L'Armenia, culla del Cristianesimo - Parte seconda

Fra paesaggi di struggente bellezza e luoghi di culto che ci portano alle radici della Fede, si conclude un’esperienza di viaggio e umana destinata a restare nel cuore

Eccoci dunque alla prosecuzione e fine del resoconto del nostro viaggio in Armenia, la cui prima parte è già presente su questo sito.
Dopo i primi cinque giorni, colmi di visite di estremo interesse nell'Armenia propriamente intesa, siamo da ieri sera a Stepanakert, capoluogo del Nagorno Kharabagh, enclave armena in territorio azero che ha proclamato la propria autonomia, peraltro non riconosciuta ufficialmente da alcun governo straniero: in sostanza il gioco dei delicati equilibri internazionali della regione fanno sì che ciascuno se ne lavi le mani e nessuno decida di fare un primo passo in quella direzione!Lunedì 30 aprile: STEPANAKERT E DINTORNI
La giornata, come del resto tutte in questo viaggio, ha inizio molto presto. Lasciato l'accogliente hotel Heghnar di Stepanakert, poco dopo le 8 siamo già davanti al singolare monumento in mattoni noto universalmente come Mamik yev Babik (traducibile più o meno in “Nonna e Nonno”), il cui nome ufficiale è però “Noi siamo le nostre montagne”, simbolo dell’unione del popolo kharabagho con il proprio territorio in prevalenza montuoso.
Sostiamo poi per una breve visita a Shushi, che ieri abbiamo attraversato velocemente. Nella città sono ancora evidenti i segni della guerra di liberazione contro gli azeri: atmosfera di abbandono, case diroccate, strade sconnesse, negozietti con poche mercanzie, i volti della gente che sembrano segnati dalle dure prove sostenute nel corso degli anni, qualche faticoso cantiere di restauro fra cui quello della moschea.
Poco fuori dalla città, su un lato della strada è stato eretto un tumulo commemorativo sormontato dal primo carro armato T-72 armeno che entrò in Shushi liberandola, alla testa di un'azione a sorpresa che pose in pratica fine alla guerra.
Tappa successiva, una ventina di km a nord-est di Stepanakert, le mura e la Fortezza di Askeran, o, perlomeno, ciò che rimane del sistema difensivo a protezione della vallata su una lunghezza di un chilometro e mezzo fatto erigere da Panakh Khan nel XVIII secolo.
Si punta ora a nord verso uno dei luoghi di culto più eminenti del Nagorno Kharabagh, che dista "appena" una quarantina di chilometri di strada, ma su questi percorsi tortuosi ha più senso esprimere le distanze in termini di tempo che non di spazio: inoltre la giornata è caratterizzata da piovaschi che vanno e vengono, cosicché impieghiamo circa un'ora e un quarto a raggiungere il celebre monastero di Gandzasar “Montagna del Tesoro”, risalente al 1238, con gli splendidi rilievi della sua chiesa dedicata a San Giovanni Battista. Qui veniamo accolti con grande calore dall’abate, che è prodigo di spiegazioni sulla storia del complesso monastico.
A questo punto della giornata (sono circa le 13) ci sarebbe da giocare il "jolly" del remoto monastero di Dadivank, messo però in dubbio dal persistente maltempo: è ubicato infatti a circa 70 km. da qui, cioè oltre due ore di strada in buona parte sterrata. L'indistruttibile autista Mays non fa però una piega, in più l’abate ci fa accompagnare da un giovane monaco per indicarci la strada e possiamo così partire per la meta probabilmente più isolata del nostro viaggio.
Le due ore diventano quasi tre, a sprazzi piove e la strada, che per lunghi tratti corre parallela a un fiume, è fangosa e malandata. Sono ormai le 16 quando giungiamo a uno slargo oltre il quale si può continuare solo a piedi e ci armiano di ombrello per la mezzora di salita che ci ripaga però con una visione da fiaba: i vari edifici del monastero di Dadivank ci appaiono all'improvviso dietro un tornante, in parte avvolti nelle brume, inducendoci a una sosta contemplativa che vorremmo fermasse il tempo.
Raggiungiamo e ci gustiamo a fondo il complesso, estremamente scenografico per i tetti conici in mattoni, i porticati, i sottopassi ad arco che regalano prospettive sempre nuove, i raffinati rilievi, l'elegante campaniletto, alcuni magnifici khatchkar, il tutto sullo sfondo di montagne innevate.
