Canada 2: Dal Pacifico all'Atlantico

Dalla costa del Pacifico alle atmosfere francesi dell’Est

Il diario di viaggio si riallaccia alla prima parte "Gli stati occidentali", già pubblicata su Ci Sono Stato.
12° giorno: NEW HAZELTON - PRINCE RUPERT (km. 358 / 3356)
Eccoci così alla giornata che dedicheremo ai villaggi indiani. Come siamo arrivati fin qui lo avete letto nella prima parte.
Si esce da New Hazelton, dove abbiamo pernottato, scavalcando grazie a uno spettacolare ponte metallico a una sola campata lungo circa duecento metri il fiume Bulkley, che scorre tortuosamente in un paesaggio brullo un centinaio di metri più sotto. In un raggio di una ventina di chilometri a nord di New Hazelton si stende la regione dei villaggi indiani, in un bel sito circondato da montagne di oltre duemila metri.
Lo stanziamento più rimarchevole è il già citato villaggio ricostruito di 'Ksan. Gli edifici in legno sono modelli ridotti delle grandi case comuni tradizionali, che ospitavano decine di famiglie e potevano misurare fino a venti metri per trenta. La visita è guidata da una giovane donna Gitksan che spiega la cultura e la vita del suo popolo.
Nella Casa delle Arti sono in vendita gioielli e oggetti di artigianato in argilla, giada e legno ispirati alle divinità tutelari degli indiani: spiccano l'uccello "Heron", comunicatore degli spiriti, la Balena Killer, protettrice della gente di mare, l'Uccello di Tuono, signore degli spiriti soprannaturali e il "Bear/Beaver", curioso incrocio tra orso e castoro al quale si ispirano la maggior parte delle decorazioni dei totems. Gli stessi affascinanti motivi, con forte prevalenza di nero e rosso, sono raffigurati anche sulle pareti esterne degli edifici.
Lungo un ampio spazio erboso scandito da bellissimi totems, con quelli attuali che si mescolano ad altri vecchi di oltre un secolo, sono allineate, tra le altre, la Casa degli Antenati, dove è rievocata la storia recente della comunità, la Casa dei Tesori, che raccoglie un'esposizione delle materie prime usate un tempo dagli indiani, e la Casa della Scultura, laboratorio degli artigiani del villaggio, davanti alla quale è in via di completamento, ancora grezzo e non eretto, un magnifico totem di cinque o sei metri.
Un altro insediamento interessante è il villaggio di Kispiox, una ventina di chilometri più a nord, al quale conduce una strada in parte sterrata. Chissà come, riusciamo a sbagliare direzione; sarà l'unica volta in tutto il viaggio, ma nel luogo meno opportuno: infatti la strada, a seguito di recenti piogge, è dissestata e fangosa e quando, dopo sei o sette chilometri, ci convinciamo dell'errore, l'automobile è ridotta da non poterne quasi riconoscerne il colore. Raggiungiamo infine Kispiox, in una cornice di montagne boscose; raggruppati in un recinto, i totems, scolpiti con forza e raffinatezza, si differenziano da quelli di 'Ksan per l'aspetto liscio di buona parte del tronco e le decorazioni concentrate sulla sommità.
Ultimo stanziamento indiano, cinquanta chilometri dopo New Hazelton, è Kitwanga, già sulla via di Prince Rupert, dove altri totem sono allineati sulla strada principale. I 245 chilometri che portano da Kitwanga a Prince Rupert discendono la Skeena Valley, il cui corso ci accompagna per tutto il tratto in pratica fino all'estuario del fiume.
Una decina di chilometri dopo avere lasciato i villaggi indiani si ha sulla sinistra una bella veduta sul massiccio delle Seven Sisters (m.2786) con le sue cime e il suo ghiacciaio. Dopo Terrace (km.100) la strada comincia a scendere gradualmente verso il mare in uno scenario di vaste foreste: mentre il tempo si è rasserenato, circhi glaciali, valli sospese, cime innevate e cascate ci offrono uno scenario tra i più grandiosi.
Prince Rupert, nonostante conti non più di 16.000 abitanti, sembra avere velleità da grande città. Situata sull'isola Kaien, alla foce dello Skeena e a soli 50 km. dall'Alasca, è un importante porto di pesca, soprattutto di aringhe, merluzzi, crostacei e ippoglossi. Qui e là sono sparsi lungo le strade cittadine circa venticinque totems, alcuni molto belli.
Fissato il pernottamento presso il Totem Lodge Motel (quale altro nome se no?), ci preme recarci subito all'agenzia della B.C. Ferries per vedere se è il caso di nutrire ancora qualche speranza di trovare posto sul traghetto dell'Inside Passage in partenza dopo due giorni (si tenga presente che la traversata avviene a giorni alterni). Come già immaginato, ci togliamo subito il pensiero: c'è infatti il tutto esaurito per i prossimi mesi e le liste di attesa sono lunghissime.
Ci consoliamo ricordando che la forte piovosità di quel braccio di mare fa sì che spesso nebbia o nuvole nascondano parte del paesaggio; ma è un po' la storia della volpe e dell'uva. La rinuncia comporta anche un risvolto al quale non avevamo pensato (o non avevamo voluto pensare): mentre infatti la crociera dell'Inside Passage ci avrebbe portato a Port Hardy, distante 391 chilometri da Nanaimo, punto di partenza della visita di un giorno all'Isola di Vancouver, dovremo invece, per raggiungere Vancouver (attracco del traghetto per Nanaimo), percorrere qualcosa come 1500 chilometri, di cui 751 del tratto Prince Rupert - Prince George già coperti all'andata. Con il senno di poi, avremmo potuto telefonare un paio di giorni prima all'agenzia della B.C. Ferries e invertire la marcia dopo la visita dei villaggi indiani risparmiando i 286+286 chilometri tra New Hazelton e Prince Rupert, corrispondenti alla giornata e mezzo che ci era mancata per approfondire meglio i ben più meritevoli itinerari delle Montagne Rocciose.
Ma ormai è fatta, del resto anche piccole disavventure di questo tipo fanno l'esperienza del viaggiatore; quindi, gironzolato e fatto qualche acquisto in città e ritrovato presto il buon umore con un'apprezzabile cena a base di pesce, decidiamo di dormirci sopra.

