Viento de Patagonia - 4. Il Parco delle Torres del Paine

La quarta parte del diario di viaggio: Puerto Natales e il magnifico parco delle Torres del Paine

Siamo alla giornata del trasferimento in Cile, in cui prevediamo quattro pernottamenti e tre giornate piene di immersione nello spettacolare Parque Nacional de las Torres del Paine.
Basterà poco per renderci conto che è decisamente penalizzante un soggiorno così breve in un Paese tanto ospitale e ricco di bellezze, che lasceremo a malincuore pur con l'intenzione di un ulteriore viaggio per approfondirlo come merita: già, ad esempio, la navigazione lungo i fiordi, la zona dei vulcani, il deserto di Atacama hanno tutti i crismi per essere mete di viaggio fra le più intriganti. Ma sono storie ancora da vivere, nel caso ve le racconteremo!Lunedì 19 gennaio 2009
El Calafate ci saluta con la pioggia, cosicché, nonostante il terminal delle autocorriere disti non più di tre minuti a piedi, incarichiamo la reception dell'Hosteria Austral di chiamarci un taxi: ancora una volta apprezziamo la correttezza dell'autista, visto che non batte ciglio per la brevità della corsa e ci addebita l'inezia di 0,90 pesos (circa 20 centesimi di euro)!
Il pullman della Cootra che ci porterà a Puerto Natales (costo €15 a testa), decisamente confortevole come quelli che prenderemo nei prossimi giorni, parte in orario alle 8.30 con previsto arrivo a destino dopo cinque ore: sarà pura teoria, come vedremo.
Il tratto iniziale del percorso costeggia il Lago Argentino, mentre la pioggia lascia via via il posto a una schiarita sempre più ampia preannunciata da un radioso arcobaleno che impreziosisce le varie tonalità di azzurro dell'acqua. Ben presto ci troviamo nel pieno della steppa patagonica, il paesaggio che nell'immaginario dei viaggiatori - in specie di chi abbia letto "In Patagonia" di Bruce Chatwin - incarna in misura più potente il senso dei grandi spazi che quel nome suggerisce.
Strada rettilinea per chilometri e chilometri, qualche ponte a scavalcare un torrente, di tanto in tanto, nel nulla, un bivio verso un altro nulla, qualche branco di animali, all'orizzonte vaghe sagome di fattorie, rare stazioni di servizio, staccionate con l'indicazione di una Estancia chissà quanto distante, in lontananza riflessi di remoti specchi d'acqua caratterizzano per ore gli scenari che scorrono al di là del finestrino.
Rio Turbio, ultima località argentina lungo la Ruta 40, è una cittadina di case in legno e lamiera e capitale nazionale del carbone: le miniere, i macchinari rugginosi e i convogli carichi di minerale fiancheggiano desolatamente per un lungo tratto la sede stradale.
Dopo un paio di chilometri eccoci alla frontiera con il Cile, per la precisione al lato argentino di Paso Dorotea. Si scende dall'autopullman per le operazioni di rito: compilazione di un questionario, dichiarazione doganale, visto sul passaporto con relative code occupano non meno di una mezzora. Niente, come vedremo, in confronto con la dogana cilena, alla quale giungiamo dopo 4 chilometri di "terra di nessuno" e dove, oltre che scendere e compilare un'altra serie di papiri, tocca scaricare tutti i bagagli che devono essere passati minuziosamente al metal detector: norme particormente rigorose e salatissime multe sono previste per l'introduzione non dichiarata di frutta, formaggi e prodotti di origine animale.
Passa un'altra ora abbondante, dimodoché sono quasi le 15 quando, dopo un bel tratto panoramico in riva al fiordo Ultima Esperanza, giungiamo a Puerto Natales: da El Calafate abbiamo coperto 335 chilometri. Nella città non c'è un vero e proprio terminal delle autocorriere e il capolinea è su una delle strade a reticolato che formano l'abitato: è qui che, con il suo ampio sorriso, ci accoglie Veronica.
