Larsec, un luogo magico

Alla scoperta di un mondo nascosto

Ho già espresso, nell’articolo di questa rubrica dedicato al Latemar, il mio debole per le zone dolomitiche meno battute dal grosso turismo; questo, beninteso, compatibilmente con l’esistenza di angoli che siano veramente rimasti incontaminati e l’adeguatezza delle mie risorse di medio escursionista a scoprirli ed esplorarli.
Già nel 1890 Stefano Dorigoni, pioniere dell’alpinismo trentino, nel suo vademecum esortava testualmente ad “essere grati alla direzione della nostra S.A.T. che col mezzo dei colorati segnavia ha reso sicuro il cammino, fornendo così un’economica guida”. In effetti, l’attività oscura dei volontari che assiduamente perlustrano gli itinerari accertandone la percorribilità, diserbando, ripulendo, ricompattando tratti franati, rinnovando gli infissi di sicurezza e rinfrescando i segnali sbiaditi, è tra le più meritorie: proprio quest’opera costante, misconosciuta e talvolta sottovalutata, permette a chiunque di inoltrarsi con tranquillità nei sentieri delle nostre montagne.
Capita però che talvolta nasca la curiosità di vedere dove conduce quella traccia appena distinguibile che si inerpica lungo quel pendio, o scoprire che cosa si vede dalla sommità di quella spalla erbosa, oppure ancora se aggirando quell’intaglio roccioso ci si può addentrare in qualche valletta appartata.
Vorremmo insomma immedesimarci nei pastori o nei cacciatori di duecento anni fa, cioè i primi “utilizzatori” della montagna, che si spingevano alla scoperta di zone impervie non per il puro piacere dell’esplorazione ma spinti da ben più pratici scopi di sopravvivenza: la ricerca di un pascolo per il bestiame, di una sorgente d’acqua o di una preda per il loro fucile. Si può presumere che siano stati proprio loro i primi segnalatori, magari piantando un palo, costruendo un ometto di pietre, aprendo con la falce un varco tra la vegetazione, assestando qualche masso per facilitare un guado, fissando così dei riferimenti che rendessero riconoscibili i luoghi.
Qualche angolo che offra questa possibilità di scoperta esiste ancora: uno che mi è particolarmente caro è il Gruppo, o meglio il Sottogruppo del Larsec. Facente parte del Gruppo del Catinaccio e da esso separato dal solco della Valle del Vajolet, ne costituisce il settore orientale ed ha approssimativamente la forma di un ferro di cavallo orientato in senso nordovest - sudest.
La mia conoscenza del Larsec avvenne una decina d’anni fa, quando mi recai per la prima volta in Val di Fassa. Volli naturalmente prendere contatto con la vallata nella maniera più scontata ma senza dubbio più spettacolare, salendo cioè ai rifugi della Valle del Vajolet, cosa che feci con la seggiovia in tre tronchi che da Pozza porta nei pressi di Gardeccia. Date le alternative più comode e veloci della funivia da Vigo a Ciampedie e del servizio di navetta tra Pera e la piana di Gardeccia, si tratta, diciamolo chiaramente, della scelta più illogica in termini di praticità: una risalita lenta e lunga su un impianto obsoleto con seggiolini scoperti sui quali nelle ore mattutine si rabbrividisce dal freddo. Ma la sequenza di pinnacoli, campaniletti, torrioni dei Dirupi di Larsec che in una giornata limpidissima mi sfilavano sulla destra rivelandosi sempre più nettamente mano a mano che la fascia boscosa si diradava, mi attirò immediatamente: la successiva immersione in quel labirinto di roccia non tradì la curiosità e mi immerse in un mondo di bellezza selvaggia, insospettabile dai turisti che, a breve distanza in linea d’aria, affollano la radura di Ciampedie per ammirare lo spettacolo delle Torri del Vajolet.
In sostanza il Larsec è costituito da una corona di cime, appuntite sul versante di Gardeccia e più dolci su quello opposto di Antermoia, le cui prospettive note, magari senza neppure sapere come si chiamino le vette, sono in prevalenza quelle esterne che si vedono salendo dall’alta Val di Fassa al Rifugio Antermoia o percorrendo il classico sentiero che porta ai Rifugi Vajolet e Preuss. Ma “dentro” alla corona c’è altro e solo una piccola percentuale di escursionisti vi si inoltra: servendosi delle “porte” più accessibili del Passo di Lausa a nord e del Passo delle Scalette a sud, si può penetrare in uno scenario davvero inconsueto, un pianoro da attraversare con ritmi rilassati riscoprendo silenzi ai quali da tempo abbiamo perduto l’abitudine.