Ulteriore nota di suggestione, il canto "a cappella" intonato dal giovane monaco all'interno della chiesa principale: un momento di autentica commozione, a rendere struggente una giornata già estremamente intensa.
Il ritorno è ancora più avventuroso dell'andata: il livello del fiume è salito fino a sfiorare la sede stradale (sapremo poi che l'indomani sarebbe straripato rendendo impraticabile l'itinerario), sta cominciando a calare l'oscurità e inoltre va messa in conto la deviazione per riportare il monaco fino al bivio per Gandzasar.
Sono quindi le 22 quando, stanchi ma soddisfatti, rientriamo all’albergo di Stepanakert, dove per fortuna i gestori - avvertiti via cellulare da Shushan - ci hanno tenuto in caldo la cena!

Martedì 1 maggio: STEPANAKERT - GORIS - MEGHRI - GORIS
E' il momento di rientrare dal Nagorno Kharabagh all'Armenia, ricalcando necessariamente la strada dell'altroieri che prevede il passaggio, con formalità minime, della frontiera, il cosiddetto "corridoio di Lachin".
Da Stepanakert - passando per la già nota Goris - a Meghri corrono circa 230 km., più i 140 del ritorno a Goris: non tantissimi in assoluto partendo di buon mattino, per di più i luoghi di visita previsti non sono molti, ma la natura del territorio e diversi avvenimenti inattesi faranno sì che questo 1° maggio avrà termine… ormai il 2 maggio inoltrato!
Il primo "diversivo" di oggi è dato da due forature a breve distanza: è evidentemente il debito pagato dal nostro automezzo alla giornata di ieri, e meno male che la perturbazione ha lasciato il posto a uno splendido sole.
Rientrati nella regione di Syunik, raggiungiamo Goris poco dopo mezzogiorno: lasciamo i bagagli nell'hotel (lo stesso in cui pernottammo tre sere fa), approfittiamo della sosta per uno spuntino e puntiamo poi decisamente in direzione sud.
Unico centro di qualche rilevanza lungo il percorso è Kapan, cittadina piuttosto anonima dalla passata vocazione mineraria con il solo pregio della bella posizione in fondo alla vallata del fiume Voghji.
Una deviazione di quattro chilometri su una strada dissestata sale al monastero di Vahanavank: situato su un terrazzamento naturale a dominio della valle, fondato nel 911 in onore di San Gregorio l'Illuminatore e per secoli importante centro di cultura religiosa, è oggi in rovina, anche se sul sito è aperto un cantiere che tenta la difficile opera di recupero.
Toccata la località di Kajaran, la strada prende a salire con larghi tornanti ininterrotti in uno scenario di montagne innevate sempre più ampio. La sosta d'obbligo è al passo di Meghri (m. 2535, sulle carte segnato anche come passo di Tashtun): da qui il panorama a 360° è immenso e ancora una volta ci rendiamo conto di quanto bella sia questa misconosciuta Armenia!
Per la cronaca, dopo due giorni il Passo sarà interrotto per neve, isolando di fatto tutto il sud del Paese fino al confine iraniano. Noi fortunatamente siamo arrivati in tempo e potremo vivere una serata indimenticabile.
Sono quasi le 17 quando giungiamo a Meghri, località di 4000 abitanti da cui è originaria la "nostra" Shushan, dove siamo accolti con schietta ma calorosa ospitalità dai suoi parenti, che sotto il pergolato di casa ci hanno imbandito una tavolata più simile a una cena che a una merenda: un bellissimo momento conviviale e uno di quei contatti veri (nonostante le difficoltà di comunicazione) con la gente del luogo che in ogni angolo di mondo impreziosiscono l'esperienza del Viaggio con la V maiuscola.
Sotto la guida di una studiosa locale amica di Shushan, visitiamo le eminenze di Meghri: i resti della cinta muraria che coronava le alture circostanti intervallata da due torri cilindriche ben conservate, la basilica seicentesca di S. Sargis e la chiesa, più o meno coeva, di S. Hovhannes, entrambe pregevoli per gli affreschi all'interno, ottimamamente mantenuti e molto incisivi nel loro gusto popolare. La seconda è in posizione alta sull'abitato e ammiriamo un bellissimo tramonto verso le montagne dell'Iran, il cui confine è a poco più di un chilometro.
