Socotra, il sogno arabico: il diario di viaggio

Per fortuna ancora lontana dalle rotte turistiche a causa dei collegamenti lunghi e poco frequenti, l’isola yemenita riesce a conservare quasi intatti i propri caratteri originari e una serie di endemismi unici al mondo

Socotra (in arabo Suquţra) è situata nel Golfo Arabico, a circa 300 km dalla costa somala e 350 km a sud dello Yemen a cui appartiene politicamente. Ha circa 43.000 abitanti distribuiti su una superficie di 3579 kmq (per avere un riferimento, quella della Liguria è 5420).
L’unico centro abitato degno di tale nome è il capoluogo Hadibu, in cui risiedono circa 9.000 persone. Il resto della popolazione è sparso in piccoli villaggi e minuscoli nuclei di case. Una strada asfaltata costeggia la costa settentrionale, altri tratti asfaltati sono presenti qui e là, il resto della viabilità è sterrato o del tutto virtuale se non quasi inesistente.
I soli alberghi (comunque parola grossa...), in numero di 4 o 5, sono ad Hadibu, quindi in un programma itinerante come il nostro tutti i pernottamenti sull’isola avvengono in accampamenti che constano semplicemente di uno spazio su cui montare ogni sera le tende a igloo e talvolta qualche capanno in rami di palma sotto il quale si mangia. Solo nella settima e ultima notte abbiamo dormito in albergo.
Una curiosità: pochi giorni prima della partenza un nostro amico che era stato a Socotra nel lontano 2002 ci ha invitato a cena per mostrarci il relativo video (un tremolante VHS) e guardando le immagini degli accampamenti con le tendine a igloo, commentava più o meno: “di sicuro in dieci anni avranno allestito delle strutture un po’ più comode”... Sbagliato, erano tali e quali, magari avranno giusto rinnovato le tende. Però, ora che ci penso, le stuoie da stendere sul terreno per i pranzi una certa aria “vissuta” ce l’avevano...
Al di là delle scomodità, è però un segnale rassicurante sull’intenzione di preservare quel paradiso. Speriamo davvero che si mantenga così ancora a lungo.
Del resto, nel nostro giro siamo stati sempre soli, salvo poche eccezioni. Ad esempio, al campo della prima sera abbiamo conosciuto un ragazzo canadese del Québec, per il quale era l’ultimo giorno sull’isola. Poi negli ultimi tre giorni abbiamo ritrovato ogni sera un giovane olandese che faceva più o meno il nostro stesso giro (stesse escursioni ma in altre giornate). Entrambi viaggiavano da soli, ciascuno con una propria jeep, autista e cuoco. L’ultima sera, al ristorante di Hadibu, al tavolo accanto al nostro c’erano tre coppie di francesi che però non facevano un tour itinerante come noi ma erano di base in un hotel della città e facevano ogni giorno un’escursione in auto: niente trekking, solo mare o brevi passeggiate dai luoghi raggiungibili in macchina.
Nessun altro in sette giorni. D’altra parte, il volo da/per Sana’a si effettua 3 o 4 volte la settimana su aerei da un centinaio di posti, quindi i turisti contemporaneamente presenti sull’isola non possono essere più di quelli trasportati da quei voli (che fra l’altro non sono nemmeno pieni e diversi passeggeri salgono/scendono allo scalo intermedio di Mukalla).

Riguardo i costi, la spesa è ammontata a circa 1250 euro a testa sommando tutto ma proprio tutto. Voli internazionali acquistati da noi, a quello interno Sana’a - Socotra ha provveduto l’agenzia locale. I servizi locali quotati 45 euro (60 dollari) a testa al giorno. Va aggiunto il volo Genova-Roma e ritorno a 140 euro, più o meno altrettanto gli amici siciliani per il Palermo-Roma.
Inoltre, per il “pacchetto” Sana’a organizzato da Socotra Dream appoggiandosi a una guida della capitale parlante benissimo italiano, altri 250 euro complessivi (diviso in 8 = 31,25 ciascuno) per un servizio davvero impeccabile: prelievo in pullmino in aeroporto, giro in città dalle 13 alle 19, quattro camere in un hotel in piena città vecchia per riposare almeno quelle 4 o 5 ore, transfer in aeroporto per il volo Sana’a - Cairo delle 4,25 del mattino. Prezzo assolutamente equo.Venerdì 15 / Sabato 16 febbraio 2013
Cinque voli, quattro scali (di cui uno solo tecnico) molto lunghi, tanto è vero che per 11 ore effettive di volo stiamo in ballo 25 ore: ecco il nostro transfer da Genova a Socotra!
