Un mondo di

La bellezza di una città nata dal deserto e che sta crescendo sul mare

Come spostarsi

Il sole e le distanze non vanno molto d’accordo con i piedi. Passeggiare per Dubai è possibile solo se si regge bene il caldo e si ha con se una bottiglia di acqua ed in ogni caso limitatamente all’area storica della città; per visitare tutto il resto il mezzo migliore è il taxi.
Pratico, facile da trovare ed economico rispetto ai prezzi europei, consente di coprire senza problemi le enormi distanze che separano la Dubai “storica” da quella iper-moderna sfruttando al meglio le 6 corsie di enormi strade rettilinee che seguono per una ventina di minuti (senza traffico) la costa.
Forse le cose cambieranno con l’entrata in funzione della nuovissima (e, ovviamente, avvenieristica) metropolitana attualmente in costruzione ma di prossima apertura (settembre 2009).

Da non perdere

Arriviamo a Dubai alle cinque di mattina dopo sei ore di volo in cui siamo riusciti a dormicchiare ma non a riposarci davvero; ad attenderci uno degli aeroporti più moderni e (poteva essere altrimenti?!) lussuosi del mondo: marmi ovunque, giardini interni, orologi Rolex appesi alle pareti, addirittura una cascata interna illuminata da mille led bianchi… in un posto così si fa fatica a capire se si è svegli o si sta sognando ancora!

Il taxi che ci accompagna all’hotel, prenotato direttamente al Reservation Desk in aeroporto, corre veloce su strade a 5 corsie per senso di marcia e fuori dai finestrini si risveglia una città in costruzione, dove le enormi pubblicità nasconodono solo parzialmente i cantieri e le gru dominano il panorama tanto quanto le torri dei grattacieli che stanno erigendo.

Riposiamo un paio d’ore in hotel e poi affrontiamo Dubai; il piano è semplice: siamo a Bur Dubai, poco distanti da quello che le guide ci indicano come il centro storico della città, quindi l’idea è di raggiungere a piedi Al-Bastakiya, passeggiare sul lato sud del Dubai Creek visitando il souk delle stoffe per poi prendere una delle barche-taxi che portano al di là del fiume e dare un’occhiata ai mercati dell’oro e delle spezie.
Unico problema, e ce ne accorgiamo non appena mettiamo piede fuori dall’hotel, è che fa caldissimo!
Non ci abbiamo fatto molto caso all’arrivo in aeroporto dal momento che era molto presto ed il sole non aveva ancora iniziato davvero a scaldare la città, ora, invece, con un “phon” acceso e puntato diritto in faccia, senza la possibilità di trovare sollievo nemmeno all’ombra, camminare per le vie della città diventa difficilissimo, tanto che la prima tappa è in un supermecato a prendere una bottiglia di acqua fresca.

Al-Bastakiya è il nucleo centrale di Dubai, il seme da cui poi è fiorita una delle città più grandi, ricche e potenti di tutto il mondo. La ristrutturazione delle bianche case a tetto piatto, l’una divisa dall’altra solo da stretti vicoli dove si può camminare trovando un po’ di sollievo dal sole cocente, oltre a mantenere le architettre e l’atmosfera ha riqualificato in maniera ottima gli spazi interni, i piccoli cortili interni e le piazzette del villaggio, tanto che è un vero piacere passeggiare fra musei, gallerie d’arte e negozietti ovviamente destinati ai turisti ma con prodotti di artigianato di ottima qualità. Un piccolo tuffo in un passato modernizzato e graditissimo assaggio di quello spirito arabo (quello dell’immaginario collettivo almeno!) altrimenti irrintracciabile nel resto della città.
Camminando luongo il Dubai Creek e solo dopo esserci trovati per errore a camminare scalzi per i vicoli che portano ad un luogo di culto ricavato ai piani superiori di una serie di case, raggiungiamo l’affascinante souk (mercato) delle stoffe, una lunghissima serie di negozi disposti ai lati di una strada coperta da un tetto di legno, che offrono alla loro clientela metrature di tessuti di ogni colore, abiti tradizionali sia per uomo che per donna e le tradizionali scarpe, simili a ciabatte, luccicanti e decorate in ogni modo possibile. L’aria che si respira (grazie alla copertura del tetto, adesso si riesce a respirare nel vero senso della parola!) è quella del mercato arabo ed a volte si fa fatica a distinguere la quotidianità di queste persone dalla cultura diversa dalla nostra dalle immagini di qualche film o dai disegni usciti dalla matita della Disney per la realizzazione di “Aladin”; la modernità è tangibile ed evidente ma la sensazione di essere in un luogo ben diverso dal nostro “centro commerciale” è davvero stimolante!
Il souk termina a pochi passi dal molo in cui è possibile prendere l’unico vero retaggio del passato che abbiamo potuto vedere a Dubai: le abra.
Queste tradizionali imbarcazioni di legno sono utilizzate quotidianamente da migliaia di persone come mezzo di trasporto comodo ed economico per attraversare in pochi minuti il corso d’acqua; non ci sono ponti (se non un paio ma molto lontani dal centro storico), niente motoscafi, ferryboat o vaporetti o gondole (… qui ci si può aspettare di tutto!), tutti si siedono sulle assi di queste piccole barche coperte, pagano direttamente a bordo al pilota il costo del trasbordo e si godono il passaggio verso l’altra riva guardando, quasi a livello dell’acqua, i minareti ed i palazzi della città e sfiorando le grandi barche/case di legno all’ancora ai fianchi del fiume.
Potrà sembrare strano ma per noi questi pochi minuti fra le onde sono stati quanto di più “vero” abbiamo potuto sperimentare in questa “gigantesca Gardaland del deserto”!
All’arrivo, poco oltre il molo, ci addentriamo nei souk delle spezie ed in quello dell’oro; la struttura architettonica così come l’atmosfera rilassata sono le stesse ma qui finalmente facciamo il nostro primo incontro con una delle più note attrazioni di Dubai: la ricchezza!
Se l’aeroporto ci ha sorpreso al nostro arrivo, restiamo affascinati ed allibiti nel vedere le merci esposte nelle vetrine blindate delle gioiellerie: diamanti enormi, pietre di tutti i colori, diademi arabi e preziosi dal design più occidentale, addirittura catenine vendute esclusivamente al metro! Fare sfoggio ed ostentare la propria capacità economica è una caratteristica trasversale a quasi tutti i popoli, qui, però, trova la sua apoteosi sorprendendo, affascinando ma lasciando anche un po’ sconcertati…

