SAHARA: una sorprendente Tunisia in 4x4

Unveiling the Unexpected: Venturing Through Tunisia’s Sahara in A Four-Wheel Drive

5 aprile 2014 - Da Tunisi a Douz attraversando l'entroterra
Atterriamo a Tunisi dopo due ore dal decollo a Milano Malpensa per dirigerci subito verso Douz, a circa 550 chilometri dalla capitale, pari a circa 7 ore in minibus.
All’inizio la strada sfila in mezzo ad ampie piantagioni di viti e ulivi, e campi di frumento recintati da filari di fichi d'India coi loro simpatici frutti rossi come posticci nasi di clown. All'altezza di Enfida, sulla costa, lasciamo l'autostrada per addentrarci nell'entroterra, tra file di eucalipti e tamerici a bordo strada e colline che sembrano di cartapesta sullo sfondo. Ci accorgeremo presto che è la parte più povera del Paese, quella che più ha risentito degli effetti della "rivoluzione dei gelsomini" iniziata a fine 2010.
Tra le poche abitazioni che costeggiano la strada (spesso al grezzo, seppure abitate), notiamo susseguirsi contadini che vendono soprattutto piselli in bacello, disposti a mucchi su banchetti improvvisati.
Ogni tanto si incrocia anche qualche mucca o qualche gregge di pecore e caprette sorvegliati a breve distanza da uomini seduti lungo la banchina stradale, incuranti del traffico che sfreccia a pochi metri dalle loro spalle.   
Ma la cosa più curiosa, oltre ai comodi giacigli per cicogne che qui costruiscono su piattaforme in cima ai tralicci, sono i distributori fai da te di carburante, di contrabbando naturalmente. Numerosissimi lungo la strada, si riconoscono semplicemente dalle taniche di plastica colorata disposte a file, una sopra l'altra, da cui pende una canna: basta poi un imbuto e i clienti pagano la metà del prezzo delle pompe delle compagnie petrolifere.  
Anche i ristoranti dove si mangiano pecore e agnelli si riconoscono subito: la loro pelle è appesa fuori, penzolante, nel portico di ingresso, quando addirittura non c'è una mezzena avvolta nel cellophane.       
Arrivati a Douz in serata, dopo esserci sistemati in hotel, ceniamo in centro, nel ristorate "Chez Magic" gestito dallo stesso simpaticissimo cuoco del tour, Mahjoub. Cominciamo così a farci una cultura di cibo tunisino. A partire dall'harissa, una salsa a base di peperoncino rosso, aglio e olio d'oliva, servita in un piatto a metà col tonno e accompagnata da olive nere. L'harissa è anche alla base della gustosa zuppa servita come primo piatto, e composta inoltre da farro, ceci, prezzemolo e spezie, in cui va spremuta una fetta di limone: molto fresca. Come entrèe però mangiamo prima il brik a l'oeuf, specialità tunisina che si presenta simile a una crepe, di pasta filo, fritta nell'olio, con dentro un uovo intero fresco, patate bollite, capperi e prezzemolo.
 
6 aprile 2014 - Da Douz a Tembain, nel Sahara
Douz (quasi 30 mila abitanti) viene chiamata "porta del Sahara", perché basta dirigersi verso sud che ad un certo punto, di netto, davanti appare il "nulla".
Qui, la sabbia è dorata, perché mescolata ai sali del vicino grande lago salato Chott El Jerid. Più a sud invece il colore si fa via via più scuro, da rosa fino a diventare fulvo.
Alle dune vere e proprie, alte alcune decine di metri, arriviamo comunque verso il tardo pomeriggio. Per ora quelli che affrontiamo sono per lo più cumuli di sabbia sparsi su un fondo di piccole pietre color tabacco.
In un viaggio on the road non possono mancare gli imprevisti: o per insabbiamenti o per guasti alla meccanica o per forature dovute ai letali aculei di alcuni piccoli arbusti, i nostri 4x4 di almeno 4000 cc di cilindrata hanno dovuto essere di volta in volta trainati o aperti nel cofano o sollevati con il cric. 
Cavalcando ormai da un pezzo dune sempre più alte, ci avviciniamo man mano allo sperone di roccia di Tembain, a ridosso del parco nazionale del Jebil. E' in questo magnifico lembo del Sahara, infatti, che lo staff ha allestito il campo tendato per trascorrere la prima notte. 
Il sole sta scendendo all'orizzonte, dando luogo a scenari che in genere vediamo solo nei desktop dei nostri computer. Ma poter godere della terza dimensione è un vantaggio impareggiabile, con risultati mozzafiato. Al punto da ingenerare le reazioni più diverse e inaspettate fra tutti noi che mettiamo piede per la prima volta nel Grand Erg Orientale, il mare sabbioso che si estende dall'Algeria al sud della Tunisia.
Finchè noi ci beiamo del deserto come le formiche della marmellata, lo staff sta alacremente allestendo il campo per la cena. Sta per farsi buio che tra una tenda e l'altra si accende un perimetro di candeline, al cui centro campeggia una lunga tavola con sedie rivestite di stoffa blu scuro. 
Stasera a tavola scopriremo due nuove specialità tunisine: le dita di Fatima, involtini fritti di pasta filo, carne e formaggio in pasta brik, e le corna di gazzella, involtini in sfoglia ricoperta di miele con ripieno di noci e mandorle. Poco prima invece avevo assistito alla preparazione del pane cotto nella sabbia.
Fa fresco nel deserto, la notte, non c'è che dire, ma siamo tutti ben coperti. Anzi, di lì a poco cominciamo a toglierci strati di vestiti, perché ci mettiamo a ballare sul ritmo improvvisato con un tamburo da alcuni membri dello staff.
 