Come già riferito nella prima parte del resoconto, per tutti i servizi delle nostre giornate cilene ci siamo appoggiati a un operatore locale, affidabile in quanto già sperimentato dal CAI di Arenzano in precedenti spedizioni: si tratta di "Mandala Andino", gestito da due giovani efficienti sorelle, Pilar e Veronica, di cui la seconda parla un ottimo italiano. Il contatto è mandalaandino@yahoo.com.
Tramite il pullmino riservato, ci rechiamo subito a prendere possesso delle nostre camere al Weskar Lodge, una confortevole struttura tutta in legno subito fuori città con splendida vista sul fiordo, dopodiché torniamo in agenzia per definire la logistica dei prossimi giorni. Nel dettaglio, tre pernottamenti al Weskar, uno all'Hosteria Las Torres, il trasporto di domani fino a quest'ultima con intera giornata di visita guidata al Parco, la navigazione dell'ultimo giorno lungo il fiordo comprensiva di sosta pranzo in una Estancia, ci costano poco più di 400 euro a testa: per riscontrare l'evidente convenienza, basta vedere (sito nei links) le tariffe "fuori pacchetto" del Weskar e dell'Hosteria Las Torres!
Abbiamo ora il tempo per una prima presa di contatto con Puerto Natales. La città, benché priva di attrattive clamorose, ci mette subito a nostro agio: vi si respira un'atmosfera di "in capo al mondo" molto coinvolgente che ricorda quella di Ushuaia, con le case in legno dalle facciate variopinte, il ritmo di vita tranquillo e la piacevole (pur se spesso ventosa) passeggiata lungo il fiordo, le cui acque sono popolate da uccelli marini fra cui spiccano numerosi cigni dal collo nero.
Come già avevamo saputo dagli amici che ci hanno preceduto, la località è raccomandata per i negozi di articoli sportivi, di ottima qualità e a prezzi di assoluta concorrenza: non manchiamo di approfittarne, investendo da "Balfer" una ventina di euro per un praticissino zainetto.
Si fa l'ora di cena: un po' come Ushuaia, Puerto Natales è il trionfo della centolla (granchio gigante). Da quanto letto nelle guide e in Rete, la prima scelta è il Restaurante El Maritimo in calle Pedro Montt 214: qualità e quantità appena inferiori alla Cantina Fueguina di Ushuaia, ma comunque soddisfacente. Spesa totale in tre, comprensiva di una bottiglia di buon vino bianco nazionale: 57 euro. Voto 8.

Martedì 20 gennaio 2009
Lasciamo il grosso del bagaglio al Weskar Lodge (dove torneremo domani sera), portando solo lo zainetto con lo stretto necessario per il pernottamento all'Hosteria Las Torres e l'escursione di domani. Alle 7.30 passa a caricarci il pullmino turistico che prevede il giro panoramico dei luoghi più significativi del Parco: a fine giornata gli altri partecipanti (una ventina di persone, di varie provenienze) torneranno a Puerto Natales, mentre noi tre ci divideremo a Laguna Amarga per l'interscambio con il furgone riservato ai clienti dell'Hosteria.
Dopo una ventina di chilometri, eccoci al primo luogo di visita, la Cueva del Milodòn. In questa caverna, lunga 200 metri, alta 30 e larga 80, lo scienziato Otto Nordenskjöld scoprì nel 1895 resti di un milodòn (Milodon darwini), un erbivoro simile a un orso alto oltre tre metri estintosi verso la fine del Pleistocene (circa 10.000 anni fa). Alla grotta si accede tramite un sentiero fra la vegetazione di circa 400 metri e al suo interno, superato un modello a grandezza naturale del milodòn, si compie un percorso ad anello agevolato da una gradinatura.
La zona riveste grande interesse per la presenza, oltre questa, di parecchie altre cavità che hanno rivelato l'occupazione circa 12.000 fa dell'uomo patagonico, una razza di cacciatori appartenente alla cultura Paleoindia.
Si prosegue ora sulla carrozzabile per circa 35 km in direzione nord fino alla riva del Lago del Toro, che si costeggia per un'altra ventina, scavalcando anche il Puente Serrano, fino all'ingresso sud del Parco: una prima sosta è d'obbligo per il panorama che - nonostante la distanza - è già di tutto rispetto verso il versante meridionale delle Torres del Paine, in particolare il settore che prende il nome di Cuernos per una serie di picchi a forma di corni.