13° giorno: PRINCE RUPERT - VANDERHOOF (km. 620 / 3976)
Lo scenario del bel golfo davanti a Prince Rupert, disseminato di isolette coperte di vegetazione, è un piccolo assaggio di quelle che dovrebbero essere le bellezze dell'Inside Passage e ancora una volta ci rammarichiamo di avervi dovuto rinunciare. Come contentino ci iscriviamo a una crociera di due ore che ha per destinazione Metlakatla, sito di ritrovamenti indiani sulla costa opposta; il luogo non entusiasma più di tanto, essendo le attrazioni limitate a un paio di idoli in granito scolpiti con motivi analoghi a quelli dei totem. Risulta più interessante la traversata in battello, a bordo del quale una simpatica e competente accompagnatrice integra le spiegazioni facendo girare di mano in mano tra i visitatori selci e attrezzi rinvenuti nel corso delle campagne di scavo e alcune grosse conchiglie tipiche della zona tra cui spicca la valva di una cozza che misura non meno di una trentina di centimetri. È scontato, ma non si può che esclamare: che cozza!
Il resoconto della giornata si esaurisce in pratica qui: infatti, sbarcati dal battello verso mezzogiorno e consumato uno spuntino, lo scopo della giornata è ora quello di mettere insieme il più chilometri possibile in direzione di Prince George. Il fatto che il tratto sia lo stesso già percorso all'andata consente di limitare le soste al minimo indispensabile, vale a dire esigenze fisiologiche o cambio di autista.
L'unico spunto da ricordare, già notato all'andata e che ora non posso esimermi dal fotografare, è una delle più terribili americanate di tutto il viaggio: in località Houston (km.407), al centro di un'area verde per picnic, spicca una canna da pesca con tanto di mulinello dimensionato in proporzione alta non meno di una ventina di metri, praticamente il monumento alla canna da pesca!
Lungo una strada che, pur essendo la principale via di comunicazione del Canada, alterna tratti rettilinei a curve e saliscendi e non ha quindi la scorrevolezza di un'autostrada, Walter e Danilo mantengono un'andatura di tutto rispetto; da parte nostra, io, Gabriella e Alessandro resistiamo senza mangiare fino verso le 20, quando consumiamo un paio di panini in un fast-food.
Al compimento del km. 620, finiamo per fare tappa per la notte a Vanderhoof, dove giungiamo verso le 23, che già ci ospitò tre sere fa. Troviamo alloggio per 42.000 lire a testa al Glen's Motor Motel, una struttura senza infamia e senza lode che ha il vantaggio di essere sulla strada principale: ciò ci consentirà domattina di riprendere il viaggio senza preamboli.

14° giorno: VANDERHOOF - PEMBERTON (km. 706 / 4682)
Anche oggi l'esigenza primaria è quella di spostarci quanto più possibile in direzione di Vancouver: la metropoli è situata a 850 chilometri e la nostra intenzione è, se non proprio di raggiungerla in giornata, per lo meno pernottare a una distanza da essa di 150-200 chilometri.
Raggiunta Prince George (km.97), termina il tratto già effettuato all'andata; al bivio ci innestiamo sulla già citata n. 97 per percorrerne i 447 chilometri in cui ha la denominazione di Cariboo Highway. La zona attraversata da questa arteria, situata a ovest delle Cariboo Mountains, fu il teatro dell'epopea dell'oro e delle pellicce. Del tutto selvaggia fino a metà dell'Ottocento, la regione fu gradualmente popolata in direzione nord-sud contemporaneamente alla tracciatura della strada; i primi insediamenti, gruppi di pochi edifici sorti al solo scopo di garantire ai viaggiatori vitto, alloggio, provviste e cambio dei cavalli, furono indicati con la distanza che li separa da Lillooet (antico punto di partenza della strada). Così ancora oggi si incontrano località che hanno conservato il nome di 70 Mile House, 108 Mile House e 150 Mile House.
Ci accorgiamo che le cittadine che si incontrano mano a mano che procediamo sono praticamente tutte uguali e situate a intervalli pressochè regolari di 10-15 chilometri l'una dall'altra, il che rende l'idea della gradualità con cui nella seconda metà del secolo scorso la regione venne antropizzata. Le sole due località di una certa importanza di questo tratto sono Quesnel (km.113 da Prince George) e Williams Lake (km.247), più che altro perché ubicate in corrispondenza di crocevia.
Nel primo pomeriggio decidiamo di fare una sosta defatigante: scegliamo la cittadina di Clinton (km.407) per via di un paio di curiosità che non tardiamo a inserire nel campionario delle "americanate". La località ha la consueta struttura dello spazio centrale su cui si affacciano tutti i servizi e dal quale si diramano poche strade secondarie che portano alle zone abitative. Sulla piazza prospetta un rigattiere che nel magazzino ha in vendita cose incredibili che nessuna persona in possesso delle piene facoltà mentali acquisterebbe, mentre all'esterno sono schierate, vicino al relitto di una diligenza che ha ormai solo il compito di sostenere l'insegna Flea Market, un campionario di automobili anni cinquanta che sembrano uscite dai telefilm di Happy Days: è spontaneo chiedersi quale affidabilità possano avere, anche se c'è gente che, con un po' di spirito di avventura e una buona dose di fortuna, acquista per pochi soldi una di queste carrette, gira il continente per qualche mese e alla fine se la rivende rifacendosi del prezzo pagato. L'America è anche questa: a tutti si offre una possibilità, anche a una macchina scassata.
Sull'altro lato della piazza c'è il solito emporio che vende tutto; di fianco spiccano la silhouette in legno a grandezza naturale di un baffuto cowboy immerso in una vasca da bagno con tanto di cappello, stivali e ochetta e un albero secco sul quale un cartello recita "A questo albero non è stato impiccato nessun uomo importante"; poco più in là sono allineati una serie di pali, sui quali i viaggiatori nel corso degli anni hanno inchiodato centinaia di tavolette di legno (in vendita all'emporio) sulle quali hanno riportato le più svariate città di provenienza e la distanza in miglia. Evidentemente in questa landa in capo al mondo gravita più turismo, peraltro di passaggio, di quanto non si possa immaginare.
Una trentina di chilometri oltre Clinton, una decina prima della già citata Cache Creek, si dirama in direzione sud-ovest la strada n. 12, che attraversa il Marble Canyon Provincial Park in uno scenario di rocce rossastre; la si abbandona all'altezza di Lillooet per una secondaria che, dopo circa 90 chilometri che fiancheggiano la strada ferrata, raggiunge Pemberton, sede di un vasto scalo ferroviario, circondata dalle catene montuose del Lillooet Range e delle Coast Mountains, con elevazioni superiori ai tremila metri.
Ci sistemiamo in un piacevole Motel che ci costa 35.000 lire a testa, nel quale consumiamo anche una cena a base di pregevoli bistecche.