Partiti da Genova alle sette, a Fiumicino noi tre genovesi ci compattiamo con i 5 amici siciliani: partenza con Egypt Air alle 13,40, arrivo al Cairo (+1h di fuso) alle 17,50, partenza alle 23,15, arrivo a Sana’a (+1h di fuso) alle 3,25 del 16. Dalla capitale yemenita, partenza con Felix Airways alle 7, scalo tecnico a Mukalla (non si scende dal velivolo) e arrivo a Socotra alle 9,30.
Qui ci attendono le due Land Rover che ci portano ad Hadibu: incontriamo Adballah di Socotra Dream, con il quale concordiamo gli spostamenti e le attività che riempiranno intensamente la settimana che va a cominciare.
Hadibu può essere liquidata con poche parole: brutto paesotto polveroso e caotico in cui si muovono senza alcuna regola esseri umani, asini, capre e automezzi sgangherati.
Non mancano peraltro scene di quotidianità che ci danno un primo impatto con la realtà isolana, ad esempio gli uomini tutti con la gonna e le donne abbigliate totalmente in nero o (probabilmente le più giovani) anche con abiti colorati ma rigorosamente col volto coperto e una sola fessura per gli occhi.
Il consumo del qat, l’erba euforizzante che tutti in Yemen masticano, a Socotra è poco presente, anzi c’è la tendenza a disapprovarne l’uso. I nostri autisti peraltro non se lo faranno mai mancare, tuttavia mi sento di essere indulgente: per guidare su certe “strade”, credo che un aiutino non guasti!
Consumato un semplice pranzo in compagnia di Abdallah, siamo pronti all’avventura. La carovana è composta da tre fuoristrada: su due prendiamo posto noi otto, sul terzo i cuochi con tutte le derrate alimentari, l’attrezzatura da cucina e le tende con i materassini. L’assistenza è garantita da Abdul, un 23enne che parla un buon inglese e che, compatibilmente con la spartanità del viaggio e delle risorse disponibili, farà sempre il possibile per soddisfare le nostre esigenze.
Non ho ancora detto che l’aeroporto e Hadibu sono ubicate sulla costa settentrionale: è lungo la strada ad essa parallela che dirigiamo verso l’estremo ovest dell'isola.
Abbiamo i primi incontri con gli “adenium obesum” uno degli endemismi più tipici che, per la loro forma, hanno guadagnato a Socotra l’appellativo di “isola degli alberi bottiglia”. Ci immergeremo in autentiche foreste nei giorni successivi, ma i primi sono indubbiamente emozionanti.
Una prima sosta è d’obbligo per ammirare un suggestivo fiordo, finché raggiungiamo il villaggio di Qalansiyah. Le jeep si inerpicano su un pendio, scendiamo e dopo pochi metri ci portiamo su un’insellatura che schiude davanti ai nostri occhi uno dei panorami più strabilianti e celebrati di Socotra: la spiaggia di Qalansiyah.
Qalansiyah è in pratica una laguna delimitata da una lunga striscia di sabbia bianchissima situata qualche centinaio di metri al largo. Ci caliamo su questo meraviglioso litorale e ci concediamo un lungo e libidinoso bagno che ci scrolla di dosso le scorie dell’interminabile viaggio, dopodichè procediamo “lento pede” lungo la battigia per un paio di chilometri in una successione di scorci mozzafiato, sempre più suggestivi nell’approssimarsi del tramonto.
Un caratteristica di molti tratti della costa settentrionale consiste negli alti accumuli di sabbia prodotti dal vento che li spinge per grandi altezze fino ad addossarsi alla sovrastante falesia rocciosa. Naturalmente, diventano un campo di gioco dei bambini, che si precipitano (o rotolano!) in basso a curiosare chi siano questi bizzarri otto individui palliducci che si sono spinti da Chissadove e chissaperché in questo posto in culo al mondo!
In un paio di chilometri raggiungiamo il primo accampamento, cui nel frattempo sono pervenute le jeep che hanno scaricato l’occorrente per la cucina e le tende.