Si sono fatte le 19 ed è improponibile il rientro per la cena a Goris, dalla quale ci dividono oltre tre ore di strada di montagna. Ci orientiamo così sul ristorante locale, una specie di Bar Sport in cui si raduna la gente di sera: evidentemente allertati dai nostri "angeli custodi", ci allestiscono una ricca grigliata mista che sbafiamo in un'atmosfera di grande allegria. Siamo proprio un bel gruppo!
Il ritorno ricalca lo stesso itinerario dell'andata e, nelle solide mani del gagliardo Mays, sono le 2,30 quando entriamo nel cortile dell'albergo di Goris. Unica sosta intermedia al Passo di Meghri, illuminato da una magnifica luna piena: un altro momento d'incanto che resterà impresso nella nostra memoria.

Mercoledì 2 maggio: GORIS - SEVAN
Ci attende una tappa di circa 250 km in prevalenza di puro trasferimento, coincidente per i primi 120 alla parte finale del percorso che quattro giorni fa ci portò da Yerevan a Goris.
Una trentina di chilometri dopo la partenza una breve deviazione in auto, alla quale segue una mezzora a piedi in una zona di basalti colonnari e curiosi torrioni in arenaria che ricordano i "camini delle fate" della Cappadocia, ci portano alle cascate di Shaki: di norma sono asciutte, in quanto il bacino che le alimenta è utilizzato per la produzione di energia elettrica, ma ancora una volta i buoni uffici di “Migo il Mago” ottengono uno strappo alla regola per i suoi amici italiani. Si attiva subito un manovale della centrale idroelettrica che si reca a monte della cascata per manovrare a mano la saracinesca della chiusa e ripristinare lo spettacolo naturale.
Tornati sulla principale, si punta decisamente verso nord-ovest. Superata Yeghegnadzor, dove lasciamo sulla sinistra il bivio per Yerevan, dopo una trentina di chilometri scolliniamo ai 2410 metri del Sulema pass, dove sorge lo splendido caravanserraglio del 1332, punto di riferimento lungo la mitica Via della Seta: c'è abbondante neve, tanto è vero che dobbiamo aprirci un varco per accedere all'interno, caratterizzato da una volta a botte che poggia ai due lati lunghi su una serie di archi sostenuti da basse colonne.
Come già per Dadivank e il Meghri Pass, possiamo ben dire "siamo passati giusto in tempo": infatti anche questo valico dopo due giorni sarebbe stato impraticabile!
Il passo immette nel Gegharkunik, la regione del lago di Sevan. E' questo il solo grande lago rimasto negli attuali confini rispetto a quelli dell’Armenia storica: gli altri due, Van e Urmia, si trovano ora rispettivamente in Turchia e in Iran.
Sottoposto negli anni ’30 e ’40 del secolo scorso a un abbassamento forzato del livello per la produzione di energia elettrica, si sta ora cercando di ovviare, tra enormi difficoltà, al disastro ecologico che tale intervento scriteriato ha prodotto sull’ambiente naturale.
Le sponde del lago di Sevan (oggi quotato 1890 metri) sono ricchissime di siti monastici o, comunque, di interesse storico e culturale. Fra tutti, dobbiamo giocoforza limitare le nostre scelte. Irrinunciabile è tuttavia la visita al campo di khatchkar di Noratus, sulla sponda occidentale, uno dei luoghi più suggestivi di tutta l’Armenia: quasi 900 di queste enormi pietre istoriate, ancora in situ, con la faccia principale rivolta ad ovest, testimoniano la fede incrollabile di un popolo che neppure il genocidio è riuscito a domare.
E il pensiero corre con rabbia alle distruzioni che tra il 2001 e il 2006 sono state compiute nel Nakhicevan (enclave dell’Azerbaidjan, separata dalla madre patria, e posta a sud-ovest dell’Armenia): più di tremila di questi simboli religiosi, alcuni veri e propri capolavori d’arte, sono stati volutamente spianati coi bulldozer. Tale scempio, inizialmente negato dai loro esecutori, è inconfutabilmente testimoniato da una impressionante serie di fotografie prese dal vicino confine iraniano. Gli azeri hanno allora ufficialmente motivato l'azione con la necessità di creare spazi per strutture militari, ma è evidente che la vera ragione di queste stragi culturali è solo l’odio verso gli Armeni e la loro fede.
