Algeria, il deserto. Quello vero

La suggestione dei colori e dei silenzi del Sahara, uno degli aspetti più struggenti del “mal d’Africa”

LA DESTINAZIONE
Viaggio per gli appassionati del genere. Non vi è altro da vedere (!) se non sabbia, rocce, graffiti e pitture rupestri. Spazi infiniti e l’azzurro abbagliante del cielo terso.

IL VIAGGIO
E’ durato 9 giorni, dal 25 novembre al 4 dicembre 2006. Itinerario proposto da Avventure nel Mondo. Costo totale 1200 €. Ho fatto parte di un gruppo composto da 9 persone in gamba e un eccellente coordinatore che ha organizzato il tutto con esperienza e savoir-faire.

LE SISTEMAZIONI
Sette notti passate in tenda, una in hotel a Djanet, una in... aeroporto.

GLI SPOSTAMENTI
Abbiamo percorso circa 850 km su jeep 4X4; per buona parte su pista.

IL TERRITORIO
Il nostro tour ha toccato l’estrema parte sud-orientale dell’Algeria; DJANET, l’ERG ADMER, i monti GAUTHIER, il TADRART, sfiorando i confini di Niger e Libia.

IL PAESAGGIO
Siamo passati dalle dune assolute dell’Erg Admer, all’incredibile unione di rocce e sabbie che è il Tadrart, passando per i monti Gauthier e per lo sconfinato orizzonte del Teneré nigerino. Ognuna di queste zone ci ha regalato panorami mozzafiato. Il deserto, nel suo fascino più profondo, ha qui una delle sue più alte espressioni.

LA MONETA
La moneta locale è il dinaro algerino. Noi abbiamo cambiato a Djanet “in nero”: 90 dinari per un 1 €. Non si discosta molto dal cambio ufficiale praticato presso gli sportelli dell’aeroporto.

LE COMUNICAZIONI
Da Algeri e da Djanet è facile telefonare in Italia. Con i cellulari basta semplicemente digitare *123*0039numero#. La linea è leggermente disturbata ma decente ed il costo non impossibile. Telefonare da telefoni pubblici è ancora più economico e si sente benissimo. A Djanet non esistono internet-point. Già pochi chilometri fuori da Djanet, non vi è più linea e così è fino al ritorno. Si dimenticano i cellulari e ogni altra forma di comunicazione con il resto del mondo.

L’ORGANIZZAZIONE
Questo tipo di viaggio (nella formula proposta da Avventure nel Mondo) permette ai partecipanti di essere parte attiva nella definizione di taluni aspetti organizzativi. Di fatto è il coordinatore il riferimento primo e... leader, ma in un buon gruppo talvolta i suggerimenti e l’aiuto dei componenti rappresentano un importante contributo affinché tutto si svolga nel migliore dei modi. Devo dire con soddisfazione che è stato il nostro caso; il gruppo è stato condotto da un abilissimo coordinatore, coadiuvato dai consigli dei componenti del gruppo i quali, chi con l’esperienza (buona parte dei partecipanti erano “veterani del deserto”), chi con la buona volontà, hanno contribuito ad una perfetta riuscita del viaggio.
Avventure nel Mondo si occupa dell’acquisto dei biglietti aerei, di concordare una tratta standard, dei visti, della fornitura della cambusa e pentolame e di fornire al capogruppo le relazioni di qualche predecessore. Tutto il resto è a carico del coordinatore e del gruppo stesso.
Vi sono aspetti di primaria importanza (ad esempio definire l’itinerario ed i costi per il noleggio degli automezzi o quanta acqua portare) e dettagli che comunque è meglio non sottovalutare, ad esempio: acqua in bottiglia o purificata? Quante jeep? La bombola del gas funziona? C’è l’adattatore? Come facciamo a fare luce nel campo di notte? Ci sono stuoie sulle quali sedersi per mangiare e che alla bisogna possono diventare ripari contro il vento?
Le guide locali per quanto attente, possono dare qualche indicazione, ma sono focalizzate su aspetti... diciamo più concreti, più importanti. Determinati particolari sono per loro estremamente marginali ed inoltre sono molto variabili rispetto alla capacità di adattamento delle persone, in altre parole, a quanto può essere “spartano” il gruppo. Ed il ventaglio è davvero ampio, credetemi. I Touareg hanno bisogno di un quarto di acqua rispetto a noi. Mangiano meno di noi. Cucinano accendendo il fuoco e la luce che ne deriva è sufficiente. Si sdraiano sulla sabbia, puliscono le stoviglie con la sabbia, dormono per terra e se c’è vento si avvolgono nei loro abiti. Con il minimo traggono il massimo. E questo è il primo, grande insegnamento di vita che il deserto con i suoi abitanti ti può dare.

