In Kamchatka, dove tutto è estremo!

Un tempo meta quasi inaccessibile, l’estremo lembo orientale della Russia apre ai visitatori il suo patrimonio di meraviglie naturali

 

PREPARAZIONE DEL VIAGGIO
Sognavo un viaggio nella penisola russa della Kamchatka da diversi anni, soprattutto per via del mio interesse verso i paesaggi estremi ed insoliti, nonché per l’attrazione in generale verso il grande nord. La Kamchatka offre numerose possibilità per chi ama la natura e la vita all’aria aperta, tanto è vero che un tour completo atto a cogliere gli aspetti più caratteristici di questa regione, richiederebbe diverse settimane.
Per motivi di tempo decido quindi di tralasciare il safari per vedere gli orsi bruni, sorvolo sulle varie possibilità di percorrere tratti di fiume con rafting che possono durare svariati giorni ed escludo i lunghi trekking dedicati ai vari vulcani meno accessibili, per dedicarmi essenzialmente ad un itinerario più breve che include l’esplorazione dei vulcani più facilmente accessibili del centro sud e del centro nord, un viaggio che richiede normalmente 13 giorni tra lunghi spostamenti in speciali veicoli a sei ruote motrici e passeggiate faticose ma non difficili.
Dopo lunghe ricerche sul web, scelgo una agenzia di Petropavlovsk-Kamchatskiy, la Kamchatka Vision (o Vision of Kamchatka) che tra i numerosi itinerari proposti, ne offre uno perfettamente adatto alle mie aspettative, sia per le date di partenza e sia per l’itinerario seguito. Così a fine Febbraio 2010 prenoto il tour per il prossimo agosto, acquistando il biglietto aereo Milano - Petropavlovsk Kamchatskiy su Expedia (fortunatamente riesco a trovare una combinazione di voli che permette di fare l’intero tragitto senza pernottamenti intermedi a Mosca, questa soluzione però è normalmente disponibile solo 3 volte a settimana). La Kamchatka Vision si occupa di inviare l’invito necessario per l’ottenimento del visto per la Russia e, una volta sul posto, sbriga tutte le pratiche amministrative per registrarsi dopo essere arrivati, questo è il loro sito http://www.kamchatka.org.ru/

Itinerario

28/7/2010
FINALMENTE SI PARTE

Parto da Milano Malpensa con il volo Aeroflot delle 12:15 per Mosca, dove giunto in perfetto orario passo l’immigrazione, ritiro il bagaglio e mi reco al terminal dei voli nazionali da dove, tre ore più tardi, partirà il volo per Petropavlovsk-Kamchatskiy. Quest’ultimo sarebbe un volo prevalentemente notturno, ma per la legge dell’arco di cerchio massimo, la distanza più breve tra Mosca e la Kamchatka è rappresentata da un arco che “piega” decisamente verso nord, superando per un lungo tratto il Circolo Polare Artico dove, in questo periodo dell’anno, il sole non tramonta mai. Pertanto l’aereo vola per alcune ore in una eterna luce poco più che crepuscolare, con il sole fisso all’orizzonte che sembra voler tramontare, ma non tramonta mai. Di sotto si intravede ogni tanto tra le nubi una terra piatta, interrotta da migliaia di laghi e decine di fiumi senza nome che sfociano nel Mar Glaciale Artico, le terre dei mammut e degli Uomini Renna. Ovviamente, sia per la curiosità di vedere il paesaggio e sia per la presenza di numerosi bambini chiassosi (il grosso Boeing 767 è quasi completamente pieno), non riesco a chiudere occhio.

29/7/2010
ARRIVO A PETROPAVLOVSK-KAMCHATSKJY

L’aereo atterra a Petropavlovsk-Kamchatskiy con qualche minuto di anticipo, l’aeroporto è piuttosto fatiscente, con la pista e le taxiways che non vengono riparate o per lo meno “curate” da lungo tempo. Qua e la si intravedono Mig russi frutto della guerra fredda, che giacciono in completo stato di abbandono.
Lo sbarco avviene all’esterno e non si transita dentro l’aeroporto (tutti i passeggeri vengono fatti uscire verso l’esterno dell’aeroporto direttamente dalla piazzola di parcheggio degli aeromobili, per prendere il bagaglio occorre accedere da fuori ad un piccolo edificio). La Kamchatka è ora aperta al turismo ed ai visitatori in genere, sbarcare in questo aeroporto equivale ad arrivare in una qualunque altra regione delle Federazione Russa: non occorrono più permessi speciali e non viene fatto alcun tipo di controllo all’arrivo (fino a pochi anni fa entravano in aereo dei militari che controllavano tutti i documenti prima di autorizzare lo sbarco).
Mi incontro con il corrispondente dell’agenzia, che mi porta in albergo e successivamente incontro Tatiana, la responsabile dell’agenzia con la quale ho avuto gli scambi di email durante l’organizzazione del viaggio, ed alla quale saldo il conto per il tour. Un po’ di riposo, una cena a base di ottimo salmone con spezie e salsine varie, prima di una bella dormita dopo il lungo viaggio.

