Socotra e Sana’a: tra fiaba e... realtà!

La perla del Mar Arabico continua ad incantarci con le sua straordinarie bellezze naturali

Il viaggio è durato dal 14 al 24 novembre 2009. Itinerario proposto da Avventure nel Mondo. Costo del viaggio (quota di partecipazione + cassa comune, 1.450 €). Ho fatto parte di un gruppo composto da 10 eccellenti compagni di viaggio, simpatici e motivati.
Socotra è da pochi anni aperta ai visitatori. Socotra è... primordiale. E’ un salto nello spazio e nel tempo. Il 35% degli esseri viventi che popolano l’isola, vivono solo qui. Primo tra tutti, il famoso albero del sangue di drago (Dracena cinnabari). Nel programma proposto da Avventure nel Mondo, la visita di Sana’a è limitata al pomeriggio ed alla sera dell’ultimo giorno, nel lasso di tempo tra l’arrivo da Socotra e la partenza dallo Yemen. Troppo poco, se penso all’emozione, all’intensità, alla bellezza di quella manciata di ore passate a Sana’a.

L’ORGANIZZAZIONE
Normalmente, secondo la formula Avventure nel Mondo, l’organizzazione del viaggio per buona parte ruota intorno alle relazioni dei viaggi precedenti, di cui si avvale il coordinatore. Manuela, la coordinatrice designata per questo viaggio, era già stata a Socotra nove mesi prima. Questa coincidenza ha facilitato di molto la definizione di taluni aspetti organizzativi. Manuela era in ottimi rapporti sia con referente yemenita, sia con l’agenzia di Socotra, e, in particolare, con Ala, il titolare di quest’ultima, preparatissimo ed efficiente, che probabilmente ha accettato di essere lui stesso il nostro accompagnatore a seguito dell’esplicita richiesta di Manuela. Ala ci ha sottoposto un itinerario di massima, che si è rivelato ricalcare il piano già da noi ipotizzato, ad eccezione della riserva di Dihamri, dove, ci ha informato Ala, non era più possibile recarsi, causa limitazione degli ingressi alla zona protetta. Oltre all’agenzia Dragon Blood Tree di Ala, a Socotra, voglio menzionare per quanto riguarda la nostra breve ma intensa esperienza a Sana’a, l’attività gestita di Jane, la quale con prontezza e giusto piglio è riuscita a rendere indimenticabile una giornata che sembrava irrimediabilmente compromessa. Si tratta della Bab Al-Yemen Tourist Agency (www.bab-al-yemen.com).

IL TERRITORIO
Il tour dell’isola ha toccato pressochè quasi tutte le località raggiungibili con le 4 ruote. Poche sono le strade: pochissime quelle asfaltate. Una costeggia il lato nord dell’isola, dove si trova la capitale e l’aeroporto, ed unisce l’estremità est Ras Irsal, all’estremità ovest, Qalansay. L’altra perpendicolare alla prima, unisce Hadibu alla parte meridionale dell’isola. Per raggiungere le altre specifiche località, occorre percorrere piste di sterrato, in alcuni tratti veramente proibitive.

IL PAESAGGIO
Socotra è varia e selvaggia. Nei suoi 3600 chilometri quadrati di superficie, vi è un concentrato di tutto. Aspri rilievi punteggiati da alberi bottiglia (Adenium obesum sokotranum), il fiabesco Dicksam Plateau, ove regnano numerosi e incontrastati i dragon blood trees, e poi dune, canyons, torrenti, e lunghe bianche spiagge incontaminate bagnate dal mare trasparente.

LA GENTE
Nell’immaginario dei più, Yemen significa rapimenti, basi di Al Qaeda e chissà quali altri, più generici, pericoli. Niente di più ottuso e pressapochista. Esistono zone, ben identificate, di fatto pericolose in quanto controllate da alcune tribù che hanno rapito in passato turisti per rivendicare diritti verso il governo centrale. Il territorio yemenita è vasto ed è un errore intenderlo completamente pericoloso e popolato da genti bellicose od ostili. Sana’a visitata la sera, nella parte vecchia, quella del brulicante, meraviglioso suk, può evocare tante sensazioni, ma nulla che possa logicamente far temere per la propria incolumità. Ed è di gran lunga più sicura di moltissime altre città europee. Nelle strette vie della città vecchia, in più di un’occasione, qualcuno ci ha sussurrato: “Welcome!”. Socotra, poi, è un’isola distante anni luce da qualsiasi problematica religiosa o tribale che affligge qualche (ripeto, solo qualche) zona dello Yemen. Inoltre, posso affermare con certezza che le nostre guide sono state di gran lunga più cortesi, educate e preparate rispetto a quelle avute in tanti altri viaggi.

USANZE E ATTENZIONI
Fotografie: è necessario prestare molta attenzione. E’ vivamente sconsigliato fotografare bambini e donne. Per quanto riguarda gli uomini, non vi sono grossi problemi, l’importante è chiedere sempre con educazione il permesso allo scatto.
Abbigliamento: gambe e spalle devono essere coperte, quindi meglio evitare canotte, shorts e similari. Pantaloni lunghi, camicie e magliette per tutti. Sulle spiagge, è possibile indossare normali costumi da bagno.
Qat: è la tradizone, l’usanza diffusissima nello Yemen, in questo Socotra non fa eccezione. E’ una sorta di droga, dai blandi effetti, consumata da buona parte della popolazione. Quella di masticare il qat è una pratica che non può passare inosservata, in quanto il bolo che deve essere continuamente masticato, forma un volume tale che spesso la guancia dei masticatori ne viene deformata, al momento del consumo. Quando e quanto qat viene consumato da ogni singolo, è una variabile assolutamente dipendente da consumatore a consumatore: resta il fatto che per chi più, per chi meno, è una pratica quotidiana.

LA MONETA
La moneta locale è il Dyram. 1 dollaro USA veniva cambiato per 204 – 205 Dyram. Stesso cambio applicato sia all’aeroporto di Sana’a, sia presso i due sportelli bancari presso i quali ho cambiato la valuta ad Hadibu. Non sono mai state applicate commissioni. E’ più conveniente il cambio dollaro USA - Dyram, piuttosto che il cambio Euro – Dyram. Attenzione! Vengono accettate solo banconote di nuovo conio, emesse dal 2003 in poi.