LA GENTE
Purtroppo l’Algeria si porta appresso un grave fardello: il binomio Algeria = fanatismo religioso, causa i gravi fatti a cavallo degli anni ’90.
Lo stereotipo dell’Algeria come paese ostile è però da sfatare, almeno per quanto riguarda la mia esperienza. Le zone ritenute tutt’oggi pericolose coincidono con i grossi insediamenti urbani del nord; Algeri, Orano, dove (dicono) vive ancora una certa ostilità.
Le persone con le quali, a diverso titolo, abbiamo avuto a che fare negli aeroporti, inservienti, personale, polizia, negozianti (ci siamo stati un bel mucchio di ore, per quanto questo possa non essere particolarmente indicativo) sono state mediamente cortesi. Djanet è poi una cosa a parte, la popolazione è prevalentemente composta da tuareg sedentarizzati, gli arabi sono qui una minoranza, ragione, forse, per cui questa zona è stata sempre avulsa dai gravi fatti di sangue accaduti in Algeria 10 / 20 anni or sono.Notevole l’escursione termica. Di notte ha sempre fatto freddo. Siamo arrivati ad avere 4° la sera e 29° di giorno. Fortunatamente il vento ha soffiato solo le ultime tre sere, generando un po’ di fastidio, ma senza causare nessun problema serio.Sabato 25/11/2006
Meno di 2 ore e mezzo di volo separano Roma da Algeri. Arriviamo quasi in orario, ma dobbiamo attendere parecchie ore per la coincidenza con il volo interno che ci porterà a Djanet.
L’aeroporto internazionale di Algeri è nuovissimo, pulito ed efficiente. Le partenze nazionali si trovano a circa un chilometro di distanza e, visto l’affollamento della navetta che vi fa da spola, abbiamo scelto di raggiungerlo a piedi.
Fioccano i controlli e formalità di vario tipo, prima e dopo il check-in. Perfino sulla pista, dopo aver riconosciuto ciascuno i propri bagagli, l’ennesima perquisizione, prima di salire la scaletta che conduce all’interno del velivolo. Finalmente arriviamo a Djanet alle 23:30. Raggiungiamo in pullmino l’Hotel Tenerè, che si trova pochi chilometri fuori dal centro abitato. Nonostante l’ora tarda, decidiamo di procedere ad inventariare cambusa e cassa cucina proveniente dall’Italia, per essere certi di ciò di cui disporremo e... non avere sorprese. Le stanze sono modeste ma spaziose, con bagno in camera con acqua calda. Pagheremo 1000 Dinari a testa, beneficiando di un piccolo sconto.