15° e 16° giorno: PEMBERTON - VICTORIA (km. 368 / 5040); VICTORIA E DINTORNI (km. 50 / 5090)
La rinuncia alla traversata dell'Inside Passage ha, come abbiamo visto, un po' scombussolato il progetto di viaggio: rifacciamo quindi il punto di quello che ci resta ancora da vedere e scopriamo con piacere di avere tenuto un'ottima tabella di marcia, tanto che potremo dedicare una giornata abbondante alla visita di Victoria, capitale della British Columbia, che non era stata inserita nel programma originario.
Partiamo quindi da Pemberton intenzionati a divorare i 141 chilometri della strada n. 99 che portano a Horseshoe Bay, il quartiere nord di Vancouver dal quale partono i traghetti per l'omonima isola. Facciamo solo una sosta, dopo un centinaio di chilometri, all'altezza delle Shannon Falls, anche perché sono in tutta prossimità della strada. Alte 335 metri, le cascate impressionano per l'imponenza della falesia dalla quale precipitano in più salti, gli enormi massi di frana sparsi alla sua base e i giganteschi alberi che fanno da cornice al sito.
Il tratto finale, in una giornata di splendido sole, ci riserva vedute spettacolose sulla baia di Howe nelle cui acque digradano rive ricoperte di vegetazione rigogliosa sullo sfondo di alte montagne innevate.
Il collegamento Horseshoe Bay - Nanaimo è assicurato ogni ora dai traghetti della B.C. Ferries e ha una durata di 1h 35'; giungiamo all'attracco dove è in attesa di imbarco una coda di automobili di dimensioni impressionanti, ma l'impiegata che si occupa di instradarle alle varie corsie ci garantisce che troveremo posto nel secondo traghetto in partenza. Cosa che in effetti si verificherà.
La traversata è una vera e propria crociera, con il panorama prima sulla baia che si va allontanando e poi sull'isola di Vancouver, che rivela progressivamente un trionfo di foreste e di montagne: la montagna rappresenta la parte preponderante di una superficie che supera quella della Sicilia su una dimensione di 450 chilometri per 100.
Sbarcati a Nanaimo, copriamo velocemente i 110 chilometri che ci separano da Victoria raggiungendola a metà pomeriggio. Ci imbattiamo in qualche difficoltà nel trovare alloggio, cosa del resto spiegabile tenendo conto che siamo nel week-end di metà luglio: dopo svariati tentativi rimediamo due camere in due diversi motels e, poiché uno dei due, il Jolly Knight, ha disponibilità per domani, fissiamo senz'altro anche il secondo pernottamento. Spenderemo circa le solite 40.000 lire a testa per notte.
Risolto il problema della sistemazione, ci diamo alla scoperta di Victoria e subito ci rendiamo conto che la città è stupenda e avremmo commesso un grosso errore (senza saperlo) a mancarne la visita.
Il clima particolarmente dolce, la grande luminosità e la sua tranquillità sono le caratteristiche che colpiscono al primo impatto, mentre un'atmosfera tipicamente inglese caratterizza le strade, gli ordinatissimi giardini, gli edifici, le insegne e gli arredi dei negozi e dei grandi magazzini: fornitissimi e di gran classe sono Eaton's Centre, Windsor Court e, per l'abbigliamento di qualità, "Elephant & Castle", mentre un emporio che ha dell'incredibile è "The Spirit of Christmas" che su due piani espone per tutto l'anno il più completo assortimento che si possa immaginare di articoli per il Natale. Fa un certo effetto visitarlo e trovarlo affollato a metà luglio.
Fulcro della vita cittadina è la James Bay, sulla quale prospettano i due più scenografici edifici di Victoria: il Parlamento e l'Hotel The Empress, entrambi vecchi di circa di un secolo. Il primo, immerso nel verde di splendidi giardini, offre il suo meglio la notte, quando, illuminato da migliaia di lampadine, si riflette nelle acque del porto. Il secondo, fatto costruire in forme di castello dalla Canadian Pacific Railway, è completamente ricoperto di vite del Canada (naturalmente) rampicante; negli sfarzosi saloni del pianterreno lo stesso principesco servizio è riservato sia agli ospiti sia a chi si limiti a partecipare al rito del tè delle cinque: peccato che si debba prenotare con almeno un anno di anticipo. Questa volta ce lo siamo perso.
La banchina prospiciente i tre lati della baia è teatro dell'animazione tipica di luoghi quali la gradinata di Piazza di Spagna, la Plaza Mayor di Madrid, la Leidseplein di Amsterdam, il Beaubourg di Parigi o il Ponte Carlo di Praga: orchestrine jazz, gruppi folk, giocolieri, mimi e artisti di piazza che si mescolano a un passeggio cosmopolita creano una piacevole atmosfera di grande coinvolgimento, alla quale sembra non sottrarsi nemmeno una foca, evidentemente addomesticata, che di tanto in tanto allunga la testa fuori dall'acqua; la luminosità del tramonto al termine di una giornata limpidissima completano degnamente lo scenario.
Il programma del secondo giorno a Victoria prevede la visita dei Butchart Gardens, ubicati una ventina di chilometri a nord del centro nel cuore della penisola di Saanich, e al ritorno qualche ora di semi-riposo godendosi le bellezze della capitale della British Columbia che, come ho già detto, è stata una delle più belle sorprese del viaggio.
Non ho ancora detto che ci siamo lasciati piombare addosso, dopo averlo più volte differito, il problema del volo da Vancouver a Montréal, che vorremmo effettuare fra due giorni. Il guaio è che oggi è domenica, ma ci attende un colpo di fortuna: rassegnati a rinviare a domattina il giro delle agenzie di viaggio con tutti i rischi che comporta la ricerca di cinque posti su un aereo con un solo giorno di anticipo, non crediamo ai nostri occhi quando, in mezzo a tanti esercizi chiusi, ci imbattiamo in un'agenzia che ha appena aperto.
Ovviamente ci precipitiamo all'interno: trattasi della Bains Travel, il cui titolare, Mr. Ruckle, personaggio dal perfetto aplomb anglosassone, si rivela persona di rara cortesia, efficienza e precisione: al termine di una serie di ricerche telefoniche su cui non scenderò in particolari ma che lo impegnano per non meno di un'ora, riesce a trovare cinque posti sul volo della compagnia Canada 3000 Vancouver-Montreal delle 23.55 di dopodomani al prezzo di 390.000 lire a testa, di gran lunga inferiore alla tariffa più economica praticata dalla Canadian Airlines; i biglietti dovranno essere ritirati presso un'agenzia affiliata all'interno dell'aeroporto di Vancouver, seguendo le istruzioni che Mr. Ruckle ci elenca in un dettagliatissimo prospetto.
Compiaciuti per l'inattesa e soddisfacente soluzione del problema chiave di tutto il nostro viaggio, intraprendiamo con ritrovato ottimismo la visita ai Butchart Gardens, confortati anche da un'altra splendida giornata di sole. La strada n. 17 porta in 21 chilometri ai giardini, creati nel 1904 da Jennie Butchart sul sito di una cava di cemento di proprietà del marito, trasformando così un paesaggio devastato in un luogo splendido che, su un'area di circa venti ettari, è diventato una della maggiori attrattive dello stato. La visita ($ 13 a testa) richiede non meno di tre ore e ha come punti salienti il roseto, in questo periodo al culmine della fioritura, il giardino giapponese, il giardino italiano e soprattutto il giardino Sunken, che si sviluppa su una collinetta in cui cespugli, fiori, alberi e laghetti si fondono con grande armonia.
Rientrati a Victoria a metà pomeriggio, abbiamo ancora il tempo per gironzolare nella zona della James Bay e sui moli di altri minuscoli porticcioli contornati da fiori apprezzando ancora una volta la tranquillità, il clima e l'elevata qualità di vita che caratterizzano la città. E se mollassi tutto e mi trasferissi qui per mettere su una pizzeria, una spaghetteria, una gelateria o una qualunque "qualcoseria"?
Il fatto che stia scrivendo su un sito italiano dalla mia casa di Genova vi fa capire che non l'ho fatto, ma non è un'ipotesi da scartare da parte di qualche giovane con un po' iniziativa.

