In Turchia con Diana - Parte prima

L’Anatolia sud orientale tra cay, sorrisi e leggende

E' stato un viaggio indescrivibile attraverso un paese bellissimo e affascinante, ricchissimo di storia e di natura. Un paese che ho conosciuto attraverso i luoghi di confine, con la Siria a Sanliurfa, con l'Iran a Dogubeyazit, con l'Armenia a Kars.
Ma quello che rimane più nel cuore, anche dopo aver visto tante bellezze, è senz'altro il suo popolo. I turchi sono sempre gentilissimi, pronti a dare una mano. Sono tutti molto curiosi di sapere da che paese vieni e che lavoro fai. Spesso ci han fermato per fare solo quattro chiacchiere, chiedere cosa volevamo visitare della Turchia e cosa ci stava piacendo. Davvero ci si vergogna per l'idea che abbiamo di loro e mi sono spesso chiesta come fosse possibile tanto pregiudizio. I turchi sono un popolo molto cordiale e gentile ma i curdi sono di una gentilezza commovente, di una cortesia ancora più immensa. E' un paese in cui mi sono sentita sempre al sicuro, è tutto tranquillissimo e ho trovato una serenità indescrivibile. La cosa che più mi ha sorpreso è stata quella di essermi sempre sentita un ospite, più che un turista. E mai ho avuto la sensazione che stessero cercando di approfittarsi di noi, ma le piccole gentilezze mi han sempre fatto sentire ben accolta. Per noi sempre cay (tè turco) offerti, e poi i dolcetti, biscottini e caramelle. Qualche donna mi ha abbracciata e baciata. Mi hanno regalato anche un paio di occhiali da sole. Ci hanno invitato a casa loro per cena o per offrirci semplicemente un pò d'uva e di te. L'accoglienza di questo paese lascia a bocca aperta.
Ho viaggiato con il mio ragazzo senza prenotare nulla, non ci sono problemi nel trovare hotel o mezzi di trasporto. Soprattutto l'est del paese è molto economico, i costi sono molto accessibili anche nel resto del paese in genere. Abbiamo sempre viaggiato in bus, per me è stato il mezzo più comodo per girare il paese e mi ha permesso di vivere e conoscere la realtà locale. Gli aeroporti sono moltissimi e anche i voli sono economici, perciò l'aereo è senz'altro un mezzo conveniente e veloce, se non si vuole affrontare lunghi viaggi. Noi abbiamo optato per un viaggio diverso, meno comodo, ma molto autentico. Abbiamo percorso un sacco di chilometri e le ore in bus sono state tantissime, ma sempre in mezzo a gente locale dato che di turisti se ne incontrano pochi nella zona dell'Anatolia orientale. E anche queste ore passate in bus sono un piacevole ricordo emotivo che porto a casa con gioia.
Il clima è molto caldo ma essendo secco si sta benissimo. Noi abbiamo trovato al massimo 45 gradi, anche se la settimana prima a Urfa ce n'erano ben 52, ma non abbiamo mai sofferto il caldo.
Abbiamo sempre trovato il sole in tutti questi giorni ed un cielo limpidissimo.
Nella zona a est mi ha sorpreso l'abbondanza d'acqua. E io che pensavo di arrivare in Mesopotamia e trovare aridità. Invece la diga di Ataturk da 15 anni fornisce acqua a questa zona del paese e ne ha modificato l'apetto e l'economia. E' tutta coltivata a cotone, pistacchi, melograno, grano; molte le aiuole verdi e l'acqua è dappertutto. Prima la carenza d'acqua era un problema enorme, ora invece è una grande risorsa che ha permesso di sfruttare tutta questa zona. Speriamo venga gestita bene.
Ho notato che il popolo turco è un popolo pulissimo, ad ogni ora del giorno stanno pulendo negozi e strade!
Non posso scordare tutte le immagini e luoghi che abbiamo visto, dalla zona colorata e calda di Sanliurfa con le donne dalle gonne lunghe e il capo coperto di stoffe colorare, le carpe sacre e la grotta di Abramo. Il monte Nemrut, pazzesco, con questo monumento funebre a piramide con le statue verso l'alba e verso il tramonto e le teste crollate a terra. Si vede tutto intorno, la grande Mesopotamia e quello che ra il regno di Commagene. Ci vorrebbe stare sulla cima del Nemrut per pensare, lassù, soli nel vento. Harran con i suoi trulli di fango e i resti millenari, la culla della civiltà, l'antica Carre. Resti di minareti e sassi antichissimi sotto il sole cocente. E i bambini che ti seguono, fogliono solo divertirsi a farsi fotografare mentre gli adulti ballano in fila. Siamo capitati a Mardin, carinissimo paesino di roccia color miele, da cui si vede un panorama unico sulla pianura ora coltivata della Mesopotamia. Roba da libri di storia, immagini che da piccola mi sembravano regni lontani e non avrei mai visto. Per questo ringrazio senz'altro Bea che mi ha messo questa curiosità e mi ha fatto scacciare un po' il timore che avevo prima di partire, ora capisco perchè mi diceva di non preoccuparmi!
Abbiamo attraversato l'Eufrate! Esclamiamo passando sul ponte di questo fiume, che evoca ricordi scolastici lontani e già mi sembra leggenda. Il lago di Van con le sue acque azzurrissime a strisce così chiare da sembrare quasi caraibico con la sua isoletta Akdamar tra le vette delle montagne e le acque azzurrine con la bella chiesa armena ristrutturata in tutto il suo splendore.
Poi c'è Dogubeyazit al confine quasi con l'Iran. Qui siamo ai piedi del biblico monte Ararat, con la vetta innevata anche in agosto. Maestoso con suoi oltre 5.000 metri di altezza, domina il panorama. Vicino alla montagna che è chiamata piccolo Ararat si dice si trovi l'Arca di Noè. Un'altra leggenda. E poi qui c'è il palazzo che in vita mia mi ha affascinata maggiormente: Isak Pashà. Fantastico ed elegante, in pietra decorata in un mix di stili, lascia solo immaginare che bellezza doveva essere nel suo periodo di massimo splendore. Fa sognare!
La tappa successiva è stata Kars. La cittadella minuscola è in basalto nero. Qui siamo ai confini con l'Armenia. La città nuova ha un'aria un pò nostalgica, sembra bombardata. Forse dopo la guerra con i russi non è stata messa a nuovo. Questo è il luogo che mi è sembrato più di confine. Per andare al sito di Ani si passa per la steppa verde acido con mandrie di mucche che attraversano anche queste strade deserte. Ani è lì con le sue chiese armene non ristrutturate. Una è spaccata esattamente a metà da un fulmine. E' un luogo dal fascino unico e davvero autentico. Al di là del canyon in cui scorre il fiume è gia Armenia e si possono vedere i militari sul confine, ora chiuso. Un sito pazzesco!
