Il Piz da Lec', fantastico osservatorio del Sella

Da raccomandare: una gita facile, scenari meravigliosi!

Ancora una volta sono tornato nel Gruppo di Sella, per il quale non nascondo una spiccata predilezione.
Lo so, non è una novità, visto che praticamente ogni anno una puntata ce la faccio, quale che sia la zona dolomitica in cui trascorro il mio immancabile soggiorno di fine agosto - inizio settembre.
L'ubicazione stessa del massiccio lo consente, vista la sua centralità e la relativa comodità di raggiungerne i vari versanti dalle più importanti valli dolomitiche, vale a dire Fassa, Gardena e Badia. A piedi o con i mezzi di risalita, ciò che conta è arrivare lassù, sull'altopiano sommitale del "castello di pietra", e poi le possibilità escursionistiche sono praticamente infinite, magari facendo base per qualche giorno ai Rifugi Boé o Cavazza al Pissadù. Tenendosi lontani dagli itinerari-processione, il visitatore è atteso da continue scoperte di angoli appartati di bellezza selvaggia.
Tralasciando quindi il racconto delle ennesime ripetizioni delle gite "incolonnate" dal Sass Pordoi al Rifugio o al Piz Boè, il Sella mi ha lasciato i fantastici ricordi, grazie anche alla fortuna di due giornate di rara limpidezza, della Ferrata Tridentina e della salita al Piz Boè lungo il sentiero più lungo, meno battuto e di maggiore soddisfazione, quello sul versante di Corvara lungo la Ferrata del Vallon e l'emozionante Cresta Strenta: l'ho già descritto in un precedente resoconto di questa stessa sezione.
Da quelle due gite sono passati quattro anni ed è giunto il momento di saldare un vecchio debito: la salita al Piz da Lec', uno dei punti panoramici più scenografici e forse il più istruttivo per comprendere al meglio la singolare conformazione del Gruppo di Sella.
E' l'ultima giornata della nostra settimana di soggiorno all'ospitalissimo Rifugio Col Gallina e le condizioni meteo si presentano spettacolari: nella luce del primo mattino si possono quasi contare uno per uno i sassolini del Sas de Stria, del Lagazuoi, delle Torri del Falzarego, delle Tofane, delle Cinque Torri, dell'Averau e non si può perdere l'occasione di effettuare nelle condizioni ideali l'ascensione già rinviata due volte negli scorsi anni per il maltempo.
Lasciato in auto il Passo Falzarego, si impone subito una sosta contemplativa in prossimità del Valparola: nella conca della Val Badia è ancora adagiato un fitto "cappotto" di nebbia bianca, a coronamento del quale fuoriesce a giro di orizzonte una fantastica cerchia di cime dolomitiche, occasione per scattare un bel po' di quelle foto che tante volte si ammirano nei libri domandandoci se un giorno potrà capitare anche a noi di arrivare al momento giusto. Beh, finalmente è successo!
Inevitabilmente, la lunga discesa fino a Corvara si svolge nella "pancia" del nebbione con visibilità prossima allo zero, ma già durante la salita del primo tronco dell'impianto del Vallon il manto si va dissolvendo finché, giunti ai 2500 metri della stazioni superiore della seggiovia, la giornata si prospetta memorabile.
Non deve meravigliare se tanti gitanti limitano la loro visita a questo meraviglioso anfiteatro, passeggiando, stendendosi al sole, seguendo con i binocoli le cordate di alpinisti e contemplando uno scenario che non stanca mai: a 360° si distinguono in ogni dettaglio il Gruppo del Puez, i Cir, la Gardenaccia con il curioso cono sabbioso del Col de la Soné, il tavolato della Stevìa, l'imponente Sassongher; oltre il solco della Val Badia, ecco le muraglie del Sasso della Croce e delle Cunturines, i lontani ma inconfondibili Civetta e Pelmo, poi la calotta della Marmolada ed infine, a chiudere il "cerchio delle meraviglie", l'impressionante bastionata del Sasso delle Nove, Sasso delle Dieci e Piz da Lec' interrotta nella sua continuità solo da due profonde spaccature.
Una mera sequenza di nomi, potrà dire qualcuno: vero per gli "estranei", ma per chi frequenta queste montagne un autentico rinnovato piacere, confrontabile a quello di rivedere vecchi amici. Per me, uomo di Liguria, ogni anno la sensazione di un "ritrovarmi a casa"!