LE COMUNICAZIONI
Da Hadibu telefonare in Italia è facile, nel suk ci sono 2 call center dove si può chiamare senza fatica. La linea è decente ed il costo non impossibile. Due telefonate, una su telefono fisso, una su cellulare per una durata complessiva di 5-6 minuti sono costate in totale 1000 Dyram, cioè poco meno di 5 dollari. Lasciata Hadibu, non vi sono postazioni di telefonia fissa nè è possibile chiamare con i cellulari.Caldo e umido. Non c’è mai stato un giorno intero di sole. Solitamente la mattina splendeva il sole, per poi annuvolarsi inesorabilmente al pomeriggio. Pioggia la prima notte a Socotra e un paio d’ore la mattina seguente. Altro acquazzone il penultimo giorno a Socotra. A Sana’a la temperatura è stata più fresca e più secca. Sana’a si trova a 2200 metri d’altezza.Sabato 14/11/2009
Aeroporto di Istambul: è qui che il gruppo degli otto partecipanti provenienti da Milano e Manuela e sottoscritto, provenienti da Roma, ci incontriamo ed iniziamo a conoscerci. Partiamo puntuali alle 19:30 ed arriviamo a Sana’a nel cuore della notte, all’1:30. La coincidenza per Socotra è tra cinque ore circa. Tante per aspettare in aeroporto, poche per farsi una buona dormita. Decidiamo di accettare la proposta del corrispondente yemenita, cioè di passare comunque ciò che resta della notte in un albergo non molto distante. Così in una ventina di minuti raggiungiamo un alberghetto, dove facciamo giusto in tempo a darci una rinfrescata ed a schiacciare un pisolino, per poi ritornare all’aeroporto. Abbiamo così il primo contatto con Sana’, la capitale dello Yemen, che, ovviamente, in questo breve primo incontro, dice poco.

Domenica 15/11/2009: HADIBU – DELEISHA – HOMHIL
Partiamo con un velivolo della compagnia aerea Felix. Dopo aver fatto un breve scalo ad Aden, arriviamo alle 09:30 a Socotra. E’ ad attenderci all’aeroporto Ala, il titolare dell’agenzia Dragon’s Blood Tree, che ci accompagnerà nel tour. Il freddo lasciato ai 2200 metri di altitudine di Sana’a lascia posto al caldo di Socotra. In venti minuti di auto raggiungiamo Hadibu, il maggior centro abitato in cui risiedono 20.000 dei 40.000 abitanti di tutta l’isola. La prima impressione è quella di essere capitati nella periferia di una città che ha appena subito un bombardamento, tanti sono i detriti accatastati ai bordi della strada e disordinatamente giacenti ai piedi dei caseggiati. Invece siamo a poche centinaia di metri dal cuore di Hadibu e dal suo suk, e gli edifici, in realtà, sono in costruzione o in ristrutturazione. Ci rifocilliamo al Taj Socotra Restaurant, sorta di bar-ristorante, nelle vicinanze della sede dell’agenzia di Ala, dove iniziamo a conoscere i primi piatti yemeniti, accompagnati dall’ottimo pane sfornato al momento. Iniziamo a fare conoscenza anche con gli avvoltoi e le capre, presenti ovunque nell’isola. Sia gli avvoltoi, appollaiati sopra i muri o i pali di recinzione, sia le capre, ci guardano simulando indifferenza. In realtà è facile immaginare cosa sperano di ottenere. Saranno una costante per tutto il viaggio e ci faranno compagnia in ogni nostra tappa. Hadibu non offre nulla, oltre a polvere e detriti. La plastica è ovunque, specialmente le bottiglie d’acqua le quali, dopo essere state svuotate, vengono tranquillamente gettate per terra. Non c’è un sistema di smaltimento dei rifiuti, e nemmeno (almeno da parte dei più) il minimo sforzo per tentare una sorta di ...contenimento del danno. Tutto ciò che non è in qualche modo riciclabile finisce a terra. Naturalmente non si vede legno e metallo, riutilizzabilissimi, non si vede materiale organico, eliminato dalle onnipresenti capre che girano indisturbate per le vie della città, fungendo da veri e propri spazzini e mangiando qualsiasi cosa commestibile per loro, carta compresa. Rimane così, la resistente plastica. Il suk è una mezza dozzina di stradine polverose che si intersecano, nulla più. Qualche decina di povere botteghe ed un paio di phone center, dove è possibile telefonare in Italia abbastanza agevolmente. Cominciamo a notare i masticatori di qat, inconfondibili, con il sacchetto contenente le foglie legato alla cintura o portato in mano. Partiamo. A pochi chilometri da Hadibu, facciamo tappa a Deleisha, un lungo spiaggione per verità un po’ anonimo, dove comunque ci fermiamo per un paio d’ore a fare un bagno ristoratore, facendo molta attenzione alle correnti, che in questo tratto di costa, ci hanno avvisato, essere piuttosto pericolose. Le nubi aumentano sempre più. Lasciamo Deleisha alla volta di Homhil, base di partenza per un trekking sulle alture della zona. Appena lasciata la strada asfaltata, facciamo una breve sosta in un villaggio, dove risiede uno dei nostri autisti, Ahmed. Non appena le jeep si fermano, un nugolo di bimbi vocianti si fanno intorno a noi. Tra di loro ci sono due figli di Ahmed, un maschio, il più grande, il primo ad accorrere a salutare il padre, aggrappandosi alla portiera della jeep ancora in movimento, e poi, in mezzo agli altri bimbi la femmina, che, timida, non ha il coraggio di farsi avanti. Pochi minuti per poi ripartire. Man mano che si avanza, la pista per raggiungere il luogo dove sarebbe stato possibile accamparsi è sempre più sconnessa e impervia. A tratti ripidissima, con preoccupanti appuntite rocce che spuntano dal terreno. Le 4x4 arrancano, ma sono condotte da eccellenti drivers. Abbiamo così potuto saggiare subito la maestria con cui Ahmed “vecchio”, Ahmed “giovane” e Jamal conducono i mezzi. Ne avremmo avuto prova anche in seguito. Il paesaggio, selvaggio, è reso cupo dalla coltre di nuvole minacciose, che rendono la luce sempre più fioca. Cominciamo a vedere sempre più frequenti gli alberi bottiglia, la cui forma bizzarra è attrazione per mille foto. Arriviamo ad Homhil quando già sta facendo buio. Solo due di noi decidono nonostante tutto di montare le tende. Gli altri optano per passare la notte accampandosi alla meglio (stringendosi!) sotto una specie di tettoia chiusa su tre lati. Praticamente, questa tipologia di costruzione, abbinata ad una latrina alla turca e, talvolta, ad una doccia sono le infrastrutture che ....elevano le località a vocazione turistica!. Ceniamo con riso e carne di capra e l’immancabile graditissimo te speziato. La notte è buia, senza stelle nè luna. Alla luce della lampada a gas, pianifichiamo con Ala l’itinerario del tour. Domani ci sarebbe un trekking lungo un canyon che attraverso le alture, raggiunge uno uadi con uno specchio d’acqua. Il trekking sarebbe impossibile in caso di pioggia, data anche l’asprezza del terreno. Dobbiamo sperare che il tempo regga e che durante la notte le nuvole vadano oltre. Invece nel bel mezzo della notte, un bell’acquazzone ci ha svegliato, facendoci stringere ancor di più sotto la tettoia e non facendoci ben sperare per il giorno successivo.