30/7/2010
GITA A PETROPAVLOVSK-KAMCHATSKIY

Questo giorno è sostanzialmente libero, in realtà sarei potuto arrivare oggi, ma per la particolare struttura dei voli in coincidenza da Milano mi è comunque convenuto arrivare ieri ed utilizzare questa giornata per una passeggiata in città. Alloggio presso l’albergo Geyser in periferia e, in vista dei trekking impegnativi che mi attendono per i prossimi giorni, decido di percorrere a piedi la distanza di 7 chilometri che separa l’albergo dal centro di Petropavlovsk-Kamchatskiy.
Parto sotto un cielo nuvoloso che accenna appena ad aprirsi quando arrivo nella centrale piazza dove è presente una grossa statua di Lenin, punto di ritrovo principale per gli abitanti. Passeggio per la via centrale, ma la città non ha nulla di particolare da offrire, se non il curioso contrasto tra i grossi palazzi “caserma” edificati in stile “Unione Sovietica” ed i grandi vulcani che sorgono a nord-est della città.
Nel pomeriggio il tempo migliora, ma essendo l’ambiente un po’ monotono decido di tornare in albergo in autobus: prendo il 22 che, come avevo notato durante il viaggio a piedi all’andata, fa il percorso più breve fino al mio albergo. Non so dove comprare il biglietto, per strada è praticamente impossibile chiedere informazioni a meno che non si parli russo, decido comunque di salire e noto che il pagamento si fa direttamente all’autista (14 rubli a corsa, circa 35 centesimi di euro) prima di scendere.
Torno nella mia camera e mi rilasso un attimo, ancora un po’ “fuso” dal fuso orario della Kamchatka di 10 ore in avanti rispetto all’Italia, quando all’improvviso avverto una scossa di terremoto di bassa intensità, durata una decina di secondi e seguita da una replica poco dopo. Questo evento mi ricorda che mi trovo lungo l’anello di fuoco del Pacifico, dove la terra sotto i propri piedi è particolarmente “viva” ed in piena attività, dopotutto i numerosi vulcani attivi ne sono la testimonianza. Così preparo il “kit di emergenza” per la notte sopra il comodino (telefonino carico, torcia elettrica, bottiglietta d’acqua) e familiarizzo con le procedure di evacuazione dell’albergo, la cui sicurezza in caso di forte sisma mi è sembrata a dir poco ridicola (la struttura è piuttosto fatiscente e c’è un soppalco, la prima cosa che crollerebbe, proprio davanti l’unica uscita).
Successivamente apprendo che si è trattato di un terremoto di magnitudo 6.2 il cui epicentro era fortunatamente localizzato in una zona disabitata a 100km da Petropavlovsk-Kamchatskiy.
Nel tardo pomeriggio inizio a conoscere alcune persone del mio gruppo composto da svariati italiani, uno spagnolo, due sloveni, un paio di inglesi ed alcuni russi. La notte trascorre tranquilla senza che avverta altre scosse.

31/7/2010
CROCIERA AD AVACHA BAY E VIAGGIO VERSO I PRIMI VULCANI

Di primo mattino il gruppo viene trasferito verso un piccolo porto alla periferia di Petropavlovsk-Kamchatskiy, da dove partirà una piccola nave che esplorerà parte della baia di Avacha. L’escursione, che dura circa sei ore, permette di visitare faraglioni, piccole grotte e bizzarri pinnacoli di roccia sparsi a poca distanza dalla costa, oltre a circumnavigare con un gommone un’isola dove nidificano migliaia di gabbiani e pulcinella di mare.
Oggi il tempo e’ piuttosto inclemente, con cielo coperto, nubi basse, raffiche di vento e mare mosso. Presto diventa poco confortevole restare al chiuso nella cabina passeggeri, dove alcune persone iniziano a soffrire di mal di mare e corrono fuori per vomitare giù dal ponte. Prendo precauzionalmente un antistaminico e, nonostante il clima non proprio estivo, faccio tutta la crociera all’aperto sul ponte, dove la sensazione di malessere passa velocemente. Dall’esterno è più facile godersi il paesaggio, ed e’ molto divertente osservare i pulcinella di mare che volano raso-acqua pescando qualcosa di tanto in tanto. Tra le onde dell’oceano Pacifico un po’ arrabbiato, si intravede occasionalmente qualche foca o qualche leone marino che sale a galla per respirare.
Giunti presso un’isola non lontano dallo sbocco della baia di Avacha sul mare aperto, la nave viene ancorata in acque più tranquille e viene calato un gommone che permetterà di avvicinarsi maggiormente alla costa, osservando ripide scogliere popolate da migliaia di gabbiani in nidificazione, pulcinella di mare e perfino pappagalli, un contesto che ricorda un po’ le isole Faroe da me visitate l’anno precedente. Purtroppo non sono così fortunato da vedere colonie di foche o leoni marini lungo le spiagge, sebbene questi avvistamenti siano piuttosto frequenti.
Dopo l’escursione, la nave rientra a Petropavlovsk-Kamchatskiy, dove un grosso camion a sei ruote motrici, convertito in autobus da 20 posti non proprio comodi, trasporta il gruppo verso il campo base nei pressi dei vulcani Mutnovsky e Goreliy, mete dei prossimi giorni.
Il viaggio dura meno di tre ore, in parte su strada asfaltata, in parte su strada in terra battuta e ghiaia, mentre l’ultimo tratto consiste in una strada “non-strada” tenuta in condizioni davvero pessime, dove il camion sobbalza sulle numerose buche, a volte causando il rovesciamento degli zaini ammucchiati verso la parte posteriore dell’abitacolo, mentre sembra arrancare faticosamente su dossi e qualche tornante.
Si giunge al campo base sotto una leggera pioggerellina ed una nebbia causata da nubi basse che limitano la visibilità a pochi metri. Si montano le tende prima che faccia buio e si consuma la cena in una grande tenda comune dotata di tavolini, sedie, piccoli lampadari alimentati a batteria, ma senza riscaldamento (comunque non necessario vista la temperatura relativamente mite, attorno ai 12 gradi, nonostante l’altitudine di circa 650 metri).
La notte trascorre tranquillamente all’interno del sacco a pelo, anche se una pioggia insistente fa temere per il buon esito del trekking in programma per il giorno seguente sul vulcano Mutnovsky. Il termometro segna all’interno della mia tenda monoposto 10,5 gradi.