Domenica 26/11/2006
Buona parte della mattina è dedicata alla definizione degli aspetti logistico/organizzativi: automezzi, costi, itinerario, guide, e tutto quanto si ritiene opportuno per la buona riuscita del viaggio. Ed in questa delicata e fondamentale fase che il nostro coordinatore ha dimostrato tutta la sua esperienza, riuscendo ad ingaggiare la guida migliore, concordando un itinerario eccellente ad un costo più che ragionevole. Questo il risultato di un’ora di negoziazioni ed il frutto di contatti già avviati dall’Italia prima della partenza.
Djanet di per sè non ha nulla che valga la pena di essere visitato. Gode, comunque, di una certa vivacità in quanto è la base logistica obbligatoria per escursioni sul Tassili, Erg Admer e Tadrart. Subito alle spalle di Djanet una parete montuosa quasi verticale segna l’inizio del celebre altopiano del Tassili, che si estende sulla sommità di queste alture, con le sue guglie e i suoi stupendi graffiti, senza dubbio la meta più famosa di tutta l’Algeria.
Djanet è popolata per buona parte da Touareg sedentarizzati e questo lo si nota chiaramente dalla forte prevalenza di persone di pelle scura che notiamo per le strade e al mercato ove ci rechiamo per l’acquisto di frutta e verdura, acqua, pane e... naturalmente datteri. I prezzi di questi generi alimentari sono bassi per il nostro standard. Per quanto riguarda l’artigianato, esiste un solo bazar che vende begli oggetti, quali croci d’argento Touareg, shes, tipici portaincensi Touareg fatti con pelle di cammello, manufatti in pietra ed in legno. Peccato che i prezzi siano decisamente alti.
Prima di partire è necessario passare al posto di polizia turistica per segnalare la nostra presenza, dichiarare il nostro itinerario, compilare l’ennesimo cartoncino inserendo i dati personali di ognuno e soprattutto (!) pagare 1000 dinari al fine del rilascio di una specie di visto turistico (!).
Partiamo nel primo pomeriggio. Abbandonata dopo pochi km la strada asfaltata, iniziamo a percorrere la pista e, dopo meno di un’ora, s’intravede all’orizzonte il profilo di una lunghissima catena di dune: l’Erg Admer. Una ventina di minuti, e stiamo già attraversando le prime creste. Alle 17:30 la nostra bravissima guida, Nassri, ha individuato un catino all’interno del quale è possibile accamparsi. Man mano che il sole scende, il freddo aumenta, fino ad arrivare, di notte a 5°.

Lunedì 27/11/2006
Memorabile mattinata sulle dune. Emozionato come un ragazzino, esco dalla mia tenda e vedo che già qualcuno ha iniziato a salire.
Eccole, le dune: imponenti, bellissime. Comincio a mia volta la scalata. Avanzo lentamente. Mi fermo a guardare; vedo, lontano, i miei compagni... dei piccoli punti colorati che a fatica arrancano sulla sabbia. Intorno il silenzio come non si riesce ad immaginare. Riprendo a salire. Ora sento il rumore del mio respiro ed il fruscio ovattato della sabbia che si comprime sotto i passi e sotto i palmi delle mani. Salendo a fatica più in alto, l’affanno aumenta ogni metro conquistato. Ora sento il sibilo del vento sul viso. Arrivo esausto in vetta e mi lascio cadere seduto. Alzo lentamente lo sguardo. Dritto davanti a me il vuoto, immenso. Poco più sotto, lo spettacolo delle dune con le loro creste serpeggianti e sinuose. Per un lato illuminate dal sole, l’altro ancora in ombra. Non vi sono parole per descrivere ciò che si prova.
Partiamo da questo luogo meraviglioso. La temperatura è già salita a 29°. Per un buon tratto valichiamo le dune, attraverso le quali le guide cercano di individuare i passaggi più semplici. Arriviamo così al plateau che divide i due grossi cordoni di dune che compongono l’Erg Admer.
Durante una sosta, notiamo delle tracce di cammello e di altri animali. Mohamed ci informa che si tratta della stessa pista percorsa dalla carovana del sale, l’Azalai, la famosa carovana che partendo da Agadez in Niger arriva a Tamanrasset, in Algeria, nell’altopiano dell’Assekrem. Trenta giorni per percorrere questo tratto di deserto del Sahara, per portare mercanzie e soprattutto sale dalle saline nigerine di Fachi, al cuore del Sahara.
Man mano che si prosegue il paesaggio diventa un po’ più monotono, ci siamo lasciati alle spalle l’Erg con i suoi suggestivi paesaggi. Il sole, oramai alto, illumina tutto quanto di luce abbagliante ed il giallo ocra compatto del suolo inizia ad interrompersi e a concedere sempre più spazio ai verdi cespugli ed al coloquinte, le tipiche zucche tonde la cui pianta colonizza vaste zone del Sahara.
Ci stiamo avvicinando a In Afelahlah. Qui una volta scorreva un fiume e ora l’acqua è presente solo a diversi metri di profondità. La nota distintiva di questo luogo è la copiosa presenza di tamerici. Qui evidentemente una volta, una maggior presenza di acqua alimentava questi alberi che crescevano numerosi, ora risentono pesantemente del lento processo di desertificazione della zona, che ha trasformato i tamerici in bizzarri rialzamenti del terreno, a volte alti anche due o tre metri, formati alla base dalla sabbia e dall’inestricabile intreccio delle radici, e sulla sommità dei ciuffi verdi, a testimonianza del fatto che ancora sono in vita.
Qui montiamo le tende e ci godiamo un memorabile tramonto.