Da qui la Cappadocia e sembra di cambiare paese. Le formazioni naturali di tufo eroso che sembrano camini delle fate, lasciano a bocca aperta. Le valli cambiano colore e forma, a volte rocce che sembrano meringhe candide e altre volte rosa. Città sotterranee scavate nel tufo, chiese nascoste nella roccia, valli con pinnacoli di ogni forma, questa è un'altra storia.1 giorno: Santorini
2 giorno: traghetto per Rodi e notte a Rodi
3 giorno: traghetto da Rodi a Marmaris e bus per Urfa
4 giorno: Ufa
5 giorno: Urfa - Harran
6 giorno: Urfa - Nemrut Dagi
7 giorno: Mardin
8 giorno: Van
9 giorno: Van - isola Akdamar
10 giorno: Van
11 giorno: Dogubeyazit
12 giorno: Kars
13 giorno: Ani
14 giorno: Cappadocia
15 giorno: Cappadocia
16 giorno: Cappadocia
17 giorno: Cappadocia
18 giorno: Cappadocia
19 giorno: Marmaris - Rodi - Anafi
20 giorno: Anafi
21 giorno: Anafi
22 giorno: Santorini
23 giorno: Santorini

4 agosto 2010
Il mio viaggio in Turchia è iniziato da Santorini, in Grecia, perchè avevo già un volo diretto acquistato qualche mese prima. La meta è insolita, ma la voglia di scoprire il Kurdistan mi ha dato la carica per affrontare il lungo tragitto. Ovviamente è una scelta che non consiglierei, sia per le tante ore di viaggio che per i costi. Ma chi mi conosce sa che son capace di queste furbate, quando mi metto in testa qualcosa.
Con un volo diretto Easyjet da Milano Malpensa atterriamo in perfetto orario a Santorini, ora locale 9,45. All'aeroporto troviamo i soliti affittacamere: alloggiamo per la notte all'Hotel Thirassia a Thira per 60,00 euro la camera doppia, compreso di transfer per il porto il giorno seguente.
Lasciati subito i bagagli inizio a godermi l'unico giorno greco. A Thira mi concedo una colazione con fetta di torta gigante al ciocciolato e nescafè frappè. Andiamo a Oia già che è mattina presto. Non noleggiamo un mezzo, ma ci andiamo in bus. Dopo aver girovagato per le viette, sempre uniche, di Oia, ci concediamo un caffè in veranda panoramica e un pò di ombra. Il mare blu intenso della caldera luccica sotto il sole cocente. L'acqua è calma come un velluto e il silenzio è corroborante. A piedi scendiamo gli scalini in pietra che portano al grazioso porticciolo di Ammoudi nella terra rosso intenso di questo tratto d'isola e il blu azzurro magnetico, che creano un bel contrasto di colori. Attraverso un sentiero sterrato oltre le tavernette del porto si arriva in un punto molto bello di rocce dove si può fare il bagno. Passiamo la giornata qui in completo relax tra sole e bagni, tra rocce rosse e acqua limpidissima. Dopo una prima giornata che mi riposa dalle fatiche di un intero anno ci fermiamo per una bella cena di pesce in una delle tavernette: vino retsina bianco, calamaro alla griglia e polpo, insalata greca e caffè sono la nostra cena. Favolosa.
Peccato che ci dobbiamo fare tutti gli scalini per tornate su a Oia ed il relax è già lontano! Mannaggia una volta che voglio prendere il mulo, non c'è più!
La sera passeggiamo per le vie di Thira tra negozi e scorci panoramici sulla caldera illuminata nel buio della notte, sempre unica.

05 agosto 2010
Da Santorini alle 11.00 parte il nostro traghetto per Rodi con la compagnia Anek lines, nave Preveli partenza ore 11.05 arrivo ore 23,00. La giornata di oggi praticamente la passiamo sul traghetto. Prendiamo un pò di sole, leggiamo, osserviamo le isole passare ed è bello anche fare amicizia con altri viaggiatori. Parlare della nostra passione greca e ricevere consigli su prossime mete. La giornata passa veloce e quando fa buio ce la dormiamo un pò. Arriviamo al porto di Rodi in ritardo rispetto al previsto, sono le 2.00 di notte. Prendiamo un taxi per andare all'hotel dove ho prenotato una doppia, anche se è vicino al porto, ma così al buio optiamo per la comodità. L'hotel Anastasia si rivela bello, confortevole e soprattutto molto comodo. E' una signora italiana che ha sposato un greco. Arrivati davanti alla porta del'hotel trovo un biglietto: “Diana bussa alla seconda porta così ti diamo le chiavi!” che piacere scoprire che non si sono dimenticati di noi! Bussiamo alla seconda porta come descritto e ci danno le chiavi della camera. Peccato che la mattina appena fatta colazione dobbiamo partire, perchè sono davvero gentili e l'hotel è in ottima posizione. E' lo stesso hotel segnalato da Leandro, ho copiato l'idea visto era comodo.

6 agosto 2010
Da Rodi per arrivare sulla costa Turca si prende un flying Dolphin e si arriva al porto di Marmaris. I posti sono limitati e le corse giornaliere sono due. Da Rodi parte alle 9,00 e alle 15,00 del pomeriggio circa. Sarebbe bene prenotare in alta stagione, perchè si rischia di non trovare posto. Noi abbiamo fatto una corsa per riuscire a trovare un'agenzia aperta la mattina presto e per fortuna abbiamo trovato posto, erano rimasti solo 3 posti, fortuna che siamo solo in due. Il costo è di 50 euro per una corsa che dura solo 50 minuti. Il prezzo comprende le tasse per entrare in Turchia. C'è il controllo alla dogana dei bagagli e dei documenti.
Alle 9.50 siamo a Marmaris, sulla costa Turca. Il caldo e l'afa sono insopportabili, inizio a preoccuparmi e mi chiedo se sarà sempre così. Per fortuna è stato l'unico giorno afoso della vacanza e l'unico in cui abbia patito il caldo. Con un taxi arriviamo alla stazione dei bus e prendiamo i biglietti per il pomeriggio alle 17,00. I ragazzi dell'agenzia si offrono di tenerci i bagagli così possiamo fare un giro per il paesino. Ci offrono un pò di cay, chiacchieriamo sul nostro giro e ci chiedono di mandar loro le foto di Urfa perchè non ci sono mai stati.
Passiamo la mattinata per le strade di questo paesino turco molto turistico. C'è la zona del porto con i bar sul mare, il vecchio e il nuovo bazar. Noto che il turismo qui è soprattutto nord europeo. Ne approfittiamo per cambiare i soldi da euro in lire turche, più che altro per rinfrescarci un po' con l'aria condizionata e dei bicchieri d'acqua che ci offrono mentre attendiamo in fila.