Non si può, a questo proposito, non aprire un'altra parentesi per condannare senza mezzi termini la storia infinita di atrocità perpetrate nei confronti di questo Paese da parte dei popoli confinanti. Fra le tante, alla stupenda città di Ani, la capitale dell’Armenia al tempo della dinastia Bagratuni (secc. IX-XI), la “città dalle mille e una chiesa”, ora in territorio turco. Quando nel 1921, al termine della Prima Guerra Mondiale, fu stabilita la frontiera con la Russia, i Turchi, nella persona del generale Kiazim Karabekir, chiesero ed ottennero che Ani - della quale pur riconoscevano l’insignificanza economica, militare e geografica - venisse assegnata alla Turchia, per la sola ragione che gli Armeni avrebbero dovuto piangere nel vedere le rovine della loro vecchia e splendida capitale al di là del confine!
L'ultima visita della giornata ci vede al monastero di Hayravank: il complesso del IX secolo, con il gavit del XII (nell'architettura armena il gavit corrisponde al nartece, cioè il portico antistante la chiesa) sorge su una collinetta dalla quale si ammira un esteso panorama sulle acque azzurrissime del lago e sulle montagne circostanti.
Alloggiamo allo Harsnaqar Hotel di Sevan, un complesso faraonico con annesso aquapark perfino sproporzionato all'Armenia, costruito dai Russi per il soggiorno dei nuovi ricchi di quel Paese. In questa stagione siamo gli unici ospiti, tanto che a ciascuna coppia è assegnata un'intera suite a due piani!

Giovedì 3 maggio: SEVAN - VANADZOR
Anche oggi il programma di visite è molto intenso. L'affermazione è ormai monotona, ma più che mai giustificata, visto che ci aspettano ben quattro monasteri considerati (anche se le classificazioni non hanno molto senso) fra i più belli dell'Armenia.
Oltre a questi, non è da sottovalutare il complesso di Sevanavank, che già di buon mattino è degno esordio della giornata. Si tratta delle due splendide chiesette attigue - entrambe dell'874 - di Sourb Arakelots (Santi Apostoli) e di Sourb Astvatsatsin (Santa Madre di Dio), notevole per l'altare della Madonna in legno finemente traforato: in origine su un’isola, sorgono oggi, dopo l’abbassamento forzato del livello del lago, su una penisoletta che si protende scenograficamente nelle fredde acque dalla sponda nordoccidentale.
Lasciata definitivamente Sevan, dirigiamo verso nord e dopo una quindicina di chilometri
penetriamo attraverso il tunnel Margahovit nella regione di Tavush: essa vanta - a breve distanza l'uno dall'altro - due monasteri che costituirono, oltre che gioielli architettonici, anche centri di cultura di grande importanza.
Il primo è quello di Goshavank, fondato nel 1188 in riva al fiume Getik dallo statista, scienziato e favolista Mkhitar Gosh. Il complesso annovera le chiese di S. Astvatsatsin (S. Madre di Dio) e di S. Gregorio l'Illuminatore. La storia documenta inoltre l'esistenza di un’università e di un seminario che custodivano preziosi manoscritti. Di grande rilievo alcuni khatchkar, tra cui quello splendido di Poghos (Paolo) del 1291.
A una decina di chilometri di distanza, con una breve passeggiata attraverso frutteti che in questa stagione presentano una rigogliosa fioritura, si raggiunge il monastero di Haghartsin, che si apre d'improvviso alla vista nella forra dell'omonimo fiume. Anch'esso importantissimo centro di cultura medioevale, consta di due chiese dedicate a S. Astvatsatsin (S. Madre di Dio) nella forma di sala a cupola e a S. Stepanos (S. Stefano), risalenti rispettivamente al 1281 e al 1244. Interessante è anche il refettorio diviso in due sale, tuttora aperto all'accoglienza dei visitatori.
Esternamente è attivo un tradizionale forno a legna, ottima occasione per lo spuntino di metà giornata con due tipi di fragranti pagnotte, dolce e salata, entrambe squisite.
Dalla vicina Dilijan raggiungiamo in 38 km. Vanadzor, prevista località di pernottamento, per puntare poi in direzione nord (ulteriori 50 km.) su Alaverdi, bruttissima cittadina industriale della regione di Lori sul fiume Debed a una ventina di chilometri dal confine con la Georgia, nelle cui vicinanze sono situati altri due importantissimi luoghi di culto.