Il caldo è aumentato ma ormai ci stiamo quasi abituando tanto che quando guardiamo il termometro digitale sul cruscotto del taxi su cui siamo saliti non possiamo non pensare che si usi un sistema diverso dal nostro per la misurazione della temperatura o che, altrimenti, sia guasto; il taxista ci rassicura dicendoci che quel 43 che leggiamo è corretto e fra l’altro destinato a crescere fino a 50 – 52 nei mesi più caldi!
Stiamo uscendo dal centro cittadino, ci dirigiamo verso la costa con la nostra auto che si destreggia in un traffico caotico nonostante le numerose corsie delle strade che percorriamo; la destinazione è Jumeirah Mosque, moschea bianchissima con gli alti minareti che, a differenza di ogni altra, è aperta anche ai non musulmani. Oltrepassati i curatissimi giardini che la circondano arriviamo all’ingresso principale dove però ci viene detto che siamo oltre l’orario di ingresso ai visitatori e non ci è consentito entrare; la delusione nei nostri sguardi ed i tentativi di sbirciare l’interno ad ogni apertura delle porte impietosiscono però il ragazzo a tal punto da convincerlo a fare uno strappo alla regola e farci entrare.
In un attimo siamo scalzi, Vicky ha coperto testa e spalle da un velo ed abbiamo il naso all’insù nell’ammirare la struttura della moschea.
A differenza delle nostre chiese quello che colpisce subito è lo spazio.
Niente altari, dipinti, decorazioni, banchi, amboni e pulpiti ma semplicemente colonne altissime ed una distesa di tappeti illuminati dai colori vivaci delle vetrate; restiamo affascinati a guardarci attorno, camminando quasi in punta di piedi per non rompere l’equilibrio fra luce e spazio in cui siamo, non a disagio ma intimamente consapevoli di essere in un posto “non nostro” e per questo ancora più incredibilmente ricco di attrattiva.
Inutile dire che di tutto quanto visto a Dubai durante la nostra breve permanenza la sensazione provata una volta oltrepassate le porte della Moschea è il ricordo migliore che ci siamo portati a casa!

E dopo il misticismo e la cultura storica di Dubai ci tuffiamo nel suo modernismo e nella sua ostentata ricchezza.