Usciti siamo di nuovo sotto il caldo insopportabile, decidiamo di fare un giro al castello e poi di fare quattro passi in riva al mare mangiando un gelato turco. Ci ripariamo un po' dal sole sotto il bazar nuovo e quello vecchio. La costa è molto costruita con hotel alti e molto turistica. Il mare qui non sembra molto bello. In ogni caso abbiamo solo il tempo di un giretto così ci gustiamo le passeggiate, prima di tornare alla stazione dei bus.
Alle 17.00 il nostro bus parte per Urfa. Finalmente sento che il viaggio sta iniziando, arriveremo nella zona orientale di Kurdistan, ai confini con la Siria e già non vedo l'ora, nemmeno le venti ore di viaggio mi fan paura. Da subito abbiamo modo di conoscere l'ospitalità e la gentilezza di questo popolo. Sul pullman siamo gli unici turisti e ovviamente attiriamo non poco l'attenzione. Le persone sono curiose di sapere da dove veniamo e che lavoro facciamo. Solo i giovanissimi sotto i vent'anni parlano l'inglese, gli altri nemmeno una parola in genere. Però ci parlano in turco e non si scoraggiano, loro parlano e parlano sempre. Chissà mai che capiamo qualcosa? e invece no, il turco non somiglia a nulla, ma dico nulla, delle nostre lingue europee e non si potrebbe mai intuire un solo significato.
Il bus è nuovo, bello spazioso e con servizio a bordo. Incluso nel biglietto da 37,00 euro a persona sono comprese bevande a volontà, fazzoletti di carta e acqua di colonia al limone. L'acqua è sigillata in bicchierini di plastica da 200 ml. Gli autisti sono due e si danno il cambio alla guida ogni due ore e mezza circa, fermandosi nelle aree di sosta apposite. Le aree di servizio in questo tratto di Turchia sono molto folcloristiche e colorate. Quando ci fermiamo ci sono sempre altri bus già fermi. Ogni volta puliscono i vetri con scope attaccate a canne d'acqua. In tutto il paese i bagni pubblici sono molto frequenti. Si paga una o mezza lira e si trovano bagni pulitissimi.
Ogni volta che risaliamo sul bus dopo una sosta, il ragazzo che si occupa delle bevande passa a dare l'acqua al limone. Io mi diverto come una bambina. Quello che mi affascina è scendere nella notte in queste aree piene di gente, luci, colori e profumi. Poi ci sono i camerieri che girano con i vassoi e i bicchierini di te gridando "cay, cay", i negozietti sono aperti e ne approfittiamo per comprare qualche dolcetto turco. Il tempo vola e le ore di bus mi permettono di arrivare lentamente e vedere i panorami cambiare forme e colori.

7 agosto 2010
Le ore in bus passano veloci tra piccole gentilezze curde e paesaggi. Finita la notte vedo l'alba che irrompe e inizia a colorare il mondo. Il cielo sembra quasi soffice a vederlo. Starnutisco e subito uno dei ragazzi seduti davanti a noi si alza, va a prendere un fazzoletto di carta e me lo porge. Ogni tanto ci portano il bicchierino d'acqua sigillata. Ennesima sosta la mattina e ennesimo cay offerto da qualche uomo sul bus. Mi sento meglio che a casa in questo paese!
Arriviamo a Urfa alle 15.00. Urfa, cioè Sanliufa, che significa Gloriosa Urfa, non confondiamoci, Ataturk le ha cambiato il nome. Accidenti ho i piedi gonfi come due cotechini! Devo essere rimasta troppo ferma sul sedile e mi fa impressione guardarli. Non facciamo in tempo a prendere i bagagli che un signore curdo ci nota, si avvicina e ci propone la sua guest house per 25 lire turche a notte a persona con colazione e cena., circa 12,50 euro. Accettiamo. Lui e la moglie Ferida affittano queste stanze, si chiama Guest House Lizbon Konukevi e si trova proprio fuori dalla cittadella di Urfa. La posizione è centrale, oggi Urfa conta ben 1 milione di abitanti ed essere così vicino alla cittadella è una comodità. Diciamo che l'ambiente è davvero molto spartano, che non consiglierei in genere. Il bagno è in comune e le stanze molto basic per intenderci.
Subito nonostante i 45 gradi raggiungiamo la maggior attrattiva di Urfa: la cittadella.
Ufa nel II millennio a.C. era una delle città dello stato urrita. Prima il suo nome era Ur, poi fu chiamata Edessa. Secondo le leggende Abramo nacque qui, in una grotta, perchè prima della sua nascita gli astrologi del re Nimrod videro una grande stella venire da oriente. Credendola una minaccia costruirono un palazzo per custodire tutte le donne in gravidanza e uccidere tutti i figli appena nati. Fu allora che secondo la leggenda, la madre di Abramo fuggì in una grotta per darlo alla luce.
Oggi questa grotta che si trova all'interno della cittadella vicino alla moschea Mevlid Halil è meta di pellegrinaggio da parte di tutto il mondo islamico. Abbiamo incontrato pochissimi occidentali, i turisti in questa zona sono in maggioranza Siriani, Iraniani e dei paesi del medio oriente. All'interno della cittadella tutto è in roccia color miele. Vi è un bel parco verde chiamato Hizir Ibrahim Halilullah con alberi che offono ombra, tantissimi tavolini in cui si beve cay, una fontana dentro un laghetto in cui vanno persino piccole barche in legno. Sulla collina ci sono i resti un castello risalente alle Crociate. Due alte colonne corinzie si ergono fiere verso il cielo dalle rovine e l'ennesima bandiera turca svolazza fiera verso cielo azzurro.
Una piscina sorge vicino alla Moschea di Halil Rahman e contiene le carpe sacre. Le ho amate dal primo momento queste carpe. Sono tantissime, grosse e affamatissime. Non fanno che mangiare tutto il giorno! E' proibito pescarle, una volta per chi le mangiava la pena era la cecità, oggi comunque non sfiderei mai un turco o un curdo toccando le loro carpe sacre, che mangiano più di me e non è facile credetemi. Gli ambulanti vendono piattini con il mangime, i fedeli li buttano nella piscina alle carpe che quasi saltano fuori dalla vasca, saltano l'una sopra l'altra per mangiare. Lo spettacolo è divertentissimo! Le carpe sarebbero sacre perchè una leggenda racconta che Abramo, infuriato, distrusse le divinità pagane, recando così offesa all'allora Re Assiro Nemrud I, che decise come punizione, quella di bruciarlo vivo nella pubblica piazza. Dio allora trasformò il fuoco in acqua e i carboni in carpe.