Lunedì 16/11/2009: HOMHIL – AOMAK
Ci svegliamo prestissimo, appena inizia a far luce. Giusto il tempo di far colazione quando comincia un altro violento acquazzone che mette fine definitivamente alle già tenui speranze di poter effettuare il trekking. Siamo anche costretti a rivedere i programmi dei prossimi giorni, almeno nella sequenza. Ala, consiglia di spostarsi a sud dell’isola, dove, dice, vi sono maggiori possibilità di trovare tempo buono. Quindi sotto la pioggia ricarichiamo i bagagli sulle 4X4 e ci accingiamo a ridiscendere l’impervia pista. Dopo non molto il diluvio cessa, permettendoci di godere del paesaggio circostante. Sono gli alberi, nelle diverse specie qui presenti, a catturare maggiormente l’attenzione. Albero bottiglia, albero dell’incenso, albero della mirra e stranissimi tipi di euforbie simili ad enormi funghi, somiglianti ai famosi alberi del sangue di drago, presenti, però, solo a Dicksam Plateau. Non troveremo più, nel nostro vagare in lungo e in largo per Socotra, tanta eterogeneità raccolta in una stessa zona. Siamo attratti dalla stranezza di questi alberi, i buffi alberi bottiglia, i grandi a volte severi alberi dell’incenso, le euforbie.... Peccato per il tempo, la coltre grigia e uniforme di nuvole, filtra la luce appiattendo le forme. La pista che ieri obbligava la jeep ad arrancare in salita, oggi si ripropone all’inverso ossia con ripide discese fangose da brividi. A valle riattraversiamo lo stesso villaggio del giorno prima e rivediamo i bimbi che rincorrono festanti i nostri veicoli. Ma attenzione a non fotografare. Difficile trattenersi. Durante lo spostamento, le nuvole sembrano sempre più aprirsi. Ad un certo punto la pista coincide per un tratto con il letto di un torrente piuttosto scarso d’acqua, ma quanto basta alla vita di un maggior numero di piante, palme soprattutto. Incominciamo a vedere tratti con abbondante presenza di alberi bottiglia, diventeranno una costante caratterizzante del paesaggio. Alcuni sono esemplari eccezionali e grandi. Altri molto piccoli, sembrano soprammobili appena appoggiati alla roccia. Alcuni presentano infiorescenze di colore rosa, inodori, molto somiglianti al fiore dell’oleandro, mentre le foglie ricordano come foggia e tonalità di verde, quelle del pitosforo. Riprendiamo il cammino fino ad arrivare alla lunghissima spiaggia di Aomak, dove ci fermeremo per due giorni. Dopo un breve intermezzo soleggiato, il tempo è ritornato ad essere brutto, un vento teso ha portato un’antipatica nuvolaglia. Mentre scarichiamo i bagagli e cerchiamo di individuare un buon posto per piantare le tende, vediamo a distanza di pochi minuti tre splendidi camaleonti. Naturalmente le fotografie si sprecano, anche perchè i simpatici rettili, prima di decidere di eclissarsi definitivamente sono rimasti a lungo nei paraggi. Aomak è una delle zone “turistiche”. Vi è una cisterna d’acqua che alimenta due docce, sotto le quali sono piazzate due turche. Diciamo, estremamente spartano. Vi sono una sorta di recinzioni fatte con foglie di palma, per riparare le tende dal vento. Poi tre tettoie anche queste costruite prevalentemente con rami di palma e legno, sotto le quali si consumano i pasti e, in caso di vento particolarmente forte, sarebbero un riparo possibile ove mettere le tende. E naturalmente non mancano le onnipresenti capre che spuntano dai palmizi e ogni tanto vengono in ricognizione nel nostro campo. Qui ad Aomak si terrà la prima, memorabile serata danzante. Ogni qualvolta la situazione e lo spazio lo consentiranno, le nostre guide si cimenteranno in ciò che sarà una costante, mettendo in evidenza il grande amore per il ballo e per la musica in genere che le genti di questa isola hanno.

Martedì 17/11/2009: DOGUB CAVE – ZAEK – AOMAK
Oggi visita alla Dogub Cave; un’ampia caverna posta sul fianco di un’altura. Man mano che ci avviciniamo, l’ombroso antro sembra sempre più una grande bocca spalancata, la cui dentatura è composta dalle numerose stallatiti e stalagmiti che spuntano, irregolari, dall’alto e dal basso. La visita dura pochi minuti, anche perchè la caverna è composta da un ambiente unico, che, per quanto vasto, è subito completamente a portata di vista. Ritorniamo lungo la stessa pista di sterrato, il caldo comincia a farsi sentire, alto nel cielo brilla il sole. Prossima tappa: le dune di Zaek. Attraversiamo un villaggio, richiamando l’attenzione dei soliti bimbi che si avvicinano, guardandoci intensamente con i loro occhi vivi, profondi. Alcune bambine vestono abiti dai colori sgargianti, verdi, rossi. Rincorrono entusiasti le jeep. Notiamo numerosi ragazzini, in procinto di andare a scuola, portare sulle spalle zaini azzurri UNICEF, nuovi di zecca. Un piccolo, incoraggiante segnale. Questo villaggio, come tutti quelli toccati fino a d’ora, è composto da case squadrate, povere, piccole e anche piuttosto squallide, costruite con pietre tenute assieme da calce.
Il gruppo di dune di sabbia verso il quale ci stiamo dirigendo ricopre un’area non particolarmente vasta, posta tra il mare e le alture rocciose. Fanno comunque il loro effetto, e valgono assolutamente la visita, nonostante la loro estensione non sia proprio a perdita d’occhio. Raggiungiamo poi una spiaggia distante non più di un paio di chilometri dalle stesse dune. Questa mattina il sole splende, facendoci gustare alla grande qualche ora di mare. Inutile dire che siamo gli unici, con ha disposizione chilometri e chilometri di spiaggia candida, ed un mare azzurro, appena mosso da qualche onda. Torniamo alla base per il pranzo, il pomeriggio lo passiamo camminando sulla lunghissima spiaggia di Aomak, ed esplorando l’ampia zona interna, (data la facilità con cui siamo incappati a pochi metri dalle tende nei tre camaleonti di ieri, ero molto speranzoso nella possibilitò di incontrare chissà quali e quanti altri animali. Invece zero assoluto, nonostante mi sia addentrato molto all’interno). Questa zona, che ricopre una vasta area, allontanandosi dalla battigia, è formata da un interessante e bizzarro susseguirsi di piccole dune irregolari, da 50 cm a non più di un paio di metri d’altezza, che creano abbassamenti e rialzamenti discontinui del suolo. La vegetazione più evidente sono i folti cespugli di tamerice, posti su quasi tutte le sommità delle piccole dune e, altra singolare caratteristica, la presenza di tantissimi frammenti di vecchie conchiglie grandi e piccole, nonostante ci si trovi a 200 metri di distanza dal mare, è probabile segno che in periodi tuttosommato non lontanissimi, il mare arrivava fino a lì. Alla fine di questo susseguirsi di piccole dunette, si vedono in fondo, un fitto gruppo di palme e ancora più lontano si intravedono le case di un villaggio. Questa sera sorpresa: per cena ci aspettano due belle grandi aragoste, oltre ad un buon numero di altri pesci cucinati al cartoccio. Anche in questa occasione Foad, il cuoco, e tutti gli altri si sono dimostrati molto accudenti, gentili con l’attenzione di cercare di anticipare ogni nostro desiderio.
Pochi passi fuori dalle luci del campo vi è la lunghissima spiaggia, buia e deserta. Siamo rapiti da una stellata meravigliosa che lascia ben sperare in una nuova giornata di sole. Ho la netta percezione di sentire l’anima di quel luogo, di quell’infinita distesa senza nessun altro oltre che a noi. Due serate ad Aomak, due serate danzanti, ove le guide (e, ci dicono, un po’ tutti a Socotra) esternano questa grandissima passione per la danza e per la musica. Un amore che si nota con grande evidenza. Organizzano vere e proprie serate danzanti, dove si esibiscono e dove (ahimè per alcuni), invitano al ballo gli ospiti. Alcuni di loro sono provetti ballerini. Altri bravi percussionisti, per cui quasi ogni serata si concludeva così, con musica e danze. Era evidente un duplice scopo: oltre a far divertire i turisti ci tenevano (giustamente) a divertirsi loro stessi, tanta era chiara la loro genuina passione nel cimentarsi nel ballo. A riprova di ciò il fatto che anche durante talune escursioni, mentre ci attendevano, impegnavano il loro tempo, quando possibile, nel provare passi di danza.