La meta è ora il Lago Grey, che raggiungiamo con un tratto di 15 km in direzione nord-ovest. Disponiamo di circa un'ora e mezza per una bella escursione a piedi: dopo un tratto in sottobosco che comprende lo scavalcamento di un ponte sospeso sull'impetuoso Rio Pingo, si sbuca sulla riva del Lago, dalla quale si dirama una lingua sabbiosa unita a una penisoletta che offre una vista su piccoli "tèmpanos" (icebergs); è un tratto da percorrere con circospezione e tenendo d'occhio il livello delle acque, le cui correnti possono sommergerlo in pochi minuti.
Tornati al pullmino, ripetiamo a ritroso il percorso fino all'ingresso sud, un'area sulla quale sono sparsi diversi servizi, fra cui strutture ricettive e di ristoro: sono circa le 13.30, il momento giusto per la sosta pranzo al Refugio Lago Toro. Dall'antistante ampio prato si ammira un vasto panorama sul Rio Paine e sui Cuernos, "benedetti" da una schiarita, condizione non del tutto scontata da queste parti.
Scavalcato poco dopo il Puente Weber, si costeggia per 7 km. il Rio Paine fin dove questo si allarga nel Lago Pehoe, punto nel quale si impone la sosta ad uno dei più spettacolari "miradores" del Parco: subito sotto, l'Hosteria Pehoe che sorge su un isolotto boscoso collegato alla terraferma con un ardito ponte e, sempre più vicino al di là del Lago Nordenskjöld, l'intero allineamento delle cime, da sinistra a destra il Cerro Paine Grande (con la massima quota del gruppo, i 3050 metri del Cumbre Principal), i Cuernos del Paine e, dietro questi, le cuspidi delle Torres del Paine Sur e Central.
E' uno spettacolo di grandiosa bellezza: ammirandolo e osservando sulla mappa l'infinità di sentieri che si dipanano nel cuore di quel labirinto di roccia, si rimpiange davvero di non potervi dedicare una settimana di trekking zaino in spalla, facendo tappa nei rifugi e nei campi tendati. Per ora, possiamo solo auspicare un successivo viaggio per approfondire queste e altre meraviglie del Cile!
Ancora una sosta al mirador sull'impetuosa cascata di Salto Grande e non restano che gli ultimi 25 chilometri: il percorso, in prevalenza sterrato, si sviluppa su una fascia di terraferma fra i laghi Nordenskjöld a sinistra (nord) e Sarmiento a destra, in un'alternanza di steppa e vegetazione, branchi di guanachi al pascolo, qui e là piccole lagune dalle acque azzurre che ingentiliscono il paesaggio come gemme preziose e, ovviamente, all'intorno la cerchia di montagne imponenti.
Sono le 17 quando raggiungiamo Laguna Amarga. Il luogo non fa proprio onore al suo nome evocativo (tanto per cominciare, la laguna è quattro chilometri a est e da qui non visibile), solo uno slargo polveroso sul quale si affacciano un chioschetto di ristoro e una casa dei guardiaparco, ma è strategico: è infatti capolinea dei pullman di linea da/per Puerto Natales (3 o 4 corse al giorno), nonché diramazione per l'Hosteria Las Torres situata a 7 km. Lasciamo il pullmino, che riporterà il resto del gruppo in città percorrendo i 110 chilometri della strada ad est del Parco chiudendo così l'anello, e saliamo su quello riservato agli ospiti dell'Hosteria che, scavalcato il Puente Las Torres, ci porta a destino in un quarto d'ora.
La posizione dell'Hosteria è meravigliosa, nel cuore di una radura sulla quale pascolano cavalli e becchettano diverse varietà di uccelli; alle spalle incombe la mole del Cerro Paine Sur (m.2664), mentre per scorgere dietro di esso la sommità delle Torres occorre tornare indietro sulla strada per qualche centinaio di metri.
La struttura, che consta di tre corpi comunicanti, è un totale trionfo del legno a vista con i locali comuni dotati di grosse vetrate; ci è assegnata una camera a tre letti di buon conforto.