Girovaghiamo incuriositi per la cittadella e il suo giardino verde pieno di persone, famiglie e bambini festosi. E' bello vedere in giro tanti bambini e tanta serenità. Tutti i bambini parlano inglese e sono molto curiosi, spesso ci fermano per parlare con loro. Noto subito che tutti amano farsi fotografare. Addirittura ci danno il loro indirizzo email per spedire poi le foto.
Ci fermiamo in uno dei tanti tavolini all'ombra per gustare un buon cay sotto gli alberi vicino al laghetto. L'atmosfera è tranquilla e rilassata. La sensazione di pace che si respira qui è immensa. Ci sono un sacco di persone e tutti girovagano pacatamente. Qui le donne portano tutte dei copricapi colorati, quasi nessuna è vestita in maniera occidentale.
Riprendendo il nostro giretto ci perdiamo per il bazar più autentico che abbia mai visto. Altro che roba per turisti, questo si che è vero mercato. I prezzi sono molto bassi, ci gustiamo un kebeb arrotolato di pollo per una lira a testa. Continuiamo a girare per queste vie coperte e piene di mercanzie di ogni genere.
Presto sono le sette e rientriamo per la cena nella nostra guest house. Aziz e Ferida ci accolgono sempre con un sorriso e sono il primo assaggio dell'ospitalità curda. Ci sono altri ragazzi ospiti tedeschi e della repubblica ceca. Si mangia nel cortiletto insieme un cous cous e un piatto a base di melanzane e carne. Tutto ottimo e abbondante. Qualche bicchiere di cay per finire in bellezza e parte la musica curda. Si balla insieme con i nipoti e gli altri ospiti. Si parla di tante cose, del viaggio, del nostro paese. Impariamo qualche vocabolo, ci scambiamo informazioni e giochiamoo tutti insieme a backgammon. Bè i curdi ci stracciano, ma in fondo è il loro gioco, ci sta. La serata passa veloce e ci divertiamo un sacco, si è proprio questo il viaggio che stiamo cercando. Una bella doccia e a letto. La stanza è un forno e i muri sono caldi! Settimana scorsa c'erano 52 gradi, accidenti! Per fortuna abbiamo il condizionatore per far scendere di qualche grado la temperatura.

8 agosto 2010
Mi sveglio in una pozza di sudore, il sole è già caldissimo e i muri quasi scottano. Ci alziamo presto e facciamo colazione nella guest house. Pomodori e cetrioli, formaggio, pane, miele e ovviamente l'immancabile cay bollente. Ci carichiamo di energia per affrontare il nuovo giorno. Oggi passeremo la mattinata ad Harran e Aziz ci fa da guida.
Nel testamento era ritenuta la città antica e dove Abramo visse per molti anni. Nella Bibbia viene indicata come l'antica Carre. Si trova ad una quarantina di km da Urfa e a soli 10 km dalla Siria. Solo l'idea mi sembra mito, leggenda e storia. La strada da Urfa è dritta verso la Siria tra campi coltivati a pistacchi e angurie.
Arrivati si ammirano le case alveolari simili ai trulli che si trovano in Puglia, costruite in pietra e rivestite in fango per essere fresche in estate e calde in inverno. Qui si trovano i resti archeologici di una delle più grandi Università Coraniche e i resti dell'antica Carre con mura costruite nel 744 e 750, un minareto, quattro porte e la cittadella. Visitiamo questi resti millenari, affascinati. Troviamo persino un serpente, quello non mi affascina per nulla però. I resti si stagliano nella pianura arida e il cielo azzurro. Sono recintati ed entriamo da uno squarcio che è stato fatto nella rete. Aziz ci spiega un pò e poi ci aspetta in un bar. Ci fermiamo a girare per i resti di quella che dovrebbe essere una delle città più antiche del mondo. Anche i trulli sono carini, ricoperti da fango, sono un pò ovunque.Ci gustiamo un cay alla mela in compagnia, sotto l'ombra della tenda, ci vuole proprio, è mezzogiorno e il caldo dei 45 gradi si fa sentire.
Paghiamo il biglietto per vedere altre vestigia archeologiche e le guardie ci offrono un altro cay, che accettiamo con piacere. In un altra zona di Harran stanno ballando in cerchio, c'è la musica alta e persino un vocalist con microfono che canta ed intrattiene. I bambini ci vengono incontro come scendiamo dalla macchina. Qui curdi e arabi sono le etnie principali. I bambini non chiedono soldi ma di farsi fare foto in continuazione e si divertono a guardarle. Nel frattempo gli altri ballano a piccoli passi, alzano le spalle a ritmo di musica e urlano stile indiani.
Torniamo alla nostra Guest House con Aziz e anche se è proprio l'ora più calda della giornata torniamo alla cittadella di Urfa. Strada facendo passiamo dal negozio di uno dei suoi nipoti: e allora ci offre l'ennesimo cay della giornata e chiacchiera un pò insieme a noi.
Andiamo a vistare i resti del castello, visto che non siamo ancora saliti. Da lì si vede tutta la città e tutto il verde del parco della cittadella. Anche se fa caldo e tutti ci sconsigliano di girare nel primo pomeriggio, ci andiamo. Dalla cittadella si salgono gli scalini in pietra e si arriva al castello. Da su è bello il panorama verso il resto della città nuova, su quella vecchia e sul parco. Belle anche le due colonne corinzie che si alzano verso il cielo blu e limpido.
Scesi entriamo nella grotta di Abramo. Ci sono due ingressi uno per le donne e uno per gli uomini. Ci si toglie le scarpe, ci si copre e si entra in questa piccola grotta piena di donne che bevono dalla stessa ciotola l'acqua miracolosa che sgorga. Mi hanno vietato le foto, ma si può essere più fortunati, dal momento che in giro ne ho vista qualcuna. E' un'esperienza da fare comunque: è un via vai di donne oggi, è persino difficile arrivare alla fonte. C'è una vetrata con il resto della grotta illuminata con luce verde, un pò kitch. Usciti dalla grotta ci immergiamo nel bazar, per mangiucchiare e girovagare un pò. La piscina delle carpe è sempre uno spettacolo divertente e anche i tavolini per bere cay sono sempre una sosta piacevole. Dopo aver visto il tramonto sulla città torniamo e ceniamo in guest house con Aziz, moglie e gli altri ragazzi. La cena è sempre ottima, cous cous e verdura al forno con carne, bibite e cay.
Dopo cena andiamo a fare ancora un giro per la cittadella. Deliziosi baretti con vista sulla vasca e sulle mura illuminate. Questo luogo è molto bello anche la sera, regna una pace e una serenità uniche. Il bello è che è pieno di gente che beve, passeggia e ovviamente da il cibo alle carpe.