1/8/2010
ESCURSIONE SUL VULCANO MUTNOVSKY

“We will go with any weather” furono le parole di una delle guide durante il brevissimo (e forse non molto accurato) briefing tenuto la sera precedente. E’ chiaro che fare una escursione sotto il sole splendente permette di godersi al meglio il paesaggio e le bellezze naturali che si osservano, ma nessuno vuole rinunciare a questa escursione, per molti attesa da anni, solo per qualche grosso nuvolone grigio che avvolge minacciosamente le vette dei vulcani più alti, oltretutto sembra che abbia smesso di piovere, pertanto si fa una abbondante colazione, si preparano gli zaini prendendo qualche indumento di ricambio, uno snack, ed il camion-bus conduce il gruppo “fin dove il mezzo riesce ad arrivare”, compatibilmente con le condizioni della pista. E’ sottointeso che l’ultimo tratto, di lunghezza non precisata, è da farsi a piedi.
Il camion inizia a risalire una altura, guadando piccoli ruscelli, fiumiciattoli e addirittura qualche piccolo ghiacciaio coperto da neve mista ad acqua e fango, con una disinvoltura solo a volte tradita da un fumo di scarico denso e nero come il carbone, che rende impossibile tenere il finestrino aperto. Il tempo purtroppo peggiora, la nebbia aumenta ed inizia a piovere.
Dopo meno di due ore, il mezzo raggiunge il punto di inizio del sentiero da dove si rende necessario proseguire a piedi, ma fortunatamente smette di piovere. Comunque preoccupato dalle condizioni meteorologiche, dimentico di fare i vari controlli del tipo “a che altitudine siamo”, di prendere i fix con il GPS e sono anche un po’ avaro con le foto, nonostante il luogo suggestivo che meriterebbe senz’altro più “attenzione”.
La passeggiata inizia senza troppi intoppi, attraversando la lingua terminale di un paio di nevai per nulla scivolosi, due piccoli torrenti, ed iniziando a salire. Presto mi scaldo e devo rimuovere uno strato di indumenti, tenendo però sempre il guscio esterno anti vento ed anti pioggia. Dopo circa un’ora il cielo si chiude, la visibilità diminuisce ed inizia a piovere con insistenza. Guardando verso l’alto si vedono le “onde” di pioggia trasportante dal vento che investono le pareti delle montagne tutt’attorno, tuttavia la passeggiata continua, le guide e gli altri turisti non si lamentano e pertanto si va avanti.
Si continua all’incirca per un’ora, tra piccoli saliscendi, nevai e un po’ di fango. Sono completamente zuppo fino agli indumenti intimi, non solo perché il vento fa entrare la pioggia da qualunque minimo intertizio, ma anche perché sudo molto nel tentativo di avanzare più velocemente e lo strato “impermeabile” esterno, anch’esso zuppo di pioggia, non permette una sufficiente traspirazione. Ad un certo punto mi tolgo il cappello perché inutile e fastidioso, e cammino sotto la pioggia con i capelli al vento, vorrei tanto poter fare la stessa cosa con tutti gli altri vestiti ma non saprei dove metterli.
Poco prima di raggiungere il cratere, incontro una signora Inglese di un altro gruppo che avevo conosciuto a cena a Petropavlovsk-Kamchatskiy e che sta tornando indietro dopo aver visitato il cratere. Ha un grande sorriso, l’acqua che gli scorre giù dal cappello fin sugli occhiali, mi saluta ed esclama “it’s fantastic!”. In effetti, giro l’ultimo “tornante” e mi ritrovo proiettato in una sorta di inferno dantesco tanto entusiasmante, quanto a tratti terribile, reso ancor più cattivo dalla pioggia che cambia continuamente di intensità e direzione per il vento, dalla nebbia e dalle nubi basse che non ti lasciano capire esattamente dove sei o dove poterti riparare. Un forte odore di zolfo rende spesso la respirazione difficile, oppure irrita così tanto gli occhi da non riuscire a vedere chiaramente, oltretutto ho gli occhiali appannati dall’interno e bagnati dall’esterno… sento attorno a me strani rumori causati dalle fumarole, dalle pozze di fango bollente e dalla pioggia, ma non riesco a vedere esattamente cosa sta succedendo. Cerco di pulire gli occhiali alla meno peggio, faccio in modo che il vento mi faccia arrivare meno vapori di zolfo e finalmente riesco a godermi con più calma questo angolo di paradiso (anzi, di vero e proprio inferno). Tutt’attorno a me ci sono pozze di fango che ribolle, strani buchi dalle pareti gialle che sembrano l’esofago del diavolo, pozze di “acqua” dai colori un po’ sospetti (potrebbero essere sostanze caustiche, acide o velenose), fumarole che sputano fuori densi vapori ed un ruscello dalle acque arrabbiatissime, alimentato dai ghiacciai presenti nella parte più alta della montagna. Fotografare in queste condizioni senza danneggiare l’attrezzatura si rivela un’impresa estremamente ardua, in pratica utilizzavo la mantellina impermeabile esterna per crearmi una sorta di tenda mobile che copriva la mia testa e la macchina fotografica, puntando l’obiettivo verso l’esterno di questa copertura improvvisata. Poi mi accucciavo per terra e, sempre tutto coperto dalla mantellina, asciugavo l’obiettivo ed il corpo della macchina fotografica che prendeva comunque acqua, utilizzando della carta assorbente portata provvidenzialmente nel marsupio.
Avrei voluto dedicare più tempo all’esplorazione di questo gioiellino della natura, probabilmente la cosa più bella vista durante questo viaggio in Kamchatka, ma le condizioni meteorologiche non lo permettono. Rientro quindi verso il camion ed il campo base, dove viene acceso un fuoco ed improvvisato uno stendino per asciugare i vestiti dopo averli strizzati. Fortunatamente nel frattempo smette di piovere, iniziare il viaggio con i vestiti ridotti in queste condizioni non sarebbe stato molto confortevole.