17° giorno: VICTORIA - NANAIMO - TOFINO - NANAIMO (km. 518 / 5608)
Lasciamo Victoria con un po' di rammarico puntando in direzione nord. Dopo una cinquantina di chilometri, vale a dire a metà del tragitto Victoria-Nanaimo già percorso all'andata, facciamo una sosta all'altezza di Duncan: l'attrazione che la cittadina offre è il "Duncan Native Heritage Centre", il più importante tra i vari musei/centri di cultura indiana che sono sorti nella regione negli ultimi decenni, da quando cioè ha cominciato ad essere riscoperto e a suscitare interesse il patrimonio etnico, culturale e spirituale degli abitanti originari della British Columbia.
Nel Centro sono stati ricostruiti gli edifici in legno nei quali si svolgevano le varie attività, alcune delle quali sono illustrate ai turisti da parte degli indiani: tra queste, la rudimentale tecnica di affumicamento del salmone e quella della scultura dei totem, che avviene in un capannone dove anche i visitatori sono invitati a cimentarsi. Altri bei totem sono allineati lungo l'itinerario di visita, mentre veramente splendidi sono quelli che fanno mostra di sé all'interno di un'esposizione che annovera anche talismani, strumenti, magnifiche maschere e pezzi di artigianato tipico: il tutto può anche essere acquistato, sempre che si riesca a sopravvivere al trauma della lettura dei prezzi, peraltro proporzionati all'esclusività degli oggetti.
Raggiunta Nanaimo, provvediamo come prima cosa a prenotare il motel per la sera, così da poter rientrare anche tardi dal giro dell'isola che si annuncia lungo; abbandoniamo quindi la Trans Canada Highway e, lasciato sulla destra il bivio per la strada costiera n. 19 che ha termine a Port Hardy dopo 360 chilometri, ci inseriamo nella n. 4, che taglia in senso est-ovest l'isola di Vancouver per 206 chilometri fino a sboccare sul Pacifico, tratto che dovremo ripercorrere anche al ritorno.
Una sessantina di km dopo Nanaimo, preannunciata da una vegetazione di alberi di alto fusto che poco dopo avere imboccato la n. 4 ha cominciato a delimitare i lati della strada, eccoci alla "foresta cattedrale". Il nome è dovuto alla presenza preponderante di spettacolari abeti Douglas che si ergono diritti come colonne su un sottobosco ricco di muschi e di felci; la foresta è percorsa da sentieri segnalati dai quali è vietato allontanarsi, in quanto il complesso costituisce un laboratorio spontaneo protetto nell'ambito del quale l'uomo si limita a "lasciar fare" la natura senza operare alcun intervento, nemmeno per rimuovere gli alberi caduti. Gran parte degli abeti supera i sessanta metri di altezza; il più vecchio, al quale è attribuita un'età di ottocento anni, raggiunge i 75 su un diametro di tre, con un incavo alla base che può ospitare una persona in piedi.
Anche dopo avere lasciato la "foresta cattedrale", notiamo che il territorio della Vancouver Island è in prevalenza coperto di boschi rigogliosi, cosa che non stupisce se si pensi che, mentre a Victoria cadono mediamente 650 mm. annui di pioggia, sulla costa occidentale si toccano i 6500. Inoltre, buona parte dell'isola è costituita da montagne (la maggiore elevazione è il Golden Hinde, m.2201), sui fianchi delle quali non è infrequente la pratica degli sport invernali.
È arrivata nel frattempo l'ora di pranzo, e capita a proposito l'unico centro di qualche importanza lungo l'itinerario odierno: si tratta di Port Alberni (ab.18.000), importante centro di produzione di pasta da carta.
Ci orientiamo subito su uno di quei locali già descritti dalla formula "mangia tutto quello che vuoi a prezzo fisso": in questo caso si tratta di $ 8.95, al cambio meno di 11.000 lire e la scelta è ancora più ampia del solito, con la presenza tra l'altro di riso all'orientale, lasagne al forno, pollo arrosto, insalate verdi e di pasta, legumi misti, dolci.
Mentre ci sbizzarriamo tra le varie portate del self service, ci sorge spontanea una considerazione: anche se la formula consente di limitare il personale all'essenziale, il margine di guadagno non sarà tale da arricchirsi, tenendo anche conto che tra i frequentatori del locale non mancano i camionisti, notoriamente tutt'altro che inappetenti.
La risposta arriva di lì a poco: entra un gruppo di persone ai quali la cameriera, alla quale abbiamo detto di essere italiani, addita il nostro tavolo; veniamo avvicinati da una coppia di mezza età che si presentano come i proprietari del locale e dalla cordiale conversazione che intavoliamo risulta quanto segue. I due partirono da Vicenza circa trentacinque anni fa sbarcando in Canada in cerca di lavoro e cominciarono con piccole attività nell'ambito della ristorazione; oggi hanno tre figli adulti tutti solidamente sistemati (uno nella gestione di questo ristorante), possiedono il locale stesso e l'appartamento al piano superiore oltre a un analogo self service in altra località dell'isola, una casa a Vancouver e una a Phoenix, Arizona. Nell'arco dell'anno alternano periodi nelle loro varie abitazioni a viaggi e vacanze dove più gli aggrada.
I due, che sono in compagnia di amici, di lì a poco si congedano da noi, ma ci lasciano implicitamente una risposta: in questo Paese si può anche fare fortuna riempiendo la pancia alla gente per undicimila lire. E pensate: non più tardi di ieri facevo delle considerazioni sull'eventualità di intraprendere un'attività da queste parti!
Il tratto che ci separa dalla costa del Pacifico costeggia dapprima per un lungo tratto il lago Sproat sempre in una cornice di foreste; non mancano i segni delle attività ad esse collegate, come zone di alberi abbattuti, altre in via di rimboschimento, in un vai e vieni di enormi camion carichi di tronchi. Superato il colle di Sutton Summit ("ben" m.172), i circa cinquanta chilometri che portano all'oceano si sviluppano su continue curve e saliscendi.
Allo scadere delle 17,30, i nostri dieci occhi si posano per la prima volta sulle acque del Pacifico! Sostiamo qualche minuto su un belvedere attrezzato che, pur separato dal mare da qualche chilometro di fitta vegetazione, è indicato come un buon punto di osservazione per le balene: e in effetti individuiamo qualche massa in movimento nell'acqua, ma senza binocolo non sapremo mai se si trattasse di cetacei o di suggestione.
Raggiungiamo Tofino, dove, in riva alla spiaggia, spicca un cartello che indica di essere arrivati al terminale ovest della Trans Canada Highway (anche se la strada è la n. 4, questa è la diramazione estrema della grande n. 1). La cittadina, in posizione stupenda davanti a un golfo disseminato di isolette e di belle imbarcazioni da diporto, ha l'aria di essere mèta di un turismo di alto livello, non a caso incrociamo un gruppo nel quale riconosciamo l'attore Charlton Heston.
Sostiamo brevemente sulla spiaggia di sabbia finissima, giusto il tempo di compiere un'azione che potremmo non ripetere più nella vita, immergere cioè i piedi nelle acque dell'Oceano Pacifico: il rituale è sbrigato alla svelta, data la temperatura del mare non proprio mite.
Spostatici sulla rada antistante il porticciolo notiamo un certo movimento di idrovolanti che vanno e vengono: capiamo che si tratta di voli turistici sopra il golfo, per cui assumiamo le informazioni del caso presso la Tofino Air, la compagnia che gestisce il servizio: è rimasto disponibile l'ultimo volo con un idrovolante piccolo che, viste le esitazioni di Danilo, io e Walter ci affrettiamo a prenotare.
Decolliamo alle 19,30 su un velivolo decisamente vecchiotto per una crociera che, prevista di venti minuti, il nostro simpatico pilota prolungherà fino a quasi mezz'ora. La visione dall'alto ci dà subito l'idea della miriade di isole e isolette, alcune dense di vegetazione, altre del tutto rocciose, di cui è cosparso questo braccio di mare; quanto più ci si alza, tanto più il panorama si fa esteso fino ad abbracciare tutto l'arco di montagne innevate che costituiscono il cuore della Vancouver Island con alla base un mantello ininterrotto di foreste. Sulla costa occidentale spicca la striscia sabbiosa (oltre dieci chilometri) della Long Beach, ma l'aspetto più spettacolare del volo sono le virate e le picchiate che ad ogni avvistamento il pilota compie per consentirci di osservare da poche decine di metri di altezza colonie di animali: si tratta di balenottere bianche (beluga) lunghe cinque-sei metri adagiate in bassi specchi d'acqua e di grandi quantità di otarie sdraiate sugli scogli quasi mimetizzate con essi. Tutto l'insieme, nella luce bassa di un tramonto luminosissimo, contribuisce a rendere entusiasmante questa esperienza, di certo una delle più significative del nostro soggiorno canadese, il tutto all'equo prezzo di L. 72.000 a testa.
Atterriamo quando sono ormai le otto passate. Ci limitiamo a uno spuntino poiché abbiamo davanti oltre duecento chilometri di strada spesso tortuosa tra noi e i letti del motel di Nanaimo (del resto la signora del ristorante di Port Alberni aveva manifestato perplessità sulla nostra intenzione di recarci a Tofino e riuscire a tornare nell'arco di un pomeriggio); ma Walter si dimostra come al solito ottimo autista e, anche se con le braccia un po' indolenzite per il continuo uso dello sterzo, ci porta a destino prima della mezzanotte.
Notiamo solo ora che ci troviamo al "Departure Bay Motel", denominazione che ci fa intuire di essere in prossimità della baia da dove parte il traghetto per Vancouver e non, come temevamo, in chissà quale angolo di Nanaimo.