Rientrati restiamo a giocare a backgammon. Ovviamente non riesco mai a vincere, nonostante i suggerimenti! Balli curdi in compagnia, due chiacchiere, qualche tè e andiamo a nanna. Un'altra stupenda giornata è passata. Qui che sembra di essere dal'altra parte del mondo, mi sento proprio a casa.

9 agosto
Sveglia alle 7.00, colazione abbondante e doccia. Oggi andiamo, sempre con Aziz, alla scoperta del Nemrut Dagi. Ci sono anche dei dolmus, cioè dei piccoli bus, che organizzano le gite. Noi scegliamo di andare con lui per avere più libertà. Ho desiderato così tanto arrivare fin qui e raggiungere questo monte che sono a dir poco emozionata.
Alle otto puntuali partiamo e subito Aziz ci delizia di un contromano e una rotonda presa al contrario, iniziamo bene. I chilometri per raggiungere il Nemrut sono 170 circa. Faremo comunque delle tappe intermedie perchè ci sono un sacco di altre cose da vedere. Come gli altri giorni il tempo è bellissimo e nel cielo non c'è una nuvola.
La prima tappa è un punto sopraelevato dal quale si ammira la grande diga di Ataturk, Atatürk Baraji in turco, che da quindici anni fornisce acqua a tutta la regione. Ha davvero cambiato l'economia e i volti di questi luoghi prima aridi, ora ben coltivati a cotone, grano, pistacchi, melograno, anguria e melone. La diga è enorme, è la sesta al mondo per grandezza. Ci sono tante spiagge ed è possibile fare il bango. Noi ci limitiamo ad osservarla da lontano, con il suo grande canale d'acqua che arriva in Siria. Per fortuna i finanziatori han tagliato i fondi per la nuova diga che avrebbe distrutti paesini storici unici, come Hasankief.
Proseguiamo per la strada che attraversa appezzamenti di terreno verdi e gialli, grano tagliato e coltivazioni di pistacchi. La grande diga si intravede sempre, sembra un immenso lago blu.
A Katha, l'ultimo paese prima del monte Nemrut, ci fermiamo solo per prendere da bere e un anguria per il viaggio.
Proseguendo la strada inizia a salire dolcemente e la prossima sosta dopo una decina di chilometri è la tomba del tumulo Karakus Tepesi eretto dal re Mitridate II di Commagene per sua madre Isias, la figlia ed una nipote. E' piccolo e semplice, ma ugualmente affascinante. Il tumulo sepolcrale è alto 35 metri ed ha un diametro di 100 metri circa. Aveva 18 colonne di altezza dieci metri con un'aquila romana sulla sommità. Ora ne è rimasta una sola e l'usura del tempo l'ha danneggiata e ne fa solo immaginare l'orginaria bellezza. Altre 6 colonne alte circa cinque metri ornavano questo sito, ora solo 2 sono rimaste. Una colonna porta in cima un leone e una un toro. Il panorama qui è collinare, si vedono i dintorni e le montagne, in questa mattina assolata e deserta sembra quasi un luogo sconosciuto e lontano. Ci sentiamo quasi dei veri esploratori. Solo silenzio e vento per le strade deserte. Incontriamo solo un bus organizzato che torna dall'alba al Nemrut e due chiacchiere fa sempre piacere scambiarle con i pochi turisti che si vedono qui in giro.
Proseguendo per la strada passiamo sul ponte romano Chabinas, costruito nel II secolo sulla gola del fiume Cendere Suyu, dalla Legio XVI Flavia Firma in onore di Settimio Severo, di sua moglie Giulia Domna e dei figli Geta e Caracalla. Il ponte è stato ricostruito, è carino anche se così nuovo perde quel fascino di antico, da l'idea comunque di come doveva essere un tempo. E' lungo 150 metri e largo 7 con quattro colonne alte 10 metri alle estremità del ponte. Queste sono originali. Ora ce ne sono solo 3 perchè una è stata distrutta, quella in onore del figlio Geta assassinato dal fratello nel 212. La gola in cui si trova il ponte è molto bella e anche il fiume è invitante. C'è solo una famiglia che sta facendo pic nic e i bambini che saltellano nel fiume.
La sosta pranzo la passiamo nell'antica Katha. C'è una fortezza sulla sommità che domina il paesino, una manciata di case che sembrano dimenticate dal resto del mondo. E' Yenikale (Castello Nuovo) costruito dai Mammelucchi. Non lo visitiamo perchè è in restauro.
Ci fermiamo in un baretto per bere e mangiare qualcosa. Dopo una breve sosta facciamo un giro per il piccolo villaggio che è lì sul monte, tra piccole stalle, mucche e galline ruspanti. Un abitante vedendoci in giro a zonzo ci accompagna e ci ospita a casa sua per una piccola sosta con cay e uva. L'accoglienza in questo paese è unica. Parla solo turco e parla tutto il tempo. A volte sarebbe carino capire cosa ci dicono. Noi ripetiamo sempre Italia, Urfa e Nemrut, va bè cerchiamo di dire qualcosa.
Prima di riprendere il viaggio Aziz ci accompagna al fiume, in un punto poco visibile, perchè lungo il tratto le ragazze fanno il bagno vestite e si allontanano da noi. Sotto in una gola scorre questo fiume dal bel colore smeraldino e ci concediamo un bagno. Ci sono persino delle tartarughe, che si allontanano purtroppo. E' uno scorcio molto bello e pensare di essere qui a fare il bagno nella mitica Mesopotamia mi affascina. Così non solo ho attraversato l'Eufrate, ho fatto anche il bagno in Mesopotamia. Se non è roba da libri di storia, ditemelo!
Il viaggio continua e dopo questo bagno rigenerante si riprende la strada, sempre deserta. Inizia la salita sul monte, ma per arrivare alla meta finale ne manca di strada.
Ci fermiamo a Eski Kale, la città di Arsameia, un santuario funebre vicino a Kocahisar che venne costruito da Antioco I in onore del padre Mitridate I. Qui troviamo i primi turisti, asiatici che credono di salire su montagne alte 2.000 metri con ciabatte infradito ai piedi e ombrellini di carta colorati. Un sentiero pedonale sterrato in salita ci permette di raggiungere una piccola terrazza. Qui ci sono i resti di una iscrizione rupestre, in caratteri greci, che è stata ritrovata. Dei gradini scavati nella roccia portano ad un tunnel che scende per 158 metri. Solo una ventina di metri sono ora realmente praticabili. Chissà dove conduceva un tempo. Credo che Aziz si diverta dicendo agli asiatici che nel tunnel ci sono serpenti grandissimi che hanno mangiato chi ha provato a scendere da lì. Va bè non vado a verificare di persona, che è meglio. Bello è il bassorilievo scolpito nella roccia, risalente al 50 a.C., che ritrae Mitridate I Callinicus che stringe la mano ad Eracle.
Beviamo un cay sotto le tende del baretto sotto e si riparte di nuovo.