2/8/2010
TENTATIVO DI ASCESA DEL VULCANO GORELIY

Anche il briefing riguardante l’ascensione del vulcano Goreliy è piuttosto breve ed approssimativo: occorre sapere che la Kamchatka è stata aperta al turismo da pochissimi anni, le guide che accompagnano i turisti sono bravissimi ragazzi e ragazze, molto volenterosi, che non si sono mai lamentati per il cattivo tempo ed hanno sempre cercato di rispettare il programma, inoltre sono in genere persone neolaureate, presso le più disparate facoltà, che fanno le guide come secondo lavoro oppure in attesa di trovare un lavoro più confacente alla loro specializzazione. Aspettatevi pertanto persone sicuramente molto disponibili ed entusiaste di mostrarvi la Kamchatka, ma non scandalizzatevi se l’organizzazione non è perfetta, se ci sono contrattempi anche per “sviste” molto banali e se non c’è quell’attenzione verso la sicurezza, tipica di altri paesi di pari latitudine.
Dopo questa doverosa premessa, passiamo al racconto di questa giornata. Il tempo oggi è migliorato notevolmente e tra le nuvole, ancora numerose, si intravede un cielo blu intenso. La visibilità è ottima. Si parte pertanto con i camion per raggiungere le falde del vulcano Goreliy, con la pista che arriva fino a quota 1150 metri circa.
Il vulcano è alto 1828 metri e dentro il cratere sommitale, meta di quest’oggi, c’è un pittoresco lago dalle acque rese blu turchese o verdastre dalla presenza di alcuni sali minerali, inoltre dalla vetta è visibile un bellissimo panorama sulle valli sottostanti e sui vulcani circostanti. Purtroppo, nonostante il tempo relativamente buono, già dalla partenza la vetta del vulcano non è visibile, in quanto avvolta da un brutto nuvolone. Decido comunque di salire assieme al gruppo, sperando che durante le tre ore normalmente necessarie per salire la montagna, il vento spazzi via questa nube dispettosa.
Come per il giorno precedente, la camminata non è particolarmente difficile da un punto di vista tecnico e non richiede attrezzare particolari al di la di buoni scarponi da montagna ed uno o due bastoncini da trekking (quest’ultimo a propria discrezione: nel gruppo c’erano molte persone che ne facevano a meno, ma io lo trovo utile e più di una volta mi ha salvato da una scivolata oppure mi ha aiutato ad “arrancare” in salita). Le passeggiate possono invece risultare faticose per la durata ed il dislivello da percorrere, specialmente per chi conduce vita particolarmente sedentaria. Per me le prime passeggiate sono state un po’ faticose in quanto, dietro consiglio delle guide, portavo uno zaino con dentro di “tutto di più”, poi quando mi sono accorto che non ho mai usato nulla delle cose trasportate, lasciavo lo zaino nel camion e salivo solo con la macchina fotografica. Tutto diventava molto più semplice.
La scalata del vulcano Goreliy continua sotto un caldo sole, ma purtroppo la cima della montagna resta ancora avvolta dalle nubi, nelle quali entriamo inesorabilmente a quota 1600 metri dopo due ore di trekking. A questo punto la camminata si fa un po’ difficile perché occorre attraversare nella nebbia un nevaio. Inizia a piovigginare. A causa della nebbia, tutte le persone del gruppo devono mantenere lo stesso ritmo al fine di non perdere mai il contatto visivo con la persona che ti precede, altrimenti vengono velocemente meno i punti di riferimento e si rischia di perdersi. Pochi metri più in alto si decide di tornare indietro: rischi e disagi a parte, è inutile arrivare in cima alla montagna e non vedere ad un palmo dal naso, non vedere il panorama e non vedere il laghetto nel cratere. Si ritorna quindi a malincuore al campo base e si smontano le tende. Con i camion si fa il percorso a ritroso verso Petropavlovsk-Kamchatskiy, ma fermandosi a Paratunka, dove alloggio in un bellissimo cottage di nuova costruzione presso il Paratunka resort. Una bella doccia, una sistemata ai panni ancora un po’ umidi e un po’ di meritato riposo in un vero letto.