Il primo, il monastero fortificato di Haghpat costruito tra il X e il XIII sec., si trova 11 km a est della città sull'orlo di una gola montana. Qui fu esiliato, dopo avere lavorato come menestrello di corte a Tbilisi, il bardo armeno del XVIII sec. Sayat-Nova, le cui canzoni d'amore sono tuttora popolari. Il complesso, un insieme di edifici su più livelli all'intorno di un nucleo centrale, è tra i più scenografici e compone una visione fiabesca per il verdissimo prato in cui è immerso sullo sfondo degli squarci di cielo azzurro fra le nuvole. Meraviglioso è un khatchkar raffigurante il Cristo, che conserva parte della policromia originaria grazie al fatto di essere al riparo di un porticato a volta.
Il monastero di Haghpat fa parte dal 1996 del Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO, così come quello di Sanahin, raggiunto con un'altra deviazione da Alaverdi. Entrambi furono patrocinati a metà del X secolo da Khosrovanuish, moglie del re Ashot III Bagratuni. Sanahin ha come nucleo centrale la tozza Chiesa di Amenaprkich (il Redentore) ed è caratterizzato da imponenti volte sostenute da massicce colonne in pietra; rispetto al "gemello", versa in parziale abbandono con i muschi che salgono lungo le pareti e i circostanti alberi spogli, ma tutto contribuisce al fascino decadente di questo luogo in capo al mondo.
Non rimane che rientrare a Vanadzor lungo la strada malandata che costeggia il fiume Pambak in piena: quella di anticipare (per nostra fortuna) i guai sembra ormai una costante, tanto è vero che il giorno dopo la strada rimarrà interrotta per una frana, isolando così i monasteri.

Venerdì 4 maggio: VANADZOR - YEREVAN
Vanadzor è l’antica Kirovakan; infatti, come tante altre località armene, anch’essa ha cambiato nome dopo la caduta dell’Unione Sovietica e la riconquistata indipendenza. Terza città dell'Armenia (circa 100.000 abitanti), è quella che, fra le diverse viste finora, maggiormente palesa ancora nell'urbanistica i caratteri del passato regime. Sembra essersi fermato a quell'epoca anche il - pur confortevole - Hotel Argishti che ci ospita, un casermone di cemento circondato da un alto muro "sigillato" da un pesante cancello in lamiera.
Di buon mattino facciamo sosta al cimitero cittadino, dove è sepolta una parente di Migo, una visita istruttiva per apprezzare la singolare tecnica costruttiva delle tombe: la lapide in marmo nero è incisa in superficie con una minuziosa lavorazione a sbalzo, dalla quale risulta un ritratto del defunto talmente preciso da sembrare una fotografia. In certi casi la persona è a figura intera, immortalata nell'attività svolta in vita.
Lasciamo Vanadzor puntando a ovest: toccata Spitak, raggiungiamo dopo 64 km. Gyumri (chiamata Leninakan nel periodo sovietico e Alexandropol al tempo degli zar), nella regione di Shirak. Ancora sono dappertutto visibili, nonostante i continui lavori di ricostruzione, le devastazioni prodotte dal terremoto del 7 dicembre 1988 quando in pochi secondi, dopo le 11.41 ora locale, distruzione e morte falcidiarono questa povera terra. Costruite all’epoca bolscevica senza tener conto delle benché minime norme antisismiche, quasi il 60% delle costruzioni crollarono alle prime scosse, e tra queste pure scuole e ospedali.
Anche qui l'arrivo di "Migo and his italian friends" ha prodotto una sorta di "comitato di accoglienza", capeggiato da un'amica della moglie che fa parte della direzione del locale teatro, dove abbiamo modo di assistere alle prove di una rappresentazione di prosa e di visitare i vari ambienti. Ci strappa un sorriso una parete dell'atrio tutta tappezzata di ritratti fotografici in bianco e nero di attori armeni: nomi che a noi non dicono niente, ma lo stile è lo stesso dei pannelli dei "benemeriti del partito e del lavoro" che un tempo spiccavano sulle piazze dell'ex URSS.
Dopo una visita al Museo, nel quale è tracciata la storia della città con alcune interessanti ricostruzioni di ambienti, bisogna ora valutare la fattibilità della visita al Monastero di Marmashen; escluso il nostro pullmino, ne viene reperito uno locale con proprio autista, giallo, scalcinato, con decori interni un po' "naif", ma robusto e adatto ai 12 km. di strada (sarebbe più esatto dire pantano) che portano al sito: impieghiamo tre quarti d'ora ma ne vale la pena. Il singolare complesso in grossi mattoni risalente nel nucleo originale intorno all'anno 1000, isolato in una radura, consta di tre chiese ravvicinate, S. Stepanos, S. Astvatsatsin, S. Pietro e di una quarta le cui rovine sono state scoperte di recente: il colpo d'occhio offerto è molto piacevole, con le nicchie sulle pareti esterne scandite da semicolonne e l'elegante cupola centrale a sezione ottagonale con copertura a ombrello.