Mercoledì 18/11/2009: DICKSAM PLATEAU – UADI DAERHU – QALANSYA
Come speravamo, la mattinata è stupenda, soleggiata e calda. Abbiamo consumato con calma un’abbondante colazione, con i soliti avvoltoi che ci fanno compagnia, osando questa volta un po’ più del solito, avvicinandosi fino a pochi metri di distanza da noi. Partiamo alle 08:30 alla volta di Dicksam Plateau, uno dei pezzi forti di questo viaggio a Socotra. Pochi minuti di strada sterrata, per poi prendere il nastro d’asfalto. I panorami sono stupendi, la luce ottima, facciamo qualche fermata per fotografare gli alberi bottiglia particolarmente numerosi in alcuni tratti. Arriviamo al famoso Dicksam Plateau, unico luogo al mondo dove crescono i leggendari alberi del sangue di drago. Il nome, leggende a parte, deriva dal colore rosso sangue della resina che fuoriesce dalla corteccia se incisa. In antichità venivano riconosciute proprietà medicamentose straordinarie, oggi è usato, prevalentemente in ebanisteria, come tintura. Il luogo ha effettivamente un nonsochè di fiabesco, di preistorico, un vasto pianoro roccioso dove spuntano irregolari, come funghi, le chiome ad ombrello rovesciato di questi strani alberi. Irti canyon, precipizi dai bordi dei quali si vedono librarsi in aria, numerosi, gli avvoltoi.....dà veramente la sensazione di trovarsi immersi in una scenografia di un film fantasy. Il cielo terso ed azzurro, rende eccellente la visita. Incontriamo dei cammellieri, ben disposti a farsi fotografare con noi e con i loro cammelli. Riprendiamo i land rover per scendere verso il Wadi Daerhu, un corso d’acqua che ha scavato nei millenni uno di numerosi canyon che solcano profondi il Dicksam Plateau. Anche in questo caso per raggiungere la meta, i nostri autisti si devono misurare con una pista difficilissima, ripida con grosse pietre aguzze che rendono il transito veramente proibitivo. Anche in questo occasione i due Ahmed e Jamal hanno dimostrato tutta la loro perizia nel condurre i mezzi. Sembra veramente essere tutto...primordiale: i solenni profili degli alberi del sangue di drago, le bizzarre forme degli immancabili alberi bottiglia....il tutto contenuto in questo plateau assieme ad altra varia e disordinata vegetazione e una orografia selvaggia ed aspra. Arriviamo nel fondo del canyon dove cominciamo ad intravedere tra il verde dei palmizi lo scintillio dell’acqua di un torrente. Fermati gli automezzi, risaliamo il corso a piedi, per una decina di minuti, finchè non si giunge ad un punto dove il letto del torrente si allarga creando un’ampia pozza verde smeraldo. Fa molto caldo, e nel giro di pochi minuti siamo tutti in acqua per un bel bagno ristoratore. Questo punto del Wadi Daheru è veramente bello, la sosta infatti dura un paio d’ore. Sguazziamo, riposiamo, conversiamo tra di noi, a mollo in questa profonda pozza color verde smeraldo. Torniamo sui nostri passi e, ripresi i mezzi, ritorniamo a Dicksam dove pranziamo sotto un imponente albero del sangue di drago. Spuntano frotte di bambini, vestiti con abiti colorati, forse provengono da un gruppo di case situate all’inizio dell’area ad interesse naturalistico. Attratti dal cibo, anche gli avvoltoi si fanno ancora più intraprendenti, avvicinandosi fino a pochi passi da noi. Comincia ad annuvolarsi quando partiamo alla volta di Qalansyia, verso la parte più occidentale dell’isola. Prima di giungere a destinazione, Ala rinnova le raccomandazioni: oltre ad astenersi dal fotografare le persone all’interno del villaggio, raccomanda di non scattare foto ai dintorni, in quanto vi è una base militare. Infatti, arrivando nelle vicinanze del paese, scorgiamo in alto, su una collina dominante, una recinzione di filo spinato con una torretta d’avvistamento. Più in basso una mezza dozzina di vecchi carri armati arrugginiti, ricordo di quando Socotra è stata base militare sovietica. Attraversando il villaggio, non possiamo far a meno di notare la solita, orribile presenza dei rifiuti di plastica sparsi ovunque nelle strade del paese. Ancora pochi minuti d’auto ed arriviamo ai piedi di una salita in cima alla quale...si ammira un vero spettacolo: la Detwah Lagoon, famosa per essere una delle spiagge più belle del mondo. Il panorama è sicuramente d’effetto, anche se l’apprezzeremo molto di più il giorno successivo, con il favore del sole e della luce. Oggi purtroppo la fitta nuvolaglia non ne fa esprimere appieno le qualità. Camminiamo sulla lunghissima spiaggia, a perdita d’occhio: come fortunatamente spesso accade siamo gli unici visitatori. Oltre a noi solo uccelli e granchi che disturbati dalla nostra presenza corrono veloci nei rifugi. E’ bassa marea: aggirando parte della laguna si arriva al luogo dove è possibile piantare le tende. La zona dove è possibile campeggiare, è attrezzata con due tettoie. Vi sono due bagni, non vi sono docce, però c’è una cisterna con acqua dolce e catino per lavarsi. Il terreno è sabbioso ma molto duro, tanto che i picchetti delle tende entrano con difficoltà.