La strada sale sempre più tra i monti ed è fatta da lastre in basalto, richiede senz'altro attenzione, non ci sono protezioni. Ma non è nulla di così spaventoso, come mi aspettassi. Siamo i primi a salire e la nostra macchina sembra guidata da un pazzo ovviamente. Capisco quali sono i pericoli della Turchia, altro che PKK, la guida turca è molto peggio! Mai visto Ale così spaventato!
Io sono così emozionata che non mi preoccupo, anzi mi godo la bella la sensazione salendo, sembra che ad ogni curva siamo arrivati e invece niente. Sarà che ero impaziente e troppo curiosa, ma mi è sembrato di non arrivare mai. Ogni volta immaginavo di vedere la sommità e invece ancora niente. Arriviamo finalmente al parcheggio, dove c'è un bar e la strada per salire alla vetta.
Percorriamo gli ultimi 400 metri a piedi su un terreno abbastanza ripido. Sento subito che la temperatura cambia. Il panorama ripaga senz'altro della fatica, si vede tutt'intorno, semplicemente maestoso e magnifico. Il vento che soffia contribuisce a dare una sensazione di isolamento. Si era scelto proprio un bel punto per vedere tutto il regno, penso guardandomi intorno mentre cerco di immaginare come dove essere all'epoca il regno, dato che secondo le nostre conoscenze era verdeggiante e ricco di cedri del Libano. Ma la cima ancora non si vede ed è solo muovendo i passi sugli gli scalini che portano alla terrazza che finalmente scorgiamo questo luogo mitico, in tutta la sua semplice bellezza. Arrivati in cima si vede la montagna di sassi che sembra quasi una piramide perfetta ornata alla base dalle statue e le teste crollate a terra di pietra chiara. Immagino chi l'ha scoperto per primo cos'ha provato e noi stiamo camminando sugli stessi scalini. E' di un fascino incredibile. Le teste che son piene di crepe in superficie sembrano avere le rughe per il tempo passato. Per fortuna non c'è molta gente. Certo essere da soli qui dev'essere un'emozione indimenticabile ma ci dicono che per essere agosto siam fortunati perchè solitamente c’è molta più gente. Siamo a 1.050 metri e tutto il regno di Commagene è sotto i nostri occhi. Montagne marroni, arancine e in toni persino del blu e del violetto si mescolano a profili foschi in lontananza.
Respirando intensamente mi guardo intorno alla ricerca di queste alture che si estendono a perdita d'occhio e riesco a vedere persino l'Eufrate. Penso a questo folle re che ora è ricordato per sempre. Mi immagino che sorrida fiero, quasi, ora che siamo tutti qui ad ammirare quel che fece 2.100 anni fa. Qui, sulla sommità del Nemrut, si erge la tomba santuario del re Antioco I di Commagene. Il tumulo di pietra frantumata, di piccoli detriti di calcare ha un diametro di 150 m e un altezza di 50 m. Le statue sono sotto e in controluce sembrano mitiche. Non posso far altro che ammirare stupita questa meraviglia. I terremoti e le intemperie del tempo, nel corso dei secoli hanno danneggiato il sito e decapitato le statue. Le teste ora sono lì alla base del tumulo e lo rendono forse ancora più suggestivo. Pensare che dentro il luogo della sepoltura, che nonostante diversi tentativi, non è stato ancora esplorato perchè non ci sono ancora arrivati. Originariamente le terrazze erano tre: terrazza nord, terrazza ovest e terrazza est. Ora se ne vedono solo due. Quella a nord era un punto di raccolta per i pellegrini che salivano. Un leone e un'aquila di grandi dimensioni erano le statue all'entrata. Purtroppo non è rimasto nulla e oggi non si vede nemmeno.
Noi siamo saliti dalla parte della terrazza est, quella orientale. Le statue sono 5 di un'altezza di 10 metri circa raffiguranti Antioco I, la dea Tyche, Zeus-Oromasde il padre degli dei, Apollo-Mithra-Helios-Ermes ed Eracle-Artagnes-Marte. Sono seduti con le mani sulle ginocchia. C'era un grande altare ed ora ne rimane il basamento. Le statue sono ben consevate, mentre le teste si sono rovinate molto.
Girando la cima arriviamo alla Terrazza ovest, quella occidentale. Ed è ancora una sorpresa più grande. Le statue sono simili, più danneggiate ma le teste sono molto meglio consevate. Sono gli stessi personaggi perchè secondo la leggenda si svegliavano all'alba nella terrazza est e si ripietrificavano al tramonto, quelle della terrazza ovest. Era stato costruito doppio, in funzione del levar e del tramontar del sole. Il leone e l'aquila erano i simboli della dinastia di Commagene e chiudevano la scena, come guardiani ideali di questa tomba. Il leone re degli animali e l'aquila messaggera. Vi è anche una lastra con in bassorilievo il "leone astrale", uno dei più antichi oroscopi del mondo. E' stato ritrovato persino il testo in greco del pensiero di Antioco I con la volontà di essere sepolto in questo luogo con tanto di riti da eseguire per onorarlo.
Il sole è ancora alto alto nel cielo e restiamo qui seduti ad ammirare questa meraviglia in attesa del tramonto. La fatica e la strada per raggiungere questo luogo valgono le emozioni che sto provando. Senz'altro è da vedere una volta nella vita. La mitica Mesopotamia e le teste per terra sono affascinanti. Mi dicono che un progetto le rimetterà su al loro posto, ma così sono forse ancor più belle. Forse le statue complete renderanno l'idea originaria del sito, forse tornerò un giorno a rivederle. Ora rimarrei qui ore, ci siamo rimasti due ore ma il tempo è davvero volato. Sono rimasta incantata a guardare queste teste verso il cielo blu, magnetico nella sua purezza. Poi il sole comincia a scendere e a colorare il cielo. In lontanza i profili delle montagne sono avvolti da una foschia azzurrina con toni fino al violetto. Le teste sono baciate dalla luce rossastra e calda del tramonto. La grossa palla infuocata scende fino a somparire dietro il profilo nero dei monti, lasciando il cielo, per un pò, di un rosso fuoco.
Finito il tramonto ci incamminiamo muti al seguito di Aziz che agile scende dal sentierino. Ci viene due o tre volte la settimana, ma non gli chiedo se si è abituato a quella sensazione di star lì con le teste sulla cima del Nemrut. Ci aspetta una lunga strada per ritornare a casa. Ma i chilometri da percorrere in questo viaggio danno il tempo di pensare, di gustare, di guardagnare ogni meta con soddisfazione. Tre ore è il tempo che impieghiamo per ripercorrere i chilometri di strade a volte interrotte da lavori, non asfaltate e la guida pazza del nostro curdo.
