Rituali incredibili nell'antica Roma

Alla scoperta dei culti più strani e misteriosi

CIBELE era una divinità femminile del tutto particolare: il suo nome mutava spesso perché la sua dimensione divina era al di sopra delle parti. Madre di tutti gli dèi e una dea che li rappresentava tutti, si trovava in una posizione anarchica rispetto al loro schieramento. Vi era un Dio-Cielo, una semi-divinità ed uno stuolo di divinità demoniache.
In nome di Cibele avevano luogo delle vere e proprie cerimonie orgiastiche, che erano –nell’antichità- un atto mistico che consisteva in un’esaltazione entusiastica dell’animo nel corso di feste religiose. Una specie di estasi sacra che si manifestava con azioni esteriori animate e convulse: una sorta di divina pazzia.
Una chiassosa processione si snodava tra canti e danze. I coribanti (detti anche galli, che non avevano nulla in comune con i barbari d’oltralpe) erano i sacerdoti che durante questi riti suonavano strumenti a fiato e a percussione. Quest’ultimi emettevano suoni assordanti che avevano probabilmente un potere taumaturgico e annichilatore della coscienza. Il culmine era costituito dall’azione dei galli, che durante le celebrazioni orgiastiche arrivavano ad uno stadio di esaltazione tale da autoevirarsi.
Cibele fu idolatrata anche dai romani, che le costruirono un tempio sul Palatino e le dedicarono una festività al principio della primavera (detta Magalenses) caratterizzata da manifestazioni di dolore e di gioia furibonda.

Non è però che tutta Roma fosse ammantata da un alone composto da demoniache presenze, in quanto si svolgevano anche cerimonie più piacevoli. Possiamo dire che la città aveva due anime: quella perversa –che si manifestava nei culti cruenti, nella ferocia dei condottieri- e quella generosa –che sapeva dedicare le sue opere a chi realmente le meritava, cioè al popolo.

Una cerimonia che denotava la capacità dei cittadini romani di compiere gesti meritori, era quella che si svolgeva ogni anno alla foce del TEVERE (l’antico porto della città). Il fiume aveva un significato magico per i romani, poiché rappresentava lo scorrere della vita.
Secondo le leggende più antiche, Tiberino (Tiberis), un re di Alba Longa, era annegato nel fiume Albula che da lui prese il nome. Il corso d’acqua fu divinizzato e annoverato tra le più importanti divinità di Roma; venne eretto un santuario sull’Isola Tiberina e gli si dedicarono feste commemorative l’8 dicembre. Qualche tempo dopo, furono stabilite altre due cerimonie nel corso dell’anno: il 7 giugno (la Trans Tiberim) ed il 17 agosto (Tiberinalia e Portunalia), il cui ricordo si tramanda, probabilmente, nella famosa Festa de’ Noantri nella Roma d’oggi.
Il 23 di agosto i romani riuscirono a riunire in una sola festa il tributo al PADRE TEVERE e al dio VULCANO, nume tutelare del focolare e degli incendi. Il tutto si svolgeva ad Ostia, città in cui Vulcano era considerato la massima divinità, protettore anche delle acque. Durante le Vulcanalia, si svolgeva una grande gara di pesca, ma una volta pescati i pesci, questi venivano gettati nel Tevere. In quella cerimonia ogni pesce rappresentava lo spirito di un defunto, che così facendo veniva salvato dagli inferi.

Tra le divinità importanti MITHRA merita uno spazio particolare. Questo culto si diffuse molto velocemente negli ambienti socialmente più elevati ed ebbe un’intensità tale da poter essere spiegata solo con un grande desiderio di novità da parte dell’aristocrazia romana, annoiata e snob.
Mithra era una divinità proveniente dalla lontana Persia in cui riassumeva l’impero del cielo, della terra e dei morti. A Roma giunse nella seconda metà del primo secolo a.C. come divinità solare ed il suo culto durò fino al 394 d.C. quando fu soppresso d’autorità per la sua commistione con riti pseudo-cristiani. Mithra, il cui nome significava “patto”, simboleggiava la fratellanza tra i popoli in senso cosmico, come elemento equilibratore dell’armonia dell’universo. La sua raffigurazione più comune era quella di un giovane intento ad uccidere un toro. Più tardi, gli vennero aggiunti un mantello e berretto frigio, ed ai suoi lati comparvero due altri giovani (Caute e Cautopate) simboli del sole nascente e del sole al tramonto. Sul Gianicolo si trovava un tempio del dio, a cui erano dedicati diversi altari per i sacrifici; i resti di uno di questi sono stati rintracciati sia nelle grotte sotto la Chiesa dei Ss. Pietro e Paolo a Porta Celimontana sia sotto i resti di un edificio romano in Via dei Cerchi. I culti relativi a Mithra erano quanto di più misterioso ed esoterico; venivano celebrati in templi sotterranei e per esservi ammessi bisognava superare una lunga pratica di iniziazione, composta da sette gradi. Si tratta di esperienze difficili e penose dai nomi suggestivi: corvo, arcano, soldato, leone, persiano, messaggero del sole, padre. Il sommo sacerdote, custode di tutti i segreti, era chiamato Pater Patrum, cioè padre di tutti i padri ovvero degli iniziati.
Tutto quello che si riferiva a questa divinità –a cui non potevano sfuggire i pensieri più segreti degli uomini e che odiava la menzogna- era circondato da un fitto alone di mistero, al punto che gli stessi celebranti ignoravano elementi fondamentali che riguardavano le sue caratteristiche. Le cerimonie, strettamente riservate agli adepti, avevano luogo in località segrete e quasi sempre sotterranee. Una di queste si trova a Ostia. L’aspetto è più lugubre che mistico: dei sedili di pietra si trovano ai lati della grotta e al centro vi è un altare su cui è riprodotta la sequenza di una cerimonia. Questa rappresenta il dio nell’atto di uccidere un toro morso da un cane con uno scorpione ai testicoli ed un serpente che ne lecca il sangue.
I significati del sacrificio descritto sono ancora oscuri e si prestano a varie interpretazioni, ognuna diversa dall’altra.

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