18° giorno: NANAIMO - VANCOUVER (km. 62 / 5670) - VOLO PER MONTREAL - MONTREAL
La banchina del traghetto è in effetti proprio di fronte al nostro motel, il che ci consente di prendercela abbastanza comoda, già sapendo che le partenze per Vancouver sono piuttosto frequenti. La traversata di ritorno offre il conforto già riscontrato tre giorni fa e il persistente bel tempo ci fa ancora apprezzare il bello scenario in cui si svolge.
Quella di oggi si presenta come una giornata interlocutoria, che faremo trascorrere girando per Vancouver, che ormai ci è familiare, in attesa delle 23.55, ora in cui partirà il nostro volo per Montréal. Sbarcati in città, decidiamo di recarci subito all'aeroporto per definire la pratica dei nostri documenti di viaggio; in possesso delle indicazioni scritte forniteci da Mr. Ruckle, dettagliate al punto da riportare i numeri degli ingressi, dei corridoi, dei livelli, l'ubicazione del deposito bagagli e dei box delle agenzie di affitto auto, troviamo senza incertezze il banco della Fiesta West (l'affiliata della Bains Travel), dove sono pronti i nostri biglietti.
Depositati i bagagli, provvediamo anche alla restituzione all'AVIS dell'automobile con lo spirito di chi separa da un amico fedele (e la rimpiangeremo ancora di più quando faremo il confronto con il cassone sul quale gireremo il Québec); senonché non appena ci dirigiamo all'uscita dell'aeroporto ci rendiamo conto di avere commesso un errore, potevamo tenere cioè la macchina fino alla fine della giornata mentre ora ci toccherà invece spostarci per Vancouver con i mezzi pubblici.
Incrementato così l'elenco delle esperienze istruttive di cui fare tesoro per i futuri viaggi all'estero, ci dirigiamo in autobus verso il centro città, dove, dopo avere fatto una puntata nel simpatico caos del mercato della Granville Island dove ci personalizziamo il pranzo tra gli stands gastronomici, facciamo un ultimo giro a Gastown, sulla Robson Street e nel bel centro commerciale della stazione ferroviaria per gli ultimi acquisti.
Lasciamo la British Columbia con il volo per Montréal della Canada 3000 che decolla in perfetto orario alle 23.55.