Alle undici ritroviamo in guest house Ferida che aspetta per la cena e gli altri ospiti in relax. Divoriamo tutto, beviamo il buon cay e dopo aver saldato il conto andiamo a letto. Domani si riparte. Destinazione Mardin... e siamo solo all'inizio!

10 agosto 2010
Stamane lasciamo Urfa, anche se ormai ci sentivamo a casa e soprattutto affezionata alle carpe sacre, le mie carpine, per andare a Mardin. Questa città è stata dichiarata dall’Unesco patrimonio culturale dell’umanità. Fino a poco tempo fa, mi dicono, era chiusa al turismo per via delle tensioni tra governo e Pkk. Volevo farla in giornata ma non è così vicina, sono 175 km. Cercheremo un hotel per la notte. Ho sentito che è una cittadina molto carina e son curiosa. Volevamo andare anche ad Hasankief, ma è crollato un masso grande nel fiume e han chiuso il castello. Ci porterebbe fuori strada anche, così un pò a malincuore, decidiamo di saltarla.
Ci si alza presto, una bella colazione, un pò di cay bello caldo e si parte. Prima Aziz dice che dobbiamo prendere un taxi, ma poi usciti dalla sua guest house facciamo 20 metri e lo sentiamo che ci chiama e ci dà un passaggio. Ci ero rimasta un po' male. Ma i curdi sono speciali, ci ha ripensato, lo sapevo! Aziz ci accompagna alla stazione Otogar dei pullman che si trova a 7 chilometri dal centro, perchè l'hanno rifatta poco tempo fa fuori dal paese. Ci augura buon viaggio, ci saluta e aspetta che arrivi il nostro bus. Fatti i biglietti radunano in gruppo chi, come noi, va a Mardin. Siamo in sette, bene, ci caricano su un'auto. Si, noi sette e il conducente. Non capisco come riescono ad incastrarci tutti con zaini e bagagli, ma ce la facciamo. Cose turche! A volte prendi il bus nelle fermate principali fuori dal paese a volte, invece, ti caricano e ti portano ad altre fermate. A volte paghi questi trasferimenti e a volte no, non ho ancora capito come funziona. Arriviamo dopo un paio di minuti, per fortuna, visto che siamo così incastrati che quasi dubito di riuscire a scendere prima o poi. Il pullman è appena arrivato, carica le nostre valige e parte. Prendiamo il bus da Urfa alle 9.00 e in tre ore siamo a Mardin. E' mezzogiorno. Come sempre è una giornata limpidissima, sole e cielo blu.
Il bus arriva alla città nuova, da qui si deve prendere un altro mezzo per la cittadella. Andiamo già ad informarci per il bus che ci porterà a Van. Bene, il ragazzo dell'unica agenzia non parla inglese e nessuno dei presenti. Ok, parto con il mio mimo "Van golu"... "bus"... bene ci scrive l'orario di partenza su un pezzo di carta e ci mima che dobbiamo tornare a Diyarbakir e il bus c'è domani. Va bene cercheremo un hotel e restiamo per la notte, domani faremo i biglietti. Ci scrive su pezzo di carta il nome di un hotel e ci indica la fermata per il paese vecchio. Armati dei nostri bagagli prendiamo il pullmino che porta nella cittadella, che si sviluppa tutta intorno sulla cima della montagna. Appena saliti abbiamo gli occhi addosso. Occhi curiosi che subito dopo ci chiedono di dove siamo. In turco ovviamente e non so se la domanda era quella, ma rispondiamo "Italia" e tutti sorridono ripetendo "ah Italia"... C'è una sensazione di amicizia unica, come se in questo paesino ci si conoscesse tutti. Molte donne mi fanno sorrisi e guardano curiose, quando noi osserviamo loro. Quando scendono ci salutano, qualcuna mi abbraccia e mi manda baci e ancora una volta capisco che qui l'arrivo di uno straniero è ancora un piccolo evento. Ci si sente davvero ospiti da queste parti. Tutti sul bus sanno in che hotel andiamo e solita cortesia si ferma davanti al nostro hotel per farci scendere. Qui non ci sono mai le fermate, la gente alza la mano e scende dove vuole. Tanto il dolmus va avanti e indietro tutto il giorno e un bus si trova sempre.
Il primo colpo d'occhio ci colpisce subito. Unico nel suo genere, per ora, questo paesino è completamente costruito in roccia chiara, di un colore caldo, miele. Le case sono finemente decorate e intagliate. L'architettura di questo paese è davvero deliziosa. E' una città ricca di storia e di elementi che riportano al passato, come l'aramaico che qui parlano ancora.
Le case sono aggrappate al promontorio arido e si sviluppano a gradoni. Il paese è ricco di moschee, madrasse e chiese. Siamo a 1.083 metri di altitudine e il panorama sulla pianura mesopotamica è superbo. Ovviamente ci sono i soliti quaranta gradi secchi ed un bel sole a picco. La grande distesa mesopotamica è colorata a scacchi verdi e gialli. E io che la immaginavo completamente gialla. Si estende davanti ai nostri occhi e scompare lontano, in una lieve foschia.
L'hotel da fuori non sembra male è in una bella posizione ed è economico. Le solite 25 lire turche a testa, Basak Otel. Non lo consiglierei nemmeno ad un cieco! Il bagno è in comune con tutto il piano dell'hotel e non racconto come è messo, la finestra della doccia da sul corridoio ed è inguardabile anche da lontano. Per una notte possiamo farcela e a me non interessa molto, ma da evitare. Un ragazzo turco, poverino, non vedente ha la camera con le finestre che danno sul corridoio. Forse ignaro dorme con la finestra aperta. Vado a fare la doccia in un locale che anche nel terzo mondo sarebbe considerato fatiscente. Uscendo trovo Alessio di fianco ad un ragazzo che lava i piedi nel lavandino. Lo guardo un pò scioccata, ah è il ragazzo non vedente, poverino.
Usciamo a fare un giro per questo pomeriggio assolato e caldo. Il paesino è arroccato su per il pendio con case ammassate guardano verso la Siria. Ci sono tante terrazzine per bere cay, molto carine. Per prima cosa ci concediamo un tè con magnifica vista. Riprendendo a camminare senza meta ci ritroviamo davanti ad un bellissimo edificio. Vedono che curioso e subito ci invitano ad entrare. E' l'ufficio postale del paese, nonchè un ex caravanserraglio del diciassettesiamo secolo. Probabilmente è l'uffico postale più bello del mondo, o almeno della Turchia.
Cammino guardando in aria per ammirare le decorazioni in pietra e penso a come doveva essere nel passato durante le varie dinastie. Fu voluta da Saladino, posseduta da Tamerlano e dai persiani. Fu attaccata dagli Omayyadi e Abbassidi, sciiti e curdi sunniti, Selgiuchidi e Turcomanni.