Martedì 28/11/2006
Scendiamo verso sud. Arriviamo ai monti Gauthier, dove sostiamo per un paio d’ore e dalle cui alture ammiriamo panorami sconfinati, avvolti nel vuoto, nel silenzio più assoluto.
Proseguiamo il viaggio e nel primo pomeriggio eccolo: il famoso deserto del Teneré, una sconfinata, piatta, abbagliante pianura che si estende a perdita d’occhio, senza il benchè minimo rilievo. E in fondo, all’orizzonte, l’azzurro lucente del cielo si unisce al giallo vivo della sabbia, tracciando una perfetta linea retta. Laggiù, a meno di 20 km, c’è il Niger. La sabbia è compattissima e si può sfrecciare anche a 60-70 km/h. Una velocità di tutto rispetto, considerando il fatto che siamo su una pista appena tracciata.
Sosta d’obbligo alla balise n° 21, una sorta di pietra miliare, un cartello a mo’ di segnale stradale, a testimonianza della prima spedizione motorizzata (francese) passata da queste parti. Era il 1960.

Mercoledì 29/11/2006
Alba ad Alidemma.
Ogni giorno ci si sveglia prestissimo; già verso le 06:30 è normale sentire rumori delle cerniere lampo che si aprono. Siamo un gruppo di mattinieri; vero che si va a dormire tra le 21:00 e le 22:00, come è altrettanto vero che siamo tutti motivatissimi, desiderosi di gustare il più possibile l’esperienza che stiamo vivendo.
Ogni mattina è uno spettacolo; qui ad Alidemma il fulgido colore del cielo, di un azzurro incredibile, incornicia e risalta il nero basaltico della roccia e l’arancione della sabbia. Oltre allo stupendo panorama di cui godiamo arrampicandosi sull’altura più prossima al campo, un’altra sorpresa ci attende... proprio a poche decine di metri dalle nostre tende iniziamo a trovare cocci di suppellettili degli antichi abitanti della zona. Pezzi minuscoli di vasellame, ed è emozionante pensare che possono solo risalire a migliaia e migliaia di anni or sono; unico periodo nel quale è stato possibile l’insediamento umano in queste zone, oramai aspre ed inospitali.
Da questo momento in poi, tra la sabbia o la ghiaia questi resti sono sempre comparsi, nei pressi delle grotte nelle quali abbiamo ammirato graffiti o pitture, oppure, più semplicemente anche dove le rocce creano anfratti o protezioni naturali. Il Sahara era abitato, eccome!
La zona di Alidemma è stupenda e varia, si alternano rocce, spazi improvvisi, archi naturali di pietra, guglie, e dune di sabbia rossa coricata sulle rocce. Qui passiamo buona parte della giornata, per poi continuare lungo la pista che ci condurrà nel Tadrart. Ad un certo punto si procede con grande difficoltà a causa di rocce appuntite che per quasi un’ora caratterizzano il percorso. Questo tratto, nel corso del quale si mette a dura prova la resistenza delle autovetture e dei piloti, delimita l’inizio del Tadrart.
Arriviamo al calar del sole a Oued In Djeran.

Giovedì 30/11/2006
Peculiarità della giornata, le numerosissime soste per ammirare pitture e graffiti. Giraffe, bovini, uomini. E ciò che rimane delle grotte ove trovavano rifugio.
Come dicevo, quasi ovunque, in prossimità di questi luoghi, si trovano senza molta fatica piccoli frammenti di vasellame. Siamo nel cuore del Tadrart; del deserto che però, vediamo in alcuni tratti, permettere la vita ad euforbie ed acacie.
Giungiamo nel primo pomeriggio ad una spianata meravigliosa e poco distante ammiriamo una maestosa conformazione rocciosa, chiamata la Cattedrale, in quanto caratterizzata da tre archi in successione. Pinnacoli di pietra, dune di sabbia rossa, compaiono come facessero capolino dietro dorsali rocciose.
E’ oramai pomeriggio inoltrato quando arriviamo in un luogo fatato. Purtroppo c’è un po’ di vento, ed il cielo non è limpidissimo, ma quello che ci si presenta innanzi è uno spettacolo unico, un trionfo della natura. Dune altissime, intatte, cordoni di sabbia che a volte si abbracciano, a volte si intersecano in forme quasi geometriche, in uno scenario davvero mozzafiato. Dall’altura dalla quale poi scenderemo ammiriamo da un lato sabbia, dune, quasi fosse un erg, dall’altra un altopiano roccioso con guglie frastagliate. Questo incredibile posto si chiama Moul N’Aga.
Per la prima volta il vento ci crea qualche difficoltà a montare le tende e ad allestire il campo, ma fortunatamente verso le 20 si placa.