19° giorno: MONTRÉAL
Il volo da Vancouver a Montréal dura circa quattro ore più tre di fuso orario, per cui raggiungiamo la mèta, dopo un rincorrersi di albe dovuto alla rotta verso est che stiamo tenendo, intorno alle otto ora locale. Il nostro stato di forma è assai vicino alla cottura.
Prima di cominciare a riferire del nostro itinerario alla scoperta del Québec, il più esteso degli undici stati che costituiscono il Canada con una superficie pari a cinque volte quella dell'Italia, è il caso di fare una puntualizzazione sulle differenze che andranno via via emergendo con gli stati occidentali appena lasciati.
Innanzitutto la lingua: il Québec è uno stato francofono dalla forte identità nazionale (non a caso un referendum del 1996 ha visto sconfitto il movimento separatista per una differenza di nemmeno un punto percentuale); di conseguenza, anche se nelle varie situazioni al turista ci si rivolge di solito in inglese, i quebécois dimostreranno subito apprezzamento per chi preferisca esprimersi in francese.
Più di una volta sarò gratificato con il commento: "Monsieur, vous parlez très bien français"; in realtà la cosa non è dovuta a una mia particolare padronanza della lingua, ma più che altro vengo subito riconosciuto come persona che ha studiato a scuola il francese cosiddetto classico, dal quale il dialetto locale si differenzia per cadenze e cantilene tutte particolari: ci vorrà qualche giorno per farci l'orecchio.
L'atmosfera generale che caratterizza sia le città che i piccoli centri somiglia parecchio a quella della provincia francese; Montréal e Québec sono poi le uniche città di tutta l'America che conservino un centro storico inteso nel senso europeo.
Un altro aspetto non trascurabile per noi italiani è la cucina, che, pur presentando talora qualche originalità, è in sostanza quella francese, sia nell'accuratezza delle preparazioni che nella tipicità dei piatti, dalle crêpes alle assiettes di frutti di mare. Se poi è pur vero che lungo le strade di grande comunicazione non mancano i fast-foods (qui meglio noti con l'intraducibile termine casse-croûte), si tratta però di locali che propongono cotture meno devastanti per i nostri fegati di quelle che spesso abbiamo dovuto subire nelle due settimane e mezzo appena trascorse.
Eccoci dunque a Montréal alle otto di un mattino d'estate. Ci dedichiamo subito all'incombenza più importante, contattiamo cioè l'ufficio di assistenza alberghiera dell'aeroporto che ci fornisce una serie di recapiti di bed & breakfast: telefoniamo a uno di essi, che ha disponibilità per due notti, per cui ci rechiamo subito sul posto in taxi.
La casa che ci ospiterà è ubicata lungo la Rue Sherbrooke, uno dei principali assi viari della città, un tranquillo viale alberato caratterizzato dalle tipiche abitazioni, spesso di colori vivaci, precedute da una scala esterna in legno che dà accesso a un terrazzino coperto sul quale si apre l'ingresso principale. Padrona di casa è Madame Pierce, simpatica ex cantante lirica che vive in un mondo tutto suo costruito con i ricordi della carriera: le pareti e i mobili del soggiorno, al centro del quale troneggia un pianoforte, brulicano infatti di fotografie, trofei, diplomi e attestati vari, mentre in sottofondo risuonano in continuazione arie d'opera. Ma la padrona vera è la figlia, mademoiselle Chantal, alla quale veniamo subito affidati; si tratta di una donna sui trentacinque, piacevole ma scontrosa, che, oltre a zittire la madre a ogni suo intervento, ci sottopone con piglio inquisitorio alla meticolosa compilazione di una quantità di documenti: tra l'altro insiste nel parlare inglese, pur avendo noi espresso preferenza per il francese (che peraltro anch'ella parla benissimo), cosa che provo gusto a rammentarle spesso con il risultato di aumentare la sua ostilità.
Ci illustra poi le regole e gli orari della casa ed è in verità prodiga di indicazioni sulla città e sul funzionamento dei mezzi pubblici, ma il suo tono è quello di un'insegnante che poi interrogherà i suoi scolaretti per bacchettarli se non sono stati attenti. Io e Walter ci scambiamo ogni tanto sguardi che significano "Ce la mandi tu o ce la mando io?", ma siamo stanchi e finiamo per soprassedere.
È quindi con un senso di liberazione che, sistemati i bagagli e rese alla bell'e meglio presentabili le nostre persone, usciamo alla scoperta di Montréal, che non tradisce le attese e si rivela una città molto bella. Essa occupa per intero l'isola più grande, dalla forma più o meno di un rombo lungo oltre quaranta chilometri, dell'arcipelago di Hochelaga, situato lungo il corso del San Lorenzo. Già da questo si intuisce l'imponenza di questo fiume; per dare un'idea delle sue dimensioni si aggiunga che le sue rive vengono chiamate coste e che i traghetti che uniscono quella della Gaspésie a quella settentrionale compiono tragitti che superano in certi casi le due ore.
Come già puntualizzato nella precedente relazione a proposito di Vancouver, non mi improvviserò guida turistica, rimandando più utilmente il lettore alla consultazione di manuali di viaggio; menzionerò comunque gli aspetti più rilevanti della città, o meglio della parte della quale abbiamo approfondito la visita.
L'agglomerato urbano di Montréal, che è la seconda città francofona del mondo dopo Parigi, è estesissimo ed è andato allargandosi con rapidità dando luogo a una metropoli dalle caratteristiche tipicamente americane. Per fortuna intatto è rimasto il nucleo del Vieux Montréal, che corrisponde al settore contornato durante il XVIII secolo da mura, poi demolite all'inizio dell'Ottocento. Come già accennato, l'atmosfera è tipicamente francese, con tranquille stradine pedonali, negozi dalle belle insegne, facciate colorate e caratteristici ristoranti.
Una passeggiata vivacissima si svolge lungo l'Esplanade du Vieux Port, con belle vedute sulla città e sul fiume, attraverso un vasto parco disseminato di aree di gioco per bambini, panchine, spazi attrezzati per picnic e un'esposizione permanente di sculture degli stili e dei materiali più svariati. A ridosso dell'area verde spicca anche un'"americanata" (da diversi giorni ci mancavano): è l'edificio del museo dell'aeronautica, dalle due facciate opposte del quale sporgono, incorporati nel palazzo, il muso e la coda di un vero bimotore.
Un capitolo a sé merita la basilica di Notre-Dame, che penso non possa suscitare, in positivo o in negativo, che sensazioni estreme: ultimata del 1870, è il primo esempio di chiesa neo-gotica del Québec. Sicuramente straordinario è l'interno: di impianto quasi teatrale, è diviso in tre navate, di cui le laterali sono dotate di due piani di gallerie, e costituisce una vera e propria mostra d'arte religiosa. L'altare principale è un esempio clamoroso di horror vacui (nel Medioevo, specie nell'età del Gotico, si esorcizzava l'idea del vuoto, considerato diabolico, riempiendo minuziosamente ogni angolo delle superfici da decorare): qui pullula una miriade di raffigurazioni particolareggiatissime in legno di pino finemente scolpito, dipinto e ricoperto di oro a 24 carati. Le vetrate, realizzate a Limoges e sistemate del 1931, raffigurano scene della storia di Montréal e sono degno completamento della decorazione. Il fiore all'occhiello del complesso è comunque l'organo monumentale datato 1887, uno dei più grandi al mondo e ancor più valorizzato dall'eccellente acustica del tempio: abbiamo la fortuna di entrare nella chiesa mentre un ignoto esecutore sta eseguendo delle corali di Bach e posso assicurare che l'effetto è stato da pelle d'oca.
Particolarità unica di Montréal è la Città Sotterranea. Date le temperature rigidissime che ne caratterizzano gli inverni, negli anni sessanta, contestualmente alla costruzione della metropolitana, fu realizzata un vera e propria "città sotto la città": grazie a ciò, la popolazione può attraversare a piedi buona parte dei quartieri commerciali senza salire all'aperto, evitando così i rigori del clima.
La rete è costituita da vere e proprie vie, viali e piazze con tanto di targhe che ricalcano su certi tratti la topografia e la toponomastica di superficie, mentre l'illuminazione è assicurata, oltre che dalla luce artificiale, anche dagli alti tetti ad ampie vetrate che danno sull'esterno. Ci si può così spostare e accedere ai grandi hotels, ai principali edifici pubblici e banche, ai due vasti centri commerciali Eatons e La Baie, a centinaia di negozi, a cinema, teatri, ristoranti, musei, centri culturali, a due stazioni ferroviarie e a quella delle autocorriere; il tutto rimanendo al coperto.
Nella giornata di giovedì 19 dobbiamo ritagliarci qualche ora di tempo per definire il contratto di affitto dell'auto che ci servirà per spostarci attraverso gli itinerari delle coste del San Lorenzo e della penisola di Gaspésie, un viaggio ad anello con ritorno a Québec City e puntata finale alle cascate del Niagara con restituzione della vettura prevista a Toronto il 33° giorno.
Ci orientiamo decisamente, vista la soddisfacente esperienza con l'agenzia di Vancouver, sull'AVIS, anche se ci imbattiamo su un aspetto inatteso di quella vera giungla che è l'universo dell'affitto auto: le due filiali del centro città e dell'aeroporto praticano, a parità di veicolo e di condizioni, tariffe diverse. Scegliamo la seconda, che è più vantaggiosa, anche se con rammarico riscontriamo che nei cataloghi delle varie agenzie sono difficilmente disponibili vetture analoghe a quella che per praticità, comodità e prestazioni avevamo tanto apprezzato lungo le strade della British Columbia e dell'Alberta. Dobbiamo così ripiegare su una classica "americanata", una berlina Buick Le Sabre bianca targata FM78257, macchina esageratamente grossa senza peraltro essere una grande macchina, cilindrata 3800, che, oltre ai maggiori consumi, ci costerà anche più della prima: 85.000 lire al giorno + 15.000 di drop-off contro le 72.000 del Voyager.
Il resto della giornata trascorre piacevolmente girando senza meta lungo le strade del Vieux Montréal e la zona portuale, nella quale è anche in corso un grosso mercato delle pulci, gioia degli spendaccioni come me, che non perdo l'occasione per incrementare la mia collezione di spillette (pins), acquistare un paio di tee-shirt con soggetti jazzistici (Montréal ospita annualmente uno dei più apprezzati festival del jazz) e tre vecchie targhe automobilistiche degli stati visitati.
Danilo e famiglia si defilano per qualche ora per un ben più dispendioso acquisto. Non ho infatti ancora detto che da quando, il 12 Luglio a Prince Rupert, Alessandro ha visto in un negozio di musica una chitarra basso a un prezzo che è la metà di quello praticato in Italia, è in corso un'estenuante trattativa con il padre per farsela comprare. L'ultima roccaforte difensiva di Danilo, cioè la presunta difficoltà del trasporto in aereo di un oggetto così ingombrante, era crollata miseramente sul volo Vancouver-Montréal: infatti, dopo che una hostess da me interpellata su pressione di Alessandro aveva escluso la possibilità di caricare lo strumento in cabina, saliva un viaggiatore che con la massima disinvoltura portava con sé un violoncello!
Si aggiunga il fatto che a Montréal c'è "Stevie's", che è uno dei più grandi empori di strumenti musicali del mondo, ed ecco che Danilo non ha ormai scampo.
Con l'occasione apro un inciso sui prezzi riscontrati nei vari settori del mercato canadese: abbiamo comprato i generi più vari, dalle cartoline alle spillette, dai libri ai compact-disc, dalle magliette ai blue-jeans, dall'asciugacapelli acquistato da Gabriella a Banff ai generi alimentari sia in grandi magazzini che in negozietti locali e posso dire che non abbiamo trovato un solo articolo più caro che in Italia. Dei prezzi dei pernottamenti e dei pasti ho già fatto cenno, la benzina costa 650-700 lire al litro, l'automobile che abbiamo usato in British Columbia è pubblicizzata a circa due terzi del prezzo praticato in Italia, gli articoli foto-video costano poco più della metà che da noi. Parlando infine di un settore del quale ho una buona conoscenza, il prezzo massimo dei compact discs è di ventottomila lire contro le quasi quaranta dell'Italia, ma, oltre ad esserci diverse fasce di prezzo, nelle principali città ogni grande negozio pratica sconti fino al venti per cento su un certo numero di titoli: tenendo conto che questi sono differenti per ciascun punto vendita, girando un po' dall'uno all'altro si può risparmiare parecchio. Questo è uno degli aspetti del mercato americano che mi piacciono di più.
Gli amici ritorneranno senza avere concluso l'acquisto, tenendo conto delle dimensioni dello strumento nella sua custodia che dovrebbe per forza trovare posto nell'abitacolo dell'auto nelle prossime due settimane, con la promessa però che Ale entrerà in possesso del tanto ambito "Fender Precision" a Québec City o Toronto negli ultimi giorni del nostro soggiorno.