Pur trattandosi di un’escursione realizzabile in una giornata, suggerisco di diluirla inframmezzandola con un pernottamento in rifugio: decisamente raccomandabile è l’Antermoia, già citato in un precedente articolo, che può essere raggiunto da una delle tre valli, Duron, di Dona o di Udai, che salgono da Campitello, Fontanazzo e Mazzin, oppure con la classica traversata Gardeccia – Vajolet – Passo Principe – Passo di Antermoia. La prima alternativa si svolge in ambiente grandioso e piacevolmente isolato, la seconda può essere arricchita, deviando brevemente dal Passo di Antermoia, con il raggiungimento di alcune facili cime che costituiscono già degli splendidi balconi panoramici sul mondo del Larsec nel quale ci si inoltrerà il giorno successivo.
Con l’augurio di godere dalla terrazza del rifugio di un tramonto e di un’alba memorabili abbracciando con lo sguardo il panettone del Catinaccio d’Antermoia, le cime della Croda del Lago, del Molignon, del Sasso di Dona che si riflettono nelle acque limpide del laghetto d’Antermoia, conviene partire di buon mattino per effettuare nelle migliori condizioni di luce il nostro itinerario di traversata. Il sentiero n. 583 è quello in cui si concentra la quasi totalità degli escursionisti, ma non c’è da temere l’affollamento: si può valutare che qui si spinga non più del 2/3% dei turisti che in processione salgono da Gardeccia alla base delle Torri del Vajolet.
Percorsi alcuni tornanti che consentono di guadagnare costantemente quota in un ambiente via via sempre più aperto, si raggiunge in circa un’ora l’insellatura del Passo di Lausa, a quota 2700, davvero uno dei luoghi magici delle Dolomiti: è come scoprire all’improvviso il lato oscuro della Luna, l’interno di un grosso catino del quale da fondo valle si sono sempre viste solo le pareti esterne. Sotto di noi si stende un vasto pianoro sul quale domina il verde brillante dell’erba, letteralmente accerchiato su tre lati da quelle che sembrano le punte di un’immensa corona. Sulla nostra destra (ovest) la Cima Scalieret con la lunga dorsale che ha termine con il massiccio sperone del Cogolo di Larsec e gli spuntoni aguzzi del Gran Cront e della Pala di Mesdì, sulla sinistra la lunga bastionata delle Crepe di Lausa, alla cui estremità si stacca il curioso torrione inclinato del Piz di Scarpello; più oltre si intuisce il gradone del Passo delle Scalette dominato dalla piramide affilata della Pala della Ghiaccia e all’orizzonte, lontano ma ben riconoscibile, il gruppo delle Pale di San Martino. Prima di calarsi nella conca, vale la pena di spingersi almeno fino alla prima delle tre elevazioni delle Crepe, per una passeggiata di un’ora tra andata e ritorno che regala panorami davvero inimmaginabili.
Aggirarsi nel pianoro erboso significa entrare in una dimensione nella quale l’orologio è un corpo estraneo, immergersi in una sensazione di pace assoluta ai limiti dell’irreale; e si può farlo senza fretta, visto che i tempi dell’escursione, un’ora e mezza tra il Passo di Lausa e quello delle Scalette e altrettanto per scendere a Gardeccia, lo consentono ampiamente. Girovagare senza meta in questo incantevole anfiteatro non tarderà a regalare premi impagabili, quali i fischi delle marmotte, estese chiazze di stelle alpine (mi raccomando, solo guardare e fotografare!) e soprattutto, poco prima del Passo, l’attrattiva più curiosa alla quale il gruppo deve il nome. Fino verso fine luglio, ci si troverà davanti un lago, a formare un magnifico scenario con la sovastante mole del Cogolo di Larsec, mentre ad estate più avanzata le acque si ritirano a causa della natura carsica del terreno; il luogo fu dai valligiani battezzato “lac sec”, vale a dire “lago secco”, dal che la successiva storpiatura fino all’attuale “Larsec”.
La definizione “sentiero attrezzato delle Scalette” non deve impensierire, visto che le attrezzature si limitano a qualche tratto di cavo d’acciaio installato per dare sicurezza in qualche passaggio un po’ ripido: e poi, le vedute sul labirinto di torri e pilastri dei Dirupi che incombono ai lati del pendio ripagano ampiamente il piccolo impegno supplementare. Punta Selvaggia, Guglia del Rifugio, Pala di Socorda, Torre Rizzi, Campanile di Sot Cront, Spiz delle Roe, evocano sia nei nomi che nell’arditezza delle forme imprese alpinistiche che noi modesti escursionisti non potremo mai realizzare, ma, mentre volgiamo un ultimo sguardo verso il Larsec prima di svoltare sul sentiero tra i mughi che porta a Gardeccia, siamo sempre più convinti di avere visitato un luogo prezioso come pochi altri.

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