7 aprile 2014 - Da Tembain all'oasi di Ksar Ghilane (Grand Erg Orientale - Sahara)
Il sole del mattino offre giochi di forme e colori ancora diversi rispetto al tramonto. La dune sono ora biondo-pallido e la brezza sembra assumere corpo mentre le accarezza, illuminandone i profili in controluce. Spiccano a quest'ora anche le impalpabili zigrinature create dal vento sulle dune durante la notte.
Attirano poi l’attenzione delle curiose scie lineari impresse sulla sabbia, come di piccoli carroarmati che abbiano solcato le dune durante la notte. Sono “pimelie”, coleotteri neri, tondi, delle dimensioni di 2-3 centimetri, dalla corazza buccerellata, quasi iridescente e scolpita da solchi longitudinali.      
La carovana riparte verso est, in direzione Ksar Ghilane, combattendo e rimirando allo stesso tempo il fesh fesh, e attraversando panorami straordinari. Non a caso da queste parti sono stati girati i film Il paziente inglese e poco lontano, a Tataouine, Star Wars.  
Arriviamo a destinazione nel pomeriggio, dopo aver fatto sosta per il pranzo in una capanna di foglie di palma, dove il fuoco per grigliare la carne è stato acceso, al solito, raccogliendo sterpaglie e rami secchi nei dintorni, sotto gli occhi indifferenti dei dromedari al pascolo. 
Penetriamo nell'oasi di Ksar Ghilane fra un muro di tamerici, mentre uno stormo di uccelli bianchi si stacca dalle chiome per prendere il volo verso il blu. Dopo due giorni senza doccia, siamo qui soprattutto per fare il bagno in una pozza in cui sgorga una sorgente termale.
Il campo tendato allestito a pochi chilometri dall'oasi è più piccolo di ieri, ma la posizione è di nuovo superlativa, con vista sui resti, in cima ad una collinetta, dell'antico forte romano di Tisavar, baluardo lungo il limes tripolitanum, eretto per difendere l'estremo confine meridionale del mondo allora conosciuto dalle tribù berbere del deserto. A loro volta i berberi, alcuni secoli più tardi, trasformeranno il forte dell'impero romano in uno ksar (villaggio fortificato) contro l'invasione araba, mentre nel XX secolo il sito verrà occupato dalla legione straniera francese e, durante la seconda guerra mondiale, anche dai tedeschi. 
Il sole è già sparito sotto l'orizzonte quando veniamo richiamati per la cena, servita magnificamente al lume di candela sotto ad una tenda in cotone. La specialità di questa sera, innaffiata con dell'ottimo vino, è l'agnello con patate cotto in due alte anfore sepolte per metà nella sabbia e nelle braci, versato poi direttamente in tavola in due grandi piatti concavi, da cui ciascuno può servirsi a piacere.
 