Il peggior taxista della storia del trasporto pubblico mondiale, incapace di capire il funzionamento del cambio automatico e probabilmente rubato alla sella dell’amato dromedario qualche giorno prima per essere buttato sul sedile di pelle del taxi odorante di spezie e cipolla, decide di portarci ai piedi del Burj Al Arab come avevamo richiesto solo dopo averci scorrazzato per altri venti minuti sulla Palm, la gigantesca (e questa è la più piccola delle due progettate!) penisola artificiale a forma di palma dove tra gli hotel trovano spazio centinaia di abitazioni private e che culmina con l’Atlantis, l’hotel extralusso che dalla struttura richiama un gigantesco portale in stile arabo. Due fotografie di rito (più che altro volute dal taxista desideroso di farsi una pausa mangiando il suo pranzo a base di spezie e cipolle) e ritorniamo verso quella che avrebbe dovuto essere la nostra meta. Nonostante non si riesca a cogliere la bellezza e la magnificenza dell’opera ingegneristica la digressione ci offre al ritorno un panorama piuttosto emblematico di Dubai: la costa è uno skyline completamente in costruzione con palazzi enormi, grattacieli altissimi ed interi quartieri che stanno spuntando a perdita d’occhio. Quando si parla di speculazione edilizia si hanno in mente strutture anche imponenti ma non intere metropoli e la domanda sul significato di tutto questo non può non nascere spontaneamente; non afferriamo il senso di questa crescita spropositata, di questa bolla di sapone in mezzo al deserto che inevitabilmente (ai nostri occhi almeno) non potrà che scoppiare prima o poi mostrandosi per quello che davvero è ed è sempre stata: sabbia…

È stato il primo nel suo genere, il capostipite ed il simbolo di un’era nuova spuntata fra le dune, una vela bianca ed azzurra sorta dal mare e che si gonfia verso un futuro atteso e sgorgato dai pozzi di petrolio; è il Burj Al Arab, hotel da migliaia di euro a notte ed ormai entrato a far compagnia al Colosseo, alle Piramidi ed alla Muraglia Cinese fra gli edifici più noti di tutto il mondo. L’ingresso è riservato solo agli ospiti dell’hotel e l’unico modo per accedere è pagare il biglietto per bere un thè nel bar in uno degli ultimi piani; vestito elegante per gli uomini e costo d’ingresso impossibile, ma il thè è incluso…
Ammiriamo da fuori la struttura, scattiamo le fotografie di rito e ci incamminiamo, schivando le Rolls-Royce usate come shuttle-car per portare gli ospiti dell’hotel a e dall’aeroporto, verso il vicino Madinat, un enorme centro dove si possono trovare hotel di lusso, centri benessere, ristoranti e negozi, il tutto in un ambiente che riecheggia i fasti del clichè arabo con tanto di barche in legno che portano lungo i canali artificiali turisti e curiosi. Nonostante la strana sensazione di essere in un parco giochi, la visita è piacevole soprattutto per l’atmosfera del souk ricreata nei lunghi corridoi e per la bellezza ed i colori dei prodotti (stoffe ed artigianato soprattutto) in vendita, ben altra cosa rispetto a quello che troviamo nella prossima meta, ultima di questa lunga giornata: il Mall of Emirates, un gigantesco centro commerciale elegante ma freddo e standard come quelli a cui siamo abituati.
La visita è d’obbligo, un po’ per cercare di capire quanto davvero convenga lo shopping da queste parti (scoprendo, senza troppa sorpresa, che in realtà non regala niente nessuno nemmeno qui in mezzo al deserto!), un po’ per vedere che effetto fa vivere da ricchi nel paese dove la ricchezza è di moda, ma soprattutto per poter ammirare una delle attrazioni più incredibili della città: lo Sky Dubai, un enorme tubo d’acciaio all’interno del quale, ogni giorno dell’anno, si può sciare!
Dalle enormi vetrate del centro commericiale restiamo increduli a vedere cadere la neve, artificiale ma neve!, sci, slittini, skilift e ragazzi che protetti dai piumini affittati all’ingresso lanciano palle di neve verso gli amici; fuori, insieme a noi, si guarda increduli in sandali e magliettina un pezzo di Alpi trapiantato nel deserto.
Tutte le maggiori firme della moda sono qui, tutti i più grandi nomi dell’elettronica di alto livello, tutte le maggiori catene di ristorazione o di abbigliamento hanno almeno un piccolo punto vendita fra i tre piani della struttura; per i corridoi turisti come noi, ragazzi e famiglie, donne con la lunga tunica nera che lascia scoperti solo gli occhi (truccati, sempre) e con l’ultima borsa di Gucci, nei parcheggi sottostanti, pronti a prendere gli ascensori privati per evitare la ressa, gli autisti aspettano a fianco a Lamborghini e Ferrari o Mercedes completamente cromate.
Forse è questa l’immagina che resta di più nella mente della città, lo sfoggio di una ricchezza priva di gusto e di cultura, la necessità di copiare quello che non si ha (arrivando a ricostruire in scala il mondo nel bel mezzo del mare!) per dimostrare che il petrolio ed il denaro possono fare qualsiasi cosa; peccato che, per quanto si resti a bocca aperta, quello che si porta a casa è solo una strana e quasi fastidiosa sensazione di “plastica”.

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