Giovedì 19/11/2009: SHOUAB – DETWAH LAGOON – ROSH
Sveglia alle 05:00 per essere prestissimo al villaggio di Qalansiya, dove con barche di pescatori, arriveremo alla spiaggia di Shouab. “Barche dei pescatori” non tanto per dire, infatti sul fondo vi sono evidenti tracce di sangue e squame del pesce pescato la notte prima. Evidentemente arrotondano le entrate trasportando, quando capita, i turisti a Shouab. Una quarantina di minuti ci separa dalla magnifica spiaggia di Shouab. Questo tratto di mare, è famoso per i frequentissimi incontri con i delfini. Capita a tutti.....tranne che a noi. Peccato, ci contavamo. La spiaggia è incredibilmente bella. Fortunatamente la mattina è limpida, il cielo azzurro e terso. Mentre attracchiamo, proprio sotto i miei occhi una piccola razza fugge infastidita. Passiamo così l’intera mattinata a goderci questa spiaggia incontaminata, bellissima. Sole e bagni. Al ritorno, trepidanti nella speranza di incontrare i tanto desiderati delfini, rimaniamo un’altra volta delusi. Nulla da fare. Pranziamo all’ombra delle palme lungo il letto asciutto di un wadi nei pressi del villaggio di Qalansiya. Qui sono le capre ad essere particolarmente intraprendenti, tentando più volte di diventare nostre commensali. Terminato il pranzo, pochi minuti d’auto e ci riaffacciamo dall’altura che domina la laguna di Detwah. Quest’oggi siamo più fortunati, nonostante le solite nubi pomeridiane in agguato, riusciamo a goderci questa fantastica spiaggia con il favore di una luce perfetta. Uno spettacolo. Dall’alto vediamo il mare azzurro da un lato, con riflessi verde tenue dall’altro. Da restare a bocca aperta. Una meraviglia dalla quale non riusciamo a distogliere lo sguardo. Induce a starsene lì ad ammirare ed a scattare fotografie, nonostante la voglia di tuffarsi in acqua. Partiamo nel pomeriggio. Dobbiamo attraversare longitudinalmente l’isola: dall’estremo ovest, dovremo arrivare all’estremo est, a Rosh, passando per Hadibu. Infatti vi facciamo sosta per rifornimento di carburante (vi sono due distributori in tutta l’isola). Facciamo una capatina al suk, dove qualcuno di noi approfitta per telefonare e per cambiare i dollari in moneta locale. Io non perdo occasione per comprare le ottime sigarette yemenite Kamaran. Vediamo un folto gruppo di persone riunite, vocianti, cosa faranno? Stanno assistendo ad una partita di calcio. Potrebbe sembrare banale, ma non lo è, se pensiamo che siamo su una piccola isola nell’oceano indiano, tra le lontane coste del corno d’Africa e della penisola arabica, dove tutto, ma proprio tutto è così diverso. Nonostante ciò, questo gioco esiste, aggrega e richiama folle. Arriviamo così a Rosh alle 18:00, con buio pesto. Tocca montare le tende con la luce dei fari dei land rover e con l’ausilio delle torce. Ceniamo, dopodichè la serata.... assume un connotato particolare. Oggi niente danze: sarà la serata d’iniziazione al qat! Ala, il nostro valente capo guida, dapprima ci spiega cos’è il qat, la tradizione, le consuetudini, i significati.....dopodichè sdraiati ed assumendo la particolare postura da lui consigliata, inizia a distribuire in abbondanza le verdi foglioline. Quasi tutti noi accettiamo, e, ligi alle sue indicazioni, ci sdraiamo ed iniziamo l’esperienza. Ognuno con il proprio ramoscello di foglie in mano, cominciamo a masticare ed a formare il bolo che aumenta di consistenza e di volume gradualmente, man mano che le foglie vengono accumulate, rigorosamente, nel lato sinistro della bocca. Il sapore, specialmente all’inizio, è particolarmente amaro, poi ci si abitua. Così, per ore siamo stati sdraiati a conversare, molto piacevolmente, con Ala e con i numerosi.... amici che di tanto in tanto arrivavano, chi in macchina, chi a piedi spuntando dal buio. Perchè tutto quel movimento? Perchè domani sarebbe stato venerdì, giorno di festa, quindi....serata in libertà! Alla fine ci saranno state oltre a noi non meno di una quindicina di persone, tutti a masticare qat, qualche gruppetto a parlare tra loro, qualcuno a giocare ad una sorta di domino yemenita e fumando lo shisa. Si è così creata una situazione di comunione molto simpatica, dove ci siamo sentiti tutti integrati, a godersi quella serata, vigilia del loro giorno festivo. Ospite di questo meeting improvvisato è stato anche il direttore della banca alla quale ci siamo recati nel pomeriggio a Hadibu per cambiare il denaro. Lui e suo figlio. In virtù del suo buon inglese è stato l’unico yemenita, oltre ad Ala, con il quale abbiamo a lungo interloquito, parlando di religione, di politica, lo Yemen, l’Italia, aspetti sociali....insomma di un sacco di argomenti interessanti, dove abbiamo avuto modo di confrontarci, ed esprimere ognuno le proprie opinioni. Sono queste le esperienze che danno un grandissimo valore aggiunto al viaggiare; quale situazione migliore per entrare in sintonia con la gente? Stare tutti insieme, lì, seduti, la notte, secondo le loro modalità, fumando e masticando il qat e discorrendo liberamente con loro. Ci ritiriamo nelle nostre tende all’una di notte. A proposito, gli effetti del qat.....pressochè nessuno. Nonostante abbiamo masticato per ore durante la sera, nè io nè gli altri (tranne una persona) abbiamo provato....sensazioni particolari.

Venerdì 20/11/2009: ROSH – ARHER
Questa mattina, uscendo dalla tenda, vediamo finalmente, con la luce, il luogo dove ieri sera ci siamo accampati. Questa è una... località turistica di recente costituzione, ha addirittura tre-docce-tre di cui una al chiuso, come i bagni, uno dei quali eccezionalmente dotato di un piccolo specchio cementato nel muro, posto sopra un lavandino malandato. Un lusso! La costa è rocciosa, il mare non particolarmente attraente, ma ci dicono essere un buon luogo per lo snorkeling: e così in effetti è. Pesci sì, in numero discreto. Ma l’incontro più interessante è stato con un bellissimo esemplare di murena maculata, bianca a pois neri. Una particolarità di questo tratto di costa è che in alcuni tratti vi sono degli accumuli di corallo spiaggiato, di un bianco accecante, in netto contrasto con le rocce brune sulle quali è posato. Ed a creare ancora di più un bizzarro gioco cromatico sono delle piante strane verde smeraldo che spuntano dai candidi coralli. Tutta la mattina a Rosh, l’abbiamo dedicata allo snorkeling. Pranzo e poi partenza alle 14:45 per Arher. Solo una trentina di minuti di pista separa le due località. Arrivando ad Arher si ha la sensazione di giungere in un luogo irreale. Complice la luce che, filtrando dall’irregolare coltre di nubi, illumina con intensità diversa i vari elementi che determinano il paesaggio. Il mare alla nostra sinistra, a destra un ruscello con le rive erbose di verde intenso, dune di sabbia bianca che sembrano incollate alle pareti verticali del monte, sui cui fianchi si notano ombre scure che non sono altro che caverne dai contorni frastagliati e dai quali pendono stalattiti. Curioso vedere questa erbetta bassa e fitta di verde brillante che cresce spontanea irrorata dall’acqua dolce che sgorga dalla montagna. Tra il manto erboso e l’inizio della duna, folti gruppi di tamerici dal verde più tenue, sfumano il colore smeraldino dell’erba con il bianco della sabbia. Un luogo veramente sensazionale, fiabesco, reso tale dalla convivenza di connotati tipici di situazioni completamente diverse e di ben altre combinazioni paesaggistiche.