Nella “salle à manger” (leggasi tettoia di rami di palma) c’è chi ha fatto una buona pesca nelle forme di un’enorme aragosta, ma il pregiato crostaceo non nobiliterà la nostra cena. Tutti i pasti (pranzi e cene) saranno infatti assolutamente monocordi: riso bollito con qualche spezia (in un paio di casi spaghetti... diciamo ben cotti), un intingolo a base di patate e verdure, in aggiunta a pescioni arrostiti (non classificabili ma comunque saporiti) oppure semplicemente tonno in scatola. Ci auguravamo la presenza di frutta, ma quella reperibile sull’isola viene portata dalla terraferma da battelli che fanno servizio assai discontinuo: di tanto in tanto compariva una (proprio UNA, da dividere in otto) papaia e solo l’ultimo giorno nelle poche ore di permanenza ad Hadibu abbiamo potuto acquistare un po’ di sparute banane. La cena avviene alla fioca luce di una lampada a gas e delle pile frontali: di regola consumeremo i pranzi - anche per via del minore tempo disponibile - accovacciati su stuoie, mentre le cene saranno imbandite su tavoli in plastica di volta in volta scaricati insieme con le sedie dal tetto della macchina di servizio.
Presenza costante ad ogni accampamento è stata quella delle caprette e di inquietanti ma in fondo bonari avvoltoi in attesa dei nostri avanzi.

Domenica 17 febbraio 2013
Dopo una notte di sonno alterno, abbiamo in programma la navigazione alla stupenda spiaggia di Shouab. Per l’imbarco raggiungiamo il villaggio di Qalansiyah, dove siamo fatti segno dalla curiosità dei bambini, sempre un grande valore aggiunto nei viaggi in Paesi poco battuti dal turismo.
La navigazione avviene sotto costa, con panorami mozzafiato su vertiginose falesie rocciose, scogli dalle forme tormentate, grotte marine, improvvise spiaggette di sabbia candida. Intanto i nostri marinai, che “se la tirano” con stretti passaggi fra gli scogli da far accapponare la pelle, fanno un po’ di pesca alla traina che frutta un paio di grossi pesci.
Sbarcare a Shouab equivale ad entrare in un sogno: indugiamo un paio d’ore fra strepitosi bagni, passeggiate sulla battigia e fino ad ammirare le mangrovie ai piedi della scarpata. E’ comprensibile che lasciamo questo posto davvero a malincuore.
Rientrati a Qalansiyah intorno a mezzogiorno, torniamo all’accampamento per consumare il pranzo, dopodiché dirigeremo con le auto verso l’interno, cambiando ben presto completamente scenario. Stiamo per entrare nel regno degli endemismi botanici per cui Socotra è giustamente celebrata: la Dracaena Cinnabari e l’Adenium Obesum (il famoso albero bottiglia).
Lasciata definitivamente Qalansiyah, ripercorriamo la strada costiera fino nei pressi del capoluogo Hadibu e svoltiamo verso l’interno. Facciamo una sosta interessante nei pressi di Ghubbah, dove ci imbattiamo in una curiosità, la caldera di un antico vulcano in cui giace un lago salmastro, sulle rive del quale gli abitanti hanno creato delle vasche in cui si deposita il sale: ognuna di esse compete a una diversa famiglia e il compito di raccoglierlo è svolto dalle donne.
Ci addentriamo sempre di più nel cuore dell’isola prendendo gradualmente quota e incontrando una grande quantità di adenium, dracene e anche alcuni alberi dell’incenso, fino a portarci sulla sommità dell’altopiano dove è d’obbligo una sosta: sotto di noi, spettacolari vedute su un profondo canyon di cui non si vede il fondo e che sarà il teatro dell’escursione di domani.
Immancabile, ogni volta che scendiamo dalle auto, l’arrivo di bambini curiosi che si materializzano da chissadove in pochi minuti.
Dopo avere indugiato nell’ammirazione di un tramonto da brividi, incredibilmente è proprio sul fondo del canyon che ci accamperemo per la notte. Scendendo lungo gli stretti tornanti di una labile traccia sassosa da far accapponare la pelle (e con questo sono due gli accapponamenti odierni…), i nostri autisti palesano grande maestria nel manovrare freni e marce ridotte fino a raggiungere il greto del wadi Daerhu che permette giusto lo spazio per le auto e per le tende.
Un contesto di grande suggestione e la sensazione di trovarci davvero in culo al mondo!