3/8/2010
GIORNATA LIBERA PER VARIE ATTIVITA’

Oggi la giornata inizia con una squisita colazione a base di crepe con caviale di salmone, grosse uova arancioni molto gustose anche se decisamente salate. Non ci sono escursioni particolari in programma e pertanto, come nella migliore delle leggi di Murphy, questa è una fantastica giornata di sole.
Una parte del gruppo decide di sfruttare l’occasione per recarsi presso l’eliporto di Yelizovo ed imbarcarsi su un elicottero MI-8 che farà una entusiasmante escursione nella Valle dei Geyser. Il tour in elicottero è opzionale e costa ben 625 Euro da pagare direttamente in loco (non sono accettate le carte di credito). Personalmente ho deciso di non partecipare a questa escursione in quanto il bello sta proprio nel sorvolare i vulcani, alcuni dei quali attivi, per ammirare il paesaggio estremo dall’alto. La valle dei geyser in se stessa è si un luogo molto suggestivo, ma da sola non vale il costo del viaggio (non aspettatevi ad esempio di vedere geyser particolarmente grandi ed attivi come lo Strokkur islandese). Pertanto, a seguito del timore di non riuscire a vedere le vette dei vulcani durante il volo, vette permanentemente avvolte dalle nubi durante i miei precedenti 3 giorni di permanenza in Kamchatka, ho preferito non rischiare, visto anche il costo spropositato del tour. Bisogna anche considerare che per avere una migliore vista occorrerebbe prendere il posto al finestrino, ma l’elicottero da oltre 20 posti offre soprattutto posti centrali, ed alcuni che dovrebbero essere finestrini sono in realtà ostruiti da ampi montanti.
Quando i partecipanti sono tornati ho scoperto che in realtà il gruppo è stato fortunato e che la visibilità è stata sempre ottima (tuttavia sono certo che se fossi andato anche io, sarebbe provvidenzialmente arrivata la “nuvoletta dell’impiegato” proprio attorno ai due principali vulcani sorvolati, pertanto, il non essere andato, è stato meglio per tutti).
Per i turisti che hanno deciso di non fare il tour il elicottero, è stata organizzata una breve escursione presso una bella spiaggia di sabbia vulcanica nera a nord di Petropavlovsk-Kamchatskiy e fuori dalla baia di Avacha, dove alcune persone (non so se turisti o abitanti del posto) hanno azzardato un bagno nelle acque non proprio calde e piuttosto agitate di questo angolo di oceano.
La sera il gruppo viene trasferito con il camion a Malky dove campeggerà per la notte e dove ci sono alcune piscine naturali di acqua calda ideali per un bel bagno tonificante. Purtroppo però le nostre tende sono state caricate sul camion delle persone che hanno deciso di fare il tour in elicottero e che tarda ad arrivare (arriverà poi poco prima di mezzanotte), così nessuno si fida a fare il bagno in costume, senza poi avere un rifugio sicuro dove potersi asciugare e vestire. Le tende verranno montate nell’oscurità della notte, dopo una cena veloce.

4/8/2010
IN VIAGGIO VERSO NORD

Con due grossi camion a sei ruote motrici il gruppo, che oggi è diventato di ben 29 persone più le guide, attraversa da sud a nord parte della Kamchatka tramite una strada di terra battuta e ghiaia che taglia in due la penisola, percorrendo una valle posta tra i vulcani ad est ed una catena montuosa ad ovest.
A proposito della dimensione del gruppo, bisogna sapere che i tour sono personalizzabili e modulari, pertanto, ad ogni tappa, potrebbero cambiare i compagni di viaggio, aumentando o diminuendo di numero. Il gruppo molto numeroso non costituisce normalmente un problema, in quanto esiste sempre un rapporto tra numero di partecipanti e numero di guide, inoltre durante le escursioni a piedi il “gruppone” viene suddiviso in vari sottogruppi (ad esempio a seconda della velocità con la quale si cammina), ciascuno dei quali avente una propria guida.
Tornando al lungo viaggio di oggi, i primi 400 chilometri vengono percorsi piuttosto tranquillamente sulla strada di terra battuta che offre splendide viste sulla foresta di betulle e conifere circostante, una natura davvero incontaminata se non fosse per i copertoni, le bottiglie, le lattine ed altra immondizia spesso accumulata ai margini della strada.
La sosta per il pranzo viene fatta a Milkovo, una tranquilla cittadina di meno di diecimila abitanti, posta in mezzo al nulla al centro della Kamchatka. A parte questo centro abitato e qualche raro incrocio con altri automezzi lungo la strada, incroci che sollevano sempre un gran polverone, non si incontrano altre anime vive durante il viaggio.
Nel pomeriggio si giunge sulle rive del fiume Kamchatka, il più grande della penisola, non ancora attraversato da un ponte (quest’ultimo è attualmente in costruzione), i camion devono essere pertanto traghettati verso l’altra sponda. Il servizio di traghettata funziona con cadenza oraria, così nel frattempo mi godo un po’ il paesaggio molto pittoresco, fatto da questo immenso fiume tortuoso, dalle foreste vergini circostanti, e da un cielo arrabbiatissimo che minaccia un brutto temporale da un momento all’altro.
Poco dopo il traghettamento del fiume Kamchatka i camion lasciano la strada principale per prendere una pista in condizioni terribili, che richiede quasi tre ore per percorrere poco più di 50 chilometri. I camion si fanno strada sulla pista nella foresta di betulle, tranciando prepotentemente i molti rami che invadono la carreggiata e superando ruscelli, fanghiglia ed enormi pozze d’acqua, dove un qualunque veicolo non idoneo non sarebbe in grado di percorrere nemmeno un metro.
Dopo un paio d’ore la foresta lascia il posto ad un paesaggio vulcanico brullo e scuro, mentre i camion salgono verso la meta del giorno, il campo base “The Moon Rovers”, a quota 1150 metri, così chiamato perché pare che il luogo sia stato utilizzato in passato per testare veicoli spaziali russi. Effettivamente sembra di essere su un altro pianeta: mini coni vulcanici sparsi qua e la, il suolo grigiastro / rossastro composto da materiale vulcanico che scrocchia sotto i piedi quasi come se si stessero calpestando delle patatine fritte, il cielo cosparso di nuvoloni sia sopra che sotto di me, il tutto amplificato da una inusuale luce arancione creata da un tramonto particolarmente “caldo”. Si montano le tende prima del sopraggiungere del buio: questa sarà la mia casa per le prossime tre notti ed è da qui che partiranno le varie escursioni verso il complesso montuoso del vulcano Tolbachik, un mostro che nel 1975 ha cambiato la geografia del luogo.