20° giorno: MONTRÉAL - St.VALLIER (km. 330 / 6000)
Dopo la colazione in casa Pierce, ci rechiamo all'aeroporto a ritirare l'auto. Torniamo poi in Rue Sherbrooke, da cui, dopo avere caricato i bagagli e saldato il conto (32.000 lire a testa per notte), partiamo alla scoperta del Québec.
L'uscita dal labirinto di svincoli autostradali di Montréal ci dà non pochi grattacapi, ma infine, dopo alcuni giri a vuoto, scegliamo di inserirci nella n. 20. Questa strada, che percorre l'interno del distretto noto come Coeur du Québec, è meno panoramica della n. 132 che costeggia integralmente la riva sud (destra) del San Lorenzo, ma assai più scorrevole.
Del resto, la regione alla quale puntiamo per le sue attrattive è la Gaspésie, dalla quale ci separano oltre quattrocento chilometri, e a questo punto ci fa comodo percorrerne prima di sera il più possibile. Superate quindi (km.50) Saint-Hyacinthe, centro di commerci agricoli, e (km.111) Drummondville, sede di industrie tessili, giungiamo (km.253) in vista di Québec City, che visiteremo al ritorno. Il colpo d'occhio sulla città, che è situata sulla riva opposta, dà l'idea della sua splendida posizione, nel punto in cui il San Lorenzo riduce la sua larghezza a non più di due chilometri.
Decidiamo a questo punto di lasciare l'autostrada per immetterci sulla 132, dove ben presto possiamo apprezzare, sempre sulla riva opposta, l'imponente cascata di Montmorency e subito dopo l'Ile d'Orléans: lunga una trentina di chilometri e larga dieci, sembra quasi incastrata nel fiume, che da qui ricomincia gradualmente ad allargarsi.
Questa strada costiera comincia a darci un quadro del paesaggio tipico della piana del San Lorenzo, vero e proprio asse vitale dello sviluppo urbano e dell'economia del Québec; grazie all'ovvia fertilità del suolo e a un clima piuttosto mite, i terreni offrono una produzione agricola molto varia e i campi di granoturco si alternano con quelli di avena, orzo e grano e con aree adibite a pascolo. I piccoli centri che si susseguono sono tutti simili e costituiti per lo più da nuclei di edifici della stessa tipologia: si tratta delle fermes (fattorie) affiancate di solito da stalle ed enormi silos.
Le dimensioni del fiume sono tali da non consentire quasi mai di scorgere da una riva quella opposta, tanto da avere la sensazione di trovarsi al cospetto di un mare; deve essere l'impressione che hanno provato anche i gestori del "Motel sur Mer" per battezzare così il loro piccolo albergo. L'edificio, in legno dipinto di bianco e celeste, è adagiato tra gli alberi su un ampio prato a breve distanza dal fiume, in località St.Vallier, poche case, una fattoria, tranquillità assicurata: per giunta è ormai ora di cena per cui non ci sembra il caso di indugiare. Notiamo di essere i soli ospiti del motel (il pernottamento ci costerà 37.000 lire a testa), così come saremo i soli avventori del vicino casse-croûte dove ceneremo su indicazione dei padroni di casa.
Possiamo immaginare quanto intensa sia la vita notturna del paese.