Lunedì 18 febbraio 2013
Le prime luci del giorno ci regalano magnifiche vedute sui pendii circostanti: dracene sull’orlo superiore dell’altopiano e adenium (alberi bottiglia) che riescono, chissà come, a trovare linfa vitale nella poca terra in mezzo ai massi.
Con una passeggiata di un quarto d’ora raggiungiamo un idilliaco laghetto, dopodiché, pochi minuti prima delle 8, intraprendiamo l’escursione che si rivelerà lunga e faticosa ma prodiga di panorami grandiosi.
Insieme con noi, oltre il fido Abdul, abbiamo una guida, indispensabile in un territorio talmente impervio. Avremo l’accompagnamento di una differente per ognuna delle quattro escursioni: non bisogna intendere “guida” nell’accezione ufficiale nel nostro mondo montano, si tratta giusto di una persona che conosce i luoghi (perlopiù un pastore o simile) e un modo per far ricadere parte dei guadagni portati dai turisti sulle piccole comunità locali.
Appoggio indispensabile, come ho detto. Infatti, niente mappe, niente segnaletica, niente indicazioni a cui siamo abituati: anzi, ad ogni domanda su tempi, tipo di terreno, grado di difficoltà, quote, dislivelli di salite e discese non bisogna aspettarsi risposte precise, a parte il generico “about six hours” da parte di Abdul (che si rivelerà ampiamente sottostimato). Semplicemente, nella visione orientale sono dati che hanno poca o nulla rilevanza: si parte da A per arrivare a B, punto. Tutt’altra cosa che la mentalità sistematica che impronta i comportamenti di noi occidentali anche nelle attività del tempo libero.
Nella pratica, solo brevi tratti della traversata hanno una parvenza di sentiero e ci si muove su un terreno nel quale senza guida ci perderemmo facilmente, anche perché non esistono scorciatoie, alternative, vie di fuga né tanto meno possibilità di soccorso in un’area alla quale nemmeno i fuoristrada possono accedere (sia per il divieto - essendo zona protetta - sia per la possibilità materiale): bisogna, insomma, pensarci bene prima di mettersi in cammino valutando coscienziosamente il proprio stato di forma.
Le foto allegate rendono l’idea del tipo di terreno sul quale ci si muove in prevalenza.
La parte iniziale dell’escursione, dopo un’area fitta di adenium obesum, parte delle quali meravigliosamente fiorite, ci porta nel cuore della Foresta di Firmihin, la zona di maggiore concentrazione di Socotra (e quindi del mondo!) di dracaena cinnabari.
La forma che l’albero ha elaborato nel corso della sua evoluzione è l’ideale per raccogliere dall’alto l’umidità delle frequenti nebbie degli altopiani e le scarse precipitazioni. Il termine “cinnabari” è riferito al Cinabro, altro nome del Mercurio che, come si sa, in natura si presenta rosso: infatti, incidendo la corteccia della pianta, fuoriesce una specie di resina rossa, detta sangue di drago, un tempo usata per fini rituali e oggi come colorante, per medicamenti popolari e cosmesi. Quando si incontrano bambini, spesso succede che lo offrano in vendita in sacchetti o piccoli contenitori: per quanto il turismo sia limitato, è una pratica da scoraggiare non acquistandolo per non invogliarli a deturpare le piante a puro scopo turistico.
Approssimandosi la parte più alta della Foresta, si aprono le prime spettacolari vedute sui Monti Haghier, sempre più ampie quando si lascia la vegetazione per immettersi su un vasto altopiano.
Sono passate tre ore dalla partenza e, osservando l’immensità all’intorno e seguendo le vaghe indicazioni della guida sull’ubicazione della nostra meta finale, risulta evidente che le sei ore ipotizzate sono del tutto virtuali. O meglio, forse possibili da parte sua, giovane (24 anni), magro e agile che si muove con la rapidità e sicurezza di uno stambecco anche sui massi, spesso instabili, dei ripetuti saliscendi che ancora ci aspettano. E calzando sandali sbrindellati!
Intanto il territorio, benché grandioso e di grande fascino, si fa sempre più brullo mentre aumenta il caldo. Inutile nascondere che alcuni (compreso il sottoscritto) abbiamo momenti di crisi che rallentano l’andatura dilatando vieppiù i tempi: non è infatti prudente allungarci troppo fra uno e l’altro ed è meglio tenere compatto il gruppo. Terminiamo anche l’acqua e risulta provvidenziale l’incontro con un pastorello che accompagna la guida nella sua casupola (una specie di nido d’aquila) dove può riempire le bottiglie vuote: l’acqua, prelevata da una cisterna, è tiepida, ma ben venga! Più avanti, sul fondo di uno dei tanti canyon che incontriamo, scorre un limpido ruscelletto che ci permette una rinfrescata e un ulteriore ripristino delle scorte d’acqua.