Per la cena, l'isolamento del luogo non offre alternative al ristorante interno: il tono tendente allo sfizioso fa temere il peggio, ma dobbiamo ricrederci, visto che mangiamo in modo più che accettabile spendendo un totale di 66 euro. Voto 7.

Mercoledì 21 gennaio 2009
E' una delle giornate chiave di tutto il viaggio, una di quelle in cui ci si augura bel tempo: non è raro il caso di viaggiatori che hanno sostato più giorni da queste parti senza vedere praticamente nulla.
È prevista infatti l'escursione a piedi alla base delle Torres del Paine, vale a dire la parte destra della "W" con cui è denominato (per l'approssimativa forma sulla mappa) il circuito di più giorni che fa parte dell'eccellenza del trekking mondiale. C'è da dire che, nonostante i severi scenari di alta montagna che caratterizzano la meta finale, le quote sono decisamente modeste: 160 metri l'Hosteria Las Torres, 950 il "mirador", per un dislivello in salita di circa 800 metri.
Sveglia alle 6.30 e apriamo subito la finestra: c'è pieno sole, anche se nel corso della giornata ci sarà qualche passaggio nuvoloso.
Colazione, check-out e alle 7.30 siamo in marcia: dirigiamo verso nord-ovest attraversando il Rìo Ascencio su di un ponte sospeso. Prendiamo quota portandoci sul crinale e seguendo poi un sentiero che taglia un ripido ghiaione nerastro che incombe sul fiume, sempre tumultuoso. Si perde parte della quota guadagnata scendendo al livello delle acque, scavalchiamo un ponte e ci portiamo su uno slargo nel bosco a quota 500 su cui sorgono il Refugio El Chileno e un campo tendato. Siamo in cammino da circa un'ora e 40 minuti.
Dopo il rifugio il sentiero per un breve tratto si tiene sul lato sinistro orografico del fiume e lo attraversa poi con un robusto ponte in legno per rimanere fino alla fine su quel versante. Per circa un'altra ora e un quarto l'andamento è pressoché pianeggiante attraverso incantevoli boschi solcati da torrentelli che si scavalcano con approssimativi ponticelli di tronchi; si esce infine dal bosco, dove in breve si incontra la segnalazione "Mirador" posta a un bivio. Proseguendo lungo la valle si raggiunge in circa un'ora il Campamento Torres, un campeggio fra gli alberi che è buon punto di appoggio per i trekking di più giorni. Noi prendiamo invece a sinistra per il tratto finale di un'ora, il più impegnativo dell'escursione: dapprima ci si tiene sul fianco di un ruscelletto facendosi largo fra fitta vegetazione e salti di rocce levigate, poi si esce allo scoperto salendo faticosamente una frana lungo la quale bisogna un po' inventarsi con piedi e mani i passaggi fra i grossi massi.
Con il fiatone e il cuore che pompa al massimo, eccoci finalmente al Mirador sulla sommità dei detriti; sono le 11.25, tre ore e 55 minuti dalla partenza. All'improvviso ci appare in tutta la sua maestosità lo scenario delle Torres del Paine Sur, Central e Norte, rispettivamente m. 2850, 2800 e 2248; alla loro base il Ventisquero (ghiacciaio) Torres e subito sotto di noi la Laguna Sucia (=sporca, per l'aspetto lattiginoso delle acque di scioglimento). E' un'immagine vista in mille raffigurazioni, ma essere al suo cospetto trasmette vibrazioni di indescrivibile intensità: come già capitato davanti ad altri spettacoli della natura visti nel corso di tanti viaggi, non riesco a trattenere le lacrime. A meno che non sia sudore che mi sgocciola dalla fronte…
Individuiamo una nicchia tra i massi nella quale riusciamo a consumare uno spuntino e fare qualche scatto decente al riparo dal feroce vento patagonico, dopodiché lasciamo a malincuore questo luogo straordinario per intraprendere la via del ritorno, che ricalca quella dell'andata.