Sabato 21/11/2009: HOQ CAVE – ARHER
Partenza alle 08:15 per il trek ad Hoq Cave. In solo un quarto d’ora d’auto raggiungiamo il minuscolo villaggio, in realtà non più di una mezza dozzina di abitazioni, situato ai piedi dell’altura dalla quale inizia il sentiero verso Hoq Cave. Fermate le land rover, vediamo bimbi vestiti con abiti di colori sgargianti studiarci a debita distanza. Lì incontriamo la guida che ci accompagnerà. Il trek dura circa un’ora e mezza, ed è piuttosto difficile, sia per il dislivello, quasi un’arrampicata su un terreno pietroso, ma soprattutto per il gran caldo umido. Lungo la salita, bellissimi esemplari di albero bottiglia e di altri singolari alberi dai rami molto contorti, mai notati prima, dal nome impronunciabile. Incappiamo anche in uno strano animale, una sorta di grande millepiedi, pare dal morso velenosissimo, a detta della nostra guida. Finalmente arriviamo in cima, dove un grande anfratto segna l’inizio di questa sensazionale caverna, lunga tre chilometri, ma effettivamente accedibile per un solo chilometro. E’ stata una vera e propria esperienza: si ha la sensazione di essere i primi esploratori. Normalmente, siamo abituati ad ammirare ciò che si cela nel buio di antri e grotte, grazie agli impianti di illuminazione. Qui no, qui è tutto immerso nell’oscurità più completa. Quando l’ultimo raggio di sole proviente dall’esterno scompare, vi è solo la luce delle proprie torce. Si avanza lentamente facendo attenzione a dove si mettono i piedi, ma scoprendo, ogni volta, volgendo il capo verso le pareti, sorprendenti forme. Voltarsi e... là dove fino ad un secondo prima vi era solo buio, si svelano conformazioni calcaree dalle stupefacenti sagome, alcune imponenti e solenni, altre delicate, finemente cesellate dalla mano della natura. E anche le semplici pareti, colpite dalla luce dei flash, svelano per un solo attimo colori e sfumature inimmaginabili fino a qualche secondo prima. Il ritorno questa volta in discesa, è senza dubbio meno faticoso, se non fosse per il terreno pietroso sul quale è facile scivolare. Incrociamo un camaleonte, dopo gli incontri di Aomak, anche qui riusciamo ad ammirare le particolarità di questo simpatico rettile. Ritorniamo, nel primo pomeriggio, ad Arher. Con noi arrivano anche le solite antipatiche nuvole pomeridiane. Chi stanco dal trekking riposa sdraiato sulla verde erbetta sul greto del torrente, chi si fa una passeggiata, chi opta per un bel bagno in mare, chi per scalare l’alta duna che sta proprio a ridosso del nostro accampamento. Alta 150 metri e assai ripida, mette a dura prova gambe e braccia di chi tenta di raggiungere la vetta. Ma una volta in cima, il paesaggio è stupendo, il nostro accampamento è in una macchia verde punteggiata dai colori delle tende, e davanti a noi il mare. Peccato per la mancanza di una buona luce. Parte del gruppo che ha optato per la passeggiata in riva al mare ha avuto la grande fortuna di avvistare dalla riva, un gruppo di delfini. Avvistare delfini dalla riva! Non è facile, ed è sembrata già così un gran fortuna, inconsapevoli che quello sarebbe stato solo il preludio della sensazionale esperienza che ci sarebbe toccata l’indomani. La sera ceniamo e poi gustiamo l’ottimo tè speziato che ci viene offerto almeno 4 volte al giorno. Ala, il valente capoguida, alla notizia degli avvistamenti, per noi eccezionali di delfini dalla riva, ci informa che nel periodo che va da febbraio a maggio la frequenza di avvistamenti è molto più alta, ed è facile assistere alle evoluzioni di gruppi numerosi che saltano e piroettano assieme ai loro piccoli. Al limite dell’incredibile, da come racconta. Serata, naturalmente, danzante! Spettatori e talvolta co-protagonisti delle loro danze, verso le quali prodigano tanta passione, amore e impegno. Pochi metri fuori dal campo illuminato, nugoli di granchi trotterellano via infastiditi, non appena qualcuno si avvicina. Anche questa sera ci diamo al qat, con gli stessi risultati di due sere prima!