Per fortuna, dopo l’ultima, ennesima salita che superiamo anche con l’ausilio delle mani sulla roccia, c’è campo per i cellulari e le auto possono così venirci incontro oltre il punto di ritrovo risparmiandoci una buona mezzora in aggiunta alle dieci già camminate. Sono ormai le 18 e il sole sta tramontando.
Giornata faticosa ma comunque indimenticabile in luoghi che hanno pochi uguali al mondo.
Lasciato l’altopiano di Diksam, le auto dirigono verso sud. Si fa buio e solo dopo un paio di tentativi gli autisti individuano la vaga pista in mezzo al nulla che conduce al campo della spiaggia di Aomak, dove la macchina di servizio è già arrivata da un po’: le tende sono già sistemate e la cena è in via di allestimento.
E’ questo il solo, fra i campi toccati, in cui esiste un casotto in muratura con due servizi: in una sorta di utilizzo ottimale delle risorse, nello stesso vano ci sono il gabinetto alla turca e la doccia montata sulla sua esatta verticale, con l’acqua della seconda che scarica direttamente nel primo.
Dopo una sacrosanta rinfrescata, cena e subito dopo in tenda all’ora delle galline (anzi, degli avvoltoi…) per una notte di meritato riposo.

Martedì 19 febbraio 2013
Ce la prendiamo un po’ più comoda del solito, visto che in mattinata sono previste le visite a due luoghi non lontani e ai quali si giunge con le macchine.
Il primo è la grotta di Dogub, costituita da un’ampia camera sulla sommità di un’altura dalla quale si ammira una bella veduta sul mare. All’interno, numerose stalattiti, stalagmiti e concrezioni dalla grande varietà di forme.
Una mezzora di macchina, ed eccoci in un altro luogo sorprendente di questa sorprendente isola. D’altra parte, nulla ci ha deluso e non riuscirei a fare una graduatoria tra gli infiniti spettacoli naturali che Socotra ci ha offerto. Siamo alle dune di Noget, alti cumuli di finissima sabbia bianca nei quali ci aggiriamo in una successione infinita di scorci e chiaroscuri in continuo mutamento. Pur avendoli visti solo in fotografie, mi fanno venire in mente i Lençois Maranhenses del Brasile: mancano solo i laghetti negli avvallamenti delle dune.
Lasciamo definitivamente la costa meridionale per attraversare nuovamente l’isola in direzione sud-nord in una giornata che comprenderà una stupenda escursione a piedi (di un certo impegno nella discesa piuttosto “tecnica” ma più breve e leggera di quella di ieri) e che avrà termine sulla costa nord dove ci accamperemo.
Passiamo davanti a un’incredibile postazione militare in mezzo al nulla, in cui i soldati con divise un po’... diciamo informali ci salutano sorridendo e si mettono fieramente in posa per una foto. Percorrendo poi una pista che coincide con un wadi asciutto, facciamo la sosta pranzo in un’incantevole oasi.
La pista prende a salire ripidamente lungo una pietraia sul fianco destro orografico di un canyon, ennesima occasione per apprezzare la perizia dei nostri autisti, fino a raggiungere l’area protetta di Homhil, un vero trionfo della vegetazione socotrana: adenium obesum, diversi tipi di dracaena, aloe, boswellia (alberi dell’incenso), varie succulente ecc. Del resto, il 37% delle 825 specie di piante presenti sull’isola esistono solo qui, con un tasso di endemicità secondo nel mondo solo alle isole Galàpagos.
Può un albero essere definito “simpatico”´ Certamente sì, nel caso dell’adenium obesum! In particolare quelli più (appunto) “obesi” hanno un che di umana bonarietà e non si finirebbe mai di fotografarne i tronchi lisci e massicci, le forme tozze ma anche agili, i rami contorti, le stupende fioriture. Ma anche le dracene non scherzano, e sembrano quasi fare a gara con i “colleghi” in bellezza, varietà di forme e arditezza della posizione.