Rientrati a Gyumri e trasbordati sul nostro automezzo intorno alle 14, abbiamo davanti circa 120 km da qui a Yerevan nella quale stasera è previsto il rientro definitivo. Dopo una quarantina di chilometri passiamo dallo Shirak alla regione dell’Aragatsotn (i “piedi dell’Aragats”, così detta perché comprende le terre attorno al monte Aragats, con i suoi 4095 metri la più alta montagna dell’attuale Repubblica d’Armenia).
Di lì a poco, mentre pioviggina a intermittenza, c'è ancora il tempo per la visita di due chiese significative situate a breve distanza l'una dall'altra.
La prima, quella di Mastara dedicata a S. Hovhannes, è antichissima: un'incisione su un muro esterno cita il 891 come anno di ricostruzione e si presume che l'origine sia del VII secolo; la struttura è insolita, a pianta cruciforme con brevi bracci che si diramano dalla cupola centrale. Una particolarità dell'interno consiste in una tribuna sopraelevata in legno a ridosso della parete d'ingresso, accessibile tramite una scala.
Il complesso di Talin annovera due edifici distanziati di un centinario di metri. Di grande rilevanza è la Cattedrale, singolare per la struttura di basilica a tre navate: gli studiosi hanno rilevato forti analogie con quella di Zvartnots [vedi parte prima del resoconto], di cui sarebbe quindi contemporanea (VII secolo). L'edificio è in parziale rovina per i danni dei terremoti del 1840 e 1931, il che non impedisce di apprezzarne le soluzioni costruttive e le decorazioni, fra cui si distinguono gli affreschi dei catini absidali. L'altra chiesa di Talin, minuscola e graziosa, è dedicata alla Santa Vergine. Sul terreno circostante - caso unico in Armenia - sorge un cimitero con tombe del IV-VII secolo: in forma di massi più o meno cubici, sono considerati prototipi dei khatchkar.
Mancano ora una sessantina di chilometri, che copriamo senza ulteriori soste, a Yerevan e all'ormai familiare Ani Plaza Hotel. Ci giungiamo intorno alle 19 e ci aspetta una gradita sorpresa: viste le non entusiasmanti cene in albergo dei primi tre giorni, l'impeccabile organizzazione Migo-Shushan ha prenotato per queste ultime quattro sere in altrettanti diversi ristoranti cittadini. Che altro dire? Eccellenti!

Sabato 5 maggio: DINTORNI DI YEREVAN
Gli ultimi tre giorni della nostra esperienza armena prevedono visite in partenza da Yerevan, con rientro alla sera nella capitale.
Oggi si va ad est, nella regione di Kotayk. Il primo luogo di visita è il tempio ellenistico-romano di Garni: eretto nel 77 a.C., crollato per un terremoto nel 1679 e ricostruito conforme all'originale nel 1970, è l’unico tempio pagano conservatosi, gli altri essendo andati distrutti nella lotta contro il paganesimo.
Dal tempio, scendiamo poi nella profonda gola (riserva naturale protetta) che lo circonda su due lati, caratterizzata da affascinanti e impressionanti formazioni rocciose: regolari colonne di basalto a sezione esagonale, simili a quelle della Giant’s Causeway in Irlanda o della Fingal’s Cave in Scozia o delle Gole dell'Alcantara in Sicilia. L'escursione a piedi, che allunghiamo fino alla sommità di una collina che offre un bel panorama sul tempio e sulle gole, impegna un paio d'ore e termina nel villaggio di Garni con due belle chiesette del XII secolo che credo abbiano visto ben pochi turisti.
Piatto forte della giornata - raggiunto in una decina di km da Garni - è però Geghardavank (“Monastero della Lancia”, così detto poiché qui era conservata la punta della lancia che secondo i Vangeli aveva trapassato il costato di Cristo, custodita dal 1687 nel Museo della cattedrale di Etchmiadzin), uno dei principali siti dell’Armenia e anch’esso parte, dal 2000, della UNESCO World Heritage List.