5/8/2010
ASCESA DEL VULCANO PLOSKY TOLBACHIK

Questa mattina sveglia prestino, mi attende una lunga giornata. Controllo la temperatura nella mia tenda: +8 gradi centigradi, non fa così freddo considerando la latitudine “nordica” e l’altitudine di 1150 metri. Un vento che ha soffiato costante per tutta la notte ha spazzato via gran parte delle nuvole, sebbene le vette dei vulcani più alti sembrino ancora immersi nelle nubi (e questo mi preoccupa un po’ in quanto la meta del giorno è proprio il cratere sommitale del vulcano Plosky Tolbachik a quota 2850).
Si fa una abbondante colazione e si parte stipati all’inverosimile dentro un solo camion, con qualche guida che sceglie di viaggiare addirittura sul tetto del mezzo, non temendo i grossi scossoni derivanti dalle pessime condizioni della pista.
Il camion viene parcheggiato a quota 1680 metri, dove inizia il sentiero e dove, ahimè, ci si ritrova nuovamente avvolti in una nebbia causata dalle nuvole che cingono strette la parte alta della montagna. Decido comunque di partire assieme al gruppo, sperando che le nubi si diradino alle quote più alte e che comunque il tempo migliori.
Il dislivello da coprire a piedi è di ben 1200 metri, ma il sentiero è facile e la pendenza non è esagerata, decido comunque di non portare con me lo zaino che fino ad ora mi ha sempre appesantito inutilmente e parto solo con la macchina fotografica, una bottiglietta d’acqua, il poncho compresso nella sua custodia e qualche barretta di Kinder cioccolato (quelle con + latte e – cacao) che mi sono portato da casa.
La camminata inizia tranquilla, ma la nebbia impedisce di vedere il panorama. Fortunatamente, appena superata quota 2000 metri, il gruppo “sfonda” il tetto di nubi e sopra di noi si materializza un cielo di uno stupendo colore blu, oltre alla vetta del vulcano in tutta la sua maestosità. La salita continua, lasciandosi alle proprie spalle le nuvole che, in ogni caso, iniziano a diradarsi lasciando intravedere l’immensa pianura presente ai piedi del vulcano.
Sopra quota 2500 metri il respiro inizia a farsi più affannoso sia perché la pendenza del sentiero aumenta e sia perché l’aria inizia ad essere un po’ rarefatta. Comincio ad essere stanco e, non sapendo ancora quale spettacolo mi attende una volta raggiunto il cratere, mi chiedo se valga davvero la pena continuare o tornare indietro. Ma ecco che all’improvviso incrocio la stessa signora inglese che avevo incontrato sul vulcano Mutnovsky e che mi incoraggia a proseguire dicendo “it’s the most beautiful crater I’ve ever seen!” aggiungendo “give me five!”, così ci diamo il cinque e continuo a salire ormai deciso a raggiungere la meta.
E lo spettacolo non tarda ad arrivare: dopo quasi quattro ore di marcia mi ritrovo sull’orlo di un cratere gigantesco che mi fa quasi venire le vertigini. Il cratere è largo mediamente un chilometro e mezzo (quasi due nel punto massimo) ed è profondo oltre 500 metri. Dall’orlo opposto a quello dove mi trovo, scende giù un maestoso ghiacciaio che “cola” all’interno del cratere stesso, fra le rocce i cui colori variano fra il giallo, il rosso e varie tonalità di grigio. Mi sdraio per terra vicino al precipizio e mi rendo conto che l’uomo è meno di un moscerino davanti alle forze immense ed inimmaginabili che può scatenare la natura da un momento all’altro.
La tappa successiva sarebbe un punto di osservazione quasi 200 metri più in alto, ma il vento inizia a soffiare molto intensamente e bisogna camminare lungo una cresta piuttosto sottile. Decido che per oggi ho visto abbastanza e torno indietro: dato il mio limitato peso corporeo non vorrei tornare al campo base tentando di planare (che, vista la distanza, sarebbe comodo, ma letale). Inizio quindi a scendere la montagna per lo stesso sentiero, con il vento che in un paio di occasioni mi costringe a piantare con forza il bastoncino da trekking a terra, per ancorarmi e non cadere.
Nel pomeriggio il tempo inizia a peggiorare nuovamente e penso alle persone che hanno deciso di proseguire per la seconda meta; io intanto trovo riparo nel camion. Entro un paio d’ore arrivano tutti gli altri (sani e salvi) e si rientra al campo base per un po’ di meritato riposo.