Lasciate le auto, che nel frattempo si porteranno sul luogo dell’accampamento, sono circa le 15 quando intraprendiamo l’escursione: in poco più di due ore da circa quota 400 scenderemo al mare.
Superato un tratto di lastronate rocciose, all’improvviso si schiude sotto di noi lo scenario mozzafiato di un laghetto dalle acque cristalline, che in breve raggiungiamo. Non so in quanti altri luoghi al mondo si possano vedere contemporaneamente il mare e uno specchio di acqua dolce dalle caratteristiche montane e una bella nuotata è assolutamente irrinunciabile!
Un ultimo sguardo al paesaggio circostante il laghetto, con la vertiginosa falesia che lo sovrasta e una grotta nelle vicinanze, e intraprendiamo la discesa, che ha inizio... ebbene sì, salendo! Bisogna infatti aggirare uno sperone roccioso per immettersi sulla traccia (chiamarlo sentiero è un eufemismo) che, individuando grazie alla guida i passaggi giusti fra i massi di un’imponente frana, porta al livello del mare. Non ci sono reali difficoltà, ma è opportuno un minimo di attenzione nei passaggi ripidi e un passo fermo nei punti più malagevoli.
Arriviamo infine alle jeep, intorno alle quali, come sempre, si è radunato il solito gruppo di bambini: rifiutato con gentile fermezza l’acquisto del “sangue di drago”, basta poi coinvolgerli in semplici giochini per familiarizzare immediatamente in un reciproco scambio di curiosità!
Percorriamo ora la strada costiera in direzione est, ai piedi di falesie rocciose contro le quali, così come a Qalansiyah, il vento ha accumulato grosse quantità di sabbia bianchissima. Intorno alle 17,30 raggiungiamo la spiaggia di Arher dove è previsto il campo. L’ora un po’ tarda e qualche addensamento nuvoloso non ci fanno apprezzare appieno il luogo, che ammireremo però in tutto il suo splendore domani: anzi, visto che le mete in programma domani sono poco distanti, effettueremo qui anche un secondo pernottamento.

Mercoledì 20 febbraio 2013
L'alba sulla spiaggia di Arher ci trova in compagnia di un autentico bestiario: avvoltoi, gabbiani, cormorani adagiati sull’acqua in un gruppo di incredibile compattezza.
Dedicheremo il pomeriggio alla vita di mare, per intanto partiamo di buon mattino alla volta della grotta di Hoq per evitare le ore più calde.
La camminata ci riserverà il consueto e affascinante mix di ambiente montano, rocce severe, vegetazione rigogliosa e viste sul mare. In alto sulla nostra destra si scorge già dall’inizio l’apertura della grotta, che però richiede ancora un bello strappo in salita. Il sentiero è sempre piuttosto accidentato fra grossi massi di frana modellati dall’erosione e fitta vegetazione, comunque ingentilito da splendide vedute verso la costa che prendendo quota si allontana.
Sono necessarie quasi due ore per giungere all’imbocco della grotta, che ha uno sviluppo di circa due chilometri ma, essendo non illuminata e priva di agevolazioni quali scale o passerelle, può essere visitata solo nel tratto iniziale e comunque muniti di pila. Lo spettacolo è comunque affascinante.
Ridiscesi alle auto, apprezziamo la bellezza della costa antistante sulla quale è insediato un microscopico villaggio di pescatori, con alcune barche sulla spiaggia ed altre in rudimentali rimesse fatte di muretti a secco con copertura in rami di palma.
Torniamo alla spiaggia di Arher per il pranzo, approfittando dell’ombra di un grosso masso per evitare il caldo che comincia a farsi sentire. Indugiamo poi in un interminabile bagno su una spiaggia, caratterizzata dall’inconfondibile scoglio detto “tartaruga” sotto il quale si acquattano le aragoste, che gareggia in bellezza con quelle di Qalansiyah e di Shouab: un altro dei tanti sogni che Socotra non ha cessato di regalarci!
Riempiamo poi il pomeriggio tutto-mare raggiungendo con le auto Ras Erissel, estremità nord-orientale dell’isola dove sorge il villaggio di pescatori di Nissam - invero un po’ trasandato - su un tratto di costa caratterizzato da rocce montonate e una spiaggia coperta di una quantità e varietà incredibili di conchiglie.