Domenica 22/11/2009: RAS IRSAL – HADIBU
Anche oggi sveglia all’alba, destinazione ras Irsal, dove passeremo mezza giornata all’insegna del relax, bagni e snorkeling. Pochi minuti dopo colazione...eccoli ancora, i delfini! Passano esattamente nel tratto di mare davanti a noi, un gruppo di 5 o 6 esemplari, placidamente emergono e s’immergono...Ammiriamo questi stupende creature allontanarsi lentamente. Mi volto per ritornare al campo e..., l’attenzione è ripresa dallo stupenda cornice davanti ai miei occhi.... il torrente che sfocia al mare, l’erba verde, la duna, la montagna. Tutto incontaminato. Ma fino a quando durerà? Gli unici luoghi dove i rifiuti sono particolarmente evidenti (plastica sopratutto) erano Hadibu e alcuni villaggi (Qalansiya, in particolar modo). Nelle località, chiamiamole, turistiche, abbiamo notato poche tracce del passaggio di altre persone. Le nostre guide, a differenza degli altri socotrini, sono sensibili verso questo problema e sono attenti a non disperdere alcun tipo di rifiuto. E’ vero, a novembre le presenze sull’isola sono pochissime, ma in periodi di maggior flusso turistico, sono numerosi i gruppi che visitano l’isola. E probabilmente diverranno sempre di più. Come potranno queste zone reggerne l’impatto? Meno di mezz’ora di sassosissimo sterrato per arrivare a Ras Irsal. Lungo il breve tragitto vediamo un nutrito gruppo di persone radunate intorno ad un punto. Avvicinandoci, scopriamo essere un nugolo di donne e bambini, vestiti nei loro colorati abiti, intenti a cavar acqua con dei contenitori di plastica, da un minuscolo pozzo. Anche in questo caso la tentazione di fotografare è molta, ma dobbiamo trattenerci, almeno nel palesare il gesto. Arriviamo allo spiaggione di Ras Irsal. Una volta fermati nel punto prescelto, una frotta di ragazzini ci viene incontro, dapprima sembrano scrutarci incuriositi a distanza, ma dopo pochi istanti li vediamo farsi intorno ad Ala, si capiva interessati a qualche cosa, ma...cosa? Il pallone! Nel momento in cui Ala ha estratto dal portabagagli la sfera di gomma, le voci dei bimbi si sono unite in un urlo di gioia. Di chi non ha nulla ed un pallone può rappresentare una inaspettata, sincera, profonda gioia. Il più grande solleva trionfante il pallone al cielo e tutti gli altri a saltare intorno, festanti. Nonostante il tempo è tutt’alto che bello, il caldo si fa comunque sentire e qualcuno di noi si butta subito in acqua. Ad un certo punto.....emozione! Un gruppo di delfini passa proprio di lì, dirigendosi verso le persone in acqua. Dalla riva un po’ alta, ho potuto osservare, da posizione privilegiata, la dinamica dell’evento. Ho visto il gruppo di delfini nuotare parallelamente alla riva, poi, forse incuriositi da quegli strani esseri in acqua, si sono diretti senza indugi verso i miei compagni, i quali, emozionatissimi hanno cercato di attirare la loro attenzione, nuotando loro incontro! Si sono avvicinati così fino a pochi metri, per poi però riprendere la loro direzione, allontanandosi. Ma dopo più di mezz’ora, quando pensiamo che tutto fosse ormai finito, un altro gruppo di delfini è passato. E questa volta in acqua ci sono io! Improvvisamente ho visto dalla riva i miei compagni sbracciarsi richiamando la mia attenzione. Eccoli!! vedo distintamente la loro pinna dorsale emergere più volte. Mi sono messo a nuotare verso di loro. Anche in questo caso si sono avvicinati, uno in particolar modo, è emerso per respirare a pochi metri da me, altri duo o tre sembra stiano compiendo una specie di emiciclo, aggirandomi.....l’emozione è grandissima trovarsi così vicini a questi stupendi animali, a tu per tu!. Sembrano indugiare se continuare per il loro percorso o no. Salgono in superficie lenti, quasi a prender tempo per studiare il da farsi. Ho nuotato ancora verso di loro ma non sono più riuscito ad avvicinarmi più di tanto, evidentemente mi avevano concesso anche troppo. Tutto sarà durato due, forse tre minuti ma di un’emozione indescrivibile! Una mattinata dal cielo grigio, ma che ci ha regalato un’esperienza eccezionale!
Purtroppo, poco più tardi, le nubi si sono fatte sempre più cupe culminando con un bell’acquazzone. Abbiamo atteso, sperando che la piccola porzione di cielo azzuro all’orizzonte prendesse il sopravvento. Così non è stato, ci siamo diretti quindi verso il nostro campo, dove abbiamo trovato tutto completamente fradicio. Cerchiamo di asciugare in qualche modo le tende, per poi smontarle e partire. Così, verso le 15:30, nonostante il tempo sia tutt’altro che gradevole, ci allontaniamo da Arher con un pizzico di dispiacere, consapevoli della particolarità di quel luogo. Facciamo una breve sosta pochi chilometri prima di Dihamri, lungo la costa, nella speranza di gustare il tramonto, ma la solita coltre di nubi pomeridiana ce lo impedisce. Anche qui, come a Rosch, una lunga distesa di frammenti di corallo bianco, ed anche qui abbondano conchiglie lungo la riva. Arriviamo ad Hadibu alle 17:30, che è già buio. Per l’ultima notte a Socotra, prendiamo alloggio all’hotel Socatra Tourist, 9 $ a testa. Una ventina di camere, dicono molto meglio di tanti altri, ma....si sa, da queste parti dobbiamo ritarare tutti i nostri parametri. I concetti di pulizia e funzionalità sono ben diversi dai nostri. Non è detto che le lenzuola dei letti siano state cambiate, l’acqua può esserci o può non esserci, se c’è può anche essere solo fredda. Nella stanza in cui ho dormito, il lavabo perdeva acqua dal tubo di scarico, risolto (!) ponendo il cestino dei rifiuti lì sotto!! L’intercapedine (leggi buco!) nel muro nella quale era posizionato il condizionatore era chiusa con nastro adesivo da pacchi. I cavi dell’antenna e dell’alimentazione del televisore penzolavano allegramente a mezz’aria prima di raggiungere le rispettive prese a muro. Ma il bello, l’insegnamento di questo tipo di viaggi, è anche sapersi adattare senza molto sforzo. Facciamo ancora quattro passi nel suk, e poi cena al Taj Socotra Restaurant, dove mangiamo bene con dell’ottimo trancio di pesce alla griglia, riso, e patate stufate, spendendo 5 $ ciascuno. Come qualsiasi struttura qui a Socotra il ristorante è .... alquanto verace ma ci è piaciuto molto. Semplice, spartano, buon cibo e inservienti molto gentili. Fine serata a sorpresa: Mariella una componente del gruppo proprio oggi compie gli anni! Informati della ricorrenza e.... dietro nostro input, Ala e compagni si sono prodigati ad organizzare una festa di tutto punto, allestendo sopra il tetto dell’hotel, un vero e proprio party con tanto di torta di compleanno dolci, bibite, candeline e.....cappellini! Con poco, sono riusciti a mettere in piedi una simpatica allegra festicciola. Un miracolo! Auguri, Mariella!