6/8/2010
ESCURSIONE SUI MINI-VULCANI ATTORNO AL TOLBACHIK

Oggi giornata più rilassata con tempo in abbondanza per riposarsi. La colazione viene servita alle 11:00, prima di partire con i camion verso una serie di coni vulcanici (dei “mini vulcani” a tutti gli effetti) piazzati lungo una sorta di frattura della crosta terrestre, che inizia dal cratere principale del vulcano Tolbachik, per proseguire fino ad una trentina di chilometri verso sud.
Saliamo a piedi su uno di questi coni, alto meno di 200 metri, da dove si aprono delle spettacolari viste sulla pianura sottostante e sul paesaggio lavico circostante, reso ancor più austero e “cattivo” dalla presenza di grossi nuvoloni grigi. Per le tonalità del cielo e della terra, sembra di vivere in un mondo in bianco e nero quando, nei pressi della cima del cono, appare un incredibile tappeto multicolore fatto di pietre vulcaniche gialle, rosse, arancioni e rosa, talvolta disordinatamente mischiate tra loro, talvolta concentrate in piccole aree aventi lo stesso colore. Continuo a salire camminando sull’orlo del cratere, ma la solita “nuvoletta dell’impiegato” mi ostruisce la vista verso l’interno del coloratissimo cratere. Giunto sulla cima del cono vulcanico mi accorgo di avere le scarpe molto calde: il suolo è infatti tiepido e da alcune piccole crepe sembra uscire addirittura aria calda. Sotto una di queste spaccature c’è evidentemente della lava liquida in quanto gettandoci dentro un qualunque materiale infiammabile, come un bastoncino di legno, questo prende fuoco velocemente. La nebbia si dirada per un attimo e la visione improvvisa ed inaspettata del grosso e profondo cratere, che sto percorrendo a piedi lungo l’orlo sommitale, mi da qualche vertigine.
Al termine dell’escursione si torna alla base del mini-vulcano per uno spuntino veloce, prima di proseguire verso la foresta morta (Dead Forest). La foresta morta consiste in una vasta distesa di alberi, soprattutto conifere, dei quali non resta altro che lo scheletrico tronco e qualche ramo, a seguito dell’azione della nube piroclastica che nel 1975, ad una temperatura di oltre 1000 gradi centigradi, ha ucciso all’istante tutte le forme di vita presenti nell’area interessata dall’esplosione. In molti casi la parte di tronco visibile appartiene alla sommità dell’albero, in quanto l’eruzione ha accumulato fino a sei metri di detriti, che hanno sepolto ogni cosa. Tuttavia, nonostante la violenza e la brutalità delle forze della natura, la vita non si arrende mai del tutto, ed alcune piante pioniere, alcune delle quali con splendidi fiori viola, stanno colonizzando nuovamente queste “terre non-terre”, contribuendo a preparare un substrato idoneo per la crescita di una nuova foresta… se il vulcano lo vorrà.
L’escursione termina con la visita di un paio di grotte presenti nella lava solidificata, alcune delle quali accessibili, dove ci si può sentire un po’ speleologi per qualche ora. Si rientra quindi al campo base per l’ultimo pernottamento in tenda.

7/8/2010
IN VIAGGIO VERSO ESSO

La giornata inizia con un frenetico smontaggio delle tende e del campo sotto un acquazzone ed un vento che fa viaggiare le gocce d’acqua in tutte le direzioni. Indosso tutti gli impermeabili possibili e, facendo tesoro dell’esperienza vissuta sul vulcano Mutnovsky, ottimizzo i tempi e le azioni al fine di restare all’aperto il meno tempo possibile. In pratica, smonto la tenda dall’interno, ed esco fuori solo per arrotolarla frettolosamente prima che il vento la porti via. Questa volta non mi bagno ed è un bene, in quanto il viaggio verso Esso dura oltre cinque ore.
I camion percorrono il tragitto a ritroso, traghettando nuovamente sul fiume Kamchatka, ma prendendo poi una deviazione invece di proseguire verso sud. Prima dell’arrivo si fa un picnic approfittando di una pausa della pioggia.
Si arriva ad Esso nel pomeriggio e, come se fosse un miraggio, appare un bellissimo hotel di recente costruzione, dotato di confortevoli camere interne, bungalow esterni, piscina, una accogliente hall e perfino un computer con Internet. Il pomeriggio trascorrerà in parte sotto la doccia, in parte rimettendo in ordine i bagagli e facendo qualche breve passeggiata attorno all’hotel.