Lasciato il promontorio e intrapresa la via del ritorno, facciamo un’ulteriore lunga sosta con relativo bagno sull’ennesima spiaggia candida, regno dei tipici granchiolini che si scavano la tana producendo un vero e proprio “villaggio” di piccoli coni di sabbia. Anche qui non tardano le solite frotte di bambini, che ben presto coinvolgiamo nel gioco di scrivere con le dita il proprio nome sulla sabbia.
Torniamo infine ad Arher per il secondo pernottamento, gustando fino all’ultimo raggio di sole un tramonto da brividi.

Giovedì 21 febbraio 2013
A malincuore, lasciamo definitivamente la spiaggia di Arher ma nella giornata non ci faremo mancare altro mare, e che mare!
In pratica cominciamo l’avvicinamento al capoluogo Hadibu nel quale pernotteremo domani sera (già pregustiamo una “vera” doccia!), con prima meta per lunga sosta la Riserva Marina di Di Hamri. Già da lontano si scorge il promontorio di rocce rossastre che la circoscrive e in pochi minuti raggiungiamo la relativa insenatura. Essendo Di Hamri un’area protetta, è tassativamente vietato, e punito con salatissime multe, il prelievo di conchiglie, minerali e coralli, come avvisato nei numerosi cartelli sparsi sull’isola “Socotra is not a souvenir”.
Il litorale è disseminato di una grande quantità e varietà di coralli. Il fondale, al largo (molto al largo) del quale c’è la barriera corallina, è piuttosto ricco di pesci variopinti: riusciamo anche a fare qualche discreto scatto con una compattina impermeabile.
Dopo alcune ore in questo ennesimo paradiso, riprendiamo il trasferimento verso ovest fino a raggiungere il luogo dell’ultimo campo, scenografico quanto tutti i precedenti. Si tratta della spiaggia di Delisha, una lunga lingua di sabbia bianca che divide il mare da un lago di acqua dolce formato da un wadi.
Mentre indugiamo nelle consuete chiacchiere in attesa della cena, alcuni pescatori gettano le reti poco prima dell’ennesimo meraviglioso tramonto, il nostro ultimo sul mare.

Venerdì 22 febbraio 2013
L’alba a Delisha non ha nulla da invidiare al tramonto precedente, anzi! Con un facile gioco di parole, si può dire che lo spettacolo è davvero... una delisha!
Già dalle 5,30 i pescatori, che hanno pernottato “à la belle étoile” poco discosti dal nostro campo, hanno cominciato a tirare a riva le reti colme di un buon bottino, che comprende anche una grossa pescatrice.
Le prime luci del giorno ci fanno apprezzare ancora meglio lo scenario circostante, ieri sera un po’ penalizzato dai soliti addensamenti nuvolosi di fine giornata.
Smontato il campo, ci dirigiamo verso il capoluogo, in una sequenza di magnifici panorami: montagne su un lato, mare sull’altro. Una sosta fotografica scatena la solita curiosità ed è l’ormai abituale accorrere di bambini (alcuni in verità un po’ cresciutelli), ben presto in gara nel mettersi in posa.
Oggi ci dividiamo in due gruppi, di cui uno si cimenta nell’ultimo trekking, l’altro preferisce il mare. Mentre Enzo fa parte del gruppo degli irriducibili, Leandro si associa al secondo: è l’ultima giornata di una settimana faticosa e ci aspetta un viaggio ancora più lungo di quello di andata... insomma preferisce la soluzione del relax.
Toccata quindi Hadibu, il “gruppo mare” percorre un tratto della costa in direzione ovest (in parte lo stesso che il primo giorno ci condusse a Qalansiyah), lungo il quale si ammira una serie di panorami per i quali ormai sembra di essere monotoni nel descriverne la meraviglia. La meta è la spiaggia di Ghoba, che con i suoi 20 km è la più lunga dell’isola: ovviamente non c’è alcun tipo di attrezzatura, ma le retrostanti dune ammantate di cespugli assicurano zone ombreggiate. Tutta la mattinata trascorre in questo ennesimo luogo d’incanto, alternando nuotate, pause di lettura all’ombra e lunghe passeggiate sulla battigia.
È finalmente l’occasione (se non proprio di nuotarci assieme come capitato ad altri fortunati) di ammirare i passaggi dei delfini: non sono vicinissimi, ma si riesce comunque a immortalarli in qualche scatto. Giusto meglio che niente...