21°: St.VALLIER - CARLETON (km. 550 / 880 / 6550)
La n. 132 nei circa 170 chilometri da St.Vallier a Rivière-du-Loup costeggia integralmente la costa sud del San Lorenzo e privilegiamo quindi le sue caratteristiche di strada panoramica escludendo l'autostrada che corre parallela pochi chilometri all'interno. Siamo nel tratto in cui è minore (circa quaranta chilometri in linea d'aria) la distanza dal confine U.S.A. (stato del Maine).
Il paesaggio ha sempre nelle fermes e nel susseguirsi di numerosi paesini accovacciati attorno a tipici campanili di legno bianchi, argentati o celesti, le sue note più ricorrenti; nella prima metà della giornata effettuiamo una sosta in località non ben precisata per visitare "Les Retrouvailles", luogo assolutamente al di fuori di ogni classificazione e pomposamente definito "Musée", che è una esposizione, o meglio un'accozzaglia, di vecchi oggetti di uso comune tra i più inverosimili: in un grosso capannone ci si aggira in spazi ridottissimi tra utensili meccanici e agricoli, telai per filatura e tessitura, tini, recipienti per il latte, pompe di benzina in disuso, fonografi, radio a valvole, calcolatrici, registratori di cassa, bambole mutilate, una sedia da barbiere, culle, cartelloni pubblicitari, bare, targhe di automobili, una diligenza, medaglie e onorificenze, ex-voto, santini, indumenti smessi, copricapi, un'incubatrice! Qui e là modellini di navi, treni e aerei. Nel prato antistante, disseminato di pezzi di macchinari rugginosi, spiccano le carcasse rappezzate alla meglio di un'elicottero e di un aereo da trasporto, quest'ultimo visitabile se pure con qualche cautela per gli scricchiolii provocati da ogni nostro passo.
Non un'americanata vera e propria, ma comunque un bel campionario di stranezze, non tanto tali se prese a una a una ma esilaranti nel loro accostamento; e si badi che quanto ho citato è solo la percentuale che mi è rimasta fissata nella memoria.
A Rivière-du-Loup ci attende un'altra parentesi ludica, questa già più vicina alla categoria "americanate", non fosse altro perché è in sostanza una Disneyland in miniatura: trattasi del parco di divertimenti "Château de rêve", con padiglioni ispirati ai personaggi delle favole, possibilità di giri su battelli in miniatura e pista di go-kart. Mentre Walter e Alessandro si cimentano su questi ultimi, io mi diverto a farmi fotografare dentro la balena di Pinocchio e a filmare un'esposizione di vecchie auto anni cinquanta in disuso ridipinte con incredibili tonalità pastello.
Ci spingiamo poi alle cascate del Loup, generate dal fiume nel punto dove esso si getta nel San Lorenzo: si arriva ai piedi nell'ultimo degli otto salti per complessivi 90 metri di altezza (questo ne misura 38), ma un po' perché si tratta di una cascata artificiale e un po' perché le acque sono alquanto limacciose, ne risulta uno spettacolo poco attraente e decisamente evitabile.
Lasciato senza rimpianti il sito, procediamo velocemente, anche perché il tratto di 140 km. tra Rivière-du-Loup e Sainte-Flavie dovrà essere percorso anche al ritorno prima di traghettare sulla riva nord del San Lorenzo; perciò se scorgeremo delle attrattive ne rinvieremo la visita di qualche giorno.
A Sainte-Flavie (km. 300 da St-Vallier) lasciamo la costa per dirigerci verso l'interno. Il tratto, pur se si svolge attraverso paesaggi di campagna sempre gradevoli, non ci riserva particolari spunti di interesse; dopo circa 60 chilometri la 132 raggiunge il lago Matapédia, dal quale ha origine l'omonimo fiume che scorre al fianco della strada praticamente fino alla sua foce. Quando la raggiungiamo, dopo un centinaio di chilometri in direzione sud-sudest, ci troviamo nel punto più stretto della Baie des Chaleurs; continuiamo verso est mentre la baia gradualmente si allarga, superiamo il territorio del Parc de Miguasha, noto per i pesci e le piante fossili vecchie di 370 milioni di anni trovate sulle sue scogliere e decidiamo infine di fermarci per la notte a Carleton.
Questa cittadina della quale fino a qualche ora fa ignoravo l'esistenza ha velleità di stazione balneare alla moda, sproporzionate per una località situata su un litorale piacevole ma non molto al di sopra della normalità. Sta di fatto che ci tocca cozzare contro insospettate difficoltà nel trovare alloggio: i portieri di due pretenziosi hotels interpellati, oltre a sparare prezzi da far accapponare la pelle, palesano ironico scetticismo sulle nostre possibilità di trovare una sistemazione in città o dintorni. Potrebbe essere l'occasione per mandarli dove non abbiamo mandato mademoiselle Chantal Pierce a Montréal, ma ancora una volta soprassediamo perché siamo buoni.
Successive ricerche rivelano l'inesistenza di strutture alberghiere di fascia medio-economica (nemmeno fossimo a Portofino!) e cominciamo a temere di dover pernottare in auto quando provvidenzialmente ci imbattiamo in un motel che ha due camere libere: la soluzione risulta una delle più modeste del nostro viaggio, ma è anche vero che ce la caviamo con 24.000 lire a testa.
A raddrizzare definitivamente una serata che si preannuciava storta con il rischio di guastare il giorno del compleanno di Danilo, si aggiunge l'ottima scelta del ristorante: per un prezzo ragionevole ci saziamo infatti con la prima delle assiettes de fruit de mer di questo soggiorno quebecchese, accompagnata da due bottiglie di vino bianco cileno di sorprendente gradevolezza.
Domani proseguiremo il nostro itinerario in direzione est: siamo a meno di trecento chilometri da Percé, uno dei punti focali della nostra visita del Québec. Cominciamo a essere un po' stanchi e abbiamo intenzione di fissare un paio di pernottamenti in uno dei graziosi chalets in legno sulle rive del San Lorenzo che vengono affittati ai turisti.

Di questo e altro racconterò, sempre su Ci Sono Stato, nella terza e ultima parte del diario: "Québec e Ontario".

3 commenti in “Canada 2: Dal Pacifico all’Atlantico
  1. Avatar commento
    kiomctyu sqimyo
    13/07/2007 10:13

    kqjgxr towqgbei lcxjurmth mzbnirf lexu exln ikqjl

  2. Avatar commento
    kiomctyu sqimyo
    13/07/2007 10:13

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  3. Avatar commento
    pepeto
    29/07/2001 06:00

    Peccato veramente che non avete riservato in tempo la ferry dell'Inside Passage. Abbiamo avuto la fortuna di traghettare da Port Hardy a Prince Rupert nel 1993 e, malgrado il brutto tempo, è stato uno dei momenti più impressionanti del nostro viaggio (di nozze) in Canada Saluti

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