8 aprile 2014 - Da Ksar Ghilane (Sahara) ritorno a Douz
La carovana riparte per tornare all'oasi di Ksar Ghilane per un'escursione in quad nel deserto. L’esperienza è entusiasmante: questi quadricicli sembrano giocattoli fatti apposta per attraversare il deserto.
Oggi comunque il ritorno verso Douz si rivelerà così accidentato - a causa di insabbiamenti multipli nel fesh fesh, guasti ai motori e forature di gomme - che alla fine, per rientrare in tempo per la cena all'hotel di Douz, si farà meno fuoristrada sulle dune e più pista battuta.
Durante un "pit-stop", il nostro autista, Memeth, ci fa vedere una bellissima lucertola giallo-oro appena catturata. Sta ferma immobile nel palmo della sua mano, ma appena la appoggia sulla sabbia, sparisce sotto, in un vortice lungo il tempo di un battito di ciglia. Non a caso la chiamano "pesce del deserto".
Poco prima invece, al forte romano di Tisavar, abbiamo visto solo le impronte del ratto del deserto, assai particolari perché in rilievo anziché impresse in profondità, per via dei rapidi salti con cui alza la sabbia, avanzando simile ad un canguro in miniatura.      
Risalendo verso nord, una sapiente deviazione dalla lunga pista che si perde all'infinito davanti a noi, ci porta al cospetto di una semplice quanto graziosa costruzione a pianta quadra con cupola semisferica, il cui candore si staglia nel cielo, oggi di un blu da cartolina. È una delle tombe erette nel sud della Tunisia in corrispondenza dei ritiri di santi eremiti, i marabutti. Ma dentro non c'è nulla, se non una stufetta ricavata da una tanica in ferro, tutta arrugginita, appoggiata al muro tappezzato di recenti incisioni e scritte col pennarello.
Ormai più vicini alla terra fertile, incrociamo diversi dromedari che ci attraversano goffi la strada, a volte montati da berberi, gli abitanti indigeni del Nordafrica, da cui peraltro discende la maggior parte della popolazione tunisina, algerina e marocchina; ma qui preferiscono considerarsi arabi, misconoscendo quindi lingua e tradizioni nordafricane. 
 
9 aprile 2014 - Da Douz a Matmata: i villaggi trogloditici e il deserto roccioso
Per prima cosa ci rechiamo al campo di volo Pegase per volare su Douz in deltaplano. L'esperienza dura appena poco più di cinque minuti, ma consente di avere un'impareggiabile veduta sull'area che ha il fascino dell'ultima retroguardia per chi affronta il deserto.
Ci spostiamo verso la regione di Matmata, dove si trovano i villaggi trogloditici berberi più famosi della Tunisia, da quando, George Lukas vi ambientò uno degli episodi della saga di Guerre stellari. Il perché è presto detto: il paesaggio, lunare, apocalittico, ben si presta a fare da sfondo a vicende fantascientifiche.
I crateri scavati nell'altopiano corrispondono ciascuno a piccoli villaggi di berberi, in parte tuttora abitati, che qui si rifugiarono nel Medioevo per sfuggire alla colonizzazione araba.
Ci fermiamo a visitare uno di questi villaggi che si affaccia sulla strada. Entriamo sotto terra attraverso una piccola porta ricavata lungo il fianco di una collina e percorriamo in penombra un basso corridoio in discesa, scavato nella roccia e lungo una decina di metri. Sbuchiamo in un cortile circolare a cielo aperto, scavato nella morbida roccia e abbagliante per via della calce con cui sono state rivestite le pareti. Vi si affacciano una decina di porte, che possiamo varcare liberamente: sono le uniche aperture di altrettante stanze scavate nella terra, semplici e ordinate. Veniamo invitati a sederci sui tappeti di un'ampia stanza, dove le donne ci servono una merenda dalla bontà sorprendente: tè caldo alla menta accompagnato da pezzi di pane da intingere in un piatto che mescola assieme olio e miele.
Risaliamo nei fuoristrada per recarci a Zeraoua, uno stupefacente villaggio berbero medioevale, in sasso, mimetizzato e abbandonato in cima ad una collina di arenaria, in una posizione meravigliosa quanto nascosta dalla strada, tant’è che richiede necessariamente un 4x4.
Pranziamo seduti su balle di paglia, attorno ad una tavola magnificamente allestita dallo staff. Siamo sotto il portico di un edificio della legione straniera, costruito in posizione strategica dirimpetto al villaggio, che ci rechiamo a scoprire in passeggiata dopo il lauto pranzo.
Gli effetti dello spopolamento sono evidenti anche al villaggio berbero di Tamezret, arroccato sulla cima di una collina che domina l'altopiano del Dahar. Il pittoresco villaggio in pietra, ai cui piedi passa la strada per Matmata, si sta via via sgretolando, mentre gli abitanti si trasferiscono in nuove case di cemento, giù in pianura.
 