8/8/2010
ESCURSIONI AD ESSO

Esso è un villaggio di 2600 anime posto nel cuore verde della Kamchatka, a 550km dalla “capitale” Petropavlovsk-Kamchatskiy, abitato da alcune etnie native della Kamchatka come gli Eveni ed i Coriachi, ma anche da molti russi giunti qua ai tempi dell’Unione Sovietica, quando questa area era importante per la produzione di legname. Come spesso accade, l’arrivo dell’”Uomo Bianco” o del progresso ha degli effetti piuttosto disastrosi sulle tradizioni e sulle culture locali, e per i nativi della Kamchatka non è stato certo un’eccezione.
La prima escursione del giorno è fatta presso un teatro dove viene organizzato uno spettacolo folcloristico, con i nativi che si esibiscono in canti e balli appartenenti alla loro tradizione, ed indossando dei costumi tipici. Purtroppo il riassunto fatto in lingua russa è per me incomprensibile, ma da alcuni dei passaggi tradotti dalle nostre guide capisco che esiste una associazione che si preoccupa di tramandare ai bambini la cultura dei loro antenati ed i più bravi possono aspirare a fare gli attori per questi spettacoli.
La tappa successiva è un museo a cielo aperto dove sono presenti alcuni reperti riguardanti la vita delle popolazioni nomadi che si spostano assieme alle mandrie di renne: i cosiddetti “Uomini Renna”. Mi sarebbe piaciuto visitare un campo di nomadi con le loro renne, ma queste popolazioni si spostano anche di centinaia di chilometri da Esso e dagli altri centri abitati, pertanto l’unico modo di trascorrere qualche giorno con loro è quello di “inseguirli” noleggiando un elicottero (i costi sono proibitivi ed occorre destinare un numero sufficiente di giorni, anche a causa del frequente maltempo). Si visita anche un piccolo ma interessante museo dove è presente la ricostruzione in scala reale di una abitazione tipica delle tribù stanziali, che era ancora in uso fino a pochi decenni fa. Infine si fa visita ad una piccola scuola dove viene insegnato ad intarsiare il legno.
Esso è un villaggio dall’aspetto piacevole, fatto da tante casette in legno con il tetto in lamiera, tutte aventi attorno orti e giardini in fiore, resi rigogliosi dal suolo decisamente fertile e dall’acqua piovana che senz’altro da queste parti non manca.

9/8/2010
IN VIAGGIO VERSO SUD

Oggi giornata di viaggio da Esso al Paratunka Resort (struttura posizionata vicino l’aeroporto di Petropavlovsk-Kamchatskiy), percorrendo in circa 12 ore i 550km che separano le due città. La sosta pranzo viene fatta nel paesino di Milkovo, mentre qualche ora più tardi alcune persone del gruppo che nel loro pacchetto di viaggio hanno anche il rafting, vengono lasciate presso le sponde del fiume Bistraya, da dove proseguiranno il tour in canotto per tre giorni e due notti. A detta delle guide, il rafting su questo fiume è abbastanza semplice in quanto le rapide sono piuttosto dolci e non occorre particolare esperienza (comunque pare che ci si bagni un po’… per quel che mi riguarda, l’acqua che cade dal cielo è sufficiente e non ci tengo a cercarne altra!).
Arrivo in serata a Paratunka, dove ceno e trascorro la mia ultima notte in Kamchatka.

10/8/2010
CIAO KAMCHATKA - CONCLUSIONI

Una brevissima escursione al mercato del pesce per acquistare qualche scatoletta di caviale di salmone, e via verso l’aeroporto per prendere il volo per Mosca delle 11:55. Anche in uscita dalla Kamchatka non esiste più alcun tipo di controllo, se non le normali verifiche sui bagagli (la cui efficacia mi è parsa addirittura inferiore rispetto agli standard europei).
Questo viaggio in Kamchatka ha soddisfatto le mie aspettative; tuttavia, se potessi tornare indietro, credo che dedicherei meno giorni ai vulcani e più tempo alle escursioni alternative, come ad esempio gli interessantissimi tour per andare a vedere gli orsi bruni che pescano i salmoni, oppure una escursione “seria” presso qualche campo mobile degli Uomini Renna. I vulcani sono comunque stupendi (in particolare il Mutnovsky), ma essendo già stato alle Hawaii, in Bolivia ed in Islanda, forse un viaggio più mirato verso le destinazioni alternative sarebbe stata una scelta più “azzeccata”.
Va be… sarà per la prossima volta, il viaggio è stato comunque molto bello, divertente e memorabile. Il problema “pioggia” l’ho preso con filosofia: l’acqua è all’origine della vita e nessuno è mai morto per i vestiti un po’ bagnati, oltretutto il cielo arrabbiato potrebbe creare ottime occasioni fotografiche proprio come una bella giornata di sole.
Le pecche organizzative non hanno avuto conseguenze irreversibili sullo svolgimento del programma o sulla sicurezza, a parte qualche piccolo disagio che si può tollerare considerando che il turismo deve ancora svilupparsi e che ci si trova in un ambiente piuttosto estremo ed isolato dal resto del mondo.

Luciano Napolitano
Agosto 2010

Link all’album fotografico completo:
http://www.viaggio-vacanza.it/russia_kamchatka/trekking_kamchatka_tour_vulcani.htm

 

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