Benché la cappella principale sia stata costruita nel 1215, il luogo di fede fu fondato nel IV secolo da San Gregorio l'Illuminatore nel luogo di una sorgente ritenuta sacra all'interno di una grotta, dal che il nome originale di Ayrivank, cioè "il monastero della grotta". La parte più impressionante di questo monastero è quella ipogea, scavata su due livelli nella parete rocciosa alla quale sono addossati la chiesa principale e il suo gavit (nartece, portico antistante la chiesa): sale usate sia come luogo di culto che come sepoltura per i membri della famiglia principesca dei Proshyan, i mecenati di questa splendida opera.
Una visita esauriente del vastissimo complesso richiede non meno di due ore: gli svariati ambienti interni in comunicazione spesso angusta gli uni con gli altri, i camminamenti esterni, i numerosi khatchkar, i rilievi sulle pareti interne ed esterne, in generale la finissima lavorazione della pietra regalano la scoperta ininterrotta di vere e proprie opere d'arte.
Anche il circostante contesto naturale è spettacolare, con i torrioni rocciosi che incombono sulla gola del fiume Azat; vale la pena risalire per una decina di minuti un sentierino per raggiungere - con un minimo di cautela - un dosso che offre un magnifico colpo d'occhio sul sito nella sua interezza.

Domenica 6 maggio: YEREVAN
Giornata tutta cittadina. Al mattino visita al celebre Vernissage, il mercatino delle pulci tenuto nei fine settimana, dove è possibile trovare di tutto: dai tappeti ai tessuti, dai libri antichi all'oreficeria, dall'artigianato alle vecchie fotocamere russe fino a divise, copricapi, medaglie, onorificenze del periodo dell'ex Unione Sovietica. Oltre alla paccottiglia - diciamo bizzarra per non dire inutile - presente in tutti mercati del mondo, degna di osservazione è anche la "varia umanità" di venditori, acquirenti e semplici curiosi.
Essendo domenica, c'è pure l'occasione di assistere nella nuova cattedrale alla celebrazione della Santa Messa secondo il rito armeno: una funzione di oltre due ore, ma coinvolgente per l’armonia dei canti e la ricchezza dei riti liturgici.
Nel primo pomeriggio è il momento della visita più emozionante: quella al Museo e al Mausoleo del Genocidio sulla collina di Tsitsernakaberd, la “Fortezza delle Rondini”, nella parte ovest della capitale. La visita, che prende inizio con le foto sconvolgenti e i documenti conservati nel Museo, continua con la sosta in preghiera presso il Mausoleo, dove arde il fuoco eterno in memoria dei quasi due milioni di Armeni sacrificati dal primo genocidio che la barbarie umana ha ideato nel XX secolo. Il 24 aprile di ogni anno, centinaia di migliaia di Armeni provenienti dal tutto il mondo si radunano sull’immenso piazzale in un mesto ricordo per tante vite perdute.
La visita del luogo è di grande coinvolgimento emotivo: lo accusiamo noi, immaginiamo i discendenti delle vittime di quelle nefandezze! E davanti allo splendido viso di Shushan segnato dal pianto, è impossibile non sentire un'intima partecipazione con le tragiche vicende di questo popolo, non provare una lacerazione dell’anima per tutte le atrocità che noi, nazioni cosiddette “cristiane” alle quali gli Armeni guardavano con speranza, non fummo capaci di impedire.

Lunedì 7 maggio: DINTORNI DI YEREVAN
E così è arrivata anche l'ultima giornata del nostro viaggio.
L’inizio è piuttosto “allegro”, con la visita e successiva triplice degustazione di distillati di diverso invecchiamento, alla fabbrica del Brandy Ararat: fondata nel 1887, è stata da qualche anno acquistata dalla compagnia francese Pernod Ricard. La distilleria è considerata una delle glorie nazionali armene e le produzioni sono eccellenti. Si racconta che tra gli estimatori ci fosse Sir Winston Churchill, al quale ogni anno lo stesso Stalin faceva recapitare un botte da 400 litri.
Quindi, cercando di essere il meno traballanti possibile (l’autista Mays è stato tenuto a debita distanza dalla sala di assaggio), dedichiamo il resto della giornata ad altri luoghi significativi dell’Aragatsotn situati in un raggio di una quarantina di chilometri dalla capitale.