Alla pari dei vicini Sasso delle Nove e delle Dieci, il Piz da Lec', visto dalla conca del Vallon, nella verticalità di una parete repulsiva tutto può far pensare tranne che la sua cima possa essere raggiunta da ogni medio escursionista in meno di due ore. In effetti, l'itinerario di salita sfrutta l'unico punto di debolezza della montagna, il versante orientale sul quale essa "si smorza" con alcuni moderati pendii detritici intervallati da qualche salto roccioso di modesto impegno.
Lasciata la stazione superiore della seggiovia si seguono i segnali che puntano al basamento della parete verticale del Piz, lasciando sulla sinistra la traccia che porta all'attacco della via ferrata. Vedendo un gruppo di escursionisti già alle prese con i primi infissi di sicurezza, rimpiangiamo subito di avere sbadatamente lasciato in macchina imbrago e casco: pazienza, sarà un ottimo pretesto (come se ce ne fosse bisogno…) per tornare!
Superato un canalino tra massi di frana facilitato dalla corda fissa, ci si trova su una terrazza erbosa popolata di pecore al pascolo: il luogo merita una sosta per ammirare una splendida panoramica sul solco della Val Badia lungo il quale si allineano i vari paesi, sovrastato dalla parete del Sasso della Croce al di là del quale, prendendo quota, già si intuisce il prezioso "catino" dell'altopiano di Fanis.
Un gradone verticale di una quindicina di metri, che si supera agevolmente grazie a pioli in ferro, porta alla dorsale inclinata lungo la quale si svolge con qualche zig-zag il sentierino per la vetta, la cui grossa croce metallica è già visibile anche se dista oltre mezz'ora di salita. Ci aspetta ancora una pausa contemplativa, una forcella tra due vertiginose quinte di roccia oltre la quale spicca la cima trifida della Torre del Boè, dopo la quale gli ultimi ampi tornanti conducono alle roccette terminali ed infine in cima.
L'ambiente di vetta è entusiasmante e lo dividiamo con altri gruppetti di escursionisti: in tutto una dozzina di persone, compreso due ragazzi che sono saliti lungo la ferrata. Sul terrazzino con la croce tocca "fare i turni" per la foto di rito e la firma sul libro di vetta, con un occhio all'abisso che un paio di metri più in là precipita verticale per 600 metri sulla Val de Mezdì: che differenza con la cima del Piz Boè, dove, pur essendo un vero spiazzo, a volte si stenta a trovare un masso libero su cui sedersi e fare uno spuntino… per non parlare della battaglia per conquistare una birra o un caffè al banco della Capanna Fassa!
Vale ora la pena di guardarsi intorno con calma: abbiamo davvero la sensazione di essere "in cielo" e su questo pulpito a quota 2910 (o 2908 o 2911 o 2915 a seconda delle fonti, vi decidete a mettervi d'accordo?) ci si può veramente fare un'idea esauriente della conformazione del Gruppo di Sella. Sotto di noi si sviluppa la Val de Mezdì, ripidissima nella parte alta subito sotto lo spallone del Rifugio Boè, poi più "morbida" verso il basso, ma sempre imponente e la più importante fenditura a tagliare la continuità dell'altopiano sommitale.
Sulla "sponda" opposta si distinguono l'Antersass, la Torre Berger, il Sass, Bec e Daint de Mezdì, la muraglia della Cima Pissadù; ai piedi di questa, l'omonimo laghetto e il Rifugio Cavazza. Più in là, si riconosce il percorso della Ferrata Tridentina e con il binocolo si individuano i puntini colorati che risalgono la parete della Torre Exner prima del famoso ponticello, anch'esso ben visibile.
Sul nostro versante sono evidenti le calotte del Sasso delle Nove e delle Dieci, la Cresta Strenta e la piramide del Piz Boé, un'infilata di cime impensabile dai gitanti dei percorsi cosiddetti "classici", che invece è terreno di una traversata "in cornice" semplice e remunerativa quanto misconosciuta e disertata. Un'eccellente idea per il prossimo ritorno sul Sella!
Ci si stacca con vero rammarico da questo belvedere privilegiato, ma c'è la consolazione che tra un'ora e mezza saremo al tavolo del Rifugio Kostner al Vallon. Ci aspetta il piacere, anch'esso ripetuto, di un piatto fumante di canederli e di uno strudel da applauso sotto la veranda coperta in legno massiccio dell'accogliente costruzione in pietra a vista, con l'occhio che di tanto in tanto sbircia in alto "ricostruendo" soddisfatto l'itinerario appena concluso.
Degna conclusione di un'altra indimenticabile giornata dolomitica!

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