Lunedì 23/11/2009: HADIBU – SANA’A
Ultima mattina a Socotra. Colazione al “nostro” Taj Socotra Restaurant, che ci ha rifocillato al nostro arrivo il primo giorno e ci rivede anche oggi, in procinto di lasciare l’isola. Aspettiamo di partire alla volta dell’aeroporto e in questa occasione si verifica l’unica grossa evidente sbavatura di Ala, il quale senza avvisare, facendoci attendere all’hotel è venuto a prelevarci alle 10:30 con il volo in partenza alle 11:00. Si è giustificato dicendo che aveva saputo che il nostro aereo avrebbe avuto più di mezz’ora di ritardo. Cosa poco convincente. Partiamo quindi con molto ritardo. Giungiamo all’aeroporto ed in effetti al check-in vi è ancora fila per l’imbarco; l’aereo sarebbe partito alle 11:45. Ma la vera, brutta sorpresa doveva ancora arrivare. Cioè non saremmo potuti partire con quel volo. A causa di un disguido tra le compagnie Felix e Yemenia, (all’andata il volo è stato con Felix), i nostri biglietti aerei non sono stati confermati per il ritorno. Yemenia aveva ripreso a volare su quella tratta, e quindi era con Yemenia che avremmo dovuto viaggiare. Nonostante la partenza fosse un’ora e mezza più tardi e il volo un’ora e mezza più lungo causa scalo supplementare a Makulla, oltre che ad Aden. Quindi purtroppo partiamo alle 12:30: che vuol dire tre ore nette di ritardo che avrebbero compromesso la visita a Sana’a. Non dico l’amarezza: Sana’a sarebbe dovuta essere la ciliegina sulla torta. Invece...niente non vedevo come potesse esserci a questo punto la possibilità di raddrizzare la situazione. Oramai avevo perso ogni speranza. Ma ci avrebbe pensato Jane. Ma chi è Jane? E’ una ragazza italo inglese sposata ad uno yemenita, che da 5 anni risiede a Sana’a ed ha iniziato da non moltissimo tempo un’attività in ambito turistico. Con Manuela, si erano conosciute nove mesi prima, in occasione del suo primo viaggio. Subito fuori l’aeroporto, la chiama al telefono. Ci attende a casa sua. Prendiamo dei taxi: 10 $ a vettura per andare a Bab Al-Yemen, dove risiede, appunto, Jane. Mezz’ora di strada circa, la prima metà percorsa su una grande arteria a scorrimento veloce. Per qualche minuto costeggiamo un coloratissimo ed affollatissimo mercato composto da bancarelle all’aperto. Man mano ci avviciniamo al centro, si iniziano a notare i primi magnifici palazzi tipici dell’architettura di Sana’a e già bastano.... ad emozionare. Arriviamo a casa di Jane, la cui abitazione è proprio all’inizio della città vecchia a Bab-el-Yemen. Presentazioni concitate, dice di affrettarsi: ci avrebbe fatto da guida nella visita del suk. Conosciamo lei, la madre, il marito e i figli. Ci fa depositare in fretta i bagagli nella sua casa, dà disposizione affinchè la cena non sia pronta prima delle 21:00, in modo di avere tre ore buone per la visita della città vecchia e del suk. Così alle 18:00 in punto varchiamo le mura di confine tra Sana’a nuova e vecchia. Proprio in quel momento il muezzin intona la litania, ad invitare i fedeli alla preghiera. Ha inizio così la visita della città, quasi fosse un segno propiziatorio, in questa atmosfera carica di emozione, con il rieccheggiare nelle strette vie, del richiamo del muezzin. E’ difficile trovare le parole per descrivere le sensazioni che evocano i meravigliosi palazzi di Sana’a. Fiabeschi, ricoprono perfettamente l’iconografia classica de La Mille ed Una Notte....Tra fiaba e realtà. Il suk è un brulicare incredibile di persone, volti, suoni, colori, odori e profumi. Ai negozi, diciamo, più convenzionali, si alternano botteghe le cui immagini potrebbero essere rappresentate in un presepe. Il fornaio, che con la pala estrae i pani dal forno e li deposita fumanti, lì vicino. Il fabbro che batte il ferro incandescente sull’incudine. Addirittura un dromedario, che attaccato ad una rudimentale macina, spreme i semi di sesamo per ricavarne olio. E poi il tripudio delle spezie, dove la parte di suk dedicata al commercio delle stesse si presenta con un’orgia di colori e di profumi dove non si può fare a meno di starnutire, tanto è il pulviscolo nell’aria dovuto alla gran quantità di spezie mossa dai numerosi acquirenti intorno ai banchi. E poi granaglie, verdure, vasellami, argenti e... non poteva mancare l’artigiano che produce le jambiya. Il tutto avvolto nel vociare della folla. Un fiume convulso, che serpeggia nelle strette vie del suk, un universo di umanità, intento a sbrigare le proprie cose. Donne poche, uomini tanti, buona parte di essi ostentando la Jambiya alla cintola. Carriole e carretti spinte da vecchi o da ragazzi, che all’improvviso solcano la folla, con attenzione ma allo stesso tempo con determinazione, quasi senza rallentare l’andatura. Gli occhi non sanno dove posarsi, non sanno su quale immagine indugiare data la vitalità e l’autenticità di tutto quello che stava vivendo davanti a noi. In basso, visi, posture, oggetti, colori. In alto, l’incantesimo di quelle architetture, delle case, dei palazzi, illuminati da una luce fioca, ma sufficiente per svelare misuratamente la magnificenza, lasciando però anche un ombra di mistero. Si fanno le 21:00, sfiniti ma più che appagati, raggiungiamo la casa di Jane, alle porte della città vecchia. Una vera casa-torre yemenita, che si sviluppa a più piani in altezza. Anche questa un’esperienza indimenticabile: mentre viene servita la squisita cena a base di piatti della tradizione culinaria yemenita, Jane perfetta padrona di casa, risponde alle nostre domande sulla vita, gli usi e i costumi fornendo delle interessantissime chiavi di lettura, elaborate da chi (un’occidentale anglo-italiana) vive lì da 5 anni. Mezzanotte arriva velocemente, quindi salutiamo a malincuore Jane, sua madre, suo marito, i suoi figli. Tutto lì avrebbe davvero meritato più tempo, molto più tempo. Hussein contatta i taxi per l’aeroporto. Spendiamo ancora di meno rispetto all’andata. E’ notte fonda, pochi autoveicoli per le strade. Arriviamo in meno di mezz’ora. Lentamente sbrighiamo le pratiche al check-in ed al controllo passaporti. Per fortuna il Duty Free è sempre aperto, ho quindi modo di acquistare per 12$ la stecca le squisite Kamaran e per 15$ le classiche Marlboro. Altra mezz’ora d’attesa prima dell’imbarco. Partiamo puntuali. Atterriamo a Istambul, che ha visto unirsi il gruppo e vede oggi salutarci in un caloroso abbraccio.

Voglio, alla fine di questo diario di viaggio, ricordare e ringraziare, i miei simpatici ed in gambissima compagni di viaggio; in rigoroso ordine alfabetico saluto:
Euro da Parma;
Giorgio da Vignale Monferrato (AL);
Lucia da Treviso;
Manuela da Roma (coordinatrice);
Mariella da Brescia;
Marisa da Finale Ligure;
Roberto da Bergamo;
Sabrina da S.Marino;
Silvana da Vignale Monferrato (AL).Una notte in albergo a Istanbul, sette notti in tenda, una notte in albergo ad Hadibu, due notti in aereo.Durante il tour di Socotra, occorre naturalmente avere acqua e viveri al seguito. Non vi è possibilità di rifornirsi di nulla, se non ad Hadibu, la capitale. Con noi avevamo un pick up d’appoggio adibito al trasporto di tutto ciò che serviva per allestire una cucina da campo con ovviamente anche una buona scorta di cibo conservabile. Tre scatoloni contenenti verdure sono state imbarcate da Sana’a. Ci si approvvigionava sul luogo di carne di capra (dai pastori) e soprattutto di pesce fresco, che veniva acquistato direttamente dai pescatori nelle località marine dove ci siamo accampati. L’ultima cena a Socotra è stata consumata al Taj Socotra Restaurant, dove per pochi dollari ci hanno servito un ottimo pasto a base di riso, pesce e patate stufate. Una costante di tutto il viaggio è stato il buonissimo, immancabile te speziato, con cui venivamo deliziati mattino, pomeriggio e sera. Colazione con pane, miele marmellata e formaggini, oltre a caffè e te. A volte venivano preparati anche fagioli stufati. In un’occasione, ad Aomak, ci hanno cucinato l’aragosta. Un pasto tipo: yogurt, riso con spezie, verdure cotte, fagioli, pesce. Alcune varianti potevano essere tonno in scatola, carne di capra, pasta.Come arrivare:
Nel periodo in cui si è effettuato il viaggio, la compagnia aerea yemenita, non copriva la tratta Roma – Sana’a a causa, sembra, delle temporanee limitazioni legate alle verifiche sui velivoli resesi necessarie dopo l’incidente aereo accaduto nei cieli delle isole Comore nel giugno 2009. Avventure nel Mondo si è di conseguenza avvalsa della Turkish Airline per le tratte Roma (e Milano) Istambul, e Istambul Sana’a. Il volo interno, da Sana’a a Socotra, si sarebbe dovuto effettuare con Yemenia. Invece, all’andata, anzichè della compagnia di bandiera, abbiamo volato con la compagnia aerea Felix. Stesso piano voli. All’andata nessun problema, al ritorno problemi li avremmo avuti, eccome.
Gli spostamenti:
Una volta arrivati a Socotra, gli spostamenti sono stati su jeep 4X4 più un pick-up d’appoggio per cibo e vettovaglie. Un’escursione in barca in un’occasione, da Qalansay, per raggiungere la bella spiaggia di Sohab. Un trekking per salire ad Hoq Cave.

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