Mezz'oretta di sosta al Refugio El Chileno per un dolcetto e una birra, finché allo scoccare delle 16 siamo davanti all'Hosteria Las Torres, dove però ci aspetta una novità indesiderata: il Rio Paine è straripato (dicono che accade 5-6 volte l'anno), cosicché i veicoli (compreso il pullmino dell'Hosteria) diretti a Laguna Amarga potranno arrivare solo al di qua del Puente Las Torres e i passeggeri trasbordare per l'ultimo tratto in gommone a gruppetti di 8-10. Fanno eccezione un paio di camion, che riescono a guadare grazie alla stazza alta: molti ne approfittano per farsi caricare nel cassone diradando la coda in attesa che rischiava di diventare biblica. Un imprevisto, ma anche una piccola avventura supplementare in una giornata già indimenticabile.
Sbarchiamo dall'imprevista "crociera" alle 17.30 e dovremo attendere il pullman di linea delle 19.30 che porta a Puerto Natales. Visto il caos generato dall'inondazione, sul piazzale di Laguna Amarga c'è un certo andirivieni di persone e veicoli, così proviamo e rimediare un passaggio per anticipare il rientro: dopo alcuni tentativi a vuoto, troviamo un furgone che deve rientrare in città dopo avere portato qui alcuni turisti e concordiamo il trasporto per una ventina di euro complessivi.
Rientriamo al Weskar Lodge intorno alle 20.15, non meno di un'ora e un quarto prima del prevedibile arrivo dell'autocorriera: bel colpo! Siamo comprensibilmente stanchi e, dopo una meritata doccia, decidiamo di cenare al ristorante interno: la cucina si rivela molto curata e gustosa e spendiamo, compresa la solita bottiglia di buon vino, 60 euro complessivi. Voto 7+.
Gratuito è invece lo splendido panorama sul fiordo e su Puerto Natales illuminata che ammiriamo dai finestroni della sala da pranzo.

Giovedì 22 gennaio 2009
Un'altra bella giornata di sole ci mette di buonumore in vista della navigazione lungo il Seno (fiordo) Ultima Esperanza.
Il programma, a cura dell'agenzia "21 de Mayo" (vedi links), abbraccia l'intera giornata dalle 8 alle 18 e include anche il prelievo dal nostro hotel, il transfer al molo di Puerto Natales, la tassa d'ingresso al Parque Nacional Bernardo O'Higgins con escursione guidata al ghiacciaio Serrano, il pranzo con parrillada mista in una Estancia.
La navigazione avviene su una delle tre imbarcazioni della Compagnia, il battello "Alberto De Agostini" che su una lunghezza di 21 metri e una larghezza di 5,50 può ospitare 70 persone: una dimensione più raccolta rispetto ai grandi catamarani da 220 posti del Lago Argentino, che favorisce l'aggregazione fra i passeggeri di diverse nazionalità.
Salpiamo alle 8,30. Costeggiati di lì a poco sulla nostra destra i capannoni del complesso industriale di refrigerazione di Puerto Bories, dopo un'ora passiamo presso l'imbocco del fiordo Eberhard, sito del primo insediamento di allevatori della regione nel 1887. Sulla sponda opposta è ubicata la Estancia Margot, accessibile solo per via acquatica e poco oltre doppiamo il promontorio di Punta Barrosa che ospita una numerosa colonia di cormorani.
Intanto su entrambi i lati del fiordo scorrono scenari naturali di grandiosa bellezza, in particolare frequenti cascate le cui acque, precipitando da alte pareti verticali, si trasformano in pulviscolo con effetti fortemente scenografici.
Lasciata sulla destra la Estancia Perales in cui faremo sosta al ritorno, ci avviciniamo alla parte più spettacolare dell'escursione, mentre in lontananza si stagliano i profili delle Torres del Paine che ieri, più o meno a quest'ora, avevamo di fronte in tutta la loro possanza.
Eccoci in breve alla base del Monte Balmaceda (m.2035) e dell'omonimo ghiacciaio: fino a una ventina d'anni fa esso raggiungeva il livello del fiordo, mentre oggi la lingua terminale si è parecchio ritirata dando luogo con le acque di scioglimento a una miriade di cascatelle.
Alle 11,45 sbarchiamo al molo di Puerto Toro: da qui parte un sentiero di un chilometro che, dopo un tratto in piacevole sottobosco, costeggia, agevolato anche da passerelle in legno, la riva del fiordo fino a raggiungere una spalla rocciosa, belvedere privilegiato sul ghiacciaio Serrano che scende anch'esso dal Monte Balmaceda fino a lambire le acque disseminate di piccoli icebergs. Anche se pochi giorni fa abbiamo fatto la "bocca buona" con il Perito Moreno, anche questo è uno spettacolo che merita di essere ammirato.
