzando un viaggio in Australia e dato il low-budget, volevo sapere se conveniva più il noleggio di un auto per poi dormire in ostelli oppure un gippone di quelli con 3 posti letto! complimenti per l'articolo

  23. Avatar commento
    Leandro
    15/03/2001 06:00

    Ringrazio Testarossa per l'apprezzamento. Provare a suscitare emozioni è uno dei motivi che mi spingono a mettere sulla carta le mie esperienze di viaggio; esserci riuscito è una gran bella gratificazione!

  24. Avatar commento
    testarossa
    15/03/2001 06:00

    Ho condiviso le vostre emozioni nell'agosto 2002 e sono pienamente d'accordo.

  25. Avatar commento
    Leandro
    15/03/2001 06:00

    Cara Alessandra, non è una voglia assurda e non è un sogno, te l'assicuro! Per guarire c'è solo un modo: organìzzati e parti! Buon viaggio!

  26. Avatar commento
    Alessandra
    15/03/2001 06:00

    Mi sono i brividi per l'emozione alla lettura dell'articolo,e mi è venuta una voglia assurda di realizzare anche io il sogno dell'Australia!

  27. Avatar commento
    Leandro Ricci
    15/03/2001 06:00

    Rispondo a Dario e Gabriella. Vi invidio un po' per il fatto che siate in partenza per un viaggio meraviglioso. In attesa che gli amici di Cisonostato pubblichino la II e III parte, sono disponibile per ogni informazione sulla mia e-mail leandricci@libero.it. Ciao!

  28. Avatar commento
    Dario e Gabriella
    15/03/2001 06:00

    Proprio quest'estate abbiamo intenzione di organizzarci un viaggio in Australia per conto nostro. Questa prima parte e' un manna per noi, ma...... La seconda?? Restiamo in attesa. Buona giornata

  29. Avatar commento
    Leandro Ricci
    15/03/2001 06:00

    Rispondo a Fernando Veneranda. Ho fatto cenno nella relazione che alcuni pernottamenti sono praticamente obbligati. I motel nelle cittadine anche piccole sono comunque di buon livello. Ma se vuoi fare un viaggio "ruspante" e' anche bello fare qualche piccolo sacrificio. Non si muore se per un giorno non hai la doccia in camera. Auguri!

  30. Avatar commento
    Lo Staff
    15/03/2001 06:00

    La seconda parte arriverà di sicuro ma abbiamo veramente tantissimi articoli da pubblicare!

  31. Avatar commento
    Marco
    15/03/2001 06:00

    e dateci la seconda parte!!

  32. Avatar commento
    shukabakan
    15/03/2001 06:00

    complimenti a chi ha scritto l'articolo! spero ne seguano altri ...

  33. Avatar commento
    veneranda fernando
    15/03/2001 06:00

    Vorrei sapere se nel viaggio che avete fatto,c'è la possibilità di avere sistemazioni per la notte più vicine agli standard europei.Grazie

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