Gironzolando finiamo per esser presi per mano da alcuni bambini. Vogliono solo chiacchierare un pò, sanno l'inglese e si divertono a portarci in giro per il paesino per quelle strade che solo i bambini fanno. Ci portano prima in una moschea, accendono le luci, mi fanno togliere le scarpe e mi coprono il capo con una stoffa. All'interno delle tombe e l'impronta del profeta Maometto, così capiamo, protetta da una teca in vetro con dei buchini. I bambini mi fanno segno di annusare, ma non sento l'odore del piede. Proseguiamo per stradine in salita verso i resti del castello. Dobbiamo anche scappare perchè c'è un cane randagio che ci ringhia. Fare la strada principale no? Va bè alla fine è divertente arrivare in cima un pò all'avventura. Parte del castello è zona militare, perchè punto strategico da cui si vede fino alla Siria, quasi dimentico che fino a poco fa era una zona calda, tanta è la tranquillità che mi sembra di vedere ora. Da su il panorama è particolarmente bello con il paese dorato che si estende ai nostri piedi nel tripudio di terrazzine, cupole e minareti affacciati sulla grande pianura Mesopotamica. Le cupole sono di ogni forma, così eleganti e i minareti decorati si stagliano verso la pianura a scacchi davanti a noi. I bambini si divertono a guardare nell'obbiettivo della nostra macchina. Ci danno il loro indirizzo di facebook per mandar le foto!
Saltando giù da un paio di gradoni arriviamo all'ingresso della grande moschea la Ulu Camii dalla bella cupola di pietra a spicchi che risale all'epoca selgiuchida del XI secolo e il minareto sulla Mesopotamia, che per la foschia non ne vediamo la fine. Nel chiostro della moschea un pò di verde, una fontana ed archi da cui si vede sempre questo bel panorama. La guardia viene a chiedere la nostra nazionalità per segnarla su un registo e cordialmente saluta. In una delle sale della moschea le colonne sono progettate per resistere ai terremoti, perchè sono girevoli. Qui i terremoti sono di casa e in questo modo si conserva l'edificio intatto, che resiste alle scosse. Fantastico. C'è sempre da imparare. I bambini ci avevano aspettato fuori, ma poi entrano a bere dalla fontana e insieme usciamo. Ancora qualche gradone bello alto da saltare e siamo giù. Non hanno notato che non sono così giovicella ed agile? Ci salutano sorridenti e ci augurano buon viaggio, mentre tornano a giocare dagli amici.
Facciamo un giro per il bazar. Uomini vestiti in modo tradizionale con gilet, sciarpa in testa e pantaloni con cavallo molto basso, tutti hanno un abbigliamento tradizionale. Diversi usano degli asini bianchi, su e giù per le vie a gradoni di questo bazar all'aperto. Qui i negozi sono quasi solo alimentari. Nessuno ci chiama per vendere, al massimo ci osservano e sorridono. Passeggiamo tra minuscole botteghe che si susseguono per la strada a tratti gradinosa, a tratti sterrata. Si lavora la lana, si riparano le selle, si vendono cay, saponi, frutta secca, formaggi e carni, carcasse di animali e teste di pecore in bella vista. Compriamo un pò di tè, un sapone alla mandorla e delle mandorle tostate.
C'è anche un Museo archeologico che raccoglie ritrovamenti della regione, ma non lo visitiamo. Tornati per le vie centrali siamo nella piazza con dei taxi. Decidiamo di andare a vedere l'antico monastero Deir Az-Zafaran, di rito siriano ortodosso, che dista 7 km. E' stato distrutto e riedificato più volte dopo le conquiste dei siriani e dei mongoli ed oggi è un importante collegio per studiosi. Una delle tante leggende dice che sia sacro perchè edificato sulla pietra che usò Pietro dopo le parole di Gesù "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa." Ma non era a Roma?
La presenza di questo genere di monastero non è così insolita, perchè qui ci sono diversi monasteri cristiani. Qui la lingua liturgica è ancora l'aramaico. Contrattiamo con un taxi l'andata e ritorno, compreso il tempo di aspettare che facciamo la nostra visita. Arrivati c'è una guida che spiega, ma solo in turco. Così mi aggrego a due viaggiatori: un ragazzo americano che fa il giro con un turco che da anni vive in Germania, un suo amico. Così sento la spiegazione in tedesco e qualcosa capisco. Il monastero risale al 397. Nel passato era utilizzato dai romani come fortezza, fu in seguito un Monastero e sede del Patriarcato della Chiesa siriaco ortodossa. Il colore delle pietre che lo componfono e i fiori di zafferano che crescono intorno gli hanno dato il nome: Deyrul Zafaran, zafferano appunto. Leggende popolari dicono che lo stesso zafferano fu mescolato alla malta, per dare questo bel colore caldo. Quanto mi piacciono le leggende e da queste parti se ne sentono molte, che siano vero o false ha quasi poca importanza. Il monastero sorge sulle rovine di un tempio degli adoratori del sole. Si trova un pò isolato e da qui si vede tutta la cittadella di Mardin a ridosso della montagna. All'ingresso vedo delle foto invernali, sotto la neve è davvero magico questo monastero.
Ripreso il taxi torniamo in città per fare due passi e goderci il tramonto. Ci sistemiamo su una delle terrazzine panoramiche. Ci gustiamo due cay, io lo prendo alla mela, il mio preferito. E' proprio un angolino delizioso. I minareti decorati e le cupole arricchiscono il panorama. Con il il tramonto, il sole colora il cielo e la leggera foschia sfuma i contorni di alture lontane. Molti gli uccelli che volano in cielo e gli aquiloni. La luce aranciata e calda colora le pietre dorate dei minareti sulla Mesopotamia. Un bel tramonto davvero.
Per cena ci fermiamo in un posto molto locale e ci godiamo una bella cenetta. Insalata di pomodori con tanto di salsa al melograno, insalata di prezzemolo e cipolle, zuppa locale, due piatti di carne con verdure di diverso tipo, riso in bianco e ayran da bere.
Anche se qui c'è ancora chi parla l'aramaico non trovo nessuno per conversare sulla lingua di Gesù o per avere maggiori informazioni. Ci pensate la lingua di Gesù? Magari siamo noi che non ne riconosciamo il suono. Mi dicono che in aramaico Mardin è formata da "Din" che vuol dire religione e da "Mar" che significa santo.
Dopo cena un cay e ci incamminiamo verso l'hotel. Troviamo ancora i bambini di oggi che ci salutano e dicono che stanno tornando a casa per andare a dormire. Che carini. Andiamo a nanna anche noi. Domani partiamo alla volta di Van.

Il racconto delle giornate sul Lago di Van sarà il soggetto della seconda parte. Sempre su Ci Sono Stato, naturalmente!

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