Tornati a Puerto Toro, dal quale inizia l'itinerario di ritorno, consultiamo la mappa e ci rendiamo conto che queste sono le stesse acque del Rio Serrano e del suo immissario Rio Grey, come dire i corsi d'acqua che abbiamo costeggiato durante il tour dell'altro ieri; tanto è vero che da questo molo parte l'avventurosa escursione di tre ore in gommone che risale per 35 km il fiume fino al già noto Puente Serrano.
Quante opportunità a cavallo fra terra e acqua offre questo Parco, e per l'ennesima volta quanto rimpianto per il tempo limitato a nostra disposizione!
Alle 13,30 attracchiamo al molo dell'Estancia Perales. Il circondario è fortemente scenografico: i bassi edifici della tenuta sono nel cuore di prati rigogliosi in cui pascolano i cavalli, cosparsi di piccoli stagni habitat di uccelli acquatici e all'intorno una cerchia di montagne innevate digrada dolcemente in colline boscose. In un clima di grande convivialità prendiamo posto a grandi tavolate dove ben presto cominciano ad arrivare enormi vassoi di carni miste sfornati senza sosta dai barbecue della cucina; così come gli argentini, va detto che anche i cileni con la parrilla ci sanno fare!
Tornati a bordo, trascorriamo in allegria le due ore che ci dividono da Puerto Natales insieme con due coppie di scozzesi di mezza età e con una famiglia patriarcale di giapponesi insediatisi in Argentina da quarant'anni che, frantumando un minuscolo iceberg prelevato ai piedi del ghiacciaio Serrano, offrono a tutti Chivas on the rocks!
Sbarcati poco prima delle 18, ci rechiamo in città per le ultime incombenze: prima acquistiamo presso la Compagnia Zaahj i biglietti del pullman di domani per El Calafate (€ 13 a testa), poi andiamo a Mandala Andino per saldare i conti. Avevamo anche incaricato Veronica di reperirci una sistemazione per tre notti a El Chaltèn, dove giungeremo domani sera: come immaginato, visto che la cittadina è molto piccola, ha avuto qualche difficoltà trovando posto infine in un complesso di cabañas, modesto che però - come vedremo - si rivelerà molto ospitale.
Per la cena, optiamo su "La caleta gastronomica" in Calle Eberhard 261, la stessa via di Mandala Andino. Il locale è decisamente pittoresco, introdotto dal portico del "Club caza y pesca" affrescato con scene - appunto - di caccia e pesca, tipo di decorazione naif che ricorre anche all'interno. Il gestore, che va e viene dalla cucina alla sala con in braccio la figlioletta di pochi mesi, è simpatico e la centolla è ottima. Spesa totale 30 euro! Per l'eccezionale rapporto prezzo-qualità, voto 8.

Venerdì 23 gennaio 2009
Mi ripeto, lo so, ma è con vero rammarico che lasciamo il Cile per rientrare definitivamente in Argentina. L'autopullman della Zaahj fa un ottimo servizio, evitandoci di andare a prenderlo in città e fermandosi davanti al Weskar: d'altra parte, il lodge è già sulla strada per la Ruta 40 e per El Calafate.
Partiamo alle 7.30 con previsto orario di arrivo a El Calafate intorno al mezzogiorno: da lì, proseguiremo per El Chaltèn, una delle capitali mondiali del trekking. Ma come vedremo, per una nostra svista, anche la giornata odierna non sarà esattamente come era stata programmata: niente di grave, e del resto anche le variazioni "in corsa" costituiscono il sale del viaggio.
I particolari nella quinta parte del resoconto, di prossima pubblicazione. Sempre su Ci Sono Stato, s'intende!

Un commento in “Viento de Patagonia – 4. Il Parco delle Torres del Paine
  1. Avatar commento
    andino
    17/06/2009 03:09

    Muy detallado y ordenado es el Diario GRACIAS LEANDRO / ENZO

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