Ma le star della spiaggia sono i caratteristici granchiolini gialli. Molto simpatico è il loro comportamento: al nostro avvicinarsi fuggono rapidamente in gruppo con la tipica andatura laterale verso l’alto delle dune ma basta stare immobili per qualche minuto perché qualcuno incuriosito si avvicini, addirittura qualche temerario arriva a distanza di sguardo e ci osserva con i minuscoli occhietti a punta di spillo all’estremità delle antenne!
Curiosamente, dalla spiaggia si vede il profilo dei Monti Haghier, la zona dell’escursione dell’altro gruppo. La meta è il passo di Muqadrihon, un’area in cui è segnalata la presenza della Begonia Socotrana, un altro importante endemismo dell’isola. Si attraversa una valle molto verde del Wadi Ayhaft circondata da pinnacoli di roccia, nella quale spicca un bellissimo laghetto, con relativo bagno ristoratore. Il trekking in salita è di circa due ore, mentre la discesa richiede un certo impegno per diversi salti di roccia. Purtroppo della Begonia nessuna traccia, ma non mancano altri “incontri”, quali l’albero del Tamarindo e la solita grande quantità di adenium obesum, alcuni dei quali abbarbicati in posizione incredibile. Durante la discesa si scorge la costa, probabilmente il tratto in cui stanno oziando gli altri.
Intorno alle 14 avviene l’incontro fra le due auto e consumiamo l’ultimo pranzo a picnic sulla riva di un idilliaco laghetto, ammirando per l’ultima volta la stupenda catena dei Monti Haghier.
Rientriamo infine ad Hadibu dove possiamo finalmente dormire in un letto. Lo facciamo all’“Hotel Socatra Tourst” (scritto proprio così!) dove finalmente possiamo mettere ordine nel bagaglio e restituire dignità al nostro corpo con un’interminabile doccia. Sui passaggi di piccole creature a più zampe sul pavimento e di quelle alate nell’aria e sui muri, cerchiamo di palesare indifferenza per non dar loro soddisfazione...
Terminiamo la giornata cenando nello stesso ristorantino in cui consumammo il primo pranzo, dove le nostre guide ci rimediano - chissà come - delle birre fresche: sono analcoliche (non scordiamo che siamo in un Paese musulmano), ma dopo sei giorni di acqua tiepida sono la bevanda migliore del mondo!

Sabato 23 febbraio 2013
Colazione nel solito locale, dove nel frattempo è convenuto Abdallah di Socotra Dream. Saldiamo il conto dei servizi in loco per l’ammontare pattuito di 60 USD a testa al giorno e salutiamo con calore Abdul, cuochi e autisti, affidabili compagni dell’avventura socotrana.
Il volo di Felix Airways parte alle 9,55, scalo a Mukalla e arrivo a Sana’a alle 12,20. Qui è ad attenderci il referente locale Taha Sallam Al-Maqtari, efficiente e simpatico cinquantenne che parla un ottimo italiano grazie ad alcune presenze alla BIT e frequenti visite in diverse nostre città in cui intrattiene rapporti con agenzie di viaggi. Su un comodo pullmino riservato raggiungiamo il pittoresco hotel Arabia Felix, proprio in uno dei palazzi “a merletto” del centro storico, dopodiché trascorriamo il pomeriggio fra strade, piazze, botteghe, mercati della meravigliosa capitale, continuamente fatti segno a manifestazioni di cordialità dagli ospitali yemeniti: si può dire che sgranocchiamo in continuazione ciò di cui veniamo di volta in volta omaggiati, pagnotte fragranti, uvetta, banane, datteri, tutto squisito. Cena in un ristorantino alle 19, a nanna alle 20 per accumulare almeno qualche ora di sonno in vista del lunghissimo viaggio di rientro.

Domenica 24 febbraio 2013
Sveglia alle 2 di mattina, volo per il Cairo alle 4,25, sosta di sette ore nell’aeroporto della capitale egiziana (visto il lungo scalo Egypt Air ci consegna il voucher per un’abbondante colazione in uno degli stand del “Food Village”) e volo per Roma, dove arriviamo alle 16,40. Salutiamo gli amici siciliani che vanno all’imbarco per Palermo e, nell’ulteriore scalo in attesa del volo per Genova delle 20,40, ci concediamo il piacere di ritrovare, dopo dieci giorni di assenza, due vecchi amici: la pasta e il vino!
E’ proprio finita. Cominciamo già a coltivare le nostalgie e a fare il count-down per il prossimo viaggio.

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