Venerdì 1/12/2006
Purtroppo questa mattina il cielo è velato, e questo impedisce di godere appieno lo spettacolo dei colori, delle luci e delle ombre di cui si vestono le dune al sorgere del sole.
Anche oggi ognuno si accinge a questa piccola, grande impresa quotidiana. Risalire le dune. Iniziare infreddoliti ed intabarrati, ansimare nel freddo dei primi minuti, che si trasforma, poi, nel sudore e nella fatica nelle gambe. Raggiungere le sommità più alte e lasciarsi poi cadere esausti e felici sulla sabbia, inebriandosi dello spettacolo che si svela davanti ai propri occhi, è oramai un rito.
Partiamo per continuare la visita del Tadrart. Alture, guglie, sabbia, a volte spolverata sulle rocce come zucchero a velo rosso. A volte invece a formare dune maestose che alternano il paesaggio qui prevalentemente roccioso.
Ci addentriamo sempre di più all’interno del Tadrart. A tratti incontriamo conformazioni rocciose nere, tanto simili alle pietraie basaltiche del vicino Acacus. Qui però sono gli spazi a sembrare letteralmente sconfinati.
Arriviamo nel pomeriggio a Tin Merzouga, l’imponenza della duna, dicono, la più alta d’Algeria. Ai suoi piedi si stende un pianoro vastissimo, delimitato all’orizzonte dalle bizzarre forme delle alture che cingono da lontano questa vastissima distesa, ove troneggia la grande duna. E’ davvero uno spettacolo che prende il cuore. Ci godiamo il tramonto.
La sera è fredda, ci sono 4°. Il vento non è forte, ma comunque fastidioso, e fa percepire con ancora maggior disagio la già bassa temperatura.

Sabato 2/12/2006
Tin Merzouga: sveglia ancora prima alle 06 per scalare, alle primissime luci dell’alba, la grande duna. Quasi 300 metri di sabbia rossa, meravigliosa, soffice e gelida.
Ci mettiamo una quarantina di minuti ad arrivare sulla cima. Metà della scalata è possibile solo salendo a carponi, data la pendenza, e le mani sono letteralmente gelate, nonostante i guanti. Gli ultimi 20-30 metri dalla vetta sembrano non finire mai, le gambe fanno male, e le soste sono ogni pochi passi. Ansimiamo, respirando la fredda aria di quel mattino; di quell’esperienza memorabile.
Esausti arriviamo in vetta. Innanzi a noi un panorma incredibile, a perdita d’occhio serpeggiano i disegni dei dorsi fuggenti delle dune, e ancora più in fondo guglie e rocce. Siamo ad una manciata di chilometri dalla Libia.
Ripendiamo la pista. Ancora un arco bellissimo. Ancora bizzarre conformazioni rocciose, un fungo, un porcospino, archi e pinnacoli.
Montiamo il campo poco fuori dal Tadrart. Anche quest’ultima notte è fredda e ventosa.