La prima meta è la medioevale fortezza di Amberd ma, nonostante la giornata di pieno sole, dobbiamo rinunciare poiché da un certo punto in avanti la sede stradale è coperta di uno spesso strato di neve: solo con un potente teleobbiettivo possiamo farci un'idea della maestosità del complesso, eretto nell'XI secolo all'apice della potenza della dinastia Pahlavuni e testimone di secoli di storia armena. Peccato, ma si può sempre tornare…
Come detto (diario del 4/5), questa è la regione del monte Aragats, la cui mole piramidale rimarrà ben visibile per buona parte dell'itinerario odierno. Un luogo particolarmente suggestivo è un pianoro sul quale sono state erette 39 statue in mattoni alte circa tre metri, raffiguranti ciascuna una lettera dell'alfabeto armeno: un'occasione per una serie di foto davvero uniche, ognuno in posa davanti all'iniziale del proprio nome!
Ci attendono ora, in un tratto di non più di 15 km. a nord di Ashtarak, gli ultimi luoghi di culto del viaggio. Il primo - restaurato nel 2001 - è Saghmosavank (“Monastero dei Salmi”), ubicato su una collina che domina la gola del fiume Kasagh in uno scenario analogo alla gola di Garni: iniziato a costruire nel 1215, fu dotato nel 1255 dal principe Kurd Vachutyan di una biblioteca, adibita probabilmente anche a deposito di manoscritti e oggetti sacri.
A differenza di questo, il vicino Hovhannavank (“Monastero di Giovanni Battista”) è tuttora chiuso per un restauro che, a giudicare dalla ruggine delle gru, è ancora lungi da terminare. Una finestra laterale priva di infissi sembra però praticabile e, con un'azione un po' ribalda e dando fondo alle residue risorse ginniche, riusciamo a penetrare nell'interno. Ne vale decisamente la pena per la ricchezza della decorazione interna: bellissimi khatchkar, una quantità di rilievi e iscrizioni murali, soprattutto una stupenda lunetta policroma di finissima lavorazione raffigurante il Cristo con i Nove Santi.
Nelle immediate vicinanze del villaggio di Mughni sorgono, in parte integre e in parte in rovina, le tre chiesette di Karmravor, Spitakavor e Tsiranavor, i cui nomi (rispettivamente “rossastra”, “biancastra” e “color albicocca”) richiamano il colore delle pietre che le costituiscono.
L’ultima visita in programma è significativamente la chiesa Sourb Mashtots di Oshakan, cittadina a sud di Ashtarak, città che ai suoi tempi d’oro fu capitale; in questa chiesetta, decorata con affreschi recenti, si trova la tomba di Mesrob Mashtots, l’inventore dell’alfabeto armeno raffigurato anche in una statua nel curatissimo guardino antistante.
Cominciato con la visita alla biblioteca del Matenadaran e terminata a Oshakan, il nostro lungo giro per l’Armenia si è quindi svolto idealmente all’ombra sempre presente di Mesrob Mashtots e del suo “dannatissimo” e incomprensibile alfabeto, peraltro componente fondamentale dell'identità e della compattezza di questo popolo.
La cena finale, allietata da uno spettacolo di canti e danze tradizionali, ha luogo in un bel ristorante di cucina georgiana: per l'occasione, sono presenti alcuni parenti di Migo e un famoso attore cinematografico armeno (mi scuserà se non ne ricordo il nome), in una sorta di gemellaggio fra l'Italia e questo Paese che ci ha rivelato le sue bellezze ma ci ha anche toccato il cuore con le infinite tragedie che ne hanno punteggiato la storia.

Come nota conclusiva, voglio qui farmi portavoce dell'impegno preso da Alberto, che riporto qui di seguito.
Ora che sono rientrato, non voglio che questo viaggio resti una parentesi, per quanto bella, della mia vita: così, come ho promesso a Shushan, vorrei darmi da fare per portare anche ad altri l’eco di questa esperienza. Chiedo quindi di segnalarmi qualsiasi possibilità di far conoscere anche ad altre persone i tesori di fede e di cultura dell'Armenia. Io mi metto personalmente a disposizione per andare presso scuole, oratori, parrocchie, centri culturali o quant'altro vi verrà in mente per presentare questo nostro viaggio e far conoscere, soprattutto ai giovani, l'esperienza di dolore, fede e cultura del popolo armeno.
Pur mancando della straordinaria competenza di Alberto, anche io Leandro mi rendo disponibile - nei limiti di quanto ho potuto documentarmi - a questa doverosa divulgazione. Presto sarà pronta una presentazione in DVD del nostro viaggio che sarà visibile in sedi genovesi in via di definizione, a partire dall'11 aprile ore 21 nella sala del Dopolavoro Ferroviario in Via Andrea Doria. Per le successive, vi rimando al forum di Ci Sono Stato, canale Italia, discussione "Info Genova".

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