10 aprile 2014 - Il forte di Es Sabria e le rose del deserto a El Faouar 
E' solo quando usciamo al sole, dopo aver attraversato Douz all'ombra delle sue innumerevoli palme, che ci rendiamo conto che la giornata è calda, molto più calda delle precedenti.
Lasciamo quasi subito la pista battuta per raggiungere tra basse, accecanti dune color champagne, una zona a ridosso di Douz, dove affiorano dalla sabbia tracce di una città morta. Sono i ruderi di abitazioni berbere abbandonate e lasciate alla mercè del tempo e del deserto, tant'è che si dice che sotto ad ogni duna, tra una palma e l'altra, c'è almeno un'abitazione sommersa.
Proseguiamo verso ovest di circa altri 30 chilometri in direzione Es Sabria. Ci rechiamo a visitare un forte in pietra della legione straniera francese, con soffitti a volta, che dev'esser stato oggetto di un recente restauro e ampliamento per farne una struttura ricettiva, se non altro per le scritte bar e restaurant che si intravedono sbiadite sopra ad un paio di ingressi che si affacciano su un cortile con pozzo.   
Proseguiamo di alcuni chilometri verso El Faouar, proprio mentre stanno uscendo da scuola torme di ragazzi che invadono le strade: i maschi in motorino, le femmine a piedi, molte, ma non tutte, con l'hijab a coprire collo e capelli.
Da El Faouar proviene la maggior parte delle rose del deserto vendute sulle bancarelle e nei negozietti di souvenir di tutta la Tunisia. Noi ci rechiamo proprio alla cava dove venivano estratte.
Parcheggiamo le auto in mezzo al plateau da cui affiorano miriadi di piccole rose del deserto, in particolare sui cumuli di sabbia. E' il vento infatti a disvelare queste concrezioni di petali minerali a base di gesso, le più piccole delle quali si trovano a pochi centimetri di profondità, le più grandi ad alcuni metri. Fino a poco tempo prima, ci spiega lo staff, la cava era tempestata di crateri per l'estrazione delle rose, che una volta abbandonati si sono cancellati senza sforzo dall'azione congiunta di vento e sabbia.
Rientrati a Douz, ci rechiamo nella piazza principale, il cui souq è già stato visitato di primo mattino da alcune del gruppo in un trionfo di spezie, odori, verdure e animali. Lì in piazzetta, intanto, sotto un paio di sontuose tamerici secolari, si godono l'ombra diversi uomini - qualcuno fumando il narghilè - sulle sedie in plastica colorata dei locali che si affacciano sulla piazza.
 
11 aprile 2014 - Il lago salato Chott El Jerid e il Lezard Rouge di Metlaoui  
Chi pensa di aver già visto tutto quel che c'è da vedere in questo viaggio si deve ricredere, perché proprio al confine con il deserto, si apre un altro, imperdibile spettacolo, tanto da esser stato pure lui sfruttato come set per la saga di Guerre Stellari: l'immenso grande lago salato Chott El Jerid. I suoi 5 mila metri quadrati di estensione si trovano tra le cittadine di Douz e Tozeur, unite comunque da una striscia d'asfalto poggiata su un terrapieno alto fino ad un paio di metri, che attraversa la desolazione del lago, famoso anche per le allucinazioni che può provocare.
Noi lo percorriamo col bel tempo, fiancheggiati da due irregolari fasce bianche di sali affiorati, mentre il resto dell'immensa spianata cristallizzata è per lo più bronzo-oro: fin laggiù a est, dove sbatte contro una catena di bassi rilievi cerulei. La crosta però è cangiante, per via del continuo processo di evaporazione e cristallizzazione del sale che viene in superficie a seguito delle (scarse) piogge. Basta infatti una nuvola o anche solo passare dopo 5 minuti per trovare la superficie mutata nei colori e nelle striature che si perdono all'orizzonte, sotto un sottile strato di sabbia portata dal vento. 
Arriviamo alla stazione ferroviaria bianco-celeste di Metlaoui giusto in tempo per salire sul famoso Lezard Rouge (Lucertola Rossa), il trenino amaranto che conserva ancora il fascino dei treni del primo '900.    
Dopo aver lasciato la città sfiorando sul retro i banchi del mercato ricolmi di cipolle e carote, la Lucertola Rossa si guadagna la strada prima fiancheggiando un arido massiccio dello stesso colore della pianura pietrosa, poi insinuandosi all'interno, tra stupefacenti gole, canyon e squarci nella roccia, creati nel tempo da quello che adesso appare un cinereo rigagnolo di polvere mista ad acqua.
Questa linea ferroviaria, oltre che attrazione per i turisti, è sfruttata anche per trasportare i fosfati che vengono estratti un'ora di treno più a nord. Il capolinea per i turisti è situato proprio in mezzo all'area di cantiere, fra enormi cumuli neri, grigi, rossi, beige, ocra, di tutte le altezze e alimentati di continuo dai camion che da lassù appaiono piccoli come quelli dei bambini in spiaggia.            
Tornati a Metlaoui, risaliamo verso la capitale con tappa a Sidi Bou Said la bomboniera bianco-celeste della Tunisia, per lustrarci gli occhi, dopo una settimana di deserto, fra i battenti turchese delle abitazioni, le scintillanti bancarelle ancora aperte e i tavolini celesti dei locali sotto le fronde degli alberi.   
Siamo stanchi, inutile nasconderlo, ma più ricchi: di cose viste, cibi assaporati, persone incontrate, emozioni vissute, che ciascuno rielaborerà per conto suo, nel suo habitat quotidiano, mettendoci un po' di Sahara in tutto quello che fa. 

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