Domenica 3/12/2006
Al risveglio, come oramai siamo abituati, ci aspetta una splendida alba, belle dune che invitano alla consueta, ma questa volta ultima, passeggiata.
Ciascuno per conto proprio, ci s’incammina, chi da una parte chi da un’altra, a celebrare una sorta di commiato fissando nel cuore le sensazioni della stupenda esperienza vissuta. Gli spazi infiniti, i silenzi irreali, il fruscio del vento sul volto, sulla sabbia. Emozioni pregnanti, uniche, intense, che hanno reso il viaggio assolutamente appagante.
Partiamo, allontanandoci sempre più dal Tadrart e dai suoi sconvolgenti panorami. Ad un certo punto incontriamo una larga strada, dapprima sterrata, che poi diventa asfalto, e vediamo operai e ruspe. Strano davvero, dopo tanti giorni di piste appena tracciate, senza vedere l’ombra di asfalto o cemento. E’ la strada in costruzione che da Djanet va a Ghat, in Libia, 260 Km per mettere modernamente in comunicazione questi due città avamposti ai confini del deserto.
Da questa strada, un deviazione fuori pista per raggiungere le grotte di Tin Arassu, ove ammiriamo le ultime pitture rupestri.
Continuiamo verso nord, lungo questo nastro d’asfalto che taglia in due la piana di sabbia, ora diventata giallastra. Vediamo più soventi cespugli e acacie. Nonostante l’asfalto, sono pochissimi i mezzi che si incrociano. Vediamo greggi di capre e piccoli pastori che timidamente levano il braccio ad accennare un saluto. Ora il colore predominate è il giallo ocra.
Ad un certo punto scorgiamo all’orizzonte l’imponente cordone di sabbia color cipria dell’Erg Admer, prima di dirigerci verso uno dei più famosi graffiti di tutto il Sahara: la cosiddetta “Vache qui Pleure”, che si trova solo a una ventina di km da Djanet.
Ultima tappa, proprio alle porte di Djanet, la visita ad una tomba preislamica, ora ridotta a pochi ammassi di pietre concentriche. Qui una bizzarra roccia a forma di elefante, curiosamente modellato dalla natura.
Entriamo a Djanet a metà pomeriggio, in tempo per fare qualche acquisto e telefonare. Ci appoggiamo all’hotel “Zeriba” (unico albergo situato in centro città), giusto per dare una sistemata ai bagagli e finalmente, fare una doccia! Dall’esterno l’edificio è gradevole, ma una volta entrati l’impressione muta subito; è un po’ fatiscente, con camere piccole e spoglie. Bagni e docce in comune, fortunatamente con acqua calda. Costo 1500 Dinari la doppia.
Ceniamo al ristorante La Gazelle, uno dei tre ristoranti esistenti a Djanet. E’ brutto, sporco ed il gestore ha tentato di tirarci una fregatura, adducendo ad una incomprensione sul prezzo precedentemente pattuito. Alla fine abbiamo pagato 700 Dinari a testa, mangiando (ad onor del vero) ottima carne di pecora, pollo e cammello.
Anche questa notte il freddo è pungente e il piano voli per il rientro non ci fa certo fare salti di gioia, il volo interno parte alle 02:00 e una volta arrivati ad Algeri dobbiamo attendere altre 5 ore l’aereo che ci riporterà in Italia. Abbiamo quindi modo di visitarlo per bene, questo aeroporto (!). Per gli amanti dei datteri, segnalo la “Boutique des Dattes”. Qui i prezzi sono come se si acquistassero in Italia, ma sono semplicemente divini! 450 dinari una scatola da 1 kg. Attenzione agli shops del duty-free; la maggior parte di essi accettano solo ed esclusivamente gli Euro.

Voglio, alla fine di questo diario di viaggio, ricordare e ringraziare i componenti dello splendido gruppo di cui ho fatto parte; in rigoroso ordine alfabetico saluto:
Deanna da Carpi;
Fabio da Firenze;
Giovanni da Carpi (il capogruppo);
Giulia da Milano;
Lara da Rimini;
Loris da Mestre;
Nicoletta da Mestre;
Renata da Udine;
Vilma da Varese.Cucina da campo. A parte l’ultimo giorno, abbiamo sempre cucinato noi. Buona parte del vettovagliamento è partito dall’Italia. Oltre a pentolame ecc. la scorta viveri era composta da pasta, formaggi, insaccati, confetture e scatolame vario; cioè tutto quanto potesse servire per un’alimentazione opportuna ed equilibrata. Acqua, pane, frutta e verdura li abbiamo acquistati al mercato di Djanet il giorno della partenza.

2 commenti in “Algeria, il deserto. Quello vero
  1. Avatar commento
    sabbiaevento
    28/07/2007 17:51

    Finalmente leggo di questo tuo viaggio! Non è escluso che segua le tue orme... leggendoti ho avuto un input in più, grazie!

  2. Avatar commento
    bea
    23/07/2007 08:46

    Ho sentito la sabbia tra le dita! Grazie

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